martedì 30 giugno 2015

LA VERA ORIGINE DELLA BANDIERA 'ARCOBALENO'


Fonte: No al satanismo

LA BANDIERA DELLA PACE E' ANTI-CRISTIANA :E' SIMBOLO DEL SINCRETISMO NEW AGE E DELLA TEOSOFIA :infatti l’arcobaleno nel New Age e nella Teosofia rappresenta i...l passaggio dall’umano verso il super-uomo divino ...(Lucifero)
La medium Blavatsky,fondatrice della Società Teosofica scrisse :" IL NOSTRO SCOPO E' DISTRUGGERE IL CRISTIANESIMO" ,stesse parole usate da Aleister Crowley,padre del satanismo moderno e suo collega e confratello massone .
La Blavatsky credeva che Satana fosse l'unico dio della Terra.....
Nella sua opera The Secret Doctrine ella è ancora più precisa: «E ora è stato provato che Satana, o il Dragone Rosso Infuocato, il "Dio del Fosforo" e Lucifero, o "Portatore di Luce" è in noi: è la nostra Mente, il nostro tentatore e Redentore, il nostro liberatore intelligente e Salvatore dall'animalismo più puro»

LA PACE E LA GUERRA DIPENDONO DAL CUORE DELL'UOMO.
Sin dall’Antico Testamento, gli ebrei avevano individuato una serie di norme, sintetizzate in modo grandioso nel decalogo, che tenessero conto della complessità della natura umana: sia nella sua dimensione verticale, nel rapporto con il Trascendente, che in quella orizzontale, nel rapporto con il prossimo. Una serie di pesi e contrappesi garantivano un certo equilibrio. Tuttavia, la sostanziale novità fu apportata da Gesù Cristo, il quale pur attingendo a pieno dalla tradizione antico-testamentaria, rinnovò nella sostanza il decalogo, spostando l’attenzione sull’aspetto centrale della vita dell’uomo: il bisogno di sentirsi amato e di amare. Gesù arrivò a concepire addirittura, cosa assolutamente assente nelle altre tradizioni religiose, l’amore per i nemici.
Infatti questa affermazione rivoluzionaria viene considerata L’ANIMA DELLA NON VIOLENZA CRISTIANA, che non consiste nell’arrendersi al male – secondo una falsa interpretazione del 'porgere l’altra guancia' (cfr Lc 6,29) – ma nel rispondere al male con il bene (cfr Rm 12,17-21), spezzando in tal modo la catena dell’ingiustizia.
Si comprende allora che la nonviolenza per i cristiani non è un mero comportamento tattico, bensì un modo di essere della persona, l’atteggiamento di chi è così convinto dell’amore di Dio e della sua potenza, che non ha paura di affrontare il male con le sole armi dell’amore e della verità” (Benedetto XVI, Angelus del 18 febbraio 2007).
Tutto ciò comporta il pagamento di un prezzo: il sacrificio di sé. È la dinamica che ha portato il Signore Gesù alla morte in croce; il Suo sacrificio, offerto una volta per tutte, riassume in sé i sacrifici, piccoli o grandi che siano, degli uomini di ogni tempo.
SIMBOLO EVOCATIVO DELLA VERA PACE E DELL'UMANITA' PACIFICATA E' QUINDI LA CROCE ,NON QUALSIASI CROCE,MA LA CROCE DI CRISTO .
La Teosofia
Quanto premesso ci serve per postulare una domanda: come mai uomini di Chiesa, laici o chierici che siano, hanno per tutti questi anni ostentato la bandiera arcobaleno e non la croce, come simbolo di pace? Sarebbe interessante interrogare uno per uno coloro che, forse anche inconsapevolmente, hanno affisso sugli altari, ingressi e campanili delle chiese lo stendardo arcobaleno.
LE ORIGINI DELLA BANDIERA DELLA PACE VANNO RICERCATE NELLE TEORIE TEOSOFICHE NATE ALLA FINE DELL'800.
La Società Teosofica è un movimento esoterico e gnostico-luciferino fondato nel 1875 dalla medium e massona Helena Petrovna Blavatsky, più nota come Madame Blavatsky.
La dottrina
Il programma della Società, ispirato allo gnosticismo e alle dottrine orientali , congiunto con l'occultismo delle logge massoniche,era riassunto nei seguenti tre dogmi di pensiero :
- Coscienza universale ed individuale: gli eventi accadono per leggi che soggiacciono ad un Paradigma Universale (paragonabile al concetto di Dio, o di Logos, detto del Sole o cosmico), che impregna tutto di coscienza.
- Gnosticismo dualista (coscienza e materia): Lucifero va venerato come vero salvatore dell'umanità .gli esseri umani hanno un proprio “se stesso più elevato” divino ed immortale, cui possono rivolgersi con la preghiera, ma essi devono operare per collegare la propria natura con quella divina (Lucifero o satana) , altrimenti periranno (principio della negazione dell'immortalità personale).
- Reincarnazione e trasmigrazione dell'anima: concetto preso dall'esoterismo buddista con la variante che i teosofici non credono nella regressione: l'uomo non può reincarnarsi in un animale o in una pianta. Egli dovrà invece reincarnarsi almeno ottocento volte, secondo un disegno determinato dal Karma, il ciclo del destino.
- Concezione settenaria dell'universo, dell'uomo e della civiltà umana: gli elementi essenziali sono monadi che discendono attraverso sette piani di progressiva materializzazione, durante i quali si è formata l'umanità, ritornando poi, in ascesa attraverso sette fasi di evoluzione: sthula-sarira (il corpo fisico), linga-sarira (il corpo astrale), prana (il respiro della vita o corpo mentale), kama (il desiderio o corpo intuitivo), manas (la reincarnazione), buddhi (lo spirito universale), e atman (il sé cosmico e divino)
- Esistenza dei Maestri segreti (mahatma), esseri perfetti dotati di grande saggezza e di potere mistici, che hanno completato il ciclo delle reincarnazioni, e che possono aiutare a raggiungere il massimo livello di evoluzione. Hitler mandò le SS a cercare questi "maestri o spiriti o entità " in Tibet,perchè la Blavatsky asseriva che alcuni di loro erano originari del Tibet....
Il New Age
La teosofa e massona Alice Bailey -continuatrice della Blavatsky- che aveva soggiornato ad Ascona, presso quel luogo di incubazione di molte idee del New Age contemporaneo che era stato il Monte Verità - aveva cominciato negli anni’20 a utilizzare l’espressione 'New Age' nel senso attuale; quest’uso era diventato corrente fra i suoi discepoli negli anni’40. Alice Bailey morì nel 1949 senza vedere l’'evo nuovo' che aveva enigmaticamente annunciato.Fondò con il marito la casa editrice LUCIFER TRUST ,che poi cambiò con il nome LUCIS TRUST ,oggi casa editrice ufficiale nel Consiglio Economico dell'ONU....
Visione della realtà
Specifico della mentalità New Age consiste nel non avere nessuna visione del mondo e nessuna dottrina, ma nel predicare la libertà più assoluta In realtà, ciò è vero solo teoricamente, perché il New Age non potrebbe avere nessuna unità se le opinioni diverse che vi si manifestano non coesistessero su una trama di fondo che presenta una serie di elementi comuni.
RELATIVISMO ,OGNUNO E' DIO DI SE STESSO =TEOSOFIA=
NEW AGE =SATANISMO.
Potremmo riassumere tale questione con un slogan: non esistono verità assolute. Espressa in questi termini, la premessa sarebbe tutt’altro che nuova: il relativismo è antico come la filosofia, se non come l’umanità decaduta. Tuttavia esistono diverse forme di relativismo, e il relativismo del New Age si specifica per il suo carattere volontarista. Ciascuno può, letteralmente, creare il proprio mondo, e ciascun mondo soggettivamente creato avrà la sua verità, non meno 'vera' - e non meno 'falsa' - rispetto a quella del mondo creato da un altro.
L’uomo
La visione dell’uomo del New Age si riassume nello slogan dell’attrice Shirley MacLaine - che da anni svolge il ruolo di missionaria internazionale del New Age attraverso libri, film e programmi televisivi - : 'Noi siamo Dio'. Più esattamente al fondo di ognuno di noi si trova una scintilla divina, che è la stessa energia cosmica universale in una delle sue molteplici manifestazioni, fra cui - peraltro - non possono essere istituite gerarchie. L’uomo-Dio del New Age è da una parte onnipotente; tale onnipotenza si rivela, da un altro punto di vista, come onnidipendenza, se si considera il ruolo preminente che hanno nel New Age la reincarnazione e l’astrologia.
Il Cristo
Il New Age parla anche volentieri di una realtà che chiama 'il Cristo' ma - seguendo tutta una tradizione esoterica e gnostica - ha cura di distinguere 'il Cristo' da Gesù di Nazareth come personaggio storico. Gesù non era 'il Cristo', o almeno non lo era in modo diverso da Buddha o da chiunque sia in grado di entrare in contatto con la scintilla divina che porta dentro di sé. È questa scintilla, propriamente, che costituisce 'il Cristo' come principio divino all’interno dell’uomo.
La morale
Altro tema del New Age è il rifiuto della nozione di peccato - considerata insuperabilmente dogmatica e in ogni caso tipica della superata Età dei Pesci, visto che la nuova era è quella dell’Acquario - e la sua sostituzione con la nozione di malattia. Il New Age non nega che esistano nel mondo comportamenti inadeguati - è sufficiente considerare l’orrore che gli ispirano i comportamenti anti-ecologici -, ma li ascrive a limitazioni fisiche o psichiche che possono essere assimilate alla malattia o a forme di 'dipendenza' possibili da superare tramite le numerose forme di terapie e di recovery così largamente disponibili nell’ambiente del New Age.
ORIGINE E SIGNIFICATO DELLA BANDIERA DELLA PACE
Diverse sono le" versioni" sull’origine di questa bandiera .Una di queste è riconosciuta ad Aldo Capitini (fondatore del Movimento Nonviolento) che nel 1961 la usò per 'aprire' la prima Marcia per la Pace Perugia-Assisi. Un’altra segnala che la sua origine risale al racconto biblico dell'Arca di Noè e che quindi è un simbolo cristiano a tutti gli effetti. Un’altra ancora spiega che la bandiera arcobaleno è il simbolo della città di Cuzco, capitale dell'impero Incas. Fu scelta, dall'imperatore del tempo, perché in quella vallata ogni volta che pioveva si formavano degli arcobaleni brillantissimi. Dalla Francia arriva la spiegazione che quel vessillo è il simbolo del movimento delle cooperative francesi creato intorno al 1920. Un'altra viene fatta risalire al 1950, la bandiera fu utilizzata in America come simbolo della pace dalle associazioni pacifiste e nonviolente. Altri dicono che sia stata “inventata” dal filosofo Bernard Russel nel 1956 in Inghilterra.
Tra tutte queste ipotesi spicca la tesi secondo la quale la bandiera arcobaleno.è il simbolo dei movimenti di liberazione omosessuali. Sono diversi i siti web gay che rivendicano la proprietà della rainbow flag. Questa si differenzia dalla cosiddetta bandiera della pace principalmente per l'assenza della scritta PACE, ma anche perché la disposizione dei colori è speculare (il rosso è in basso nella bandiera della pace, in alto in quella dei gay), e infine perché la bandiera della pace prevede sette strisce di colore al posto di sei. La bandiera arcobaleno fu disegnata da un artista di San Francisco, Gilbert Baker, nel 1978, su richiesta della comunità gay locale in ricerca di un simbolo (a quei tempi il triangolo rosa non era ancora diffuso). Baker disegnò una bandiera con 8 strisce (successivamente sei) colorate: rosa (per il sesso), rosso (per la vita), arancio (per la guarigione), giallo (per il sole), verde (per la natura), turchese (per l'arte), indaco (per l'armonia) e viola (per lo spirito). Infatti questa bandiera sventolò per la prima volta a San Francisco nella marcia del Gay pride del 25 giugno 1978.
Comunque al di là di chi sia stato il primo ad ostentare tale simbolo resta il fatto incontestabile che si presenta come il più adatto a rappresentare un idea, oggi molto in voga, secondo la quale non ci sarebbe alcuna verità assoluta: tutte le opinioni hanno la medesima dignità e quindi meritevoli di spazio. Secondo questo tipo di idea per esempio è possibile mettere sullo stesso piano partiti politici o gruppi culturali che rivendicano, legittimamente, la difesa della dignità della donna, e gruppi, come è accaduto recentemente in Europa, che rivendicano la depenalizzazione dei reati di pedofilia. Si tratta ovviamente di aberrazioni possibili, solo all’interno di una mentalità relativistica come quella che caratterizza le nostre società occidentali.
LA BANDIERA ARCOBALENO E' SIMBOLO DEL SINCRETISMO NEW AGE,QUINDI E' ANTICRISTIANA : infatti l’arcobaleno nel New Age rappresenta il passaggio dall’umano verso il super-uomo divino.
Sul ponte dell’arcobaleno (nel senso induista: Antahkarana) avviene l’unione di Atman e Brahman, dell’uomo singolo e dell’Energia cosmica (Dio). L’unità quindi è raggiungibile attraverso una sintesi, un’armonia e una FALSA tolleranza globale
(DITTATURA GLOBALE DI PENSIERO ) . Pertanto ' va considerato nel modo più severo l'abuso di introdurre nella celebrazione della Santa Messa elementi contrastanti con le prescrizioni dei libri liturgici, desumendoli dai riti di altre religioni' (Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei Sacramenti, Istruzione Redemptionis Sacramentum, n 79 ).

