mercoledì 8 aprile 2015

I PIANI ANGLO FRANCESI PER LA PACE SEPARATA DELL'ITALIA DOPO CAPORETTO E LA GUERRA DEL CARBONE

Questa non è un'ucronia ma la pura e sacrosanta realtà.
Sir Reginald Blinker Hall, dalla sua “Room 40”, direttore del servizio informazioni britannico, aveva realizzato un memorandum per i funzionari del ministero della guerra, nel quale spiegava che la strategia nemica era quella di colpire l'Intesa tramite l'anello più debole dell'Allenza. La prima misura, fu di inviare 11 divisioni franco britanniche in Italia, per un totale di circa 130 mila uomini oltre ad autisti, infermieri e vario personale ausiliario. I due monitori Thomas Picton ed Earl of Petersborough che in precedenza avevano appoggiato la 10° ed 11° battaglia dell'Isonzo dalla Sdobba, furono portati nella laguna di Venezia a difesa, con le prime linee nemiche a 4-5 km di distanza.
Gli italiani prevedevano un'azione navale austriaca, sulla base di una pausa negli attacchi sottomarini che si era verificata casualmente in contemporanea. Si pensava ad operazioni di sbarco e nell'immediato, ad altri attacchi alle coste italiane come era avvenuto nel 1915 e parzialmente nel 1916... con azioni che erano diminuite al crescere dei campi minati e del numero di sommergibili anglo-italo-francesi che difendevano i porti. Inoltre rispetto al 1915, il “fronte” adriatico si era spostato sul Canale di Otranto, dove l'Intesa tentava di bloccare i sommergibili di Cattaro e Pola impegnati nella guerra sottomarina senza restrizioni.
Escluse ormai da tempo delle azioni con le corazzate, gli italiani prevedevano incursioni del naviglio leggero composto da incrociatori e cacciatorpediniere. Ma essi non potevano spostare i loro cacciatorpediniere del Tirreno, perché erano indispensabili per la protezione dei convogli, da poco in vigore.
I cacciatorpediniere erano la risorsa più preziosa di tutte le Marine in guerra. Servivano per i vari blocchi navali, per la caccia anti sommergibile, per azioni contro le coste e per la scorta e protezione delle navi mercantili. Tuttavia i caccia soffrivano delle loro ridotte dimensioni che non gli permettevano di navigare in condizioni di mare molto mosso, costringendoli ad abbassare la velocità perdendo di vista i vapori ed i convogli, quando non addirittura, a cercare riparo abbandonando il teatro di operazioni. Erano anche macchine molto delicate, specie quelle italiane, che avevano bisogno di pulire frequentemente le caldaie e di fare lunghi periodi di rimessaggio per riparare i delicati impianti a turbina. Meno di 1/3, era mediamente il numero di caccia operativi sul loro totale.
Dall'agosto del 1916 ed in particolare dalla primavera del 1917, gli austro-tedeschi avevano concentrato le azioni dei loro sommergibili oceanici nel mediterraneo occidentale, per dare la caccia alle forniture di carbone per l'Italia. Esse entravano da Gibilterra e costeggiavano le coste neutrali spagnole entro le 3 miglia, riparandosi nei porti quando necessario e compiendo le traversate di notte. Il sistema fu mantenuto anche quando iniziarono i convogli, circa nel settembre del 1917.
Ai primi effetti della lotta per il carbone, l'Intesa studiò vari rimedi per rifornire l'Italia, tra i quali era previsto di far rientrare da Suez una parte del traffico che era stato dirottato per il Capo di Buona Speranza: gli attacchi nel bacino orientale del mediterraneo, erano leggermente più difficili che in quello occidentale, causa la gran varietà di rotte possibili e la mancanza di strettoie e soste obbligate come il canale di Sicilia, Gibilterra, Malta. Altre linee di traffico furono studiate per i convogli che dall'Africa settentrionale francese, rifornivano il Golfo del Leone, Genova, Napoli.
Genova e Napoli erano i porti che riuscivano a sbarcare più velocemente i rifornimenti e tra questi non c'era solo il necessario per l'Italia ma anche le truppe dell'Intesa che viaggiavano via terra dalla Francia per imbarcarsi in Puglia e ridurre la navigazione dei loro trasporti truppe, pesantemente decimati nella guerra sottomarina. Nell'estate del 1917 il sistema di trasporto italiano era collassato ed i trasporti per conto degli alleati pretendeva ancora più carbone ferroviario, che invece scarseggiava sempre di più.
