mercoledì 13 maggio 2015

COME NEL 48 (Estratto dall'opera di mons. Delassus "Il Problema dell'ora presente" Tomo II°)


I democratici cristiani hanno preso quale bandiera il principio della politica rivoluzionaria. Essi
vorrebbero liberarlo dal suo veleno. È però difficile conservare le parole e ripudiare la cosa, poiché
le parole ricordano e confermano la cosa stessa. Perciò i democratici cristiani fanno la parte più
pericolosa che si possa scegliere. Senza cadere fino al fondo dell'errore, vi attirano gli altri. Essi vi
fanno discendere sopratutto i giovani ai quali specialmente si rivolgono e che non hanno ancora
acquistato né la scienza né l'esperienza che potrebbero preservarli dall'errore.
Possa la verità cattolica dissipar presto le nubi sopra di essa accumulate! Non si vedranno più allora
le anime di buona volontà esaurirsi in vani sforzi.
Luigi Veuillot 
Nell'ottobre del 1848, l'Ami de la Religion pubblicò tre lettere a lui indirizzate(1) che divennero,
dice Luigi Veuillot nelle sue Mélanges, il programma di tutti i cattolici della Francia. Le due prime
erano del conte di Montalembert, la terza "d'una intelligenza eminente che segue da lungo tempo e
dall'alto il corso degli avvenimenti". Essa è firmata A. T.
Ecco secondo Luigi Veuillot quale ne fu l'occasione: "L'Ere nouvelle fu fondata nel 1848, nel mese
di aprile coll'intento di ravvicinare i cattolici ai democratici. Gli uomini distinti che dirigevano
questo giornale aveano ottime intenzioni, ma il loro fine ci appariva chimerico, ed alcuni dei loro
ragionamenti ci sembravano pericolosi. Il loro principale assioma ci faceva paura. Dicevano: Il
cristianesimo è la democrazia stessa. Piena di entusiasmo repubblicano, l'Ere nouvelle moltiplicava
gli attacchi contro i retrogradi, i seguaci del passato ecc. Infine il signor di Montalembert credette
conveniente di parlare. Con una energia pari al buon senso combatté i sentimenti che si volevano
introdurre fra i cattolici.(2)
Ecco intanto la parte principale della lettera dei sig. A. T. "Ognuno lo comprende, i pericoli della
Chiesa oggidì sono grandi, e tutto il coraggio e l'intelligenza dei cattolici non sono troppi per
iscongiurarli. Sarebbe poco sicuro l'aver una fede oziosa alle promesse d'immortalità, che Dio ha
fatto al cristianesimo. Queste promesse, valevoli pel corpo intero della cattolicità, non possono
esserlo per le Chiese particolari, se non alla condizione che tutti i fedeli riuniti come un sol uomo
alla voce dei loro pastori impugnino valorosamente la spada e lo scudo per respingere gli attacchi
del nemico. Solo a questo prezzo la religione di Gesù Cristo uscì trionfante dalle lotte che da ben
diciannove secoli ha dovuto sostenere...
"O io m'inganno, o la Rivoluzione del 1848 non prepara alla Chiesa di Francia le medesime prove
che ha subìto nel 1793 ...
"Ma il grande equivoco che ognun conosce, era nascosto nella culla di questa rivoluzione, e non
tardò punto a manifestarsi. Nel mentre che i repubblicani, propriamente detti, trionfavano nel vedere
finalmente realizzarsi il loro ideale ..., altri, che nutrivano una più lunga speranza e più vasti
pensieri, non aspiravano, nientemeno, che a rifare da cima a fondo l'edificio sociale ed a modellare
la natura umana con un'argilla diversa da quella onde l’ha plasmata il Creatore. Per costoro
l'avvenimento della Repubblica era il parto immediato. di questi nuovi cieli e di questa nuova terra
promessa dall'Apostolo alla terra rigenerata".
L'illusione è ritornata colla terza Repubblica, più potente e condivisa da un numero maggiore. Si
tratta sempre di rifare da cima a fondo l'edificio sociale, e punto non si osserva che i piani per ciò
stabiliti, le soluzioni alle quali si vuol giungere, suppongono una natura umana differente da quella
creata da Dio o almeno differente da quella ridotta dal peccato.