tratto dal sito DONBOSCOLAND.it ,Movimento Giovanile Salesiano
Chris

Elenco degli studenti dell'Imperial-Regio Ginnasio Statale di Gorizia, anno 1881.



Nella lista si vedono i nomi dei rampolli delle famiglie dell'Altissima Nobiltà austriaca, insieme a figli di sarti, contadini piccoli possidenti, commercianti di legname ed altri "umili" proletari. Tutti avevano le stesse possibilità, in seguito le raccomandazioni non esistevano nè nell'amministrazione statale, nè nell'esercito. Invece esistevano nei comuni, specie se erano gestiti dai liberal-nazionali italofoni come quello di Trieste, che veniva chiamato dal popolo "la Magnadòra".
Un bando di arruolamento sulla Gazzetta di Mantova a metà '800 raccomandava ai coscritti di non portare assolutamente regali ai funzionari con la speranza di farsi scartare o di ottenere trattamenti favorevoli, li si informava che tali comportamenti erano gravissimi e che i destinatari avrebbero dovuto segnalare anche il salame di casa, come tentativo di corruzione.
Ecco perchè i nostri padri non ci hanno raccomandato ai loro amici per trovarci lavoro quando eravamo ragazzini oppure non ci hanno lasciato il posto "ereditario", come ad esempio il figlio di Napolitano.
Perchè avevano ed abbiamo un altra mentalità che 97 anni di Italia non sono ancora riusciti a scalfire.
L'Austria ha un "indice di corruzione percepita" buono, è al 23° livello su 175 Paesi censiti.
L'Italia ha un "indice" pessimo, è al 43° livello a pari merito di punteggio con: Brasile, Bulgaria, Grecia, Senegal, Swaziland e Romania.
Ma attenzione, se contiamo le righe di tutti i Paesi che la precedono, con diversi di essi a pari punteggio, scopriamo che è 74° su 175 Paesi, che è in compagnia con le ultime ruote del carro europeo assieme a Romania e Grecia e che tutto il resto dell'Europa come anche dell'Ocse, è molto davanti ad essa.
Prima dell'Itaia ci sono Paesi che secondo i luoghi comuni potrebbero sembrare "corrotti" nell'imaginario collettivo come gli africani Lesotho, Nambia e Ruanda, o altri considerati "levantini" come la Turchia.
Cari lettori, che ci facciamo noi in questo Paese disonesto?
Dove non esistono "pari opportunità"?
Quando i nostri nonni vivevano in un mondo infinitamente più giusto ed onesto?


Fonte: Vota Franz Josef

Da 'Eco del Litorale, fine giugno 1914

Alexander Boos-Waldek con la moglie.


"Il 1° luglio invece arriva in città una delle automobili del seguito dell'arciduca: la vettura del barone Boos-Waldek, danneggiata dalla bomba del primo attentatore, Cabrinovic.

Boos-Waldek è cognato del podestà di Cormons Giorgio de Locatelli, che ha sposato sua sorella, Maria. Il barone è stato leggermente ferito dall'esplosione della bomba di Sarajevo,... ma l'attenzione del cronista si concentra esclusivamente sulle condizioni della vettura, -forata in ben settanta punti-.

Nei giorni successivi Boos-Waldek prende parte alle nozze della nipote Carlotta, ma non risultano sue dichiarazioni alla stampa locale sui fatti di Sarajevo (matrimonio avvenuto il 4 luglio nel Duomo di Gorizia, con l'ufficiale dei dragoni Pirro de Hagenauer).

La famiglia de Locatelli-Hagenauer è estinta, ha lasciato alla città di Cormons la splendida "Villa Locatelli", continuano a vivere nel Litorale, degli altri de Locatelli.

Gorizia era costernata per la perdita di Franz Ferdinand, che l'amava per avervi svernato molte volte con la madre ed i fratelli; la "Nizza austriaca" dove crescono le palme, risparmiata dalla bora e da altri venti dalla sua generosa orografia, era meta di ammalati e di tutti coloro che avessero bisogno di un clima mite, buona parte della popolazione di lingua madre germanica era composta da dignitari ed ufficiali in pensione. Franz Ferdinand sogiornò a Villa Bökman, ancora esistente come "Villa Attems Boekman".



Fonte: -La Prima Guerra Mondiale-

lunedì 29 giugno 2015

Il "Carlotismo"...in breve


L'Infanta Carlotta Gioacchina di Borbone-Spagna
Durante il periodo di occupazione francese della Spagna, nel Viceregno del Rio de la Plata nacque, tra la confusione che regnava in quei difficili momenti, una nuova corrente politica: il "Carlotismo".
Questo movimento, del quale fu maggiore partigiano Manuel Belgrano a Buenos Aires, aveva come obbiettivo la creazione nel Viceregno del Rio de la Plata di una Monarchia indipendente, con a capo l'Infanta Carlotta Gioacchina di Borbone, sorella di Ferdinando VII di Spagna e moglie di Giovanni VI del Portogallo.
Il progetto, portato avanti da liberali costituzionalisti, comportava, appunto, l'instaurazione di una monarchia costituzionale; essendo Carlotta Gioacchina una sostenitrice dell'Assolutismo, questo fu uno dei motivi per cui il progetto non andò mai in porto.
Nel 1810, con la quasi totalità della Spagna in mano a Napoleone, i liberali filo-inglesi ne approfittarono per far scoppiare la Rivoluzione di Maggio, che portò all'indipendenza (e alla decadenza) delle Province Unite del Rio de la Plata, molte delle quali poi avrebbero formato la Repubblica Argentina.
Il periodo di massima attività dei "Carlottisti" si ebbe tra il 1808 ed il 1810; un "ritorno di fiamma" si ebbe tra il 1816 ed il 1823.
Il "Carlottismo", in definitiva, fu un tentativo di Rivoluzione Conservatrice, illegittimo e lesivo per quelle ricche e prospere province spagnole, tanto quanto lo fu quello attuato di Rivoluzione liberale.




