lunedì 31 agosto 2015

Virtù guerriere per la salvezza: un’introduzione a Ildegarda di Bingen

Ildegarda_Von_Bingen
 
Proponiamo la registrazione della 347° conferenza
di formazione militante a cura della Comunità Antagonista Padana
dell’Università Cattolica del Sacro Cuore:
parla Laura Francese
La conferenza è stata tenuta il 26 agosto 2015
Buon Ascolto!


domenica 30 agosto 2015

Un estratto del "1848-49 Lombardo" dell'Ufficiale Karl Schönhals




"Gl'insorgenti che avevano mal interpretata la ritirata delle truppe tentarono allora d'impodestrarsi di una porta, per mettersi in comunicazione col difuori, e scelsero perciò specialmente la parte d'onde aspettavano il soccorso piemontese; ma ne ritornarono colla testa rotta respinti dalle truppe del conte Clam. In uno di questi attacchi si segnalò il battaglio di fanti Sigismondo* venuto da Bergamo, il quale corse colla bajonetta addosso agli assalitori, e acconciò i compatriotti pel dì delle feste."

(Memorie della Guerra d'Italia degli anni 1848-1849, Ufficiale Karl Schönhals in merito ad alcuni fatti delle Cinque Giornate di Milano).

*Riferimento al 45° Reggimento di Fanteria Arciduca Sigismondo reclutato per la gran parte dal veronese e in alcuni comuni della bassa Lombardia.




Fonte: Regno Lombardo Veneto / Königreich Lombardo Venetien

venerdì 28 agosto 2015

EVENTO: notizie sulla visita a Milano dell'Imperatore d'Austria Carlo II (16-17ottobre 2015)


S.A.I.R. l'Arciduca Ereditario Carlo d'Asburgo-Lorena
(Carlo II d'Austria)
A BREVE TUTTI I DETTAGLI SULLA VISITA DI S.A.I.R. L'ARCIDUCA EREDITARIO D'AUSTRIA,CARLO D'ASBURGO-LORENA A MILANO

E' stato definito in questi giorni, in ogni suo aspetto, il programma della visita che il S.A.I.R. l'Arciduca Ereditario Carlo d'Asburgo-Lorena compirà a Milano nei giorni 16 e 17 ottobre 2015.
L'Arciduca sarà accompagnato dal fratello, S.A.I.R. l'Arciduca Georg, nonchè da una numerosa Delegazione composta da esponenti del mondo della politica, della cultura, dell'imprenditoria e della nobiltà provenienti dalle diverse Regioni della Mitteleuropa.
A scortare l'Arciduca e la sua Delegazione giungerà appositamente da Vienna anche la Banda Imperiale che si esibirà in due concerti diversi, nel centro di Milano ed al Padiglione austriaco dell'EXPO.
Il calendario degli eventi pubblici, con le modalità di partecipazione ed iscrizione, sarà reso noto entro il 30 settembre. Saranno almeno tre i momenti in cui sarà possibile incontrare e salutare l'Arciduca che, anche in qualità di Gran Maestro dell'Ordine di San Giorgio della Casa d'Asburgo-Lorena, presiederà alcune cerimonie.
Nel frattempo, a tutti i Sudditi ed a tutti i Sostenitori l'augurio da Vienna di una buona continuazione d'estate!


Fonte: Haus Habsburg Italia

LO SFORZO, LEGGE DELL’UMANITÀ (Estratto dall'opera di mons. Delassus "Il Problema dell'ora presente" Tomo II°)