In ottobre l'amm. Revel aveva consegnato il rapporto delle scorte di carbone: 780 mila tonnellate all'inizio del 1917, ridotte a 360 mila. La Marina consumava 50 mila tonnellate al mese, in caso di cessazione delle forniture, era prevista la fine dell'attività navale entro l'estate del 1918.
Gli USA iniziarono a consegnare del loro carbone all'Italia; nelle industrie e sopratutto in Marina, si preferiva il carbone britannico per la migliore qualità. In settembre i britannici avevano preso l'impegno di consegnare all'Italia 700 mila tonnellate di carbone al mese, in agosto c'erano quasi riusciti con 690 mila tonnellate, in settembre poterono sbarcarne solo 460 mila. Ed avevano le loro difficoltà, perchè nell'aprile del 1917 stavano per capitolare, causa il blocco delle forniture dall'Australia, dall'oriente e dall'Argentina... secondo ammissioni di Lloyd George, Churchill e diversi altri.
L'ammiraglio Cusani alla conferenza di Parigi ai primi di dicembre, chiese navi agli alleati per un totale di 100 mila t. di stazza lorda, per ricostituire una flotta di carboniere. La richiesta non poteva essere evasa perché nel 1917, l'Intesa aveva perso 6 milioni e 280 tonnellate lorde di stazza lorda di naviglio vario, di cui oltre il 95% in navi da trasporto con i preziosi rifornimenti in arrivo da ogni parte del globo.
Circa 1/3 delle navi veniva perso nel Mediterraneo, dove passava la rotta di Suez per le forniture orientali ed australiane, oltre alla rotta di Gibilterra che serviva per rifornire l'Italia, parte della Francia, le colonie africane e mediorientali, le Marine e gli eserciti dell'Intesa sparsi dalla Mesopotamia alla Palestina, all'Egitto, alla Grecia, Macedonia eccetera, oltre che i Paesi neutrali come Spagna e la Grecia, prima che fosse conquistata dall'Intesa con il colpo di Stato di Venizelos.
Il numero totale di navi perdute è impossibile da stimare perché i vascelli a vela come i bragozzi usati per ridurre i rischi, venivano raramente conteggiati. Tuttavia con una media di 800-900 tsl (la più grande fu la gemella del Titanic, Olympic di 46 mila tonnellate), si può pensare ad oltre 2 mila affondamenti, solo nel 1917.
Orlando ottenne la promessa di una rapidissima fornitura di 150 mila tonnellate di carbone e disse che per scongiurare la chiusura delle più importanti fabbriche belliche come l'Ansaldo, avrebbe dovuto attingere con altre 100 mila tonnellate dalla riserva della Marina, che si abbassò ulteriormente. Pochi giorni prima, i francesi si erano infuriati perché gli italiani gli avevano detto di procurarsi il carbone da soli, per i loro cacciatorpediniere dislocati a Brindisi.
In concomitanza con il maggiore sforzo bellico italiano nella primavera-estate del 1917 con la 10 ed 11 battaglia dell'Isonzo ed altre come l'Ortigara, era però entrato in crisi il sistema dei rifornimenti, che produsse il razionamento e la diminuzione di viveri, sia dei combattenti che dei civili. Ci fu anche un'impennata dell'inflazione ed il rincaro dei prezzi che fecero crescere il malcontento per la condotta bellica e gli inutili massacri, contribuendo alle rivolte dell'estate del 1917.
Gli alleati dell'intesa tennero conto anche del malcontento popolare, anche se alcuni dei loro servizi di terra, l'avevano sottovalutato attribuendone la causa, alle attività dei servizi segreti austro-germanici. Il giorno 8 novembre era presente a Londra una commissione USA incaricata di cercare il coordinamento della coalizione, ora aumentata dall'importantissimo membro. Sonnino inviò del personale della Marina, aggiunto agli altri italiani che stavano battendo cassa con gli USA tra i quali il ministro delle colonie Colosimo, il governatore della Libia Ameglio. I tentativi italiani di strappare direttamente aiuti americani, indispettì i britannici che reagirono anche duramente; gli obbiettivi strategici degli Stati coalizzati erano talmente diversi tra di loro, che erano spesso in contraddizione con la condotta generale della guerra.
Ogni Stato tendeva a fornire mezzi per conseguire i propri obbiettivi geo economici, piuttosto che fornirli agli alleati per la sconfitta del comune nemico, specie se i propri uomini e mezzi, sarebbero finiti sotto comando straniero. Questa costante di conflitti di interessi, rese problematica la collaborazione navale per tutta la guerra e fece enormi favori alle potenze della Triplice.