Quello che più inquieta si è che l'illusione è condivisa da molti di quelli che dovrebbero essere più
potentemente premuniti contro di essa.
È ciò che il sig. A. T. già deplorava nel 48.
"Io qui metto il dito - continua egli - su ciò che vi ha di più vivo e di più delicato rispetto a quello
che voglio dire: ma ve lo metto senza esitazione e senza timore: perché mi sembra che, su questo
punto, un laico a cui sono cari gl'interessi della Chiesa, può usare una libertà di linguaggio che forse
sarebbe difficile ad un prete.
"Vi sono molti gradi nel socialismo, e sebbene l'inflessibile rigore della logica faccia assai
facilmente approdare i diversi sistemi ad una medesima assurdità, tutti nondimeno, al primo aspetto,
non si ribellano del pari al buon senso ed alla morale. Diciamolo pure, alcuni dei nostri moderni
riformatori, amici sinceri dell'umanità, e credenti in buona fede ai sogni di felicità che per essa
producono, hanno nel loro linguaggio qualche cosa che singolarmente seduce le anime semplici e
generose. Come gli antichi sofisti di Alessandria che mescolavano nel loro insegnamento la lingua
di Platone e quella del Vangelo, rubano al cristianesimo una parte de' suoi dogmi e de' suoi precetti,
non aspirando, dicon essi, che a completarli per meglio assicurarne il regno sulla terra. Depositarii
della pienezza della verità sociale, son dessi che devono togliere all'uomo l'ultimo anello della sua
catena e far fruttificare quaggiù questa grande dottrina dell'uguaglianza e della fraternità umana
donata al mondo da Gesù Cristo, il cui germe però, mal fecondato, ha bisogno di ricevere il suo
sviluppo".
Non è quello che si ascolta e si legge al giorno d'oggi? Tutta la differenza sta nello stile.
"Non mi disapproverete, o signori, se aggiungo che queste strane novità fanno proseliti ogni giorno,
e che molte intelligenze, senza accettare a tutto rigore le formule dei socialisti, senza arrivare fino al
fondo delle sue fantastiche aspirazioni, s'imbevono fino ad un certo grado, del suo spirito, adottano
il suo linguaggio ed ardentemente desiderano qualche cosa di sconosciuto che il nostro secolo deve
realizzare pel bene dell'umanità. Si protesta molto ingenuamente contro le stravaganze di certi
novatori più temerari, ma si esagerano nello stesso tempo i mali inveterati dell'ordine sociale, lo
sfruttamento dell'uomo per mezzo dell'uomo stesso, la ributtante ineguaglianza delle ricchezze, e la
diseredazione secolare del massimo numero di figli a profitto dei primogeniti. Si va a cercare nel
Vangelo il solenne anatema: Vae vobis divitibus! e falsamente gli si dà in questo mondo la terribile
importanza che ha nell'altro. Ricordando continuamente al povero la sua naturale eguaglianza col
ricco, parlandogli de' suoi diritti sul superfluo dell'opulenza, si eccita la sua cupidigia, lo si nutrisce
di odio e di orgoglio; e con ciò lo si inizia alla pratica dei dogma della fraternità!
"Infine, non è lo stesso testo apostolico: Et erant illis omnia communia, neque erat quisquam egens
inter illos, che si torce contro lo stato attuale della società, che si dà per fondamento alla città
novella che dovrà accogliere, nel suo recinto ideale, tutti gli uomini divenuti fratelli? E dove si
dicono queste cose? È solamente in qualche clubs? ..." .
I democratici cristiani del 48 non hanno veramente lasciato nulla da inventare ai democratici
cristiani dei giorni nostri.
Fa d'uopo piangere, ma non meravigliarsi. Come, nel clero stesso, tutte le teste sarebbero state tanto
forti per dottrina e per esperienza da resistere allo sconvolgimento d'una sì prodigiosa evoluzione?