La questione sociale non può essere risolta dalla sola carità. La carità è la legge soprannaturale. Al disotto di essa, in atto di sorreggerla, come la ragione sorregge la fede, si trova la legge della natura umana, senza l'osservanza della quale la carità stessa sarebbe impotente di sovvenire alle miserie, tanto esse sarebbero profonde e molteplici.
Questa legge è quella dello sforzo pel progresso, poiché la umanità è chiamata a progredire, e questa parola progresso, di cui tanto si è abusato in questo secolo, esprime propriamente la legge della natura umana. L'angelo, essere semplice, è uscito dalle mani del Creatore nella sua naturale perfezione; l'uomo nasce bambino, cresce, si sviluppa, e per crescere e svilupparsi, deve fare uno sforzo.
Era così nel paradiso terrestre; a più forte ragione, così dovette essere dopo la caduta.
Adamo nell'Eden aveva dei bisogni, e doveva lavorare per soddisfarli. Dio mise l'uomo nel giardino delle delizie affinché lo coltivasse e si nutrisse dei frutti della sua coltivazione.
L'uomo, per sua natura, è costituito nell'indigenza. Egli ha dei bisogni; e non può trovare che fuori di lui i mezzi per soddisfarli; e questi mezzi non li acquista se non mediante il lavoro. In origine egli dovea lavorare come oggigiorno. Tutta la differenza consiste in ciò che dopo la caduta il lavoro è divenuto faticoso, mentre prima era dilettevole (1).
L'uomo sembrerebbe essere, sotto questo rapporto, in una posizione inferiore a quella dell'animale; in realtà egli è in una condizione migliore. L'agnello trova subito l'erba che esige la sua fame, e la tigre trova tutto preparato nelle interiora d'una bestia più debole l'alimento necessario per sostenere la sua vita. Prendete l'ultimo degli insetti, il più invisibile dei microbi, il suo nutrimento è là disposto vicino a lui e non ha a far altro che prenderlo. L'uomo è il solo essere, a cui la natura, dopo la maledizione, si sottrae, ed alla quale egli deve far violenza. Dio, avrebbe potuto far crescere spontaneamente una pianta, quale il frumento, in modo che ognuno avesse potuto trovare, senza maggior fatica del bue che pascola, ciò che richiede la sua fame. Egli però nol fece. Su tutta la superficie del globo, gli uomini sono curvati sulla terra, l'inaffiano coi loro sudori, e solo a prezzo dei più faticosi lavori ne strappano i frutti di cui si nutrono ed il carbone che li riscalda. Non sono riparati dalle ingiurie dell'aria se non dopo aver costruito delle case e tessuto dei vestiti, mentre la lana cresce sul dorso dei montoni.
La massa del genere umano è sempre stata, è attualmente, e sarà sempre nell'indigenza; non ha mai avuto, non ha, né mai avrà ciò che le abbisogna se non a grande fatica. E ciò nonostante noi diciamo che questa condizione è migliore di quella che è stata fatta alle bestie. Come questo? La ragione si è che noi non siamo stati stabiliti nell'indigenza se non perché lottassimo contro di essa; e questa lotta è la condizione del progresso. L'animale non progredisce; esso è il medesimo in tutto il corso delle sue generazioni; l’umanità progredisce: vi ha progresso nell'individuo, progresso nelle nazioni, progresso nell'intera umanità.
Osserviamo i fatti.
Quando Dio scacciò l'uomo dal paradiso terrestre gli disse: "La terra è maledetta per tua cagione. Gli è mercé un lavoro penoso che trarrai da essa il tuo nutrimento per tutti i giorni della tua vita. Essa ti produrrà spine e triboli e tu non mangerai il tuo pane che col sudore della tua fronte".
Questa necessità in cui l'uomo fu posto di lavorare tutti i giorni della sua vita, con sudore e fatica, una terra ingrata e maledetta, e di non poter che a questo prezzo trarne un pane necessario alla vita, questo fu un castigo senza dubbio. Ma la legge del lavoro esisteva avanti la caduta; e Dio avanti di imporvi la pena e il patimento, avea imposto in questa legge un freno ed un governo: un freno per rattenere l'uomo ed un governo per venirlo formando.
Un freno. Poiché non bisogna credere che se Adamo non avesse peccato, noi fossimo nati impeccabili. La prova sarebbe stata imposta a ciascheduno di noi; ed il cielo in questo caso sarebbe
stato, come lo è adesso, una ricompensa personale accordata al merito di ciascuno. Noi avremmo potuto demeritare, noi avremmo potuto deviare dal retto sentiero come fecero Adamo ed Eva, in un momento d'ozio. Il lavoro ci fu dato ed imposto già prima della caduta per frenarci, per impedirci di deviare e tenerci entro le regole del dovere. Esso ci fu dato anche come mezzo di sviluppo e di progresso. Mediante il lavoro l'uomo rende soggetta la natura, estende il suo dominio, ingrandisce se medesimo. Tutto questo data dal principio. Nel paradiso terrestre Dio disse all'uomo: "Crescete e moltiplicate, riempite la terra ed assoggettatela, ed abbiate dominio sopra i pesci del mare, e i volatili dell'aria e tutti gli animali che si muovono sopra la terra". Con queste parole è stato conferito all'uomo l'impero su tutta la natura, ma a condizione ch'egli se l'assoggettasse.
Il peccato introdusse nel lavoro la fatica, ma il castigo non ritirò né il freno salutare, né il mezzo di sviluppo.
E questo castigo con quale paterna misericordia, con quale pietosa sollecitudine fu inflitto!
Fu sui poggi elevati dell'Asia centrale che l'uomo si trovò, dopo la sua caduta, là dove, in grazia del sole, la natura aveva un precoce sviluppo. I vegetali, spandendo sul suolo la pioggia annuale delle loro foglie, vi avevano sparso una prima concimazione. La coltura della terra poté cominciare. A poco a poco in luogo di rovi e spine, il lavoro dell'uomo la fece produrre frutti e legumi, e sopratutto quella pianta preziosa fra tutte, il principale nutrimento dell'uomo incivilito, il frumento, il quale è talmente il frutto della coltivazione, che non lo si trova in nessun luogo allo stato selvaggio.
Le foreste abbattute, le paludi prosciugate risanarono l'aria, ed il risanamento dell'aria produsse quello del sangue.
Così sorsero la prime civiltà; collo sforzo, colla lotta contro la natura, colla costante energia dell'anima che passa da una all'altra conquista. Imperocchè l'uomo non conquista col suo lavoro soltanto la terra vegetale ed i suoi frutti. L'edificio delle leggi, delle scienze morali, filosofiche e naturali; l'edificio politico, non che religioso, in una parola, tutto ciò che costituisce l'acquisto dell'umanità è il prezzo dei laboriosi e costanti sforzi delle generazioni, ciascuna delle quali aggiunse qualche cosa a quello che le precedenti avevano ammassato.
Ahimè! troppo spesso avvenne il contrario. Quando s'indebolirono gli animi, le nazioni si sfasciarono, il sangue è ridivenuto povero, il clima inabitabile, il suolo sterile, e l'aspra natura occupò di nuovo la terra. Così si estinsero le nazioni dell'antichità propriamente detta: Tebe, Ninive, Babilonia.
Se Dio avesse collocato i nostri progenitori in Europa, il genere umano non avrebbe tardato a sparire, od almeno non sarebbesi sviluppato. La sterilità del suolo lo avrebbe scoraggiato. Egli non poteva trionfarvi che più tardi, forte d'un capitale di già raccolto in Oriente.
Il nord dell'Africa ed il mezzogiorno dell'Europa offrivano una natura già più austera che quella dell'Oriente. Essa richiedeva dall'uomo un maggiore sforzo, e da questo sforzo ebbe origine una più alta civiltà.
Ma questa civiltà d'Atene e di Roma finì pure con andare in isfacelo; ciò per le identiche cause che avevano fatto sparire la civiltà antica, cioè l'abuso dei beni ottenuti che si sostituì al desiderio costante di ottenerne dei maggiori.
Venne allora la civiltà cristiana. Essa fu portata più vicino al polo, in seno all'Europa moderna, in queste contrade che gli antichi consideravano come riservate agli animali selvaggi. Qui la natura
richiese uno sforzo maggiore di energia; ma non superò la virtù dei Benedettini e dei popoli che essi seppero educare colla loro parola e coi loro esempi.
Nell'ora presente l'Europa, la parte del mondo naturalmente meno fertile, possiede una ricchezza molte volte più grande della ricchezza delle altre. Le nazioni cristiane, ad eccezione delle altre nazioni moderne, hanno un capitale quasi cinque volte maggiore del capitale delle più ricche nazioni dell'antichità e la loro popolazione, sul medesimo spazio, è ben tre volte più numerosa.
Esistono ancora certe contrade dove il suolo non è stato lavorato dalla mano dell'uomo, e non è perciò cosparso dei suoi sudori; là regna ancora lo stato selvaggio.
Questo rapido sguardo gettato sulla storia del mondo ci rivela questa verità, che la grandezza dell'uomo fu sempre in ragione della grandezza dell'ostacolo che la natura oppose al lavoro, e della forza d'animo che l'uomo spiegò per vincerla.
"Il lavoro, anche poco fruttuoso, è più utile della ricchezza disse il sig. le Play. - Il popolo che, per un privilegio funesto, potesse sussistere senza lavoro, sarebbe per ciò stesso, un popolo decaduto. Non si è osservata in ogni tempo l'influenza funesta esercitata sulle nazioni equatoriali da un clima, il quale, moltiplicando le produzioni spontanee, rende il lavoro insieme meno necessario e meno attraente?"(2)
Ecco il fatto più generale e più patente che presenti la storia dell'umanità. L'uomo è stato creato con dei bisogni per crescere mercé l'energia che questi bisogni risvegliano nella sua anima. Dio ha voluto che dal bisogno egli fosse continuamente stimolato a far atto di volontà, atto di rinuncia a' suoi comodi e atti di coraggio. Queste vittorie sopra di se stesso fortificano il cuore dell'uomo, lo innalzano, lo rendono capace di cose sempre maggiori; ed è così che l'incivilimento sale in proporzione degli ostacoli e della forza di carattere che l'ostacolo stimola e produce.
Ciò è talmente vero che, un mezzo secolo fa, B. de Saint-Bonnet non temeva punto di far questa osservazione, che oggi minaccia di essere una profezia:
"Molti popoli del Mezzogiorno sembrano ormai disposti a soccombere pei primi nella loro democrazia. E quelli del Nord, quantunque incatenati in un ostinato errore,(3) sembrano dover loro sopravvivere, tanto l’uomo ha bisogno di essere rianimato dallo sforzo". "Le razze latine stieno molto in guardia! Si affrettino a trarre dal cristianesimo gli elementi fecondi della loro grandezza morale, altrimenti le razze del Nord, le quali nello sforzo che da loro esige la natura, attingono direttamente gli elementi della loro grandezza, perverranno anche con una inferiorità di lumi celesti a soggiogare un'altra volta i popoli del Mezzogiorno!" I progressi compiuti dalla Germania e dalla Russia, dopoché queste parole furono scritte, la decadenza della Spagna, dell'Italia, della Grecia, della Francia non sono punto fatti per contraddire queste previsioni, né sopratutto i principii che hanno permesso di formularle.
Che cosa conchiudere?
La povertà nella quale si trova e si è trovata la più gran parte dell'umanità non è punto un male fortuito che la dottrina democratica farà un giorno sparire, come l'igiene ha fatto sparire la lebbra. Essa costituisce un fatto divino, una istituzione divina voluta dalla Provvidenza perché è necessaria al compimento dei disegni di Dio sull'uomo ed alla vera felicità dell'umano consorzio. Proudhon l'aveva compreso. Egli ha sempre sostenuto contro i socialisti che la salute del popolo era riposta nella temperanza e nella moderazione.
Egli scrisse: "Il cristianesimo fu il primo a porre formalmente la legge della povertà, e questa povertà, esaltata dal Vangelo, è la più grande verità che il Cristo abbia predicato agli uomini. Non è bene che l'uomo abbia i suoi comodi, invece necessita che senta sempre il pungolo del bisogno. A questa povertà, legge della natura e della società, è evidente che non si deve pur pensare a sottrarci. La povertà è buona e noi dobbiamo considerarla come il principio della nostra allegrezza. La ragione ci comanda di conformarvi la nostra vita colla frugalità dei costumi, colla moderazione nei godimenti, coll'assiduità al lavoro e colla subordinazione assoluta dei nostri appetiti alla giustizia". Quel che precede è detto della povertà e non della miseria.
La miseria è di creazione umana; essa è frutto del vizio, sebbene non sempre del vizio di chi la subisce. La povertà è una delle più grandi misericordie che Dio ci abbia accordato. Se con essa non avesse stimolato l'uomo, si sarebbe marcito nell'accidia. Dio ha creato questa terra quale è, affinché l'uomo, supplendo col suo lavoro alla natura, si procurasse ciò che gli manca, e affinché l'energia d'animo che è obbligato a sviluppare in questo lavoro lo nobilitasse quaggiù e lo preparasse per i suoi eterni destini.
Bisogna porsi sotto questo punto di vista, non meno sublime che vero per vedere quanto sono vane, e quanto sarebbero distruttive dell'umanità le utopie democratiche.
Alcuni anni fa, verso il 1895, i democratici dichiararono che uno dei fini principali che doveva proporsi la democrazia, era di poter organizzare la distribuzione gratuita di pane a tutti i cittadini nella misura necessaria al sostentamento d'ognuno.(4)
Un abate approvò calorosamente il progetto. Al Consiglio generale dei Nord, sessione di agosto 1900, la questione fu messa sul tappeto.
Il signor Selle la denominò "Dotazione del pane nazionale". Delory espresse la persuasione che questa dotazione non tardasse molto ad essere costituita. "Chi vent'anni fa - diss'egli - avrebbe creduto che si arrivasse ad un tempo in cui l'istruzione sarebbe distribuita a tutti gratuitamente? Tuttavia lo è. Fra breve il nutrimento corporale verrà distribuito a tutti dallo Stato del pari che il nutrimento intellettuale".
Innanzi tutto dove lo Stato prenderà il frumento, quando tutti saranno in diritto di esigerlo da lui stando colle mani in sacoccia ?
Ma, supposto che ciò fosse possibile, e che l'uomo potesse giungere a ottenere quello che Dio non ha voluto fare, che il frumento gli venga nelle mani tutto formato, macinato, cotto senza lavoro, che diventerebbe il genere umano? Prima di dieci anni esso sarebbe completamente sparito dalla terra, consumato dalla crapula.
Quasi tutte le opere democratiche sono segnate con questo sigillo dell'ignoranza della legge fondamentale dell'umanità. Ora tutto ciò che sarà tentato contro di essa, finirà necessariamente, non a fare la felicità del popolo, ma a sostituire la miseria alla povertà.
 

Note:

(1) Come pena della prima colpa.
(2) Riforma sociale, to. II, p. 6. 
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(3) Protestantismo.
(4) Noi non confondiamo questa utopia colla importantissima esperienza fatta a Roubaix. La panetteria operaia l'Union ha fondato un'associazione di mutuo soccorso fra tutti i clienti della panetteria che vogliono farne parte. Essa ha per fine di loro assicurare, mediante la mutualità appoggiata sul risparmio, il pane che li fa vivere nelle circostanze difficili della vita, e di dar loro la soddisfazione d'aver allora un pane che loro appartiene, che non devono implorare dalla beneficenza ufficiale o privata.