Tipici esempi sono gli interessi francesi sulla Grecia e sul Libano, gli interessi britannici in Egitto, Palestina e Mesopotamia, gli interessi italiani di conquista ed espansione in Albania, Balcani, Dodecanneso e di tutte quante le altre terre che speravano di strappare alla Turchia in caso di vittoria, oltre naturalmente all'Adriatico che doveva diventare “mare nostrum” e nel quale non tolleravano nemmeno l'aiuto degli alleati per gelosia, per non sottostare ai loro ordini e per timore che potessero alzare la cresta nelle trattative di Pace.
Subito dopo Caporetto, il primo lord del mare Jellicoe aveva suggerito agli italiani di concentrare le forze navali a Venezia e di fare un'azione dimostrativa franco-italiana verso Pola o Trieste, proposta rifiutata da entrambe i destinatari. Egli diceva agli alleati, che la continua richiesta di cacciatorpediniere da parte dell'Italia (polemica che continuava dal 24 maggio 1915) non era sempre motivata da vera necessità ma spesso da motivi di principio.
Sia lui che gli altri alti ufficiali britannici avevano spesso criticato il troppo tempo che passava il naviglio leggero italiano nei porti, portando a paragone quello britannico che era per il 70% del tempo in mare o con i fuochi accesi (in attesa di pronto intervento), mentre da vari indizi, si può desumere che gli italiani non riuscivano a prendere il mare, nemmeno per la metà del tempo del totale delle navi e che le navi operative, erano circa 1/3 del totale che era nei cantieri per manutenzione.
Sia britannici che francesi, rifiutarono la fornitura di altri cacciatorpediniere agli italiani; i francesi dissero che potevano spostare a Venezia se lo desideravano, i loro 11 caccia di stanza a Brindisi e già sotto comando italiano. Gli altri gli erano appena sufficienti per tutti gli altri impegni, tra i quali, la difesa della loro flotta dislocata a Corfù in contrapposizione ad una eventuale e temuta uscita dall'Adriatico, delle navi da battaglia austriache.
Tuttavia, i caccia francesi collaboravano quando necessario, come nella battaglia del 15 maggio quando forze tre volte superiori anglo-italo-francesi, non riuscirono ad affondare una sola nave della  flottiglia austriaca di 3 incrociatori, 4 caccia, 1 sommergibile austriaco ed uno tedesco, che aveva attaccato Otranto riducendo della metà i drifter dello "sbarramento", affondando un trasporto munizioni, incendiato un'altro, affondato un caccia francese, un caccia italiano, centrato e messo fuori combattimento un'incrociatore leggero italiano, silurato e messo fuori combattimento per 4 mesi un incrociatore inglese. Azione leggendaria insegnata nelle accademie: i nostri incrociatori veloci avevano attraversato l'adriatico indisturbati perchè "mascherati" da navi dell'intesa, nelle azioni contro i drifter si erano permessi il lusso di segnalare con bandiere e sirene l'intenzione di fare fuoco per permettere agli equipaggi di salvarsi e raccogliendo i naufraghi mentre stavano già accorrendo le navi nemiche.
A metà novembre 1917 gli alleati si trovarono a Roma per discutere ancora della richiesta di cacciatorpediniere da parte dell'Italia. Revel riferì racconti terrificanti sulla situazione bellica post Caporetto, per commuovere i potenziali fornitori. Narrò di notizie di Intelligence di sbarchi tra Rimini e Ravenna ed a Bellaria. Disse che 11 navi da trasporto erano in attesa nella baia di Buccari per partecipare agli sbarchi, ora sappiamo invece che a Buccari c'erano solo vecchie navi in disarmo... e che dopo 3 mesi, gli italiani ne erano ancora convinti, tanto da averci mandato d'Annunzio ad inventare la sua “Beffa di Buccari”.
Revel sembrava essere meglio informato sui piccoli sommergibili comprati in Germania, che erano stati inviati in Austria smontati via ferrovia, notizia vecchia di almeno un'anno. Sapeva anche, che alcuni (150) operai tedeschi erano stati inviati a Pola per partecipare all'assemblaggio dei nuovi sommergibili, ma distorceva tali informazioni esagerandole ed affermando che erano indice di una alta concentrazione navale in Adriatico, propedeutica allo sbarco. Poche settimane prima aveva dimostrato di non sapere ancora dopo quasi due anni, che i grandi sommergili tedeschi erano in Adriatico, perché aveva proposto agli alleati uno sbarramento fisso a Gibilterra, per impedire loro l'accesso dall'Atlantico.
