venerdì 4 marzo 2016

IL GARIBALDINO PENTITO “Come la penso” autore: Giuseppe Nuvolari

424332_3376179133943_278006786_n
 
Fonte: http://venetostoria.com/

Io sono vecchio e quindi poco mi resta da perdere, ma se fosse possibile tornare indietro, confesso che terrei un’altra condotta. Fra mezzo a tante delusioni a tanti inganni, a tanti dispiaceri vi è una cosa che mi consola assai; sì è quella che avendo partecipato a tanti sconvolgimenti politici, non potei avere figli, così non avrò il dolore di lasciarli spettatori delle vergogne del nostro sventurato paese e francamente dichiaro che se mi fossi immaginato il come sarebbero andate le cose, non mi sarei di certo imposto tanti sacrifici materiali e morali, perché non ne valeva la pena!”.
Nella galleria dei memorialisti garibaldini, Giuseppe Nuvolari non compare. Partecipe di tutti i grandi eventi del Risorgimento, volontario in Sicilia con Garibaldi, e a lui vicino in quella sorta di esilio che fu Caprera, tornando a casa ebbe il coraggio di dire “ciò che pensava
“: il nostro Nuvolari, mantovano sobrio e concreto, tornando a casa deluso dalla piega degli avvenimenti, sfidando il nuovo regime che lo ripagò con la moneta del silenzio, sebbene più a suo agio col vomere e la vanga, prese la penna ispirato dalla passione e dall’indignazione, e quasi di getto, con verve ironica irresistibile, compose questo straordinario e godibilissimo memoriale diviso in due parti e scritto in forma di lettera. libro ristampato dall’editore Sometti di Mantova, a cura dell’associazione Padi Terrae, con una penetrante ed esemplare introduzione di Sante Bardini.
Nel nome di Garibaldi venuto dall’America per fondare una nuova patria rigenerata, il giovane Nuvolari scappa di casa nel 1852. Si arruola nel 1859 nei “Cacciatori delle Alpi”, di Garibaldi visto con sospetto dai generaloni di Torino: nel 60 è in Sicilia con i Mille, che al primo solenne raduno nel cinquantenario della spedizione, nel 1910, invece di presentarsi dimezzati complice l’anagrafe e la falce, si erano come moltiplicati, come aveva temuto Garibaldi. Fatta o disfatta l’Italia, Nuvolari resta per qualche tempo con Garibaldi a Caprera, avendo modo di sperimentare come il “sogno” svanisca lasciando il posto a una ben triste realtà. Tornato a casa comincia a stendere questa lunga lettera e il destinatario simbolico è il sindaco dell’isola della Maddalena, Leonardo Bargoni, al quale denuncia quasi con foga e con dati inoppugnabili, le incipienti storture, i ladrocini, la corruzione, ravvisando nel doppio sistema che si va instaurando la nascita della “questione meridionale” (speculare a quella “settentrionale”), che sarà alla base di un secolare e irrisolto malinteso. Vede, quasi in anticipo e chiaramente, la formazione di due Italie contrapposte, di una doppia morale, e provoca il Bargoni , con la sua focosa e stringente requisitoria:«Come Ella avrà osservato, nel mio Comune vi è meno di un impiegato su mille persone. Alla Maddalena, e nella Sardegna tutta, quanti ve ne saranno? Credo di non esagerare dicendo uno su cento. Ma mi dica di grazia, caro signor Leonardo, a che cosa servono, cosa fanno tutti gli impiegati che sono alla Maddalena?».
Al Sud osserva le terre lasciate incolte dai proprietari ed esclama:«Si fossero trovati sotto il paterno regime austriaco – allorché questi dominava nel Lombardo-Veneto – sarebbero stati freschi! Negli anni di penuria, l’Austria obbligava i conduttori di fondi a dare lavoro ai contadini, in proporzione del censo, indicandogliene il numero, e se non vi era proprio nulla da fare… in tal caso bisognava pagarli lo stesso!».Così dopo aver combattuto l’Austria a viso aperto, viene quasi la tentazione di rimpiangerla: col “regime italiano” la Lombardia scade di livello e di senso civico. Se si vuol fare giustizia della propaganda post-risorgimentale, questo libro è l’antidoto adatto. Una lettura che vivamente raccomando. Ne emerge l’immagine veritiera dell’Italietta di ieri, pataccara e vile, nutrice e pronuba dell’Italia d’oggi, vizi, malversazioni e cialtronerie compresi.