giovedì 27 agosto 2015

[GLORIE DEL CARDINALATO] S.E.R. Cardinal Miguel Payá y Rico

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S.E.R. il Cardinale Miguel Payà y Rico (1811-1891) fu ordinato sacerdote nel 1836 e insegnò per un venticinquennio al Seminario di Valencia. Fu designato vescovo di Cuenca nel 1858 e in quella veste partecipò attivamente al Concilio Vaticano del 1870. Nel 1874 fu designato arcivescovo di Santiago di Compostela. A coronamento di una lunga vita al servizio della Santa Sede, fu elevato al cardinalato  
Il 12 marzo 1877 da Papa Pio IX. Nel 1886 fu nominato Arcivescovo di Toledo e Patriarca delle Indie orientali e in quella carica morì all’età di ottant’anni. Per ricordarne la tempra e la cifra teologica pubblichiamo un breve estratto da un suo discorso tenuto il 1 luglio 1870 al Concilio Vaticano.
[…] Perchè Cristo ha detto “Tu es petrus”? Perchè ha detto “Rogavi pro te”? Perchè ha detto “Pasce oves meas”? Forse che Cristo ha parlato invano? Egli parlava a Pietro DA SOLO, solo a Pietro ha conferito il Primato e insieme l’infallibilità.
[…] Vedo quindi un fiume grande e limpido, tanto splendente quanto cristallino, che sgorga dalle pendici del monte di Cristo, per dodici fonti che sono gli apostoli e viene a noi attraversando diciannove secoli, integro e senza diminuzione. Nell’ultimo tratto del fiume scorgo una piccola isola che emerge dalle acque; e poichè è piccola e nuova, non può frenare l’impeto di questo fiume che giunge sino a noi. Quest’isola è la scuola gallicana, nuova tra noi e per questo sospetta. Sempre il nuovo è sospetto.
[…] Eppure vi è un principio che è certo ed ammesso da tutti: il Romano pontefice è il centro di tutta l’unità della Chiesa.
Chi osa impugnare questa verità? Nessuno! Un’unità doppia, di comunione attraverso l’obbedienza, di fede attraverso la sottomissione.
Se il Papa non è infallibile, non vi può essere unità della fede. Perchè? Perchè la voce centro è una voce metaforica desunta dal centro della terra.
Che accade al centro della terra? Vi è una forza di attrazione generale che sul globo terraqueo è detta di gravità.
Per codesta legge tutti i corpi tendono al centro della terra ed esso li attrae fortemente. Da ciò deriva la conservazione del globo terraqueo, Da questo viene che questa cattedra e chi vi parla aderisce stabilmente alla terra. Altrimenti senza questa forza che accadrebbe? I corpi volerebbero e il globo terraqueo si dissolverebbe.
Il pontefice e’ quindi il centro della Chiesa che, come il centro della terra attrae fortemente e invincibilmente, non solo i cuori attraverso l’obbedienza ma le menti attraverso la fede. […] Ma questa attrazione delle menti non può essere così forte se il centro non e’infallibile, poichè contro questa attrazione verso il centro milita un altra forza che potremmo definire centrifuga.
La superbia della nostra mente: il “non serviam”. Questa superbia sarebbe forte, anzi fortissima, se non vi fosse un’invincibile forza di attrazione verso il centro.
[…] E’certo e di fede che il governo della Chiesa e’ monarchico. […] Taluni pero’ dicono che questa dottrina dell’infallibilità non possa essere ammessa perchè sarebbe un dispotismo papale ed il dispotismo consta essere mostro orrendo.
Dispotismo? Inorridisco al suono di questa parola. Ma vi domando cosa sia il dispotismo. Parlo con dei sapienti, non con degli idioti. Che e’ mai il dispotismo? In cosa consiste? Nel governo di uno solo? Allora il governo di Dio su tutti e’ dispotico. Il governo di Cristo sulla Chiesa e’ dispotico perche’ Cristo e’ il vero capo della Chiesa intera. Allora e’ dispotico il governo del capofamiglia che pure viene dalla legge naturale. Erano dispotici i governi dei patriarchi, di Abramo, Isacco e Giacobbe, governi tuttavia lodati da Dio. Era dispotico il governo di Mosè ed i governi di Giosuè e di Davide che furono governi di uno solo mentre il governo della repubblica francese del 1793 era un governo angelico, un governo dolce, un governo soave, caritativo e umano, legale e accettabile… perche’ era governo di molti.
Capite bene, reverendissimi padri, che il dispotismo non consta del numero di quanti governino ma della legge moderatrice quale sia e se vi sia. […]
 
a cura di Piergiorgio Seveso (Fonte: http://radiospada.org/)

QUELLO CHE LA CARITÀ CRISTIANA È DIVENUTA NELLE MANI DELL'ERESIA E DEL FILOSOFISMO. (Estratto dall'opera di mons. Delassus "Il Problema dell'ora presente" Tomo II°)



Solamente il cristianesimo puro, cioè il cattolicismo, è atto a produrre l'eroismo nella carità. Dal momento in cui la fede si altera, lo si vede sparire; ed allora, in conformità alla legge più sopra designata, sparendo l'eroismo, ben presto si restringe l'esercizio ordinario della carità ed infine l'egoismo, così naturale all'uomo, finisce per riprendere tutto il suo impero.
"Quando trionfò la Riforma - continua Hyndmann - i poveri che sempre aveano trovato aiuto ed appoggio nella Chiesa, i pellegrini che erano albergati e nutriti nei monasteri, i figli del popolo che vi ricevevano la loro educazione e la loro istruzione si videro privati di questi beneficii.
"I beni della Chiesa divennero uno strumento di oppressione dacché passarono nelle mani dei nuovi signori e della borghesia: lo sfruttamento del lavoro agricolo e l'usura furono tollerate, e il protestantesimo divenne la causa diretta della miseria in Inghilterra".
Niente di più vero. Il protestantismo non poté modificare le dottrine della Chiesa senza corrompere lo spirito del cristianesimo. Quella che si decorò di questo pomposo titolo di "Riforma" fu in realtà un passo indietro, un ritorno al paganesimo ed al suo spirito. Non appena i monasteri furono spogliati, i poveri vennero trattati come lo erano avanti Gesù Cristo, ed il pauperismo, cioè la miseria in permanenza, si propagò in ogni luogo.
I poveri affluirono alla porta di coloro che si erano appropriati delle spoglie dei religiosi, ma la porta di questi ricchi non s'apriva alle loro disperate grida.
Enrico VIII d'Inghilterra

Ben presto fu la crudeltà che prese il posto della carità in questi cuori spietati. Da Enrico VIII venne emanata una legge che condannava i mendicanti invalidi ad essere messi ai ferri e staffilati, i validi ad essere attaccati alle stanghe d'una carretta e flagellati fino al sangue. Nel 1535 si aggravano queste punizioni. Alla prima recidiva i mendicanti avrebbero l'orecchia destra tagliata, ed alla seconda sarebbero messi a morte. Sotto Edoardo VI il Parlamento addolciva un poco questa crudele legislazione; esso stabilì che tutti i poveri validi che per tre giorni restassero oziosi, fossero contrassegnati con un ferro rovente sul petto, e per due anni servissero come schiavi la persona che li avrebbe denunciati. Nel 1572, vedendo che la miseria non faceva che aumentare, furono promulgate leggi ancor più severe. Ma la tirannide non ha mai diminuito la miseria. Il pauperismo non cessava di estendersi; ed Elisabetta si vide obbligata ad istituire la tassa dei poveri; tanto la carità era stata esiliata dal cuore di quei cristiani dicentisi "riformati", in realtà, deformati.
Le cose non andavano meglio in Alemagna, in seguito alle predicazioni di Lutero. Bisogna leggere, nel secondo volume di Jeanssen, L'Allemagne et la Réforme, le conseguenze di questa riforma sotto il punto di vista sociale. Fra tutti i contemporanei dei quali egli porta la testimonianza intorno all'estrema miseria nella quale era caduto il popolo, basti ripetere questo grido di Cochoens:
"Quando vedremo noi rialzati tutti questi castelli, questi conventi, queste abazie, queste chiese, questi villaggi che, in sì breve spazio di tempo furono saccheggiati, incendiati?! E chi dunque ha guadagnato in tante rovine? I lanzichenecchi e i furbi, ... mentre tante vedove, orfani, vecchi, infermi sono caduti in un'orribile miseria! miseria tale che intenerirebbe una pietra!"
E tuttavia le cose dovevano ancora andar peggiorando. Nel 1527, Lutero osò consigliare ai principi, che si erano impadroniti dei beni della Chiesa, di stabilire la schiavitù quale era praticata presso gli Ebrei!
San Vincenzo de' Paoli.

Mentre il protestantismo produceva in Inghilterra ed in Germania questi tristi frutti, in Francia, il cristianesimo perché era rimasto cattolico, conservando il suo antico spirito, partoriva san Vincenzo de' Paoli. Inutile il dire la tenerezza del suo cuore per tutti gl'infortuni; inutile ricordare le sue creazioni, e quelle che, molto tempo dopo la sua morte, s'ispirarono da lui: esse stanno sotto gli occhi di tutti.
Oimè! la nostra Francia, dopo di aver fatto i più ammirabili sforzi per discacciare dal suo seno il protestantismo ed il suo spirito, si lasciò invadere dal filosofismo, altra insurrezione contro lo spirito della Chiesa che mena seco il trionfo del medesimo egoismo.
Montesquieu ebbe il triste coraggio di lodare Enrico VIII per aver soppresso gli ospedali fondati nel suo regno dai cattolici. Helvetius e Turgot rappresentarono gli stabilimenti di carità cristiana come contrari all'ordine pubblico ed all'interesse dello Stato. Condorcet riprese il linguaggio dei pagani: "La compassione per gli uomini è debolezza, quando non ha per oggetto l'utilità generale". Dupaty, l'amico di Voltaire: "I poveri sono una specie mezzana fra i ricchi e gli animali, e sono più somiglianti a quest'ultimi". E Gian Giacomo Rousseau: "Tutti gli uomini servano alla mia felicità, sia pure a danno della loro, tutto si concentri in me solo; perisca, se è mestieri, tutto il genere umano nell'indigenza e nella miseria, purché io sfugga anche un istante alla miseria ed alla fame!"
Ecco quanto si osava dire dopo diciassette secoli di cristianesimo, e questo sulla terra di Francia, la terra di san Luigi e di san Vincenzo de' Paoli!
Ma tali dottrine non doveano rimanere sterili.
César Gabriel de Choiseul-Praslin