Gli alleati sapevano poco della guerra sottomarina, avevano molti pregiudizi sbagliati come le mai esistite “navi appoggio” e le “basi segrete”, non avevano idea delle prestazioni e dell'autonomia dei sommergibili tedeschi che nei loro modelli più grandi, non avevano equivalenti in occidente. Iniziarono a vederci più chiaro dall'autunno del 1917 in poi, quando i britannici decifrarono i codici tedeschi.
L'amm. Wemyess contestò a Revel il presupposto, gli disse che le navi a Buccari non potevano essere sufficienti e che per uno sbarco come diceva lui, sarebbe stata necessaria una concentrazione navale che l'Austria non aveva mai avuto. I britannici la sapevano lunga, dopo la campagna dei Dardanelli e quella di Salonicco ancora in corso con i francesi.
I britannici non diedero cacciatorpediniere agli italiani ma alcuni posamine con 1200 ordigni. Revel si dichiarò disponibile a portare le flotte dell'Adriatico a Corfù in caso di guai peggiori. I francesi temevano che gli italiani abbandonassero Valona in caso di pace separata ed elaborarono dei piani per la sua occupazione, definita “strategica” per continuare lo “sbarramento” del Canale di Otranto.
Invece l'amm, Haus aveva già dimostrato un anno prima, che l'occupazione di Valona era utile per bloccare il canale ma non indispensabile e che lo sforzo necessario per lo sbarco ed il mantenimento dell'avamposto e della base, non valeva il vantaggio del possesso.
Per il momento, gli alleati si guardavano bene dal far sapere agli italiani, che stavano elaborando dei piani per rimediare all'evento di una pace separata. L'amm. Wemyss scrisse ai suoi: “Le autorità navali italiane sembrano aver perso la testa, probabilmente per effetto dei racconti del generale Porro, causa diretta dei telegrammi tramite i quali chiedevano aiuto. Ora tuttavia si sono ricomposti ed hanno una visione meno tragica.”
Porro aveva esagerato la composizione delle forze nemiche presenti a Caporetto di quasi dieci volte, per parare il sedere a Cadorna ed a sé stesso, che scondinzolava attorno al generalissimo, ovunque esso si recasse. Era sottocapo di Stato Maggiore... quando si recò in vece di Cadorna alla conferenza di Rapallo il 6 novembre, provocò impressioni talmente negative in Foch e Lloyd George, che pregarono Sonnino di non farglielo più incontrare. Alla fine della conferenza pretesero l'esonero di Cadorna e del suo aiutante, come condizione per aiutare l'Italia.
I timori londinesi si concretizzarono subito dopo la conferenza, con la richiesta dell'Ammiragliato all'amm. Calthorpe, di fare rapporto sulle conseguenze di una pace separata dell'Italia. Nella risposta datata 13 novembre, gli si disse convinto che l'Italia avrebbe fatto la pace separata prima ancora di abbandonare l'Albania. Suggeriva di evacuare le navi britanniche da Taranto e di procedere in modo da non violare troppo vistosamente la prossima neutralità italiana.
Se il trattato di Pace avrebbe costretto l'Italia a cedere il Dodecanneso, avrebbero dovuto occuparlo i britannici oppure convincere i greci (di Venizelos) a farlo per conto loro. Avrebbe continuato a vigilare il Canale cercando di occupare le posizioni albanesi lasciate dagli italiani. Ma la preoccupazione più grande dei britannici, era che “nessuna nave da guerra italiana”, cadesse nelle mani del nemico ed in particolare, i 35 cacciatorpediniere italiani che facevano gola a tutte le potenze. Loro ed i francesi, dovevano impossessarsene prima della neutralità italiana, armarne il maggior numero possibile e portare nel Tirreno gli altri.
Il possesso delle navi italiane, sarebbe stato giustificato da una specie di leasing, effettuato per cause di “force majeure” (la lingua diplomatica era ancora il francese). In base al personale che pensava di reclutare, riteneva di poter armare almeno una ventina di cacciatorpediniere italiani; era convinto che i francesi si stavano preparando per la stessa eventualità e che anche loro sarebbero stati in grado di prendere in consegna un certo numero di caccia italiani.