Fonte: Carlismo

La Fede cattolica assalita dai Valdesi e difesa da Don Bosco

Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 62/15 del 23 giugno 2015, San Giuseppe Cafasso

030_a_luzzati_1886_03_16Segnaliamo alcune pagine delle celebri “Memorie biografiche di Don Giovanni Bosco” relativie all’azione del santo contro gli eretici valdesi. Abbiamo evidenziato in grassetto il paragrafo dove si parla del tempio valdese di Torino recentemente visitato da Jorge M. Bergoglio.

Memorie biografiche di Don Giovanni Bosco raccolte dal sacerdote salesiano Giovanni Battista Lemoyne, vol. IV.
Capo XX – La Fede cattolica assalita dai Valdesi e difesa da Don Bosco.

Il Re Carlo Alberto, come abbiamo detto, aveva emancipato i Protestanti. Pareva che con quell’atto egli intendesse solamente di dare la libertà di professare esternamente il proprio culto, senza detrimento della Religione Cattolica. Ma gli eretici non la intesero così e perciò, appena ottenuto quell’atto e la libertà di stampa, si erano tosto dati a fare tra il popolo irrequieta propaganda dei loro errori con tutti i mezzi possibili, particolarmente con libri e fogli pestiferi. Comparvero tra gli altri i giornali: La Buona Novella, La Luce Evangelica e il Rogantino Piemontese; e poi una colluvie di libri biblici adulterati, di poca mole, prese a dilagare nei nostri paesi, penetrare nelle famiglie, scorrere per le mani di tutti, pervertendone la mente, corrompendone il cuore, instillando insomma nelle anime il veleno delle più esiziali dottrine. Nello stesso tempo scellerati trafficanti di anime si presentavano a quanti venivano a conoscere travagliati dall’indigenza ovvero oppressi dai debiti, e loro offrivano una somma purchè si ascrivessero alla loro setta e abbandonassero la vera fede dei loro maggiori. E purtroppo vi erano di quei miseri che adescati dal luccicare di quelle monete, non sapevano resistere alla tentazione.
Dava mano alla ereticale propaganda il giornale l’Opinione, nel quale, tra gli altri nemici della Chiesa, continuava a scrivere più impudentemente di tutti Bianchi-Giovini, autore di una lurida e calunniosa Storia dei Papi e di altre opere infami. Si aggiungeva che i Protestanti a questa propaganda erano preparati, ed i Cattolici non lo erano punto per opporle un argine, impedirla, o almeno scemarne le disastrose conseguenze. Fidandosi delle leggi civili, che fino allora avevano protetta la Religione Cattolica dagli assalti della eresia; fidandosi soprattutto del primo articolo dello Statuto che porta: La Religione Cattolica, Apostolica, Romana, è la sola Religione dello Stato, i Cattolici si trovarono come soldati scossi all’improvviso dal suono della tromba guerriera, e chiamati a scendere in campo di battaglia, senza armi adatte a combattere nemici premuniti in ogni punto. Infatti i Cattolici abbisognavano di giornaletti di buona lega per diffonderli a larga mano, e pochissimi ne possedevano; facevano mestieri soprattutto libretti semplici e di poco costo, ed invece non si avevano che opere voluminose di grande erudizione. Erano quindi in pericolo di perdere la fede non solamente i giovanetti, ma tutto il basso popolo, alla cui seduzione miravano i nemici della Chiesa.
A quella vista si accese di carità e di zelo il cuore del nostro Don Bosco, il quale, col fine di preservare dai serpeggianti errori i suoi cari giovanetti, provvide un mezzo di salute eziandio a migliaia, anzi a milioni di altre persone. Compose e pubblicò pertanto alcune tavole sinottiche intorno alla Chiesa Cattolica, foglietti volanti, ricchi di ricordi e di massime morali e religiose adattate ai tempi, e si diede a spargerli gratuitamente tra i giovani e tra gli adulti a migliaia di copie, specialmente in occasione di esercizi spirituali, di sacre missioni, di novene, di tridui e feste.
Nè a semplici fogli si limitò l’industriosa carità del nostro buon Padre; poichè nel 1851 mise pure in luce una seconda edizione del Giovane Provveduto coll’immagine sul frontispizio di S. Luigi e vi aggiunse in fine sei capitoli in forma di dialogo che portavano per titolo comune: Fondamenti della Cattolica Religione. Questi dimostravano, una sola essere la vera religione: le sette dei Valdesi e dei Protestanti non avere i caratteri della Divinità, non trovarsi in esse la vera Chiesa di Gesù Cristo; essere i Protestanti separati dal fonte della vera vita, che è il Divin Salvatore, e convenire essi stessi che i Cattolici si possono salvare e che si trovano nella vera Chiesa. Non tralasciava un monito su ciò che debbono fare gli Ebrei, i Maomettani ed i Protestanti per salvare le loro anime. (…)
E questi Fondamenti, eziandio come erano compendiati nel 1851, al protestanti dovettero sembrare un colpo abbastanza serio per le loro false dottrine, poichè correvano, come la Storia Ecclesiastica e la Storia Sacra, nelle mani di tante migliaia di giovani, ai quali di preferenza essi tendevano le loro reti. D. Bosco nel concludere aveva scritto: “Tutti quelli che perseguitarono la Chiesa nei tempi passati non esistono più, e la Chiesa di Gesù Cristo tutt’ora esiste. Tutti quelli che perseguitano la Chiesa presentemente, di qui a qualche tempo non ci saranno più; ma la Chiesa di Gesù Cristo sarà sempre la stessa, perchè Iddio ha impegnato la sua parola di proteggerla e di essere sempre con lei sino alla fine del mondo”. (…)
Intanto Don Bosco aveva notizie certe che l’eresia valdese s’insinuava e faceva ogni giorno più strada in varii paesi. (…)
In mezzo a queste sue sollecite cure, da un povero infelice di nome Wolff che aveva apostatato, e che, per le solite contraddizioni dei cuore umano, gli narrava tutte le decisioni e i passi de’ suoi correligionarii, seppe come i Valdesi fossero risoluti di innalzare un tempio in Torino. Infatti a questo fine avevano domandato al Municipio la concessione di un’area fabbricabile presso il giardino pubblico. I Protestanti in Torino erano poco più di duecento. Il Municipio non aveva acconsentito, benchè il progetto fosse appoggiato dall’Avvocato generale presso la Corte d’Appello. Allora gli eretici comperarono a loro spese un’altra area lungo il viale del Re poco lontana dall’Oratorio di S. Luigi, autorizzati da regii decreti, del 17 dicembre 1850, e del 17 gennaio 1851, costruire il progettato tempio. Approvati dalla commissione edilizia i disegni di questo e degli edifizi annessi, il Municipio cercava di guadagnar tempo volendo declinare ogni responsabilità in faccia ai Cattolici; ma il Ministro degli Inter Galvagno fece note le disposizioni sovrane, e fu giuocoforza che cessassero le nobili opposizioni a quell’onta che si voleva recare alla città. Appena la cosa si fece pubblica, i Torinesi anzi tutti i Cattolici del Piemonte, ne furono vivamente addolorati e pregarono il Signore a tener lontano dal paese tanto scandalo. I Vescovi reclamarono in una lettera colletti al Re, in nome della religione, dello Statuto, dell’onore Casa Savoia, citando le disposizioni del codice penale e codice civile. Ma non si tenne conto di questi reclami e si diede subito mano alla costruzione del tempio l’esercizio del culto riformato protestante. Così riceve appoggio chi moveva una guerra fierissima alla Religione Cattolica.
Don Bosco appena seppe di queste mene, non ancor pago di ciò che aveva già fatto, compose e pubblicò un libretto col titolo: Avvisi ai Cattolici. È pregio dell’opera di riprodurne qui il proemio:
“Popoli Cattolici, così egli scriveva, aprite gli occhi tendono a voi moltissime insidie col tentare di allontana da quell’unica, vera, santa Religione, che solamente conservasi nella Chiesa di Gesù Cristo. Questo pericolo fu già in più guise proclamato nostri legittimi Pastori, dai Vescovi, posti da Dio a difenderci dall’errore ed insegnarci la verità. La stessa infallibile voce del Vicario di Gesù Cristo avvisò di questo insidioso laccio teso ai Cattolici, cioè molti malevoli vorrebbero sradicare dai vostri cuori la Religione di Gesù Cristo. Costoro ingannano se stessi e ingannano gli altri; non credeteli. Stringetevi piuttosto di un cuor solo e di un’anima sola ai vostri Pastori, che sempre v’insegnarono la verità. Gesù disse a S. Pietro: Tu sei Pietro e sopra questa pietra fonderò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non la vinceranno mai, perchè io sarò coi Pastori di essa tutti i giorni sino alla consumazione dei secoli. Questo disse a S. Pietro e ai suoi successori, i Romani Pontefici, e a nissun altro. Chi vi dice queste cose diverse da quanto vi dico, non credetelo: egli v’inganna. Siate intimamente persuasi di queste grandi verità: Dove c’è il successore di S. Pietro, là c’è la vera Chiesa di Gesù Cristo. Niuno trovasi nella vera Religione, se non è Cattolico; niuno è Cattolico senza il Papa. I nostri Pastori e specialmente i Vescovi, ci uniscono al Papa, il Papa ci unisce con Dio. Per ora leggete attentamente i seguenti avvisi, i quali, ben impressi nel vostro cuore, basteranno a preservarvi dall’errore. Quello poi, che qui viene ora brevemente esposto, fra poco l’avrete in apposito libro diffusamente spiegato. Il Signore delle misericordie infonda a tutti i Cattolici tanto coraggio e tale costanza, da mantenersi fedeli osservatori di quella Religione, in cui noi fortunatamente siamo nati e siamo stati educati. Costanza e coraggio, che ci faccia pronti a patire qualunque male, fosse anche la morte, anzichè dire o fare alcuna cosa contraria alla Cattolica Religione, vera e sola Religione di Gesù Cristo, fuori di cui niuno può salvarsi”.
A questa specie di proclama, non più indirizzato solo ai giovani, ma in generale ai Piemontesi e in ispecie ai Torinesi, facevano seguito i Fondamenti della Cattolica Religione stampati poco prima nella seconda edizione del Giovane Provveduto; e si prometteva intanto un apposito libro nuovo che egli stava scrivendo. Questo avrebbe per iscopo di mettere in guardia le anime contro le insidie ereticali, di ammaestrarle nelle verità più necessarie a sapersi, di svelare l’errore dei seduttori, di arrestarne la mala influenza e così confermare nella fede i cattolici. Era il libro che ebbe per titolo: Il Cattolico istruito nella sua religione.
Degli Avvisi ai Cattolici fu straordinario lo spaccio; in soli due anni se ne diffusero oltre a duecento mila esemplari. Ma se questa operetta tornò gradevolissima a tutti i buoni, inasprì i Protestanti e li fece montare in sulle furie. Mentre si credevano di poter a loro bell’agio devastare, a guisa degli antichi Filistei, il campo del Signore, si vedevano venire innanzi un novello Sansone a scoprire le loro arti, a rompere le loro file, a scompigliare le loro schiere in difesa del popolo di Dio.
Con questa pubblicazione e con le altre molte che la seguirono, D. Bosco indicava al secolo l’arma più potente per combattere i nemici della religione e segnava la strada a quanti volessero correre in difesa della società cristiana minacciata. In questi anni tutto pareva morto nel campo cattolico, e D. Bosco lo risvegliò in Torino. (…)