Choiseul diede ordine di arrestare in una volta tutti i mendicanti del regno; più di cinquanta mila ne furono presi. I validi furono inviati alle galere; quanto agli altri, si apersero, per ricoverarli, più di quaranta depositi di mendicità.
La Rivoluzione fece un'applicazione più completa e più rigorosa dei principii della filosofia. Come Enrico VIII, la Repubblica scacciò dai loro conventi i monaci che erano la provvidenza dei poveri, e mise nello stesso tempo la mano sui beni che gli stabilimenti di carità aveano ricevuto dalla carità cristiana.
Il 12 luglio 1793, la Convenzione emanò questo decreto:
"L'attivo degli ospedali, delle case di ricovero, degli ospizi, degli uffici dei poveri e degli altri stabilimenti di beneficenza fa parte delle proprietà nazionali".
Non solamente il fisco s'impadronì delle proprietà, ma altresì fece man bassa dei contanti che vi si trovavano nelle casse; non vi lasciò il becco d'un quattrino. In cambio distribuì di tempo in tempo qualche manata di "assegnati" che nulla rimediavano, poiché i contadini non li volevano. Quello che volevano era il danaro contante; ma danaro contante non ce n'era, né alcuna derrata, e il danaro si
nascondeva, in ogni caso, e il governo non ne mandava. "Lo confessiamo francamente - scrivevano gli amministratori di Douai - i milioni in assegnati ci servirebbero meno di poco danaro in contante. Invero, 292 franchi in carta rappresentavano appena 24 lire in argento.
Se il contadino si guardava dal cambiare le derrate contro carta, cambiava invece volentieri la carta che non poteva fare a meno di ricevere contro le proprietà degli ospizi. Le acquistava a vile prezzo. Le bande nere se ne immischiavano. Fu un vero saccheggio. E lo Stato che avea promesso di sovvenire ai bisogni quando ne sarebbe divenuto proprietario, lo Stato era impotente, i suoi scrigni erano vuoti.
Allora fu un grido di disperazione da un capo all'altro della Francia. Il sig. Lallemand, corrispondente dell'Istituto di Francia, nel suo libro: La Révolution et les Pauvres, ce lo fa sentire nei documenti che si svolgono come una sequela di lamentazioni. Udite: "Indigenza profonda dei poveri di Douai, penuria della casa di Mezières, spaventosa situazione dell'ospizio di Marvéjols, indigenza dell'ospizio di Ussel; richiami degli amministratori dell'ospizio di Chambéry, gran bisogno dell'ospedale di Dax, penuria dell'ospizio di Chateauroux, deplorevole condizione degli ospizi di Parigi, miseria degli ospedali di Bordeaux, condizione critica degli ospizi di Marsiglia, ecc. ecc.
"Cittadini rappresentanti, - scriveva la Commissione amministrativa di Bordeaux al Consiglio dei Cinquecento - tutto, sì, tutto ci manca nei nostri ospizi". E questa non era una figura rettorica, poiché tre settimane prima, si fu nella impossibilità di assicurare la distribuzione del pane pel dimani. A Figéac la rendita dell'ospizio era discesa da 22.000 franchi a 6400 franchi. Con questa modica somma bisognava curare, sostenere e mantenere per tutto un anno 212 malati e 200 orfani.
Dappertutto, il governo era debitore di mesi arretrati alle balie di questi piccoli esseri che con enfasi si chiamavano "i figli della patria". I mandati di pagamento spediti dal Ministero dell'interno non si potevano riscuotere in nessun luogo. Così questi piccoli perivano quasi tutti. Su 3122 bambini portati all'ospizio dei trovatelli a Parigi, nell'anno IV non ne sopravvissero al fine dell'anno che 215. Su 618 bambini esposti all'ospizio di Marsiglia, non ne sopravvissero che 18. A Tolone su 104 non ne sopravvissero che 3.
"Cittadini legislatori, - scrissero i cittadini di Bayeux in una petizione - noi non possiamo più sopportare lo spettacolo straziante che offrono ai nostri occhi questi asili consacrati all'umanità sofferente, i quali non raccolgono più che scheletri viventi ... Un aggiornamento provvisorio di soccorsi sarebbe la condanna a morte di questi miserabili".
Allora come adesso, più diminuivano le rendite negli ospedali, e più vi si moltiplicavano gli impiegati. Un messaggio del Direttorio al Consiglio dei Cinquecento deplora l'estensione del male e confessa l'impotenza del governo a portarvi rimedio.
Il numero dei poveri aumentava così di anno in anno. Quasi 5000 indigenti erano ricevuti negli ospizi del dipartimento del Nord, ed il prefetto ne constatava altri 122.887. Si sa quanto a quel tempo la popolazione era inferiore a quella che è presentemente.
La miseria era spaventosa. Tutti i commissari del Direttorio constatano ch'essa è "pervenuta al suo ultimo termine". L'agricoltura, il commercio, l'industria erano parimente rovinati.
Figlia della miseria, la mendicità si estendeva a sua volta su tutto il paese e in tutte le classi della società. E mentre sotto l'azione del cristianesimo, si vedevano i più ricchi spogliarsi anche del necessario, sotto l'ispirazione delle idee filosofiche, invece, si vedevano le persone benestanti non
arrossire a dimandar un soccorso di cui non aveano affatto bisogno. Lo attesta Redon consigliere di Stato. Un opuscolo indirizzato dall'autore ai consoli, calcolava essere in media trecentomila i mendicanti. Era infinitamente al di sotto della verità, poiché un quadro politico della situazione della Francia indirizzato al Direttorio, dimostrava esservi a Rouen 64.000 mendicanti su 85.000 abitanti. Dappertutto si poteva gridare come le donne di Bayeux atterrando e sfracellando la statua della Libertà collocata nella loro cattedrale: "Quando la Vergine era al tuo posto, noi non morivamo di fame!"
La carità cristiana, in mezzo a tanta miseria più non esisteva, né poteva esistere, poiché i buoni cristiani erano stati ghigliottinati, o erano in esilio. Rivarol conchiudeva: "La miseria è più grande, i poveri più numerosi, e la compassione è spenta. Si sono distrutte le pubbliche fontane sotto il pretesto del monopolio che se ne faceva, e le acque si sono disperse!"
Il povero dei nostri giorni può egli avere maggior fiducia nella pietà del socialista di quella che ebbe un secolo fa nella pietà dei giacobini?
Luis Büchner

Il naturalista Büchner consacrò una pagina del suo Journal al pontefice dei socialisti Lassalle. In lui, si può dire li fa conoscer tutti.
"Lassalle passò una giornata in casa mia. È una personalità che impone, ma antipatica. Egli mi fa l'effetto di uno che ha la testa dura e capricciosamente ostinata; io crederei facilmente che la sua propaganda operaia non sia che uno stratagemma di ambizione politica. Nell'esporre le cose affetta una pompa falsa e teatrale. È un ebreo e lo si conosce dal suo parlare.
"Egli si studiò di trarmi nel suo partito e vi adoperò tutte le sue forze e se ne andò corrucciato di non esservi riuscito.
"Una cosa mi colpì nella sua conversazione, ed è che egli, che è un apostolo del popolo, si esprimeva in un modo il più sprezzante intorno a ciò ch'egli chiamava la canaglia (bordaglia), la plebaglia (the Mob), e formulava in termini molto energici il disgusto che provava nelle sue tornate politiche nello stringere la mano sucida e sudante degli operai".
Su questo punto Lassalle s'accorda con Heine, suo confratello in giudaismo e in socialismo. "Io non ho mai - diceva Heine - stretta la mano al popolo senza correre subito a lavarmela".
Quali altre prove si potrebbero aggiungere a queste?
Lo si vede, sempre ed ovunque la carità è figlia della dottrina cattolica; essa regna là ove la vera Chiesa può ispirare lo spirito di nostro Signor Gesù Cristo; essa sparisce, e dà luogo all'egoismo, alla crudeltà, al pauperismo, non sì tosto che le si impone silenzio. Noi potremmo spingere la dimostrazione fino a' nostri giorni, e mostrare quanto i poveri hanno guadagnato nel sostituire la beneficenza - o, come si dice oggi, l’"altruismo" e la solidarietà(1) - alla carità, e infermiere laiche alle suore ospitaliere, ma questo è a conoscenza di tutti.
Vi è una cosa però che può essere ignorata. La Camera dei deputati di Berlino ebbe a discutere ultimamente il caso di certi professori di Università tedesche che fanno la prova dei loro sieri e delle loro inoculazioni sopra soggetti presi fra i malati degli ospedali. Così si cita un professore di Breslau, il quale volendo studiare la germinazione dei foruncoli ha fatto una vera semina di questi germi dolorosi sul corpo d'un bambino malato.
Ma ecco qualche cosa di più odioso ancora. Questo stesso professore, e, pare anche altri suoi colleghi in altre Università, avrebbero inoculato a taluni bambini e adulti, un male infettivo e vergognoso, le cui traccie, anche dopo la guarigione, lasciano il più delle volte nell'organismo dei disordini inguaribili e per di più traggono seco delle conseguenze sulla posterità del soggetto. E questo per amor della scienza, si dice; in realtà, per farsi un nome.(2)
Senza andar tanto lontano, certi chirurgi non hanno essi oltrepassato i limiti tracciati dalla scienza riconosciuta ed acquisita per fare, sui corpi inerti dei loro pazienti, delle operazioni che aveano per fine meno la guarigione del malato che un'audace esperimento? Mille voci ne corsero. Se ne fece grande rumore.
Ecco dove si arriva quando sparisce la nozione della carità quale il cattolicismo l'ha predicata al mondo.
Il visconte François-René de Chateaubriand

La carità non appartiene, né può appartenere che al cattolicismo. È desso che l'ha creata, è sua proprietà, ma una proprietà tale che svanisce quando altri cercano di impossessarsene. Essi si studiano di contraffarla, di cambiarne il nome, di chiamarla beneficenza, filantropia, altruismo; ma coi nome sparisce la cosa stessa. "Quando la religione - dice Chateaubriand - volle riformare il cuore umano, e rivolgere a profitto della virtù le nostre affezioni e le nostre tenerezze, essa inventò una nuova passione.
Non si servì per esprimerla né della parola amore, che è troppo frivola, né della parola amicizia che finisce nella tomba, né della parola pietà che confina coll'orgoglio; essa trovò la parola Charitas, carità, che racchiude le tre prime e contiene nello stesso tempo qualche cosa di celeste. Per essa gli uomini si amano, per così dire, in Dio, che spiritualizza il loro amore, e non ne lascia che l'immortale essenza di cui si serve di passaggio".
 




Note:

(1) Monneron, il professore anticlericale, credeva sostituire con queste due parole: "solidarietà umana" la tradizione vivente d'ordine e d'amore incarnati nella Chiesa. Egli non s'accorgeva che quest'espressione della dipendenza relativa degli esseri, gli uni verso gli altri, ha due significati: l'una benefica, è la sola che egli vuol vedere. Ma tutte le iniquità della lotta per la vita non sono pur giustificate da questa formula? Il leone è solidario della sua preda, poiché egli non può vivere senza di essa. Solamente la sua solidarietà consiste nell'ucciderla e nel divorarla. (Paul Bourget).

(2) Nel maggio 1904 il D.r Guermonprez, professore all'Università cattolica di Lilla, ha pubblicato un volume intitolato: Assassinat médical et le respect de la vie humaine in cui dimostra che le pratiche più delittuose sono oggi poste in tesi dai medici materialisti.

