giovedì 28 maggio 2015

URGENZA DI RIENTRARE PIENAMENTE NELLA FEDE (Estratto dall'opera di mons. Delassus "Il Problema dell'ora presente" Tomo II°)


Le Play
Il 19 marzo 1859 Le Play esprimeva questa speranza: "Se, come io temo, non siamo usciti dalle
prove che si merita ogni popolo che ha abbandonato la religione e lo spirito di famiglia, al primo
cataclisma nascerà la tendenza di cercare i mezzi di salute".(1)
Il cataclisma aspettò undici anni a prodursi, e fu terribile. Si manifestò allora, come Le Play l'aveva
previsto nella massa della nazione, una tendenza a cercare i mezzi di salvezza; ma i mezzi scelti non
furono di quelli che vanno alla radice del male. Ben presto, esso riprese vigore, si sviluppò più del
solito, ed oggi un nuovo cataclisma assai più distruggitore sembra inevitabile.
Dopo questa catastrofe - se assolutamente non ci uccide l'ordine sociale, meno che mai, potrà essere
ristabilito, se non si ritorna ai dogmi che hanno illuminato la culla della nostra civiltà ed hanno
presieduto a' suoi svolgimenti.
Il cristianesimo aveva condotto i Francesi mercé le comuni credenze al possesso d'una stessa verità.
I costumi, poi le leggi e le istituzioni vi si erano conformati. Quando venne rotta l'unità di credenza,
anche i costumi presero a mutare. Gli uni continuavano a voler meritarsi il cielo, gli altri cercarono
quaggiù la loro felicità, le leggi si modificarono nel senso di questi ultimi: furono distrutte le
antiche istituzioni; la Rivoluzione mise al potere uomini che ressero la società come se Dio non ci
fosse, come se la legge divina non esistesse, come se tutto emanasse dall'uomo e dovesse essere per
l'uomo e per l'uomo di quaggiù.
D'allora in poi niente rimase di stabile, né nella società, né nelle anime; coll'idea di Dio, si è perduta
l'idea dell'uomo. Non si seppe più perché egli sia sulla terra, né in quale stato si trovi. Si dimandò a
che cosa servono le grandi istituzioni, la religione ed il potere, la gerarchia e la proprietà; si perdette
l'intelligenza della loro necessità, e così fu posta la questione che al giorno d'oggi agita le masse:
Non sarebbe bene distruggere tutto questo?
Ecco dove siamo arrivati.
Nel 1899, il 6 agosto, M. Le Play, che vedeva quasi imminente la catastrofe da lui annunciata dieci
anni prima, scriveva: "Per conto mio, non dubito che la Francia non esca dalla triste situazione in
cui è caduta a poco a poco da ben due secoli. Non so come la cosa si farà, ma si farà certamente. Per
questo è necessario che i buoni lavorino a rinnovare le convinzioni nazionali con imperturbabile
spirito di sacrificio, quando anche la riuscita si facesse molto tempo aspettare. La condizione di
salute sta in ciò che la pazienza si unisca al sacrificio ... La via falsa che ci conduce all'abisso è
aperta dal disprezzo del passato; il rimedio consisterà nel ristabilire il rispetto dovuto al passato".
Possiamo noi nutrire nei nostri cuori la stessa fiducia? Il male si è aggravato assai più di quello che i
saggi poteano prevedere; e ciò malgrado la terribile lezione che ci fu data, conformemente alle
previsioni che essi ne aveano avute. Che che ne sia, le condizioni di salute rimangono le stesse e la
loro applicazione è divenuta altrettanto pressante.
Perché la Francia - e si può dire il mondo, poiché esso è interamente fuori di strada, - abbia ancora
un avvenire, è mestieri che la civiltà sia ritemprata nel suo principio, cioè nel cristianesimo; è
mestieri che la fede cristiana rientri nelle anime; non in qualche anima, ma nella massa.
Waldeck-Rousseau ha chiesto il ristabilimento dell'unità morale della nazione, ed è a questo che i
Combes pretendono di lavorare. Vogliono distruggere ogni insegnamento di dottrina cristiana, ogni
idea cristiana, affinché l'unità morale si rifaccia nel libero pensiero.
Sicuramente bisogna ristabilire l'unità morale della nazione. Non vi è nazione senza vincoli fra gli
individui, e la comunanza di pensieri e di sentimenti è il primo di tutti, quello da cui derivano gli
altri.
Ma è poi nel libero pensiero che può attuarsi questa unione? Chi dice "libero pensiero" dice
necessariamente divergenza e disunione, opposizioni e lotte. Dal momento che non esiste più nelle
anime una verità sovrana che produca credenze comuni, da cui derivino comuni doveri, ma al
contrario opinioni individuali, che scaturiscono dalla sovranità di ciascuno, nessuna società
potrebbe conservarsi.
Si dirà che il libero pensiero rifaccia l'unità nell'ateismo verso il quale convergono le anime sciolte
dai vincoli della fede? È infatti a quest'unità che i Waldeck-Rousseau, ed i Combes vogliono
condurre la società reclamando l'unità morale della nazione al di fuori o contro il cristianesimo. Ma
non si vedono già i costumi che quest'unità appena abbozzata ci offre, la civiltà che produce, le
sofferenze che cagiona, le sciagure che ha prodotto e che farà aumentare? Non è dunque nel libero
pensiero che deve farsi l'unione.