Don Bosco Santo

domenica 28 giugno 2015

I soldati Austro-Ungarici dell'Asinara.


Nella foto, la chiesetta degli Austro-Ungarici, dell'Asinara, e le teche ai lati dell'altare,che contengono le ossa e i teschi dei soldati imperiali che furono fatti soffrire, e poi molti lasciati morire in modo disumano!! L’armata austro-ungarica entra in guerra con la Serbia, patria dell’attentatore di Sarajevo, e dopo tre campagne durate circa un anno, riesce a mettere in fuga i serbi che, però, trascinano con loro prigionieri austro-ungarici, in quantità stimabile sulle 40mila unità, tra i quali certamente anche i cittadini del litorale, friulani, triestini, sloveni. Le loro tracce, per la maggior parte, spariscono nel nulla,e nella morte atroce ed anonima che li attende.Fra i pochi censiti,di questi prigionieri,citiamo il gefreiter (caporale) Giuseppe Del Monaco,classe 1898,cordaiuolo di Visco,uno dei pochi sopravissuti ad una ecatombe di dimensioni bibliche. Fra ottobre e dicembre 1915 i prigionieri percorrono 700 chilometri a piedi, dalla Serbia a Valona in Albania, su percorsi montani e privi di strade.
Malvestiti e peggio nutriti, sotto i rigori della neve e del ghiaccio. Una marcia della morte che lascia per strada migliaia e migliaia di cadaveri. Nel porto di Valona, i serbi consegnano i superstiti 24.000 prigionieri agli alleati militari italiani, che li trasportano, via mare, nell’isola dell’Asinara (Sardegna). E il dramma si fa ancora più cupo. Lungo le traversate, intercorse da dicembre 1915 a gennaio 1916 muoiono altri 2mila prigionieri, gettati in mare senza tanti complimenti o censimenti. Ma l’acme dell’aberrazione umana, è raggiunto dagli alti comandi militari italiani, che considerano i disgraziati come semplice merce di scambio per belligeranti. Nell’Isola, attrezzata per ricevere 120 persone, vengono scaricati 22mila disperati, per i quali si improvvisano ricoveri di fortuna. Ma nessuno pensa come curare, ripulire, rivestire e, soprattutto, come sfamare quelle persone. Uomini, non numeri. E nemmeno animali. Nell’Isola ne muoiono altri 5mila in sei mesi, in un orrore senza fine e senza storia. Si muore di colera, di tifo e di stenti.
La fame è tale da sfociare nel cannibalismo. Queste larve umane non si tolgono mai le divise di dosso, divenute stracci penzolanti, per nascondere e custodire gelosamente carogne di animali raccolti o catturati da mangiare, compresi i topi. “Se questo è un uomo”, avrebbe anticipato Primo Levi, come scrisse il sopravissuto dei lager nazisti, per l’orrore in edizione 1945. Con una differenza. L’olocausto dell’Asinara è stato frettolosamente occultato. Una vergogna da dimenticare. E non solo. La documentazione dettagliata dei fatti e dei misfatti accaduti sull’Isola, registrata dal generale Giuseppe Carmine Ferrari, all’epoca comandante del Presidio, è misteriosamente sparita dall’archivio dell’Esercito di Roma. Ci sono le cartelle di protocollo, ma sono vuote, come afferma il ricercatore cagliaritano Alberto Monteverde. Per inciso: all’Asinara c’era anche un forno crematorio, sia pure previsto per i morti da malattie infettive.



Fonte: Vota Franz Josef

sabato 27 giugno 2015

GUADAGNO - SALARIO - INTERESSE (Estratto dall'opera di mons. Delassus "Il Problema dell'ora presente" Tomo II°)