Torniamo a parlare dell'eroe di Novara Andrej Čehovin


Andrej Čehovin
Andrej Čehovin, eroe di Novara dove mise in fuga l'esercito del vile Carlo Alberto (che abdicò per il sordido Vittorio Emanuele II). Abbiamo già narrato la storia del suo monumento, sepolto per decenni dagli affezionati contadini sloveni e riportato alla luce dopo la liberazione dal parassitismo dei serbi.
Ma non parlammo a sufficenza del suo illustre pronipote, l'on. Manlio Cecovini. Accettato l'etnocidio (dal 1927 al 1931 alcuni Čehovin furono italianizzati in Cecchini, alt...ri in Cecovini), cresciuto da giovane fascista, dichiarò sempre di essere "italianissimo".
Perchè? Perchè dovete sapere cari lettori, che essere "s'ciavo" a Trieste era la cosa più orribile del mondo, dal 1918 in poi con particolari impennate nel 1924 e dal 1945 in poi per tutti gli anni '70.... solo verso la fine degli anni '80, l'odio etnico iniziò a calare ed iniziò a calare la vergogna degli "italianizzati"... vergogna nei confronti dei propri nonni e dei propri padri.
E' tristissimo ma questo è l'etnocidio, mille volte più efficace politicamente, del più sanguinoso e faticoso genocidio. Ma tutto ricade sotto il crimine di genocidio, come le 2 grandi espulsioni etniche che hanno più che dimezzato gli abitanti autoctoni di Trieste.
Andrej Čehovin
Il Cecovini fece da bravo la sua guerra imperialista con gli italiani, vestito da Alpino ad occupare la Grecia e l'Albania. Fu gran maestro della massoneria ed "autonomista", perchè a capo della Lista per Trieste, conquistando nel 1976 il Comune e nelle elezioni successive il Parlamento con i "liberali".
Tutto tra virgolette perchè non ottenne alcuna "autonomia" per la sua città e già sapete cosa pensiamo dei "liberali" italiani; mentre la Lista per Trieste fu presa ben presto con un colpo di mano da fascisti ed esuli istriani, che espulsero i socialisti e l'unica dirigente slovena, diventando una specie di Forza Italia ante litteram.
Però il suo bisnonno era l'eroe di Novara, super decorato da Franz Joseph e che fece correre i sardi di Carlo Alberto con la coda tra le gambe, fino a casa loro.
Se non ci fossero state persone come Andrej Čehovin e gli italiani fossero arrivati a Trieste già nel 1858 o come provò il padre di Cadorna nel 1866, lo scrittore e politico Manlio Cecovini avrebbe probabilmente imparato a scrivere con le tramissioni RAI degli anni '60 "Non è mai troppo tardi" del Maestro Manzi e sarebbe diventato avvocato con il CEPU... o con l'equivalente di quei tempi.



mercoledì 26 agosto 2015

[GLORIE DEL CARDINALATO] S.E.R Cardinal Gil Albornoz

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S.E.R. Cardinale Gil Alvarez Carrillo de Albornoz (1310-1367)
 
Ricordiamo su questo nostro blog questa fulgente figura di cardinale di spada. Arcivescovo di Toledo nel 1338, dovette lasciare la Castiglia per contrasti con la Corona. Papa Clemente VI lo creò cardinale in Avignone il 17 dicembre 1350. Papa Innocenzo VI lo inviò nelle terre italiche come suo vicario generale e plenipotenziario militare per il ristabilimento del potere pontificio nello Stato della Chiesa. In una serie di campagne militari sconfisse gran parte dei potentati nobiliari che usurpavano l’autorità pontificia, riportando tutto il territorio di San Pietro sotto il potere delle Chiavi (ad eccezione di Bologna), dando anche un nuovo assetto legislativo ai territori riconquistati con le “Constituzioni egidiane” e creando un nuovo sistema di fortificazioni lungo tutto il territorio del recuperato Patrimonium Petri.
Tornato da trionfatore ad Avignone e salutato come “Pater Ecclesiae”, durante il conclave del 1362 gli fu offerto il Papato che però rifiutò. Durante il pontificato di Urbano V combattè a lungo contro Bernabò Visconti. Nel 1367 papa Urbano V poteva ritornare a Roma. L’Albornoz, benemerito della Santa Sede, moriva a Viterbo il 24 agosto 1367.
 
a cura di Piergiorgio Seveso (Fonte: http://radiospada.org/)

lunedì 24 agosto 2015

Eroi del legittimismo: Barone Victor de Vigier de Mirabal

 
Il Barone Victor de Vigier de Mirabal
Arruolatosi ad appena 16 anni, volontario, nei Tiratori Franco-belgi, viene ferito leggermente durante la battaglia di Castelfidardo; si trova al fianco del generale Pimodan, ormai morente, cui porge la sua borraccia e si offre di portarlo al riparo.
Catturato dai Piemontesi viene rimpatriato, ma rimane in Francia solo un mese; è ansioso di tornare a Roma per unirsi agli Zuavi Pontifici. Nel 1867 comanda la 1a compagnia degli Zuavi Pontifici nella battaglia di Bagnorea; durante le prime fasi della battaglia contro le posizioni garibaldine su Poggio Scio viene ferito al braccio sinistro.
E' proprio il de Mirabal a guidare l'attacco decisivo contro gli ultimi garibaldini asserragliatisi nel convento di San Francesco da dove fanno fuoco sugli zuavi dalle finestre della torre.
Il de Mirabal, un vero colosso, abbatte la porta a colpi d'ascia e irrompe nel convento alla testa dei suoi uomini catturando diversi garibaldini, mentre altri si danno alla fuga gettandosi dalle finestre.

In seguito:

 Si arruola nei Volontari dell'Ovest il 15/10/1870;
dopo la guerra Franco-prussiana entra nella Legione Straniera;
campagna d'Algeria;
distaccato presso i Fucilieri Tonchinesi partecipa alla guerra Franco-cinese nel Tonchino dove venne ferito;
cavaliere dell'Ordine di Pio IX, cavaliere della Legion d'Honneur, medaglie Pro Petri Sede, Fidei et Virtuti e del Tonchino;
muore a Parigi nel 1888.


Fonte: In ricordo del Reggimento degli Zuavi Pontifici

Il piroscafo "Verbano" della "Società dei Battelli a Vapore" fondata dai banchieri milanesi Gavazzi e Quinterio.



Litografia del Piroscafo Verbano nel 1826 con alle spalle il Colosso di San Carlo Borromeo, detto comunemente Sancarlone. A fianco la tratta compiuta dal battello.


 Questo battello fu il primo a solcare le acque del Lago Maggiore entrando in servizio nel 1826.
L'imbarcazione venne fabbricata a Magadino (Distretto di Locarno, Svizzera), ma venne assemblato usando i pezzi meccanici del piroscafo Eridano, imbarcazione a vapore usata per la navigazione sul Po e al tempo ancorato a Venezia.
La tratta di questo battello toccava ben 3 stati, partiva da Sesto Calende (VA), fermava in alcuni comuni del Regno di Sardegna fino ad arrivare nel Canton Ticino con capolinea Magadino.

Alcune cronache descrivono il Verbano con le seguenti parole:

 ""Egli è capace a contenere più di 400 persone con molta quantità di mercanzia ... Scorre nella stagione estiva due volte l’estensione del lago ... impiegando sei ore per corsa, .... È altresì munito il battello di alcune vele che spiegansi se non a se a vento propizio per accelerarne il corso".

Nel 1844 entrò nella gestione della navigazione sul Lago Maggiore la società piemontese "Impresa Lombardo Sarda Ticinese" fondata da Michele Benso di Cavour. Società che nello stesso anno fece entrare in servizio il "Verbano II" per sostiuire ormai il vecchio piroscafo.
Dal 1853 entrerà, in concorrenza, la società LLoyd Austriaco la quale, anche per rafforzare i confini con l'ormai ostile e bellicoso Piemonte dopo i fatti del 1848, fortificò il porto di Laveno e varò anche alcune grosse navi militari come il Radetzky, il Bendeck e il Taxis (navi di cui, probabilmente, ci occuperemo più avanti in quanto imbarcazioni portatrici di importanti novità tecnologiche).


domenica 23 agosto 2015

LA CONDOTTA DEI VERI CRISTIANI VERSO LA POVERTÀ (Estratto dall'opera di mons. Delassus "Il Problema dell'ora presente" Tomo II°)

 