Come il testo evangelico avrebbe potuto spandere una luce sì pura in tutte le intelligenze in modo
che nessuna si lasciasse traviare da fallaci commenti? Come offrire alle giovani immaginazioni il
fantasma brillante dell'eguaglianza universale, senza sedurne almeno alcune? Come il nostro secolo,
solo fra tutti i secoli, avrebbe avuto questo privilegio, che perverse dottrine incessantemente
predicate non trovassero in alcuni individui i cattivi istinti che vi corrispondono, e producono gli
scismi e le eresie?"
Infatti, se vi è una ragione di meraviglia per coloro che ignorano la storia e conoscono la natura
umana, si è che il fascino, nelle condizioni in cui si è prodotto ai nostri giorni, non sia più potente, e
la seduzione più generale.
L'autore della lettera esorta poi i redattori dell'Ami de la Religion a scongiurare questo male e quindi
ad applicarsi a ristabilire i punti del dogma oscurati dall'errore, spiegare la verità sociale, quale il
cristianesimo l'ha promulgata attraverso i secoli, interpretare il senso legittimo dei precetti
evangelici nella loro applicazione all'organamento delle società umane. "Nessun dovere - egli dice -
è più serio e più importante. Se le dottrine democratiche e sociali, proclamate oggidì da tante
bocche sospette, venissero a ricevere dalla predicazione ecclesiastica una specie di consacrazione
agli occhi dei popoli, sarebbe egli possibile calcolare quali ne sarebbero le funeste conseguenze?
Che ne sarebbe della Chiesa? Che ne sarebbe della società ? Tutti coloro che mi leggono
completeranno qui il mio pensiero".
Il Conte di Montalembert
Il conte di Montalembert dopo di aver felicitato l'Ami de la Religion per l'aggiunta di nuovi redattori
e dopo averlo incoraggiato ad estendere il suo disegno diceva:
"Tuttavia, voi dovete comprenderlo, non è la critica letteraria, né l'archeologia. né la filosofia, né la
politica stessa che devono reclamare il primo posto nelle vostre preoccupazioni. Se non m'inganno,
la Chiesa corre oggidì un considerevole e nuovo pericolo che gli scrittori cattolici hanno la speciale
missione di denunciare, di prevenire e di combattere.
"La società, ognun lo sa, non ha al giorno d'oggi peggior nemico che il socialismo ... Se il contagio
socialista giungesse ad invadere i figli della Chiesa, se una parte della nostra gioventù cattolica
avesse la disgrazia di aprire la sua mente ed il suo cuore a queste fallaci dottrine, allora veramente il
male potrebbe sembrare irreparabile, ed altro non ci resterebbe che piangere sulle rovine d'una
società condannata a morire fra le strette d'una incurabile anarchia".
Dopo aver enumerate "le temerità dei novatori, dei presuntuosi, degli utopisti, diciamo la parola, dei
pazzi", egli fa osservare che il grande pericolo di queste follie proviene "dall'abuso sacrilego ed
ipocrita che si fa della religione, mescolando alcune frasi della dottrina cristiana ed il nome stesso di
nostro Signore alla predicazione di questi fatali errori".
"Perché - dimanda egli nella seconda lettera - perché è necessario che tali aberrazioni abbiano
trovato fra noi, non certamente dei complici, ma talvolta dei gonzi e più spesso ancora degli
istrumenti involontari?
"Perché è necessario che uomini, molti dei quali sono cari ai cattolici per le loro virtù, pel loro
carattere, pei loro talenti e per la loro eloquenza, abbiano creduto, per meglio servire la democrazia,
alla quale si sono votati, di poter prestare un concorso indiretto alla propagazione di alcuni di questi
funesti errori?".(3)
Quello che dicevano questi gonzi, quello che voleano persuadere questi istrumenti involontari, ciò
che Montalembert come A. T. aveano inteso, è quello che oggi si dice. "Il cristianesimo è la
democrazia stessa". "La Repubblica comincia dal Calvario". "La Rivoluzione francese deriva dal
Vangelo". De Saint-Bonnet aveva letto quest'ultima asserzione, ed esclamava: "Una simile frase
scritta negli inizii del cristianesimo democratico, dà la chiave dell'errore che tutto l'involge. Egli
discopre nel medesimo tempo il pericolo grave dell'epoca". Poi ripigliava: "Uscita dal Vangelo? Sì,
quanto alle parole; quanto alle cose, la Rivoluzione francese esce dall'orgoglio giunto a maturità
durante il secolo XVIII". Ed infine: "Questo cristianesimo democratico tutto distruggerà se prende
forza. Esso si appropria tanto di verità che basti per dissimulare ogni errore e soffocare
definitivamente ogni verità".