Queste parole indicano tre fonti del capitale-ricchezza, tre forme che la proprietà riveste fin dalla
sua culla.
Il capitale nuovo nasce, abbiamo detto, dall'applicazione, mediante il lavoro, del capitale già
acquistato. Questo, per ciò stesso che è messo in opera, crea nuove ricchezze. Di queste ricchezze si
devono fare molte parti tutte le volte che il proprietario della materia prima e l'operaio non sono una
sola e medesima persona; e questo in virtù del principio da cui deriva il diritto di proprietà: la cosa
appartiene a colui che l'ha fatta. Se ha due produttori, il capitale ed il lavoro, due pure ne devono
godere il beneficio.
L'utile del lavoratore si chiama salario; l'utile del proprietario della materia prima messa in opera,
guadagno; vi può essere un terzo compartecipe, quegli che fornisce i fondi necessari all'impresa, ed
il suo utile, si chiama interesse. L'uno è giusto non meno che l'altro per la ragione suddetta: due o
tre cause sono concorse alla formazione d'un prodotto, ognuna ha diritto sul suo valore ad una parte
proporzionata all'influsso che vi ha esercitato, a quello che vi ha messo.
Quello che mette l'operaio, è il lavoro delle sue mani e spesse volte ancora quello della sua
intelligenza. Quello che mette il padrone è il lavoro intellettuale e corporale che richiede
l'andamento dell'industria, il suo avviamento, la sua buona gestione, ed il collocamento dei prodotti.
Quello che mette il proprietario o il capitalista, è la materia prima e l'utensile, oppure il danaro che
serve a procurarli. L'operaio può essere nello stesso tempo padrone e proprietario, in questo caso
l'oggetto gli appartiene senza divisione, altrimenti egli non può godere se non di quello che gli
tocca.
Anche allora che il proprietario non mette la materia atta al lavoro, come succede nella locazione
d'una terra, egli ha diritto ad un canone, poiché egli pone nelle mani dell'affittuale un'anticipazione
enorme di lavoro, tutto quello che ha trasformato il suolo arido in terra vegetale. Questo lavoro già
fatto, entra sì bene e sì necessariamente nella produzione dei frutti come il lavoro ultimo, quello al
quale si applicherà l'affittuale nell'anno corrente. Il proprietario dunque, con tutta giustizia, deve
partecipare al vantaggio che reca il raccolto.
Io non dico però che tutto questo lavoro anteriormente eseguito appartenga all'attuale proprietario
del terreno, e ch'egli debba essere retribuito nella proporzione da stabilirsi fra il lavoro dell'ultima
annata ed il lavoro dei secoli precedenti. No! Noi qui ritroviamo quel fondo comune, del quale
abbiamo già parlato, che appartiene all'umanità ed alla nazione, fondo del quale tutti ne devono
approfittare. Tutti infatti ne approfittano mercé l'acquisto a buon mercato dei frutti. Qual sarebbe il
prezzo d'uno staio di frumento, se occorresse ricominciare ad eseguire tutto il lavoro che ha
preparato la terra a produrlo e che l'ha resa fertile? Il prezzo al quale è ceduto ricompensa, da una
parte, il lavoro al quale s'è applicato il coltivatore per condurre a maturità i frutti dell'anno presente,
e dall'altra compensa i sudori che ha versato in questo campo la famiglia a cui appartiene, sia
ch'essa abbia conservato i suoi diritti, sia che li abbia ceduti ad un'altra. Il soprappiù del valore reale
appartiene a tutti: e tutti ne godono mediante la somma relativamente leggera colla quale essi
possono acquistare il frutto di tanti secoli di lavoro.
Vi sono certi democratici, anche di quelli che si danno il titolo di cristiani, che non l'intendono in tal
modo.
Il 20 novembre 1893 l'abate Pottier, d'accordo co' suoi discepoli, compilava a Liegi un programma
assai audace, per non dire di più. Fra le altre cose, l'art. 12 stabiliva la formazione di sindacati fra gli
affittuali, coll'esclusione dei proprietarii, e l'art. 13 stabiliva che il tasso e le altre condizioni di
affitanza venissero fissate da questi sindacati. Era puramente e semplicemente mettere in non cale il
diritto di proprietà; era partire da questo falso supposto che la terra sia, nel suo stato attuale, tale
quale è uscita dalle mani del Creatore, e che il proprietario non ha altri diritti che i diritti
convenzionali che gli dà "la sorte della nascita" in una società costituita su basi ingiuste, opposte
all'eguaglianza naturale degli uomini fra di loro. No, la terra data in affitto non è quale era nel
giorno della creazione, essa è pregna del lavoro dei proprietarii o di quelli ai quali essi hanno
trasmesso i propri diritti, e questo lavoro entrerà nella formazione dei frutti da raccogliersi del pari
che quello dell'affittuale. L'uno e l'altro hanno dunque diritto sul valore di questi frutti.
Commentando o difendendo gli articoli 12 e 13 della costituzione dei sindacati di affittuali, il Bien
du Peuple diceva: "Ebbene! che c'è dunque da spaventarsi tanto? L'affittuale ha il diritto di ritrarre
dalla terra che lavora quello che gli abbisogna per vivere onoratamente. Se, dopo ciò, gli resta da
pagare il suo proprietario, lo deve fare in coscienza secondo il contratto. Per quanto si possegga
esclusivamente una cosa, bisogna tuttavia, per l'uso che se ne fa, considerarla come cosa comune.
Se, sotto il rapporto dell'uso, la fortuna è comune al ricco e al povero, a più forte ragione, sotto il
rapporto dell'uso, i beni immobili sono comuni al proprietario e al locatario, e fa duopo che questo
vi trovi innanzi tutto la sua sussistenza. È ciò che cerca di assicurare l'Union démocratique, né più
né meno". Avvi in queste parole una negazione del diritto di proprietà, sì bene stabilito e dimostrato
nell'Enciclica Rerum novarum.(1) Avvi un espresso invito ad impadronirsi del bene altrui.
Certamente non avendo lo scrittore che un vago concetto di ciò che si facesse, recava, come
giustificazione, un ragionamento qualunque sopra una citazione di san Tommaso, stornata dal suo
vero senso, in modo da uscir dal cristianesimo per entrar nel comunismo.
Quelli che dicono che il valore viene intieramente dal lavoro e ad esso tutto intero s'appartiene,
dicono il vero; ma escono dalla verità allora che non vogliono tener conto, per così dire, che
dell'ultimo colpo di mano, che del lavoro dell'ultimo operaio, per pretendere che l'intero valore della
cosa a lui appartiene. Esso appartiene pure ai lavoratori precedenti della cosa, a quelli che l'aveano
messa in istato di ricevere la sua ultima forma, la sua ultima perfezione, sia che essi abbiano
conservato i propri diritti, sia che, per trasmissione ereditaria, o per vendita o per dono, li abbiano
ceduti all'attuale proprietario.
È dunque il lavoro, il lavoro di già fatto, quello del quale il proprietario od il padrone fanno
l'anticipazione al colono o all'operaio, mettendo loro in mano la materia da trasformare. Questo
lavoro appartiene al proprietario, al padrone, ed esso deve entrare in conto, a loro profitto, quando si
tratterà di stabilire il valore dell'oggetto nel quale questo lavoro si è incorporato, e di far la
ripartizione degli utili che questo valore apporta.
È ancora il lavoro, il lavoro già fatto, che il padrone confida all'operaio, mettendogli in mano
l'utensile o la macchina che permetterà a costui di lavorare la materia da trasformare. La facilità, la
rapidità, la perfezione con cui l'oggetto sarà fatto, in grazia di questo utensile, in grazia di questa
macchina, altro non è che la traslazione in quest'oggetto del lavoro nell'utensile, nella macchina.
Questo lavoro appartiene al padrone; trasportato nell'opera, gli appartiene ancora, e lo si deve
aggiungere. a quello della sua intelligenza, della sua assiduità, del prezzo della materia fornita per
apprezzare la sua parte e per conseguenza il suo diritto.
La Démocratie chrétienne nel numero d'aprile 1901 faceva suo questo ragionamento del signor Ott
nel suo Traité d'Economie sociale: "Coi vostri sudori vi siete acquistato un istrumento di lavoro;
esso è vostra proprietà; niente di più giusto. Ve ne servite, l'adoperate e ne traete frutti novelli;
niente di più giusto ancora. Non siete affatto obbligati di prestarlo ad altri per restar colle mani in
mano. Ma ecco che voi o non potete o non volete farne più uso da voi stessi; voi siete in posizione
di rendere ad un altro, prestandolo, un servigio, che niente vi costa; e volete esigere un prezzo di
questo servigio! Il vostro capitale è improduttivo nelle vostre mani, e pretendete di prendere una
parte del prodotto che un altro ne ritrae col suo lavoro! Per prestargli uno strumento di lavoro, che a
voi niente giova, voi volete spogliato quest'altro d'una parte della sua proprietà, privarlo del suo
legittimo diritto sul prodotto che egli ha creato!"
Queste esclamazioni cadono assolutamente nel falso: "Voi pretendete rapire una parte del prodotto
che un altro ne ritrae dal suo lavoro! Voi volete spogliare un altro d'una parte della sua proprietà,
privarlo del suo legittimo diritto sul prodotto che ha creato!" Sembra veramente che le macchine
cadano dal cielo, come la pioggia, o nascano come i funghi, che nessuno vi abbia messo la mano, o
che questo lavoro non sia della specie dei lavori che creano, e per conseguenza producono. Non
volendo tenerne conto, siete voi che "pretendete di prendere una parte del prodotto che un'altro -
colui che ha fatto la macchina, o che ne ha il diritto - deve ritrarre dal suo lavoro". Siete voi "che
volete spogliare quest'altro della sua proprietà e del suo legittimo diritto".
Tali espressioni insinuano nella mente del popolo false idee e nel suo cuore ingiuste cupidigie; esse
eccitano gli sdegni degli uomini che si credono lesi nei loro diritti da coloro che dovrebbero
maggiormente rispettarli.
Il lavoro degli operai crea loro dei diritti, e crea pur dei doveri di giustizia. Questo non è una novità.
La giustizia è l'oggetto di uno dei comandamenti di Dio, ed una delle principali virtù della vita
cristiana. La Chiesa non ha aspettato la venuta in questo mondo della democrazia per predicare
questa virtù ed imporre questo comandamento. Essa l'ha fatto sotto pena di castighi, ed anche di
castighi eterni dell'inferno. I democratici non troveranno certo niente di più potente per persuaderne
la osservanza sì ai padroni come agli operai. Diciamo ai padroni ed agli operai, poiché se i padroni
sono tenuti per giustizia a rimunerare esattamente il lavoro da essi eseguito, gli operai sono
egualmente tenuti per giustizia a lavorare coscienziosamente.
Si parla poco nei giornali e nelle riviste democratiche dei doveri di giustizia, a cui gli operai sono
tenuti verso i padroni, ma assai dei loro diritti. Se almeno, parlandone, ci si tenesse sempre nella
verità.
È esagerare i doveri del padrone ed i diritti dell'operaio il dire che la giustizia esige che il salario
dell'impiegato abbia per regola non il valore del suo lavoro, ma i suoi bisogni e quelli della sua
famiglia.
Questa regola, in diritto, è radicalmente falsa. La giustizia è l'equivalenza, e l'equivalenza vuol dire
valore per valore. La giustizia richiede che il valore del salario sia corrispondente al valore del
lavoro, niente di più. E se il valore del lavoro non raggiunge le esigenze del bisogno spetta alla
carità non alla giustizia di colmare il deficit. Ciò è quanto la Chiesa ha sempre insegnato come la
stessa ragione; è ciò che i veri cristiani hanno sempre praticato. Dopo di aver dato il giusto salario,
come salario, vedendo che questo non era sufficiente, hanno ascoltata la voce del loro cuore di
cristiani ed hanno praticata la carità. Ma vi sono dei democratici che non vogliono sentir parlare di
carità, per le belle ragioni già note.
È egli possibile misconoscere la più sublime delle virtù cristiane a tal punto da dire che la sua
pratica ha per effetto d'ispirare l'umiliazione e per conseguenza l'odio nel cuor del povero, e
l'orgoglio e lo spirito di dominio nel cuor del ricco? La carità umilia! L'ammetto in quel modo che il
raggio del sole compie la corruzione del putridume. Rendete sano il cuor del povero, fatevi rientrare
il sentimento cristiano, e la carità non isveglierà nel suo animo che nobili sentimenti di riconoscenza
e di amore. E d'altra parte, l'ascendente che un atto di carità può dare non è necessario a colui che,
per la sua posizione, è chiamato a sollevare chi sta in basso?
Ripudiando la carità, i democratici rovinano fin dalla base l'ordine sociale cristiano, quale il divin
Salvatore l'ha stabilito. La giustizia non basterà mai ad unire gli uomini, a farli vivere in pace e
sopratutto a contentarli. Sempre saranno tentati a non ammettere altri limiti alla giustizia che è loro
dovuta se non quelli che essi stessi impongono ai desiderii del loro cuore. Ora i desiderii del cuore
umano sono infiniti. Tutte le sue cupidigie, dal momento che ricevono qualche soddisfazione,
divengono bisogni. Il diritto ed il dovere di giustizia cresceranno con essi ? Chi può negare che
l'operaio oggi soffra la privazione di cose, alle quali, cinquant'anni fa, punto non pensava? La carità
cresce con queste pretese, poiché la sua natura è di essere buona e compassionevole, ma questo non
è per nulla affare di giustizia.
Presentare al popolo come un diritto da esigersi per giustizia, il contentamento de' suoi bisogni. è
dapprima un ingannarlo, poi un promettergli quello che è affatto inattuabile. Ed allora quali ire si
accenderanno nella sua anima per l'impotenza di potergli dare quelle soddisfazioni che, mediante
questo linguaggio inesatto, egli sarà autorizzato a credere legittime?
Lasciamo alla giustizia la sua parte, che è assai grande, e benediciamo Dio d'aver creato la divina
carità per sopperire alla sua deficienza.(2)
Mentre la democrazia non parla agli uni che di diritti ed agli altri che di doveri, la Chiesa tiene a
tutti il medesimo linguaggio: a tutti ella predica il dovere; a tutti permette la rivendicazione del
diritto, al padrone come all'operaio, all'operaio come al padrone.
A tutti, ella predica il dovere, perché conosce il posto che l'egoismo tiene nel cuore dell'uomo
decaduto; ella conosce ch'esso chiude gli occhi sul dovere e ne trascura l'adempimento. Ella non
predica la rivendicazione dei diritti, perché sa che questo stesso egoismo anche troppo la proclama.
Nostro Signore ha raccomandato l'abbandono del diritto come una perfezione,(3) ma ne ha
permesso la rivendicazione, perché sta bene che la giustizia sia fatta.
Parlare di diritti alle diverse classi della società è come gettar olio sul fuoco. Parlar dei loro
reciproci doveri è un assicurare il rispetto di tutti i diritti.
Il dovere del padrone è di veder il suo fratello nell'operaio, e di amarlo come se stesso per amore di
Dio. Il dovere del dipendente è di vedere nel suo superiore l'autorità che gli viene da Dio, e di
comportarsi a suo riguardo, come lo richiede una tale investitura.
Il diritto del padrone è d'essere fedelmente servito, obbedito, rispettato, amato. Il diritto dell'operaio
è d'essere amato, rispettato, e di ricevere la sua mercede.
Così tutte le cose sono nell'ordine, e dall'ordine ne provengono pace e prosperità.
Il terzo fattore della ricchezza è l'interesse.
Si può dire del danaro prestato per l'acquisto del materiale necessario al lavoro, quello che fu detto
del materiale stesso. È lo stesso anche del lavoro, del lavoro cristallizzato, per così dire, che mette
colui che fornisce i danari necessarii sia nella costruzione degli opificii, sia per la compera delle
materie o degli utensili. Egli pure è un collaboratore, e non dei meno importanti: egli deve dunque,
come gli altri, ricevere la rimunerazione della sua collaborazione. La sua parte gli vien data sotto
forma d'interessi. Dire che il percepire questi interessi è un atto usuraio, è fare un delitto di ciò che
l'equità richiede.
Io ben so che la Chiesa ha interdetto finché ha potuto il prestito ad interesse. Ella fu saggia in questo
come in tutto il resto. Ella prevedeva le rovine a cui i popoli si sono esposti sforzandola a poco a
poco a tôrre questa interdizione, come la si sforza oggi a togliere a poco a poco la legge
dell'astinenza. Ma è un fatto che la legge che ha per sì lungo tempo governata la società cristiana,
oggi più non esiste, poiché i papi stessi hanno fatto dei prestiti. E se questa legge non esiste più,
vuol dire dunque che non era una legge naturale, ma una legge positiva che può essere abrogata col
consenso di chi l'ha introdotta. E trarre nell'errore il presentare come legge naturale l'interdizione
del prestito ad interesse, come lo fanno o mostrano di farlo i troppo zelanti democratici cristiani. Il
percepire un interesse non è in sé, non è mai stata l'usura propriamente detta, ma una mancanza di
obbedienza ad una legge in vigore. Oggi che questa legge è caduta, l'interesse abusivo, esagerato,
resta solo, e resta sempre peccato, perché per la sua esagerazione e pel suo abuso diviene
usuraio.(4)
Invece di attenuare il diritto di proprietà, i veri amici del popolo, se vogliono migliorare la loro
condizione, devono applicarsi ad ispirarne la stima ed il rispetto: la stima, per far nascere nel cuor
del proletario la volontà di formar intorno a sé, ed a suo profitto quello che Saint-Bonnet ha così
ben definito "l'atterrissement de la vertu";(4) il rispetto, facendogli comprendere che il capitale
accresciuto può solo far aumentare il salario normalmente e in modo durevole. Con maggior
capitale la stessa quantità di lavoro produce maggior ricchezza e la parte che ne deriva a ciascuno si
aumenta di altrettanto. Che si esamini in ogni senso la questione del miglioramento dello stato
materiale del maggior numero, essa rientrerà sempre in questo primo principio: aumento di capitale,
mediante il suo sviluppo nel padrone e suo acquisto per mezzo dell'operaio. Che si esamini in ogni
senso la questione dell'aumento o dell'acquisto della proprietà, essa rientrerà sempre in questo
secondo principio: formazione di capitale mediante la virtù di ciascuno e di tutti. Noi diciamo
"capitale" e non valori fittizii creati dall'aggio; questi si dissipano come sono venuti, e non
costituiscono propriamente un vero capitale.
Voler aumentare il salario a pregiudizio del capitale, come pretendono di far le leggi operaie, che
sono fabbricate per comparire popolari, da uomini che non conoscono né la natura dell'uomo, né le
leggi della società, né quelle della produzione, è, per ripigliare il paragone del bacino, dargli un
colpo sull'orlo ed aprire così un varco al fluido sociale verso il suolo deserto. Trarre un aumento di
salario da una diminuzione di capitale è uno scemare la potenza di questa forza prima e paralizzare
la produzione della ricchezza che, in sul nascere, sarebbesi ripartita fra gli operai. Ogni strappo
ingiusto sul capitale del padrone lo mette nella necessità di ridurre d'altrettanto le sue intraprese,
egli non ha più la stessa quantità di lavoro da far eseguire, e la somma dei salari, se non il salario
stesso, dopo un aumento fittizio, ricade necessariamente più basso di prima.