Ascoltiamo Waldeck-Rousseau, lavoriamo a ricondurre nella nazione l'unità morale, ma nella
verità. Affermiamola sempre e dappertutto, affermiamola tanto più altamente quanto essa è più
audacemente negata e combattuta dal nemico. Havvi nell'ostinata affermazione che niente
scoraggia, una virtù che tosto o tardi trionfa. Non la si vede nel progresso che fa l'errore per
l'audacia stessa di coloro che lo proclamano? Voltaire non li ha punto ingannati, allorché
incoraggiando i suoi a mentire, loro assicurava che qualche cosa ne resterebbe sempre. E noi che
abbiamo la verità, crederemo di servirla col nasconderla? che dico? col prendere a prestito il manto
dell'errore da quei medesimi che dobbiamo illuminare e salvare?
Seguiamo piuttosto il consiglio di Leone XIII; comprendiamo che la nostra migliore e più solida
speranza di guarigione sta nella virtù di quella religione divina che i framassoni tanto odiano,
quanto più la temono, e che è necessario che noi facciamo di essa il punto centrale di resistenza
contro il nemico comune.
La vera teologia, in tutta la sua forza ed in tutto il suo candore, ridivenga dunque la luce che,
brillando in tutti i nostri discorsi ed in tutti i nostri scritti, dissipi le tenebre dell'errore e mostri alle
anime sincere la via della salute.
"Fa mestieri usar condiscendenza? - dimandava Bossuet. - Non è una dottrina evangelica che
bisogna adattarci all'infermità umana? Sì, è necessario - rispondeva egli - ma ecco lo spirito vero
della condiscendenza cristiana: esso deve essere nella carità, e non nella verità. Cioè, bisogna che la
carità compatisca, e non che la verità si rallenti e ceda".(2)
Comprendiamo e facciamo comprendere che si tratta d'essere cristiani o di perire. Essere cristiano o
non esserlo - disse Channing - ecco l'enigma del mondo moderno. Niente di più vero, purché questa
frase sia presa nel suo vero senso; essere in tutto vero discepolo di Gesù Cristo. Il battezzato dei
nostri giorni si dice cristiano, vuol essere trattato da cristiano, ma vuole poter vivere da pagano. Ei
cerca la felicità pagana, cioè la soddisfazione dei desideri terreni. Il Vangelo aveva rivelato una
forma superiore di felicità nel sermone di Gesù sul monte. Egli aveva dato all'uomo un'idea nuova,
che aveva cambiato l'orientamento del pensiero umano e dell'incivilimento: il regno di Dio
comincia in questo mondo ed ha il suo ultimo fine nell'altro. A questo bisogna ritornare. Se
l'umanità non riprende il giogo di Cristo, il giogo dell'uomo, già sì pesante, peserà ancor più sulle
sue spalle, e ciò necessariamente, perché là dove si rallenta il freno interiore della legge divina che
s'impone alla coscienza, il freno esteriore della forza pubblica si restringe sempre più.
È dunque urgente ritrarre il popolo dai falsi lumi, dai vani barlumi del Rinascimento, dalle fiamme
divoranti della democrazia, che presentano e fanno sperare come possibile il paradiso su questa
terra.
Per ciò ottenere, fa mestieri che ognuno di noi cessi di pensare, di parlare e di agire come se il
presente fosse il tutto per l'uomo. "Lo si tenga bene a mente, e non si cessi di dirlo e di ridirlo -
scriveva M. Le Play, nel marzo 1871 - il male non viene solamente dagli ignoranti, dai traviati, dai
poveri che formano l'esercito dei comunisti, esso viene principalmente dai padroni che danno il
cattivo esempio ai servitori, dai ricchi che non compiono il loro dovere verso i poveri, e verso il
paese, dagli industriali che arricchiscono in mezzo ad una spaventosa depravazione delle masse
degradate, dalle municipalità che impiegano le migliori campagne a moltiplicare città malsane,
attirarvi tutta la corruzione dell'Occidente, dai governi che meditano e provocano guerre ingiuste,
dai sapienti e dai letterati che da cent'anni vanno propagando i sofismi di Rousseau sulla perfezione
originale, infine dalle persone oneste le quali, non avendo da rimproverarsi questi misfatti, e
prestando pure la loro adesione ai principii eterni del bene, conservati dalla pratica delle autorità
sociali, restano inerti e rifiutano ogni cooperazione per diffonderli intorno a loro".(3)
Il socialismo, che non è, dopo tutto, se non la caccia disordinata dei beni di questo mondo "è nella
borghesia prima di essere nel popolo", ha detto de Saint-Bonnet. Ed aggiunge: "È più difficile
soffocarlo in essa che nel volgo".
Che fare per soffocarlo in essa e nel popolo?
Non vi è altro mezzo che ritornare alla teologia.