De Saint-Bonnet
Si era allora nel 1850. La febbre rivoluzionaria si calmava, perché se ne erano visti i pericoli. De
Saint-Bonnet, nel constatarlo, diceva:
"Se si pervenisse ad unire lo spirito rivoluzionario collo spirito religioso, a maritare l'orgoglio colla
verità, la sarebbe finita per sempre per la nostra civiltà. Ecco il gran pericolo. Bisogna che Dio
abbia messo sotto la sua protezione speciale la civiltà per preservare il nostro clero dall'errore il più
contagioso, ed il più terribile che mai sia comparso. Uno spirito superiore, sovranaturale,
miracoloso, lo Spirito Santo solamente l'ha potuto guidare! Ogni epoca ha la sua eresia, una ne
nasce in tutti i passi che fa il cristianesimo, perché l’Io lo segue per contraffarlo. Ma qui si toglie il
fondamento stesso del cristianesimo, lasciandogli l'aspetto ed il nome. L'anima prova un fremito ...
e bisogna in questi tempi non ammirare che una cosa sola: l'ispirazione divina della Chiesa, ed il
buon senso profondo del nostro umile clero".
Potessimo noi aver il contento di far la stessa constatazione dopo la crisi attuale assai più estesa,
assai più profonda che quella del 48!
Oggi si è udito parlare senza grande meraviglia dello "spirito nuovo della Chiesa"(4) e della
"evoluzione della Chiesa";(5) si è annunciata la sua conversione;(6) si è detto che se la intenderebbe
col socialismo, e che questo accordo si farebbe sul terreno della proprietà: "Chissà - disse Naudet -
che non sia precisamente sulla questione della proprietà che si operi fra socialisti e cattolici una
riconciliazione che sta nella forza delle cose, non essendo il socialismo, secondo la frase di un gran
vescovo americano, che il Vangelo inacidito?"(7)
Vangelo inacidito, il socialismo! Il socialismo sarebbe dunque la dottrina di Cristo, salvo la sua
agrezza e l'acidità che un'opposizione intempestiva gli ha fatto contrarre. Se ne liberi, o gli venga
levata, ed esso si mostrerà quello che è: il puro Vangelo!(8)
Bisogna dirlo: i nemici della Chiesa hanno, assai più che i democratici cristiani, l'intelligenza della
questione che sta nel fondo della situazione attuale del mondo.
Tra i cattivi libri che pubblicò Michelet, havvene uno intitolato: I Nostri Figli. "Questo volume -
dice Edmond Biré - è la Bibbia dei repubblicani, di tutti quelli che sanno qualche cosa e che sono i
pastori del gregge volgare. Per loro è il solo Libro per eccellenza". Che dice egli?
"È mestieri esaminare, approfondire il nostro principio, la fede per cui si combatte, il fondo della
nostra vita politica e religiosa. La nostra marcia sarà indecisa se questa idea vacilla: bisogna
fissarla, saper per bene ciò che vogliamo, prendere un partito".
Qual'è questo fondo? qual'è questa idea politica e religiosa? eccola:

"Non havvi peccato originale. Il bambino nasce innocente, e non anticipatamente segnato col
peccato di Adamo. Il mito empio, barbaro, sparisce. Al suo posto solidamente si fondano la
Giustizia e l'Umanità".
Riguardo al dogma cristiano presentato in questo libro nella maniera più esosa, Michelet erige
quest'altro dogma:
"La libertà dell'uomo è stata formulata, promulgata sovranamente dalla Rivoluzione francese ...
"Dunque due principii uno di fronte all'altro: il principio cristiano, il principio dell'89.
"Quale conciliazione? Nessuna.