Note:

(1) Se i beni immobili sono comuni, in quanto all'uso tra il proprietario ed il locatario, come afferma
l'organo del pottierismo, che resta della proprietà se non il privilegio di pagar l'imposta fondiaria ed
i diritti di successione?
(2) Si è discusso molto, in questi ultimi tempi, intorno "alla giustizia sociale". Affinché il salario
vada d'accordo colla giustizia sociale, fu detto, deve essere sufficiente per permettere all'operaio
posto in condizioni normali, il possesso d'un focolare, i mezzi di allevare la sua famiglia secondo la
sua condizione, di risparmiare di che mantenersi nei giorni in cui non potrà guadagnare e di
permettergli l'ascensione professionale. Che si debba desiderare che il lavoro giunga ad essere
organizzato in modo che permetta al padrone di procurare un tal salario, niente di meglio. Ma finché
non esista questa organizzazione, non si può parlare di giustizia.
La giustizia non esige dal padrone un salario sproporzionato al valore attuale del lavoro. Essa non
esige neppure da uno Stato particolare che organizzi il lavoro in modo da rendere questo salario
possibile, poiché la concorrenza internazionale non glielo permette.
Perciò, né la filosofia, né la teologia hanno conosciuto questa parola di giustizia sociale. La giusta
parola sarebbe: Ideale sociale. Ideale e giustizia sono due cose molto distinte.
(3) Vedi il Vangelo secondo S. Matteo, cap. V, vers. 40, e la Ia Epist. ai Corinti, cap. VII, v. 7.
(4) Sul finire del XV secolo e al principio del XVI questa legge ricevette i primi colpi. La scoperta
dell'America dava un vigoroso impulso al commercio nel mentre la Riforma scuoteva le tradizioni. I
grandi affari non si poteano intraprendere senza i capitali, ai quali bisognava dare, dicevasi, una
rimunerazione. Ciò non ostante l'aggiotaggio, quando fece irruzione col sistema di Law, sollevò una
energica riprovazione.
L'aggiotaggio, disse d'Aguesseau, esercita su tutti gli animi una tentazione irresistibile; esso crea
una classe funesta "i giocatori di Borsa essendo persone oziose, sterili allo Stato o piuttosto dannose
alla società, in cui essi non servono che a far rincarire eccessivamente i frutti della natura e le opere
dell'arte, ed è una imprudenza da parte del potere introdurre un genere d'industria, che senza fatica e
senza lavoro, dà maggior ricchezza in un momento, che le vie naturali non ne darebbero in un anno,
e spesso anche in un secolo".
Rovesciamento dì fortune, progresso di lusso, aumento di spesa della vita, demoralizzazione, ecco i
risultati dell'aggiotaggio.
Oggi è scatenato, niente più lo trattiene. Il suo sviluppo è una delle prime cause del socialismo. La
ricchezza, acquistata senza lavoro e a detrimento del lavoro, solleva le passioni antisociali.
Si può vedere nel Manuel des Spéculateurs à la Bourse, di Prudhon, gli effetti disastrosi
dell'aggiotaggio sui costumi pubblici e privati.
(4) Sedimento, cioè il risultato della virtù nel campo dell'azione. (Nota del Traduttore).