Jacques-Bénigne Bossuet
Che cosa richiedono da noi, nella pratica della vita, questa istituzione del Cristo, questi insegnamenti della Chiesa?
Per istruirci, ascoltiamo ancora Bossuet.
1° Dalla eminente prerogativa onde lo Spirito Santo ha gratificato i poveri nella Chiesa, nella loro qualità di membri di Gesù Cristo, più conformi degli altri al divin Capo, noi dobbiamo conchiudere che non basta compassionarli, ed anche assisterli, ma dobbiamo onorarli e dimostrare sentimenti di rispetto per la loro condizione.
Bossuet ci propone in ciò l'esempio di san Paolo.
Parlando, nella sua epistola ai Romani, di una elemosina che andava a portare ai poveri di Gerusalemme, egli non dice "la elemosina che ho a far loro", né "l'assistenza che ho loro a dare", ma "il servigio che loro devo prestare". Egli fa qualche cosa di più, aggiungendo: "Pregate Iddio, miei cari fratelli, perché il mio servigio riesca loro gradito".
A questo proposito il grande oratore domanda:
"Che cosa vuol dire il santo Apostolo? forse si ricercano tante precauzioni per far gradire una limosina?". Ei risponde: "Ciò che lo induce a parlare in tal modo, è l'alta dignità dei poveri. Egli non li considera soltanto come infelici che bisogna assistere, ma riflette che, nella loro miseria, essi sono le membra principali di Gesù Cristo, ed i primogeniti della Chiesa. In questa gloriosa qualità egli li considera come persone alle quali si deve fare corteggio, se mi è lecito di così parlare. Per questa ragione non giudica sufficiente che il suo dono li soccorra, ma desidera eziandio che il suo servigio torni loro gradito; e per ottenere questa grazia, fa pregare tutta la Chiesa. I poveri sono tanto degni di considerazione nella Chiesa di Gesù Cristo, che san Paolo sembra riporre la sua felicità nell'onore di servirli e nella fortuna di piacere ad essi. Ut obsequii mei oblatio accepta fiat in Ierusalem in sanctis".
Così sant'Eligio, san Luigi, sant'Elisabetta, santa Margherita, e tanti altri servivano i poveri. Joinville vide cento volte, mille volte, il gran re far entrare i poveri nella sua reggia; lavar loro i piedi e le mani, asciugarli, baciarli devotamente, poi farli entrare nella sua camera, in cui era loro stata preparata una refezione, ed in cui egli stesso li serviva con una sollecitudine e delicatezza che tutte le madri non hanno pei loro figliuoli ...
Santa Elisabetta penetrava nei tuguri i più lontani del suo castello, i più ripugnanti per la sporcizia e per l'aria malsana; ella entrava in questi asili della povertà con una specie di devozione e di famigliarità insieme; ella stessa riportava quanto credeva necessario ai loro infelici abitanti e li consolava assai meno co' suoi doni generosi, che non colle sue dolci ed affettuose parole. Quando uno di questi poveri moriva, ella tosto che lo poteva, veniva a vegliare il suo corpo, lo involgeva colle sue proprie mani, e la si vedeva seguire con umiltà e raccoglimento il misero feretro dell'ultimo de' suoi sudditi.
Si dirà, queste sono eccezioni. Eccezioni senza dubbio; ma eccezioni che hanno avuto in tutte le età della Chiesa, migliaia, si potrebbe dire milioni d'emuli e d'imitatori, dapprima negli Ordini religiosi e poscia in tutta la società cristiana.
Nella sua Histoire des Moines d'Occident, Montalembert rende ai monaci questa testimonianza: "A loro non basta di sollevare la povertà; essi l'hanno onorata, consacrata, adottata, sposata come niente
vi fosse di più grande e di più reale quaggiù. L'amicizia dei poveri, dice san Bernardo, ci procura l'amicizia dei re, ma l’amor della povertà fa di noi tanti re.
"In ogni tempo, i monaci hanno saputo nobilitare la povertà. Da prima essi le aprirono le loro fila ponendo fino dal principio della loro istituzione gli schiavi, i servi, gli ultimi degli indigenti, a lato, e qualche volta al disopra dei nobili e dei principi.
"Anche ai poveri che non entrarono nelle loro file, l'ordine monastico presentava ai loro occhi uno spettacolo più atto di qualunque altro per sollevarli, per consolarli: cioè quello della povertà e dell'umiliazione volontaria dei grandi della terra che vestivano il ruvido saio. Per tutto il corso del medio evo, ogni anno, ogni contrada vedeva rinnovarsi, senza interruzione, questo meraviglioso sacrificio dei beni più preziosi e più invidiati di questo mondo, sull'altare di qualche oscuro monastero. Quale lezione più eloquente si è potuto immaginare della vista d'una regina, d'un figlio di re, d'un nipote d'imperatore, per sua propria elezione, abbassarsi a lavare i vasi od ungere le scarpe dell'ultimo dei paesani divenuto novizio! Ora, si contano a migliaia i sovrani, i duchi, i conti, i signori d'ogni grado, e le donne d'ogni rango, che si consacrano a questi vili offici, seppellendo nel chiostro una grandezza ed una potenza di cui non potrebbero darci una idea le grandezze impicciolite, effimere e abiette della nostra società moderna".
Di recente un socialista, molto rinomato in Inghilterra, la cui scienza storica è altamente apprezzata, Hyndmann, rendeva agli ordini monastici la stessa testimonianza nella sua opera: The historical basis in Socialism England:
"La Chiesa cattolica faceva meglio che consecrare la metà delle rendite de' suoi beni a sollievo dei poveri. I conti tuttora esistenti delle sostanze dei conventi provano che una parte notabile di queste rendite era devoluta a dar asilo, a nutrire ed a mantenere coloro che non aveano un focolare, ed eziandio ad altre opere di beneficenza. E quand'anche si provasse che importanti somme fossero state sacrificate alla pompa delle solennità religiose, ed all'ornamento dei templi, non sarebbe meno vero che i preti e gli abati erano i migliori landlords d'Inghilterra, e che anche per tutto il tempo in cui la Chiesa cattolica è rimasta in pieno possesso della sua potenza, e dei suoi beni, la miseria e le privazioni erano flagelli sconosciuti alle popolazioni in mezzo alle quali viveva come proprietaria; il miglioramento che apportava alle sue coltivazioni, ai suoi lavori di costruzione, la costruzione di strade - un beneficio inapprezzabile per quell'epoca - tutto questo aggiunto allo zelo che metteva tanto nel soccorrere i poveri quanto a migliorare i costumi, ed a creare scuole, alle sollecitudini premurose che prodigava ai malati, tutto questo dimostra, quanto questi religiosi e religiose, sì odiosamente diffamati, fossero una benedizione per l'umanità".
Queste sante tradizioni non sono punto perdute, esse vivono ancora nella Chiesa di Dio.
Un libero pensatore, M. Taine, addimostra pei religiosi e religiose dei nostri giorni la stessa ammirazione di Montalembert e di Hyndmann;
"Circa 4000 religiose e 1800 religiosi - dice egli - si consacrano specialmente alla vita contemplativa. È la preghiera, la meditazione, l'adorazione che formano il loro principale e primo scopo dì vita.
"Ma tutti gli altri, cioè più di 28.000 uomini, 123.000 donne sono, per istituzione, benefattori dell'umanità, schiavi volontari, consecrati, per propria elezione, a lavori pericolosi, ripugnanti o per lo meno ingrati.
"Quali sono questi lavori? Missioni presso i selvaggi ed i barbari; cure ai malati, agli idioti, agli alienati, agli infermi, agl'incurabili; mantenimento dei poveri vecchi o dei fanciulli abbandonati; innumerevoli opere di assistenza e di educazione, insegnamento primario, servizio degli orfanotrofi, degli asili, dei laboratorii, dei rifugi e delle prigioni!
"E tutto questo gratuitamente, o, per ricompense minime in conseguenza della riduzione al minimo dei bisogni fisici e delle spese personali di ciascun religioso o religiosa.
"Manifestamente - conchiude Taine - appo questi uomini e queste donne, l'equilibrio ordinario dei motivi determinanti è rovesciato: nella loro bilancia interna, non è l'amore di sé che prevalga sull'amore degli altri; è l'amore degli altri che prevale sull'amore di sé: l'amore degli altri, la pazienza, la rassegnazione, la speranza, la purità, la bontà fino all'abnegazione ed al sacrificio".
Tutto questo ha recato i suoi frutti nel mondo. L'eroismo suscita la virtù intorno a sé. Le anime ordinarie non possono vederlo senza sentirsi incitate a fare, anch'esse, almeno qualche cosa. L'ammirazione che ne provano le spinge all'imitazione a norma delle loro forze. La genesi della carità nella società cristiana è questa: gli eroi, i grandi santi hanno fatto la legge nei monasteri, ed i monasteri hanno dato ai fedeli un esempio che questi hanno prima ammirato, poi imitato. Più educata nelle case religiose, ove si ha per fine di riprodurre l'imitazione del divin esemplare, la carità si è generalizzata, e, generalizzandosi, essa ovunque è rimasta ben degna di se stessa, affinché tutti sieno obbligati a riconoscere che essa è praticata dai cattolici come non lo fu mai prima di essi, e come non lo sarà mai da altri.(1)
Nel mondo come nel chiostro, la povertà era onorata. Per tenerci ai tempi in cui Bossuet parlava, al secolo di Luigi XIV, in quel tempo in cui l'orgoglio raggiante dal trono, si confondeva, sembra, colla nobiltà, si videro le più gran dame farsi serve dei poveri, coi sentimenti della più perfetta umiltà. Erano la presidentessa Goussault, Elisabetta d'Aligre, moglie d'un cancelliere di Francia, Maria Fouquet, madre del famoso sovraintendente delle finanze, ed altre della prima nobiltà, anche principesse come Maria Gonzaga. San Vincenzo, l'istitutore della loro compagnia, avea loro dato questa istruzione: "Entrando nell'Ospedale, voi vi presenterete dapprima alle religiose e le pregherete di accordarvi che, partecipando ai loro meriti, abbiate la consolazione di servire gli ammalati in loro compagnia ... E in presenza dei poveri parlerete con molta dolcezza ed umiltà: e per non contristare questi infelici, a cui il lusso dei ricchi fa maggiormente sentire il peso delle loro miserie, voi non comparirete loro dinanzi se non con abiti semplici e modesti ... Voi non solo eviterete di far le saccenti istruendo i malati, ma eziandio di parlare di voi medesime.
Voi avrete dunque sempre alla mano un piccolo libro che a questo scopo si farà stampare, e che conterrà quelle verità cristiane, la cui conoscenza è la più necessaria".
Ed ecco come esse praticavano queste istruzioni: "Mia buona sorella, dicevano alla malata che visitavano, è da lungo tempo che non vi siete confessata? Non avreste voi la devozione di far una confessione generale, se vi si insegnasse come la si deve fare? A me fu detto essere assai importante per la mia salvezza di farne una buona prima di morire, tanto per riparare ai difetti delle confessioni ordinarie che posso per avventura aver fatto male, quanto per concepire un più vivo dolore de' miei peccati, richiamandomi alla mente le colpe più gravi che ho commesso in tutta la mia vita, e la grande misericordia onde Dio mi ha sopportata invece di condannarmi e mandarmi al fuoco dell'inferno quando l'ho meritato, ma aspettandomi a penitenza per perdonarmele e darmi alfine il paradiso, se io mi convertissi a lui con tutto il mio cuore, come ho il buon desiderio di farlo coll'aiuto delle sua grazia. Ora, voi potete avere la stessa ragione che ho avuto io di fare questa confessione generale e darvi a Dio per vivere bene nell'avvenire. E se volete sapere ciò che dovete fare per risovvenirvi dei vostri peccati, e per ben confessarvi di poi, io vi dirò come ho imparato io stessa ad esaminarmi". Quale delicatezza in questo modo di dire e di fare! Quale condiscendenza!! Quanta umiltà in signore sì grandi! Qual rispetto pel povero e qual sentimento per la sua eminente dignità! Per ispirare a questa aristocrazia tali sentimenti, san Vincenzo de' Paoli non avea creduto necessario dì democratizzarla; gli era parso sufficiente di predicare nella sua semplicità il Vangelo.
Questi sentimenti, questa condotta, bisogna dirlo altamente, non sono tanto rari ai nostri giorni quanto lo si potrebbe credere. Le gran dame del secolo XVII hanno delle emule, delle imitatrici nelle nostre Conferenze di san Vincenzo de' Paoli.
Monsignor Gay, vescovo coadiutore del cardinal Pie, indirizzandosi a sua sorella, le dava questi consigli:
"Tu doni volentieri quando ne sei richiesta: questo vuol dire essere buona e generosa; ma non è abbastanza per una cristiana: Dio giudica come si dà e non quanto si dà. Egli, Signor di tutte le cose "che nutrisce gli uccelli dell'aria" non ha bisogno del danaro dei ricchi per far vivere i poveri, che sono fratelli del suo amatissimo Figliuolo; ma Egli ha voluto onorare i ricchi, servendosi di loro, e dando loro così occasione di meritarsi le sue grazie. Non si tratta dunque tanto di far l'elemosina; - poiché per quelli che sono naturalmente buoni, è una soddisfazione - si tratta di fare la carità. San Paolo diceva: "Quand'anche io distribuissi, a nutrimento dei poveri, tutto quello che possiedo, se non ho la carità, nulla mi giova". Ora, la carità è l'amore di Dio, l'amore degli uomini in Dio. Bisogna dunque, perché l'elemosina costituisca la carità che essa sia fatta con amore e per amore .....
"Da', mia cara, non come dessi il tuo proprio bene, ma come dessi il bene del buon Dio e riferisci a Dio tutto quello che ti verrà reso in riconoscenza. Prega per quelli di cui tu sollevasti la miseria, affinché Dio offra loro il pane che fa vivere l'anima, nello stesso tempo che tu dai loro il pane di cui vive il corpo. Se ti si offre occasione, senza indiscretezza, ma con semplicità, approfitta dell'opportunità che sei messaggera di grazia per fare l'elemosina alla mente ed al cuore di quelli che tu assisti; aggiungi al denaro la consolazione ed il consiglio quando lo potrai; sii l'angelo di Dio, fallo benedire. E poi, non far l'elemosina per abitudine; sibbene collo spirito e colla volontà, privati di qualche cosa per farla. Ecco la vera la sola elemosina, quella che arricchisce più il ricco che la dà che non il povero che la riceve; quella che farà della tua casa una casa benedetta, e di te una figlia prediletta del Signore".
Lo spirito dell'apostolo san Paolo, lo spirito di nostro Signor Gesù Cristo è sempre nelle anime che si aprono a lui, ed egli le stimola a ciò che il mondo chiama follie, follie di rispetto come di amore. Ogni cristiano deve almeno onorare questi sentimenti, se non ha la forza di farli suoi.
 