"Il pari ed il dispari non si conciliarono mai; non mai il giusto coll'ingiusto, né l'89 coll'eredità del
delitto.
"La conseguenza è dunque che, fin dalla culla, partirono per la vita due strade assolutamente
contrarie. L'educazione sarà diversa e del tutto opposta, secondo che si parte dal vecchio o dal
nuovo principio".
Pierre Waldeck-Rousseau
È quello che disse Waldeck-Rousseau nel suo discorso di Tolosa; e queste parole bastano a dare
l'ultima ragione di tutto ciò che, da un secolo, è stato intrapreso contro la Chiesa.
Che cosa fanno i democristiani assegnando al popolo la conquista della libertà e dell'eguaglianza
come termini de' suoi sforzi? Dimenticano, anch'essi, "il nostro principio, il fondo della nostra idea
religiosa, la fede per la quale noi dobbiamo combattere". E quando essi dicono di voler così
ristaurare "il puro Vangelo" e ricondurre il regno di Gesù Cristo, danno materia ai motteggi di
questo medesimo Michelet.
"Immaginate - egli dice - un centro di strade ferrate, donde parte il Nord per Lilla, il Mezzodì per
Bordeaux. Chi sarà lo stolto che creda che queste vie si riuniranno? Esse divergono. Più corrono e
più s'allontanano una dall'altra. Guardate dunque prima che si dia il segno della partenza. Scegliete
bene il vostro vagone".
Il principio della civiltà cristiana è l'esistenza del male nel cuor dell'uomo e la necessità dell'autorità
per combatterlo e per stabilire il regno della virtù. Il principio della civiltà rivoluzionaria, è
l'immacolata concezione dell'uomo e il suo diritto alla libertà ed all'eguaglianza. Ecco le due vie:
"esse non sono soltanto differenti; ma bensì due linee divergenti che devono, allontanandosi
sempre, divergere fino all'infinito".
Sperare l'incontro, sperare la conciliazione, la fusione delle due civiltà e aspettarne l'attuazione nella
vita dei popoli "del puro Vangelo" e del regno di Cristo, è la più inconcepibile delle illusioni.
Concludiamo. Se la democrazia cristiana non volendo tener conto della caduta originale, continua a
reclamare la libertà, l'eguaglianza e la sovranità del popolo, ci condurrà all'abisso, al pari della
democrazia sociale, e quella più sicuramente di questa, perché, professando la fede cristiana inspira
fiducia a coloro pei quali il socialismo, nella sua crudezza, è un oggetto di orrore. Le Play aveva
ragione di dire che non havvi se non un mezzo per impedire alla Francia - e possiamo aggiungere
alla società cristiana - di perdersi, ed è di parlar alto e franco, e di mostrare aperto l'abisso in cui la
conducono le persone piene di buone intenzioni, ma vittime di stranissime illusioni.
Dal momento che si valicano i confini della teologia, delle sue affermazioni intorno all'uomo, si
cade nel socialismo.(9) Non havvi via di mezzo: l'uomo nato buono ha diritto evidentemente alla
libertà, alla eguaglianza ed a tutto ciò che l'utopia richiede.
Il catechismo nelle masse, la teologia nelle classi istruite: soltanto a questo passo si può ottenere la
salute.

Note:

(1) Tomo 139, pp. 180 a 183, 223 a 229, 267 a 271.
(2) Mélanges, 1e série, t. III, p. 477. - La Revue de Paris pubblicando nell'ottobre 1897 le lettere
inedite di Lamennais scritte nel 1832 e 1833, che ricevette dal Visconte di Meaux, non esitava di
vedere in Lamennais il padre dei democratici cristiani. Eugenio Forgues diceva in fronte di questa
pubblicazione:
"Da questa duplice lettura risulta una volta di più, e con una evidenza ancor più luminosa, la
manifesta necessità delle riforme proposte non ha guari da Lamennais e che egli fu impotente a far
prevalere contro l'avversione dell'episcopato contemporaneo. Le condanne pronunciate contro di lui
or sono sessant'anni, non hanno potuto arrestare il movimento di cui egli fu l'iniziatore. e che, ai
nostri giorni, terminò coi tentativi più o meno diretti di ciò che si è convenuto di chiamare il
"socialismo cristiano". Sicuramente si può ammettere che l'autore dell'Enciclica De conditione
opificum, avesse esitato a condannare Lamennais. Egli stesso, tutt'al più, prevedeva la
rivendicazione futura delle idee. "La nostra parte è ormai compiuta - scriveva egli a Montalembert -
abbiamo sparso dei semi che un giorno fruttificheranno. Solo al tempo s'appartiene di svilupparli, di
maturarli". Se il prossimo avvenire risponde alle speranze dell'apostolo della Chenaie, le lettere che
si vanno leggendo avranno per lo meno il risultato di segnalare il posto che gli è dovuto nel finale
trionfo della verità.