Il vero Potere e l’ultimo uomo

end-of-the-world
di Martino Mora (Fonte: http://radiospada.org/ ) 
Il vero Potere oggi è il frutto di un’abietta alleanza apparentemente contronatura tra lo sviluppo capitalistico e il ‘68-pensiero. Tra la tecnoeconomia consumista e il “proibito proibire” dei figli di papà che volevano fare la Rivoluzione. Tra banchieri e multinazionali da una parte e pseudopensatori radical-chic dei salotti e delle università dall’altra. Tra la giacca e cravatta e l’eskimo. Tra l’igienismo salutista e il tatuaggio, tra la palestra e la canna, tra l’ufficio e il concerto rock, tra l’ossessione del lavoro e l’ossessione del sesso.
Quello che unisce la società dei consumi con la mentalità pseudolibertaria è il materialismo di fondo. La società dei consumi è avanzata spietatamente distruggendo tutto quello che di tradizionale rimaneva nell’Italia e nell’Europa del secondo dopoguerra. Ha insegnato agli uomini il primato dell’avere e l’idolatria della merce, ha omologato i popoli rendendoli masse e non più popoli, ha distrutto il legame sociale e l’aspirazione al sacro. Ha imposto l’american way of life e il culto delle mode, il primato del denaro e l’americanismo senz’anima.
Da questo sviluppo tendente alla produzione illimitata di merci e servizi superflui è scaturito un uomo tipo di uomo, conformista, omologato, pecorone, privo di senso critico e aspirazioni elevate, ma sempre scontento e pronto a contestare le persone sbagliate per i motivi sbagliati.
La gabbia d’acciaio del profitto di cui scriveva Max Weber si è alleata con il dio Dioniso di cui parlava Nietzsche, non per partorire il super-uomo, come pensava il geniale pazzo coi baffoni, ma “l’ultimo uomo”, l’uomo più spregevole.
Il pensiero sinistrista e sinistrato, il politically correct, con tutti i suoi derivati, è l’ideologia dell’ultimo uomo. Quello che crede di “avere inventato la felicità”, quello che disprezza il passato e ciò che lo trascende, quello che si crede libero e non vede le sue enormi catene. Quello che se ne sta ben rannicchiato nella sua gabbia d’acciaio ma si crede un padreterno perché può navigare su internet, mettere le foto su Facebook, fare le vacanze in Egitto o in Madagascar e magari aspirare al rolex e al macchinone. Quello che legge Osho e Paolo Coelho e li scambia per Socrate e Dostoevskij. Quello che si crede buono perché vuole gli immigrati e ama smodatamente i gay ma fa del suo IO il centro del mondo. Quello che fa tanto umanitarismo ma è talmente narcisista da vedere solo se stesso. Quello per cui ci sono tanti diritti ma nessun dovere. Quello che disprezza matrimonio e famiglia ma si è fatto mantenere dai genitori. Quello che di solito è di sinistra ma col portafoglio ben piantato a destra. Quello che anche quando è di destra il portafoglio gli resta a destra. Quello che bisogna salvare il mondo dai gas serra ma non rinuncerebbe all’automobile e all’ultimo modello di telefonino nemmeno con la pistola puntata alla testa. Quello che pensa sempre con la sua testa, ma ripete ogni volta le cose che dicono i media. Quello che pensa di essere trasgressivo perché sniffa coca e va a letto con tutte, ma se dici “negro” in sua presenza alza il sopracciglio, muove il ditino e ti guarda con biasimo. Quello che abortire è un diritto, ma se parli di pena di morte si indigna profondamente. Quello che se dici che la pubblicità fa schifo ti dice che invece è bellissima. Quello per cui la civiltà di un popolo si misura dal numero degli hi-phone e di coloro che navigano su internet. Quello che vorrebbe digitalizzare anche l’aria che respiriamo, ma poi ti dice che vuole il ritorno alla natura. Quello che sostiene che le donne “son tutte puttane” e poi vuole le quote rosa. E via dicendo.


giovedì 25 giugno 2015

Critica del Pensiero Liberale


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di Alessandro Elia (Fonte: http://radiospada.org/)
Il liberalismo è un contenitore ideologico privo di contenuti ma pieno di contraddizioni, che racchiude tutto e il contrario di tutto fuorché il rispetto della Legge di Dio. È impossibile criticarlo senza essere ricacciati nelle categorie ideologiche del passato, che oggi vengono aprioristicamente demonizzate per magnificare l’epoca contemporanea, ingannevolmente proclamata post e anti-ideologica e presentata come l’unica soluzione possibile.
Il nocciolo del pensiero liberale sta nell’idea di emancipazione, di liberazione da qualsiasi legame, con la speranza di giungere a una presunta umanità liberata. Un’ideologia che va a braccetto con il mondialismo, il globalismo, il superamento dei confini, il cosmopolitismo. In sostanza: l’universalismo di stampo massonico. Punta a un’emancipazione individualista, slacciata dai legami sociali, territoriali, tradizionali, familiari. Nega, essenzialmente, che l’uomo sia per sua natura un essere sociale e intrinsecamente relazionale. A ben vedere, infatti, lo stato ultimo dello sviluppo del liberalismo è necessariamente la solitudine.
La ragion liberale è convintamente ateista e rifiuta la legge naturale poiché non ammette che la realtà sia frutto di un disegno divino. Secondo la sua logica demoniaca, l’esistente è un prodotto casuale, ingiusta combinazione da correggere, se non addirittura da cancellare. La cultura è concepita come emancipazione dalla natura. Il vero nemico del liberal è l’Origine, l’esistente, il reale e combatte costantemente contro ciò che è già stato.
Questo cancro della nostra società qual è il liberalismo, è stato elevato da ideologia a categoria a priori universale, affermandosi in tal modo in maniera fittiziamente totalizzante. Il suo cavallo di battaglia è il relativismo, di cui si serve per affermare senza criterio alcuno, in nome della libertà e del rispetto, le differenze, che così facendo vengono azzerate, agevolando l’avvento dell’uniformità propria della dittatura del Pensiero unico. Con l’alibi di indebolire posizioni radicali ed estremistiche, di fatto, il liberalismo produce conformismo, perdita della specificità, omogeneità.
Uno dei princìpi cardine del pensiero liberale è intrinsecamente contradditorio poiché si contrappone all’ideale stesso di libertà. Si tratta della tesi di Popper, che sostiene: “In nome della tolleranza, noi proclamiamo il diritto di non tollerare gli intolleranti”. Nella pratica si traduce in una dittatura ideologica che costringe ad allineare tutte le opinioni con il pensiero dominante. “Intollerante” potrebbe essere chiunque, a seconda di chi detiene il potere ideologico. Qualsiasi pensiero veramente antagonista – e non semplicemente antagonista ma segretamente complementare, come destra e sinistra – è tacciato di “intolleranza” e perciò viene squalificato in partenza. Con questa strategia il liberalismo accorcia le distanze dal totalitarismo e gli somiglia. La differenza sta nel fatto che il dominio assoluto nel liberalismo è come una gabbia invisibile, perché difatti si autoproclama tollerante e liberale, appunto, ma il suo potere assoluto rimane velato.
Avendo come antagonisti il passato, la Tradizione e l’Origine, la società liberale non può che fondarsi su un contratto sociale, poiché non esiste alcun legame in una società priva di un’identità. Di qui deriva il suo nesso con il libero mercato, che fa da collante e scandisce le note melense di uno spartito malfatto, producendo una musica disarmonica, tipica delle società che si beffano di Dio, divenendo idolatre adoratrici del denaro e quindi di Satana. Il liberalismo è una protesi del mercantilismo in cui l’interesse e l’utilità sono la principale ragione pratica e teorica dell’individuo e della società. Dunque niente spazio per la comunità, la famiglia e le relazioni, ma solo bieco utilitarismo che mercifica perfino il corpo umano (vedi l’utero in affitto).
Il liberalismo era ideologia elitaria (massonica) e ha fatto leva sul desiderio di trasgressione e individualismo degli uomini per rendersi appetibile e conquistare le masse con il liberismo, cioè l’egoismo individuale fatto sistema. Non a caso l’intesa fatale tra liberismo (economico) e liberalismo (ideologico) è sfociata nel libertinismo e quindi nella sacralizzazione dell’immoralità.
Il dispotismo moderno non è dovuto alla negazione della libertà, bensì al suo rovesciamento che la innalza fino ad assolutizzarla, capovolgendola da mezzo a fine. In questo modo la libertà non è un presupposto subordinato ma trascendenza inviolabile. Questa scimmiottatura della libertà è in realtà liberazione, ossia libertà da e non in vista di. Invece una società retta sa trarre vantaggio dalla libertà e la erige a responsabilità, cioè libertà per. Infatti la libertà è una condizione necessaria ma non sufficiente.
Sia Marx che Gentile consideravano le proprie idee politiche come liberalismo assoluto e invece produssero teorie totalitarie. Contrariamente al comun pensiero, il totalitarismo non è una resistenza alla modernità; non un conservatorismo armato e impositivo, ma il suo opposto. Le rivoluzioni che hanno portato ai totalitarismi sono fondamentalmente gnostiche e quindi animate da un’ideologia che era antagonista e marginale nell’era pre-moderna. Il totalitarismo sostituisce la Divina Provvidenza con la mera ragione umana e la assolutizza a tal punto da innalzare l’Io al posto di Dio. Non rispetta un legame sociale, ma impone un contratto sociale. Non autorità, dunque, ma autoritarismo, cioè una sua perversione. Il totalitarismo è utopico e in contrasto col reale, ideologico e impersonale: odia il limite ma pretende l’illimitato, nega la Divinità ma divinizza l’uomo. È conforme alla modernità poiché ne condivide l’essenza: dal sogno (illusorio) di realizzare l’assoluta libertà, alla liberazione dal reale e dall’autorità, per giungere fino all’auto-redenzione di un uomo nuovo in un mondo pienamente emancipato. Il cuore del liberalismo si trova nell’idea di un’umanità perfetta e onnipotente, auspicando il trasferimento del paradiso in terra.
Sembra paradossale ma oggi è necessario ricordare che per ovvie ragioni dottrinali e morali, i cattolici hanno il dovere per vocazione, non solo di non aderire, ma anche di opporsi con fermezza, secondo le proprie possibilità, al liberalismo e alle sue logiche incompatibili con la Fede. Solo per fare un esempio, la laicità dello Stato, grave offesa alla Regalità del Signore, è un dogma del liberalismo. Nell’Enciclica Quas Primas, dell’11 settembre 1925, Pio XI afferma: “La peste della età nostra è il cosí detto laicismo coi suoi errori e i suoi empi incentivi”. In seguito, il Pontefice allora regnante spiega che, “Accelerare e affrettare questo ritorno [alla regalità sociale di Cristo] con l’azione e con l’opera loro, sarebbe dovere dei Cattolici […]”.
Oltre ad essere insufficiente schierarsi contro il cosiddetto “matrimonio” tra persone dello stesso sesso e altre leggi malefiche senza però condannare il liberalismo, è anche schiettamente ipocrita. È la logica illogica democristiana del cattolico da compromesso, che scende a patti col mondo – lo stesso mondo che ha ammazzato Cristo – e magari cerca di ripulire il fiume intervenendo nel punto in cui sfocia nel mare senza mai andare alla sorgente.