 

Note:

(1) Più che si studia il passato e il presente, più si è costretti a riconoscere che la questione sociale sì minacciante è sorta dalla distruzione della morale cristiana. Nella seduta del 1° marzo 1880, l'Accademia di scienze ha decretato il premio Monthyon di statistica a M. de Saint-Genis. Uno dei lavori che gli valse questa ricompensa, è una statistica della vita umana avanti il 1789, eseguita secondo i registri delle parrocchie della città di Châtellerault e comparata al periodo dal 1790 al 1898. Il relatore, M. de la Gournerie, ha rilevato in quest'opera un ragguaglio dei più istruttivi, tratto dalla statistica delle parrocchie (En voir le tableau: Sem. Relig. du diocèse de Cambrai, 1886, p. 268). Così, verso la metà del secolo XVIII, osserva M. de la Gournerie, era un'usanza quasi generale nelle famiglie agiate di Châtellerault, di scegliere pei loro figliuoli dei padrini e madrine poveri. Il ricco chiedeva al povero amicizia e appoggio pel suo figliuolo, inspirandogli l'obbligo morale di sostentare nel suo bisogno l'infelice a cui lo univa un vincolo spirituale. Vi si scorge altresì l'onore che le società cristiane rendevano in ogni occasione ai poveri, giusta l'esempio dato da san Paolo e sì mirabilmente commentato da Bossuet.

sabato 22 agosto 2015

Juan Vázquez de Mella durante la Grande Guerra


Il grande pensatore e politico tradizionalista Juan Vázquez de Mella (nato a Cangas de Onís, Principato delle Asturie, l'8 giugno 1861), durante la Grande Guerra si trovò in contrasto con le idee di S.M.C. Giacomo III di Spagna. Infatti, Juan Vázquez de Mella era apertamente "germanofilo" (dalla parte degli Imperi Centrali) mentre Giacomo III era "filo-alleato" (dalla parte dell'Intesa). Il Re, durante la guerra, a causa delle sue simpatie nei confronti dell'Intesa venne confinato dal governo austriaco nel suo castello vicino a Vienna. Fu lì che, nel 1918, pubblicò un manifesto rivolto a tutti i tradizionalisti spagnoli nel quale disconosceva tutti coloro i quali avessero manifestato sentimenti "germanofili".
Vázquez de Mella si sentì disconosciuto dal Re, e per questo si allontanò dalla Comunione per fondare il "Partido Católico Tradicionalista", che celebrò il suo primo atto pubblico l'11 agosto del 1918 a Archanda. Gli ideali del "Partido Católico Tradicionalista", al di fuori delle differenze situazionali e personali, erano identici a quelli del Carlismo.
Una riflessione emerge da tutto questo: se una mente brillante e coerente come quella di Mella, in contrasto con il "particolare" atteggiamento di Giacomo III, patteggiava per gli Imperi Centrali, ciò vuol dire che in quello "scontro di civiltà" chi la "civiltà" la possedeva ancora non erano le potenze dell'Intesa...



Di Redazione A.L.T.A.

SAPIENZA DI QUESTA DISPOSIZIONE (Estratto dall'opera di mons. Delassus "Il Problema dell'ora presente" Tomo II°)


San Luigi IX di Francia distribuisce l'elemosina
ai poveri.
Dire che i ricchi devono assistere i poveri, ogni cristiano ne conviene, e ch'essi debbano dar loro assistenza con rispetto, egualmente tutti ne convengono, purché si sciolgano un poco dai pregiudizi di questo mondo. Ma non è poi cosa esorbitante l'asserire che solo a questa condizione i ricchi sono stati ammessi nella Chiesa della terra, e che soltanto a questa condizione essi possono entrare nella Chiesa del cielo?
Bossuet ci dà parecchie ragioni di questa divina disposizione. Anzitutto, in un discorso sulla carità pronunciato un venerdì di Passione, all'Ospedale generale, e del quale abbiamo soltanto gli appunti, egli dimostra che questa disposizione dovea essere presa pel bene spirituale dei ricchi e dei poveri.
"Due condizioni opposte hanno per impedimento della loro salute gli stessi estremi: le grandi ricchezze e la grande miseria. Gli uni, i ricchi, per presunzione, gli altri, i poveri, per disperazione giungono al medesimo fine, quello d'abbandonarsi intieramente al vizio ... Nell'uno e nell'altro stato, si trascura la propria anima, si dimentica Dio. Gli uni per troppa agiatezza, gli altri per troppa miseria credono che non vi sia Dio per loro. Il primo (dice fra sé) che non vi è giustizia, il secondo che non vi è punto di bontà; per conseguenza non vi è Dio per essi. Per togliere gli estremi egualmente pericolosi di queste due condizioni (vi è questa) legge di giustizia divina, che cioè i ricchi sollevino i poveri del peso della loro disperazione, e che i poveri alleggeriscano i ricchi d'una parte del loro superfluo: Alter alterius onera portate. Mostrate ai poveri che Dio è il loro Padre, mostrate loro le cure della sua Provvidenza. (Dite loro ch’) Egli è buono, (che aprano gli occhi sui) tanti beni da lui ricevuti; tutto ciò non li commuove; (poiché non vi è) niente per loro. Egli ha comandato di esser con loro generosi; niente (ancora) per essi; (poiché) non si obbedisce. Mostrate dunque sensibilmente la sua bontà col venire in loro sollievo" (Sermoni, V, 381).
Vi ha un secondo motivo per giustificare la sua Provvidenza. La troviamo così esposta nel discorso sull'eminente dignità dei poveri:
"Quale ingiustizia che i poveri portino tutto il carico, e che tutto il peso delle miserie abbia a piombare sulle loro spalle! Se essi si lamentano e mormorano contro la Provvidenza divina, Signore, permettetemi il dirlo, ciò ha qualche colore di giustizia; poiché essendo tutti plasmati d'una stessa massa, e non potendo esservi grande differenza tra creta e creta, perché vedremo noi da un lato il giubilo, il favore, l'affluenza, e dall'altro la tristezza, la disperazione, l'estrema indigenza, ed eziandio, il disprezzo e la servitù? Perché quell’uomo sì fortunato vivrà in una tale abbondanza, e potrà contentare perfino i desideri più inutili d'una studiata curiosità, mentre quel misero, uomo al
pari di lui, non potrà sostenere la sua povera famiglia, né saziare la fame che l'opprime? In una sì strana ineguaglianza, come si potrebbe giustificare la Provvidenza di malamente distribuire i tesori che Dio dispensa tra eguali, se con un altro mezzo non avesse provveduto ai bisogni dei poveri e non avesse posta qualche eguaglianza fra gli uomini? Questa, o cristiani, è la ragione per cui ha stabilita la sua Chiesa, ove riceve i ricchi, ma con la condizione di servire ai poveri; ove comanda che l’abbondanza supplisca alla deficienza, dà degli assegni ai bisognosi sopra il superfluo dei doviziosi".
Nel suo panegirico su san Francesco d'Assisi, Bossuet spiega in qual senso bisogna intendere questi "assegnamenti ai bisognosi sopra il superfluo dei doviziosi".
"Dio quaggiù non dà ai poveri - dice egli - alcun diritto da poter esigere per rigorosa giustizia; ma permette loro di prelevare su tutti quelli ch'egli ha arricchito, una imposta volontaria, non per forza, ma per carità. Se sono respinti, se sono maltrattati, egli non vuole che portino le loro querele davanti ai giudici mortali. Egli stesso ascolterà le loro grida dal più alto de' cieli; siccome tutto quello che è dovuto ai poveri appartiene a lui, egli ne ha riservato la ragione al suo stesso tribunale. Io li vendicherò, dic'egli, io farò misericordia a chi loro farà misericordia; io sarò senza pietà con quelli che saranno stati senza pietà verso di loro".
Ciò ben inteso, chi non si arrenderà alla saggezza delle seguenti osservazioni?
"O ricchi del secolo, non è per voi soli che Dio fa levare il suo sole, inaffia la terra, fa germogliare nel suo seno una sì grande quantità di sementi; i poveri al pari di voi han diritto alla loro porzione. Lo concedo che Dio non ha loro regalato nessun fondo in proprietà; ma il loro nutrimento lo ha assegnato sui beni che voi possedete, in proporzione della vostra ricchezza. Ciò non vuol dire ch'egli non avesse altro mezzo per mantenerli. Egli che mantiene e nutrisce gli animali anche i più infimi, non lascia mancare di quanto è conveniente alla loro sussistenza. Né si è accorciata la sua mano, né si sono esauriti i suoi tesori. Ma egli ha voluto che voi abbiate l'onore di far vivere i vostri simili. Qual gloria in verità, o cristiani, se sapessimo ben comprenderla".(1)
A queste due prime ragioni per conservare nella fede i ricchi ed i poveri, e per giustificare la Provvidenza, il grande oratore ne aggiunge una terza che i ricchi non mediterebbero mai abbastanza, poiché essa è tutta nel loro proprio interesse. Aiutando i poveri a portare il loro fardello, i ricchi rendono servigio a se medesimi perché hanno anch’essi il loro fardello. E qual'è questo fardello dei ricchi? Sono le loro proprie ricchezze. "Quando compariranno dinanzi a quel tribunale ove bisognerà render conto non solamente dei talenti trafficati, ma ancora dei talenti sotterrati, e rispondere a quel giudice inesorabile non solo del consumo, ma eziandio del risparmio e del governo di casa, allora riconosceranno che le loro ricchezze sono un gran peso, ed invano si pentiranno di non essersi sgravati di esse.
"Non aspettiamo quell'ora fatale, e finché il tempo lo permette, pratichiamo il consiglio di san Paolo "Aiutatevi gli uni e gli altri a portare i vostri pesi". Ricchi portate il peso del povero, soccorrete la sua miseria, aiutatelo a sostenere le afflizioni sotto il cui peso egli geme. Ma sappiate che sollevandolo, voi lavorate pel vostro proprio sollievo; quando donate al povero, diminuite il suo peso, ed egli diminuisce il vostro. Ma se voi non portate il carico del povero, il vostro vi opprimerà; il peso delle vostre ricchezze male usate vi farà cadere nell'abisso".(2)
Quanto son sagge, quanto sono ammirabili queste disposizioni divine!
Bossuet termina con questa esortazione.
"O poveri! - esclama egli, dopo di aver enumerato i vantaggi che Gesù Cristo fa loro nel suo regno della terra, e che loro riserva nel suo regno del cielo, - o poveri! quanto ricchi voi siete!" Ma, aggiunge egli, "o ricchi! quanto voi siete poveri! Se ritenete per voi i vostri propri beni, voi sarete privi per sempre dei beni del Nuovo Testamento, e non vi resterà per vostra porzione se non il terribile vae del Vangelo. Ah! per evitare questo fulmine e porvi felicemente al coperto di questa inevitabile maledizione, ponetevi sotto le ali della povertà, entrate in commercio coi poveri; date e riceverete; date i beni temporali, e riceverete le benedizioni spirituali; prendete parte alle afflizioni dei miseri e Dio vi farà partecipi dei loro privilegi".
Sta in questo l'ordine che Dio ha stabilito ne' suoi eterni decreti, per far regnare la pace nel mondo; e non solo la pace, ma anche la divina carità; decreti che dapprima si compirono in nostro Signore Gesù Cristo e da lui, e che devono compiersi in noi e da noi, se vogliamo partecipare con lui alla celeste eredità.
"Era volontà del celeste Padre - dice Bossuet - che le leggi dei cristiani fossero scritte primieramente in Gesù Cristo. Noi dobbiamo essere formati secondo il Vangelo; ma il Vangelo è stato formato sopra di lui stesso. "Egli ha insegnato colle opere, dice la Scrittura, prima d'insegnar colle parole". Egli prima praticò quello che prescrisse, e così la sua parola è divenuta nostra legge; ma la legge primitiva è la sua santa vita. Egli è nostro maestro e nostro dottore, ma innanzi tutto è nostro modello.
"Per ben intendere questa verità fondamentale - aggiunge il grande oratore - bisogna osservare, prima di ogni altra cosa che il grande mistero del cristianesimo, si è che un Dio abbia voluto rassomigliarsi agli uomini, per imporre agli uomini la legge di rendersi simili a lui. Egli ha voluto imitarci nella verità della nostra natura affinché noi l’imitassimo nella santità della sua vita. Egli ha preso la nostra carne, perché noi prendessimo il suo spirito".(3)
Tutti i santi, tutti i buoni cristiani hanno ciò ben compreso. Queste tre parole "Imitazione di Gesù Cristo" riassumono ogni cosa. La vita di un cristiano deve essere un riflesso il più esatto della vita terrena del Figlio di Dio. Ora questo Verbo incarnato fu povero, la sua vita fu la stessa povertà. Ecco quello che bisogna imitare, almeno pel distacco spirituale dalle ricchezze. Ma, a vero dire, questo non è imitare Gesù Cristo che da un lato solo. Il Salvatore non fu solamente povero; egli consolò tutte le afflizioni, egli trascorse la sua vita tergendo le nostre lacrime; egli ha nutrito i poveri, sollevato i piccoli, consigliato i grandi; egli amò e soccorse tutti gli uomini. Così noi dobbiamo fare dietro il suo esempio.
 