Riguardo gli incrociatori che gli erano meno necessari, potevano anche rimanere in mani italiane, ma fuori dell'Adriatico. Non disponendo più dei cantieri italiani, avrebbero dovuto ampliare Malta, il Pireo (già in loro mani dopo il colpo di Stato) e Salamina. I codici usati con gli italiani, dovevano essere cambiati.
L'uscita dal conflitto dell'Italia, non sarebbe stato un evento del tutto negativo per la guerra navale britannica, perchè avrebbe permesso loro di recuperare tutte le forze (marinai e navi) impegnate per la protezione dei traffici e per il rifornimento dell'Italia; con esse, contava di migliorare la copertura dei convogli che interessavano di più la Gran Bretagna, ossia quelli est ovest. Fece studiare i dettagli all'amm. Ferguson, che ridisegnò l'impiego delle scorte e dei traffici. Con l'uscita dell'Italia, avrebbero dovuto sostituire anche le truppe italiane a Salonicco e ciò comportava un maggiore impegno nei trasporti di truppe e rifornimenti.
Scrivendo il 14 nov. al contr. Heneage nell'Adriatico, Calthorpe raccomandava: “ovviamente è fondamentale che gli italiani non vengano mai a sapere che noi stiamo facendo queste considerazioni (prendergli i cacciatorpediniere), si devono prendere tutte le precauzioni possibili per impedire che ne vengano a conoscenza.”
Approvati i piani dall'Ammiragliato, egli si rivolse il 10 dicembre all'omologo francese Gauchet, al quale l'amm Ballard (sovritendente a Malta), scrisse che sarebbe riuscito ad armare 15 caccia italiani. Il contr. Fremantle comandante dell'Egeo, scrisse che disarmando una sua vecchia nave da battaglia, avrebbe potuto armare altri 12 caccia (compreso qualche “supercaccia”, o “conduttore” o “esploratore” come si chiamavano a quei tempi).
Gauchet scrisse che secondo lui, avrebbe ceduto l'ala sinistra del corpo di intervento in Macedonia e che i tedeschi sarebbero entrati ad Atene, restaurando il Re Costantino. Valona sarebbe stata persa, i nemici avrebbero occupato l'Epiro ed i francesi non avrebbero potuto mantenere nemmeno Corfù. Il ministro e lo Stato Maggiore della Marina francese condividevano ed affermavano che avrebbero dovuto spostare le navi prima a Salamina e poi a Malta, dopo aver distrutto tutte le strutture da abbandonare. Il 22 gennaio il piano di pronto intervento alleato era pronto e disposto come segue:
- disarmo delle vecchie corazzate nell'Egeo
- recupero di equipaggi sbarcati a Malta
- evacuazione degli equipaggi e del naviglio britannico in Italia,
blitz per impadronirsi dei caccia italiani
Sull'ultimo punto Calthorpe non aveva emesso procedure scritte, accompagnò la missiva ai colleghi con il commento che l'evenienza di una pace separata italiana non era più realistica come un mese prima ma di tenersi comunque pronti e che ognuno elaborasse dei piani operativi per la parte di propria competenza. Appena nel mese di Aprile quando l'Ammiragliato protocollò il carteggio, la probabilità era scemata ulteriormente e secondo gli autori, si trattava ormai di preoccupazioni accademiche.

Nella foto: la carboniera Milazzo, affondata da Georg von Trapp il 28 agosto 1917. La nave dislocava 20 mila tsl ed era l'evoluzione della serie Proteus del 1911, statunitense. Le più moderne carboniere avevano delle strutture simili in coperta, che permettevano un maneggio veloce del carbone, anche in porti sguarniti di impianti e permettevano di rifornire in mare le navi più grandi, come quelle da guerra. Altrimenti, "carbonare" una grande nave da battaglia in porto, era un'operazione che poteva durare anche un'intera giornata impegnando centinaia di uomini, almeno una gru sottobordo ed i bighi di coperta. Il "carbonaggio" in mare, era possibile solo con mare molto calmo.
Il  grande comandante Imperiale , non poteva trovare un bersaglio migliore in quel momento; il suo colpo e ad altri recenti affondamenti di grosse carboniere da parte degli alleati germanici, fece raddoppiare il prezzo del carbone in Italia, triplicare il prezzo dei noli ed ebbe conseguenze immediate sulla navigazione della Regia Marina, che diminuì considerevolmente.

Fonte: Vota Franz Josef 


Di Redazione A.L.T.A.