AUDIO: "Il rifiuto della 'chiesa costantiniana': dal Vaticano II a Bergoglio"


AUDIO: "I nemici degli Editti: pagani, giudei, eretici"


AUDIO: "I documenti imperiali da Costantino a Teodosio"


Hruševje occupata (1926)



Cartolina spedita da Hruševje nel 1926. Per i paesini più piccoli, i tricoloruti non perdevano tempo tentando di tradurre i nomi dei paesi o inventarsi qualcosa, Hruševje che deriva dal nome delle pere in sloveno, diventava semplicemente "Cruscevie" e gli era andata bene perchè almeno una certa assonanza era rimasta. La foto ritrae i coscritti arruolati per il Regio Esercito, che salutano il paese con l'immancabile fisarmonica, fuori dell'osteria Zakelj.
Si vestivano di nero e mettevano sul cappello, quello che chiamavano "Maccarone", era un bottone da lutto. Si mettevano anche un nastro da lutto al braccio ed anzichè le strisce multicolori o i fiori che usavano i loro padri nell'esercito asburgico e che i loro cugini oltre confine continuavano nell'esercito yugoslavo, si mettevano delle striscie di stoffa bianche.
In quella zona, molti si chiamano Zakej, compreso Tone, un membro del TIGR che aveva iniziato la lotta contro gli italiani, l'anno precedente della foto. Emigrò dopo aver riempito i muri del paese di scritte contro gli invasori. Dal suo esilio tornò nottetempo per rubare le divise della GIL e rovinare la festa ai tricoloruti che il giorno successivo volevano farle indossare ai ragazzini del paese. Morì durante la guerra di liberazione, non si sa dove, non si sa la data e non si sa per mano di chi.
Ora a Hruševje ci sono diverse gostilne, per i viaggiatori che si fermano sulla strada Vipava-Postojna e quelli che salgono sul monte Nanos. A proposito... i cifarielli chiamarono il Nanos "Monte Re". Essendo un toponimo importante si impegnarono, consultarono qualche loro intellettuale che scoprì che Paolo Diacono avrebbe narrato di un monte in Slovenia che si sarebbe chiamato in quel modo ma poteva essere il Matajur come qualsiasi altro.
Però lo scoprirono dalla traduzione italiana, perchè il testo di Paolo Diacono era scritto in latino monastico del 700 dopo Cristo, copiato a mano per generazioni e senza l'originale andato perduto. Ovviamente, Wikipedia italiana comprende questa nota, come procura di fare per tutti i paesi sloveni occupati riportando tutti i nuovi ridicoli toponimi e spiegandone per filo e per segno le genesi allucinanti di quelle menti bacate che volevano italianizzare il mondo.
fonte: posttojnski prepih, febbraio 2015. - Vota Franz Josef

mercoledì 24 giugno 2015

I FATTI DI INNSBRUCK



"Brutale aggressione agli studenti italiani".
Vorremmo vedere se in una medio grande città italiana, il Governo decidesse di aprire una facoltà in arabo. Ma andiamo con ordine, poco fa un tricoloruto con tre buchi del naso ha linkato l'ineffabile wikipedia italiana per far vedere quanto cattiva fosse l'Austria.
Noi confrontiamo sempre la fasciopedia italiana con wikipedia in altre lingue. Ecco la pagina in tedesco:
Cosa si scopre? Che il povero pittore morto negli scontri, non era "ladino" ma era nato, vissuto e morto ad Innsbruck. Era addirittura stato celebrato dai pangermanisti come eroe e martire.
Poi si inizia a scoprire uno dei più colossali falsi storici italiani: nessuno voleva delle Università italiane per Trento e Trieste, volevano solo delle facoltà di Giurisprudenza.
Per quale motivo l'impero avrebbe dovuto assumere docenti italiani ed insegnare la Giurisprudenza austriaca, scritta in tedesco traducendola in italiano, non si riesce a comprendere.
Il motivo era essenzialmente politico, si trattava di "portare in Austria" le facoltà di Padova e Bologna dove studiavano i rampolli dei ricchi italofoni, quasi tutti liberal-nazionali ed alcuni di loro, irredentisti.
L'Austria avrebbe dovuto scassare il proprio ottimo sistema Universitario con pochi Atenei di elite e con un sistema di borse di studio che permetteva a tutti gli studenti meritevoli di recarsi dove necessario compresa Vienna (gli atenei di Graz e di Innsbruck non avevano tutte le facoltà), per permettere a quei disgraziati di aprire delle "fucine di patriottismo, irredentismo e massoniera" in Austria... così venivano definite dagli oppositori, quelle ipotetiche facoltà.
Comunque l'Austria lo fece e la facoltà di Giurisprudenza in italiano fu inaugurata.
Altra informazione che non compare in wikipedia in tedesco, è la presunta aggressione agli studenti italiani.
Lo si comprende meglio in questo articolo, in parte neutrale perchè su giornali dell'epoca in inglese:
Qui si scopre che la tensione era tra gli Stati, che a Milano dimostrarono centinaia di studenti italiani nazionalisti, che Giolitti rimproverava al predecessore Zanardelli, di aver permesso tutte le manifestazioni auti austriache. In effetti non stava bene, aver da poco rinnovato la Triplice Alleanza e permettere campagne di odio razzista contro il proprio alleato.
Poi si trova questo articolo del 2004, che riporta le conclusioni dello storico Gehler e del politologo Pallayer.
La loro versione dei fatti, è che le due locande “Croce Bianca” e “Tasso d'oro” dove i rispettivi studenti italiani e pangermanisti si erano radunati, erano molto vicine; che ci furono delle provocazioni e che ci fu una rissa, con i pangermanisti che gridavano Welsche raus (fuori i sud-occidentali). Ricorda la morte del non-ladino Pezzey, decine di feriti ed i 137 arresti.
Tra i quali c'erano anche De Gasperi e Battisti. La facoltà di Giurisprudenza (e non Università completa, lo specificano continuamente) fu distrutta e dopo 6 giorni, chiusa per sempre. Dicono che non solo De Gasperi ma anche il suo pupillo politico Andreotti, furono influenzati dai “Fatti di Innsbruck”, tanto che il secondo, quando nel 1984 gli Schützen sütirolesi portarono ad Innsbruck la „Dorner Krone“ (la grande corona di spine di Gesù Cristo sorretta da decine di portatori come i ceri di Gubbio), disse che l'azione dei tirolesi di lingua germanica sotto dominio italiano, sarebbe stata un “fenomeno di nuovo pangermanesimo”. Molto fini, i giornalisti austriaci.
Poveri italiani... perseguitati dal mondo intero dai tempi di Annibale, loro non facevano mai niente ed erano sempre vittime degli stranieri. Però quando l'Austria permetteva di aprire un liceo croato a Pisino, gli italiani davano battaglia sia in Austria che in tutta Italia.
Loro potevano avere facoltà in italiano nel cuore del Tirolo germanico, i croati a casa loro, no.
In Austria ci furono diversi moti studenteschi, sempre a carattere nazionalista e contro altri gruppi etno-linguistici; contro l'Impero non si manifestava dal 1848, quando i pangermanisti viennesi fecero addirittura la rivoluzione per annettersi alla confederazione germanica guidata dalla Prussia. Non volevano una repubblica, se gli italiani lo dicono, voi non credetegli.
Poco dopo il 1880 Graz fu insanguinata dalla rivolta contro la Legge Badeni, ministro galiziano-polacco di origini italiane che aveva fatto una Legge per il bilinguismo in Boemia.
Straordinario, no? Se in una zona mista tutti conoscono le lingue degli altri, finiscono le rivendicazioni ed il pericolo di assimilazione.
Ma era proprio questo che fece infuriare i nazionalisti. Dietro le rivendicazioni linguistiche c'era una pura e semplice lotta di potere per escludere altri gruppi e per avere il predominio, o nell'Impero o staccandosi da esso per non aver a che fare con l'Austria che secondo i più razzisti dei pangermanisti, si era contaminata con popoli inferiori.
A Graz ci fu uno o due morti, decine di feriti e centinaia di arresti, come al solito. Ed a Graz non c'era pericolo di bilnguismo perchè la Legge era limitata alla Boemia ma che se fosse passato il bilinguismo ceko-tedesco, sarebbe toccato in seguito anche al tedesco-sloveno: inaccettabile.
Ma l'esercito KuK che aveva fatto sedare la rivolta dai bosniaci "slavi" ( e per lo più musulmani, ma quella volta il razzismo religioso non prevaleva ancora), accettò di sostituire i bosniaci di stanza a Graz con un Reggimento carinziano (dove la presenza slovena c'era eccome). Però arrestò e processò tutti i propri cadetti che avevano preso parte ai disordini. A parte i singoli episodi di violenza, quello che aveva fatto infuriare tutti gli ufficiali delle forze armate, era di aver tradito il giuramento al Kaiser ed al loro codice d'onore. Infatti cantavano Die Wacht am Reihn anzichè Gott Erhalte e sventolavano la bandiera tedesca rosso bianco nera invece di quella asburgica o quella austriaca.
Chi fu riconosciuto colpevole fu condannato, da qualche mese a qualche anno di carcere militare. Usciti di galera furono degradati ed espulsi con disonore.
Questo era l'Impero che secondo li italiani, avrebbe "germanizzato" i poveri italiani.
Ma questo cari lettori lo diciamo solo a Voi. Spiegare queste cose agli itailani sarebbe del tutto inutile, come tentare di convertire i Testimoni di Geova o i Mormoni.
La loro "italianità" è un sentimento, con i sentimenti non si ragiona e si scende nella sfera dell'irrazionale e del magico. Ma non nella regione dalla "magia bianca", con loro si va nell'ambito della magia nera, come sembra siano, i riti dei loro mentori dell'unità e dell'italianità: i massoni del Grande Oriente e di altre sette ancora peggiori.