Note:

(1) Panegirico su san Francesco d'Assisi.
(2) Discorso sull'eminente dignità dei poveri.
(3) Discorso sulle sofferenze, III, p. 691.

giovedì 20 agosto 2015

Sant’Alfonso Maria de’ Liguori: La fedeltà de' Vassalli verso Dio li rende fedeli anche al loro Principe (Ultima Parte-Capitolo III°-§ 7.)

 
 
 
§ 7. Conclusione che si ricava dagli esempj riferiti di sopra. 


La virtù cardinale della Prudenza ha due facce: l’una matura, che guarda il passato; l’altra più giovane, che osserva il presente e le promesse future. Lo specchio, nel quale la Prudenza si riflette, indica che il prudente riflette sulla vita trascorsa. Il serpente è animale prudente per antonomasia, mentre il cervo è simbolo di Cristo. Dall’iconologia dell’Abate Cesare Orlandi, tomo IV (1766) p. 732.


1. Da questi due ultimi riferiti esempi, vedasi specialmente quanto sia falsa la massima di alcuni falsi prudenti, i quali dicono che ne' Regni anche cattolici bisogna tollerare i miscredenti per conservar la pace della Repubblica [Stato]. La pace è dono di Dio; e come mai possono conservar la pace quei che sono nemici di Dio? Un certo eretico chiamato Gianleonardo Froereisen(28), in una orazione che stampò in Argentina, quantunque fosse eretico, pure parlando delle chiese della comunione Augustana(29), scrisse questa memorabil sentenza contro di se stesso: La nostra comunione pare un'armata ove ciascuno vuol far da capo. Ella è un serpe tagliato in più parti, le quali vivono, ma presto perderanno la vita. E volea dire che dove sono miscredenti, ognuno vuol far da capo, perché (come si disse da principio) quei che non ubbidiscono a Dio neppure ubbidiscono a' loro Sovrani. 

2. Ben si sa che tutti i Sovrani non possono sempre far quanto vorrebbero per ben della Religione; talvolta debbono usar la prudenza per non perder tutto; e so ancora che non conviene usar la forza per indurre i sudditi ad abbracciar la vera fede; la forza era un tempo mezzo de' tiranni che costringeano gli uomini a credere quel che non doveano credere, com'erano le idolatrie. Iddio nullum ad se trahit invitum(30), egli vuol essere da noi adorato con un cuore libero, non forzato. Non mancano all'incontro [al contrario] mezzi più adatti ed efficaci a' Prìncipi zelanti d'indurre, senza forzarli, i loro sudditi a seguir la sana dottrina. Quando ogni altro mezzo mancasse, essi chiamino ne' loro Regni buoni missionari, che con sante istruzioni e prediche sgombrino gl'inganni e faccian conoscere la vera fede e la vera via di salvarsi, come han fatto i Prìncipi riferiti di sopra e tanti altri. 

3. È vero che il mandar le missioni è officio de' Vescovi; ma la sperienza fa vedere che alle volte vale più la diligenza d'un Principe santo e prudente a convertire i suoi vassalli, che non valgono mille Vescovi, mille missioni e mille missionarj. Onde se mai qualche Principe cattolico avesse eretici nel suo Regno, dovrebbe procurare come meglio può di aver buoni sacerdoti nelle sue terre, che si applicassero alla conversione de' miscredenti. In molti Paesi non cattolici è proibito l'entrarvi a' predicatori zelanti, ma in ciò ben può rimediarvi un Principe amante della gloria di Dio colla sua potenza e prudenza. 

4. Termino per non rendermi tedioso a chi legge, mentre a tal fine ho fatto questo libretto quanto più breve ho potuto. E termino pregando Iddio ch'egli colla sua Divina Grazia dia vigore a tutti i Sovrani, e specialmente a coloro nelle mani de' quali questo mio libretto avrà avuto la sorte di pervenire, a cooperare all'esaltazione della sua divina gloria; implorando insieme loro dal Signore un felice governo in questa vita temporale e la piena felicità poi nella vita eterna.


La virtù teologale della Fede: gli occhi sono rivolti al cielo; la patena e il calice, che richiamano la duplice consacrazione del pane e del vino nella Santa Messa, sono tenute nella mano destra; la croce nell’altra mano.




Note:

28 Jean Léonard I Froereisen (1629-1690).

29 Comunità che si riconoscevano nella Confessio Augustana (in latino) o Confessione Augustana, che fu la prima esposizione ufficiale dei princìpi protestantici luterani, redatta dall’eretico Filippo Melantone nella dieta di Augusta (Augsburg, in Baviera) del 1550.

30 Non vuole trarre nessuno a sé contro voglia.



Scarica il formato PDF dell'opera completa: Come deve comportarsi il buon Princìpe e politico cristiano, in un prezioso opuscolo di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori (La fedeltà de' Vassalli verso Dio li rende fedeli anche al loro Principe)
(Fonte: www.traditio.it)


Fine...

Il Fr:. Massone Pedofilo

-di Davide Consonni- (Fonte: http://radiospada.org/)

Il 25 Aprile 2015 Romain Farina venne trasferito dal tribunale al carcere, accusato di aver abusato di almeno 15 bambini e ivi arrestato per il reato di pedofilia; già nel 2008 il  Tribunal de Grande Instance di Bourgoin-Jallieu condannò il Farina a sei mesi di detenzione e obbligo di residenza per detenzione di immagini pedo-pornografiche. Va chiarito, per quel poco che possiamo, chi sia questo pedofilo. Romain Farina era direttore di una scuola elementare a Villefontaine (Iserè), ove son avvenuti i diabolici crimini, il Farina abusò dell’innocenza anche nella scuola elementare di Saint-Clair-de-la-Tour dove insegnò  nel 2011-2012. Per aggiungere una triste e macabra nota di colore il Farina si candidò con i socialisti alle municipali francesi del 2008. Ora giunge la questione centrale. Il Farina era un Fr:. Massone del Grande Oriente di Francia affiliato alla loggia Ego Sum, all’oriente di Bourgoin-Jallieu (Isère). Il Farina fu iniziato massone tra le fila del GOdF dopo aver ricevuto la prima condanna per detenzioni di immagini immonde, urgerebbe quindi domandarsi con quale zelo i fratelli massoni francesi tegolano (saggiano, testano) i neofiti bussanti alle porte del tempio. Stando al singolo caso del Farina pare che i pedofili presidi di scuole elementari li facciano entrare con grande piacere. Sarebbe interessante capire come un condannato per pedofilia abbia potuto permanere o ascendere alla carica di preside circondato da infanti, gli sarà mica accorso l’amorevole sostegno di qualche fratello massone? A pensar male si fa peccato.
 
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