Che dice essa? Che noi siamo creature di Dio, che il primo dovere è di adorarlo, amarlo, servirlo;
che siamo posti sulla terra per meritarci il cielo; che siamo decaduti e feriti nella nostra intelligenza
e volontà; che nostro Signore Gesù Cristo ha messo nella Chiesa, nei suoi insegnamenti e nella sua
disciplina i mezzi di rialzarci individualmente e di far progredire la società nelle vie
dell'incivilimento.
Convincersi di queste verità, rendere al dogma tutta la sua autorità, persuaderci ad accettarne tutte le
conseguenze e farne la regola della vita individuale e sociale: ecco ciò che necessita di fare. Con
ciò, e con ciò solamente, il mondo può essere rimesso nelle vie dell'ordine, della pace e della
prosperità. Come dice de Saint-Bonnet: "Per rialzare. di nuovo la ragione presso i popoli e frenarne
gli appetiti, è necessaria niente meno che tutta la potenza del cristianesimo". E aggiungeva: "Colui
che oggi proclama la verità per metà, fa più male di colui che risolutamente la sbandisce. Al punto
in cui sono gli animi e si trova la civiltà, è necessaria la verità integrale".(4)
O la Fede o l'Io. O l'impero del cristianesimo intieramente rialzato nelle anime e nella società; o
l'orgoglio, l'invidia e tutte le passioni che l'egoismo racchiude e la Rivoluzione scatena, e l'intera
ruina che cagioneranno. Il socialismo, che è l'ultima formula delle passioni umane, ha accesso negli
animi in proporzione della mancanza di Fede. Non vi uscirà che scacciato dalla Fede.
Senza dubbio, ristabilire la fede non è opera di un giorno, e le genti desiderose del bene hanno
cercato una via più breve; hanno creduto di trovarla nella democrazia cristiana che vuol acchetare le
cupidigie con parole e promesse che non può mantenere. Gli avvenimenti che si precipitano
termineranno col dimostrare che tutto quello che non è la franca e piena verità religiosa non può
nulla sul cuore dell'uomo, non può nulla per rimettere la società nelle sue vie.
Questi stessi avvenimenti faciliteranno la risurrezione della Fede. Disporranno i cuori disingannati a
riceverle, e Dio, che è buono e misericordioso, susciterà apostoli che predicheranno la verità più
colla pratica della loro vita che colla parola.

Note:

(1) Le Play, dalla sua Corrispondenza, p. 308.
(2) Bossuet, Sull'odio della verità, t. III, p. 683.
(3) Le Play, dalla sua Corrispondenza, pp. 428, 429.
(4) All'epoca del concilio Vaticano un uomo la cui onoratezza non può venir messa in dubbio,
Eugenio Taconet, allora direttore del Monde, pubblicò una conversazione ch'egli ebbe con uno dei
capi della framassoneria. "Il nostro piano, gli avea detto il suo interlocutore, era stato dapprima
d'impedire la riunione del concilio, ciò che sarebbe stato facile, ma bentosto ci accorgemmo che
lungi dal guadagnarne per la nostra causa, noi l'avremmo grandemente compromessa: suscitando
l'opposizione dei governi, la cui cooperazione ci è assicurata, avremmo suscitato l'attaccamento dei
popoli al Papa ed alla Chiesa.
"Avremmo specialmente perduto l'appoggio prezioso che troviamo da molti anni in un partito
potente, che è come intermediario fra noi e la Chiesa, il Partito cattolico liberale. È un partito che
teniamo in gran conto, e che serve alle nostre viste più che non pensano gli uomini più o meno
eminenti che gli appartengono in Francia, nel Belgio, nella Germania, in Italia e fino in Roma
attorno ai Papa stesso". (Veder questo testo ed il suo seguito nella Storia di Pio IX dell'abate
Pougeois, vol. V, p. 377 e seg.).
Pio IX nel breve che indirizzò nel 6 marzo 1873 al Circolo di Sant'Ambrogio di Milano, parlando di
coloro che "si sforzano di stabilire un'alleanza fra la luce e le tenebre per mezzo di dottrine chiamate
cattolico-liberali", diceva parimenti: "Questi uomini sono più pericolosi e funesti che i nemici
dichiarati, poiché ne assecondano gli sforzi senza farsi osservare. In vero, tenendosi per così dire sui
limiti delle opinioni condannate prendono l'esteriore d'una dottrina senza macchia, seducono così
gl'imprudenti amici della conciliazione ed ingannano le persone oneste, le quali, altrimenti, si
opporrebbero con fermezza al loro manifesto errore. In tal modo, dividono gli animi, rompono
l'unità ed affievoliscono le forze che bisognerebbe riunire per rivolgerle tutte unite contro il
nemico". Pio IX parlò nello stesso senso alla federazione dei circoli cattolici del Quimper d'Orléans,
ecc.
Così Pio IX si trovò d'accordo col capo dei framassoni citato da Taconet, per dire che la dottrina
cattolico-liberale è il più potente ausiliario degli errori che la framassoneria vuol diffondere nel
mondo. Certamente, l'accordo di quelle due autorità partite da punti si opposti è proprio fatto per
imporsi all'attenzione degl'intelligenti meno facili a convincersi.