Simili pensieri sono stati cento volte espressi dagli stessi democratici cristiani. Basta citare la
prefazione posta in capo alla notizia biografica dell'abate Lemire nella collezione Le clergé
contemporain, edita da uno di loro: "Da un secolo la Chiesa di Francia si è tenuta in disparte nei
profondi movimenti del pensiero contemporaneo. La voce stessa dei Lamennais, dei Montalembert
a mala pena poté farsi strada ed il più grande di questi riformatori fu miserabilmente fatto tacere per
aver voluto troppo presto il movimento che deve un giorno salvare presso di noi il cristianesimo".
(3) In Montalembert, secondo il suo giornale e la sua corrispondenza, il P. Lecanuet disse: "Quanto
alla democrazia, Montalembert non l'ama". Al signor Foisset che dichiarava la democrazia bella e
desiderabile, Montalembert rispondeva: "Dove si trova essa? Perché attaccarsi a questo sogno?"
Egli diceva che la democrazia si confondeva da sé colla demagogia. "Le avete voi mai viste
separate in Francia? La democrazia non finisce per cadere nel radicalismo o nel socialismo? La
democrazia quale io la conosco è irritabile, cieca, gelosa, stoltamente fautrice dell'eguaglianza. Io
non pavento l'eguaglianza, ma non voglio l'eguaglianza nell'abbassamento". Tom. II, p. 383.
(4) Riforma sociale, 16 sett. 1894.
(5) Evolution politique et sociale de l'Eglise per Eugenio Spuller.
(6) La conversion de l'Eglise, per Paolo Desjardins. - L'abate Romolo Murri crede che sia già
avvenuta. All'indomani del congresso del libero pensiero a Roma, protestò nella Cultura sociale
contro l'indignazione manifestata dai cattolici per l’oltraggio inflitto alla santità di Roma dicendo: "I
cattolici se vogliono lottare efficacemente contro i loro avversari, farebbero molto meglio di
mostrare che la Chiesa, contro la quale se la prendono i liberi pensatori e i framassoni, è oggi un
fantasma; che il cattolicismo non è più quella religione oscurantista e intollerante che dipingono i
suoi nemici; che è incompatibile con ogni progresso civile, con tutte le libertà legittime; ch'esso non
sogna ristaurazioni inattuabili, che lascia piena libertà alla cultura ed alla critica; breve, che la
religione bene interpretata e ben compresa, non rappresenta in verun modo l'antitesi della scienza e
della ragione. Il giorno in cui una simile dimostrazione divenisse evidente, il che non dipende che
dai capi dirigenti della Chiesa, siate persuasi che il libero pensiero perderebbe la maggior parte de'
suoi adepti".
(7) L'Action sociale des Catholiques. Etudes sociales et économiques, 20 febbraio 1894.
(8) Il socialismo ed il cristianesimo, fu detto ancora, sono "i due raggi d'un medesimo sole" tutti e
due traggono la loro origine dallo stesso pensiero, dallo stesso principio.
(9) In una conferenza tenuta a Flémalle-Grande, nell'ottobre 1893, l'abate Pottier diceva: "Ogni
volta che si troverà un'occasione pei democratici cristiani di unirsi coi socialisti in vista della
conquista d'un bene determinato (questione di salario, per esempio), l'unione si farà e gli operai dei
sindacati cattolici vi saranno fedeli". Parole citate nel Bilan de la Démocratie liégeoise, p. 8.