sabato 3 gennaio 2015

I giudei hanno orrore di riconoscere e adorar Gesù Cristo per loro Salvatore

I giudei hanno orrore di riconoscere e adorar Gesù Cristo per loro Salvatore
 
Secondo la setta vaticanosecondista, quella che verosimilmente occupa le nostre chiese, noi Cattolici avremmo tanto da imparare dai talmudisti. Prendiamo, per esempio, la sedicente Preghiera dei fedeli n° 4 del 24 agosto 2014, pag. 45, XXI dom. Tempo ordinario, edizioni san Paolo: Ravviva il dialogo [Dio] tra cristiani ed ebrei, facendo sì che il popolo primogenito della antica alleanza ci aiuti a riscoprire l’importanza della Bibbia. Abbiamo già dimostrato che i giudei del Talmud non hanno nulla da insegnarci per ciò che riguarda la fede, che la loro interpretazione della Scrittura è falsa e che con essi Dio non ha più alcuna alleanza in atto. Sappiamo, per di più, che alla stirpe di Abramo non appartengono affatto i giudei del Talmud e che il popolo primogenito si è scisso in 2 diramazioni: i cristiani (es. in voto come lo era Abramo) e gli infedeli (come Caifa e carnefici suoi seguaci). Ci sembra opportuno pubblicare una serie di studi dove la santa Chiesa dimostra senza alcun dubbio che la setta vaticanosecondista è certamente fonte di ignoranza nonché di malafede (ormai non ci sono più dubbi a riguardo).
Riflessione del Liguori n° 1
Alcuni giudei hanno detto che nel citato capitolo LIII di Isaia (San Matteo cita lo stesso capo d’Isaia nella Persona di Cristo: Ut adimpleretur quod dictum est per Isaiam prophetam dicentem: Ipse infirmitates nostras accepit, et aegrotationes nostras portavit) si parlava non già del Messia, ma del popolo ebraico e dei maltrattamenti subiti dai romani. Intepretatorno il Testo Sacro in maniera “inetta” sostiene sant’Alfonso e, con lui, lo sostiene la Chiesa; difatti nel passo citato si parla di un solo uomo di dolori, giusto e senza peccato. Convengono forse queste condizioni al popolo degli ebrei? Di più vi si dice: Propter scelus populi mei percussi eum. Come può intendersi che il popolo è stato percosso per i peccati del popolo? Siu dice di più: Quasi agnus coram tondente se, obmutescet. Come può intendersi ciò del popolo ebreo che adoperò le violenze più strepitose contro i romani, che volevano soggiogarlo? Ugone Grozio nella sua celebre opera De vera relig. christ. (lib. 5. §19) riferisce che gli stessi ebrei antichi non poterono negare che Isaia al capitolo LIII parlò del Messia; solamente si preoccuparono di stravolgere il senso, attribuendo “inettamente i dolori e le ignominie che Isaia predisse del Messia agl’inimici degli ebrei medesimi, senza perdere però il Messia di vista”. Ma gli ebrei moderni (aggiungo: che non sono affatto né fratelli maggiori e né stirpe di Davide), vedendo che tale interpretazione era tutta opposta al vero senso, hanno scioccamente imitato il signor Voltaire, togliendo di mezzo il Messia, ed attribuendo tutto a Geremia; con ciò non hanno fatto altro che dimostrare il loro astio contro Gesù Cristo e Apostoli; mentre, come abbiamo visto (cf. S. Alfonso de Liguori, Verità della fede, II, VIII, §2), è troppo chiaro che Isaia in quel testo non parla che di Cristo. Quindi a loro sta bene ciò che disse l’imperatore Costantino in quella celebre disputa tenuta in Roma coi rabbini da san Silvestro papa, come riferisce il Cedreno: Si haec vestris continentur libris, frustra, iudaei, contradicitis, ob ea quae passus est Christus: quae, quo ordine praedicta, in Christo completa sunt. Grozio per altro, benché quest’eretico ha cercato più volte di stravolgere le profezie che parlano del Messia, in altre persone, parlando di questo capitolo di Isaia, non ha potuto evitare di scrivere che non può intendersi altri che di Cristo, dicendo: Quis potest nominari aut regum aut prophetarum, in quem haec congruant? Nemo sane.
Che nel mentovato capo LIII Isaia parlasse del Messia, risulta evidentemente ancora dai due capitoli antecedenti, poiché nel LII parlò certamente del Messia, dicendo: Sciet populus meus nomen meum in die illa, quia ego ipse qui loquebar, ecce adsum etc. Quia consolatus est Dominus populum suum, redemit Ierusalem (Is. 52,6. E 9). E nel verso 10 soggiunse: Videbunt omnes fines terrae salutare Dei nostri. E nel verso 4 parla più particolarmente: Sic inglorius erit inter viros aspectus eius. Inoltre nel capo LI disse: Prope est iustus meus, egressus est Salvator meus. Ora se non può riferirsi ad altri quel che dice Isaia nei due capi LI e LII, così non può dirsi che nel cap. LIII non parli del Messia.
 Abbiamo poi da Davide già predetto che il nostro Salvatore doveva essere spogliato delle sue vesti, e nudo inchiodato alla croce nelle mani e piedi: Foderunt manus meas et pedes meos: dinumeraverunt omnia ossa mea. Ipsi vero consideraverunt, et inspexerunt me: diviserunt sibi vestimenta mea, et super vestem meam miserunt sortem. Il qual testo di Davide sta appunto mentovato da san Matteo 27,35. e da san Giovanni 19,23, dove codesti Evangelisti narrano la morte di Gesù Cristo.
Alcuni giudei hanno cercato di stravolgere la parola foderunt, spiegandola in un senso diverso, ma noi conosciamo iul corretto significato oltre che dalla volgata, anche come la spiegarono ancora la versione dei Settanta e quella di ssan Geronimo e di Origene, e così anche le versioni araba, siriaca ed etiopica. La caldaica volta momorderunt, che è quasi lo stesso. Di più lo conferma la profezia di Zaccaria (nel salmo 95 al verso 10 si legge: Dicite in gentibus, quia Dominus regnavit; aggiungono i settanta a ligno. Questa parola per altro non si trova nel testo Ebreo, ma gli antichi Padri, come s. Giustino, Tertulliano, s. Cipriano, s. Agostino, s. Leone, Lattanzio, Arnobio, Cassiodoro e l’antico Salterio Romano così lessero il testo citato; e scrive s. Giustino (contra Tryphon.) che gli Ebrei, o altri nemici della croce di Gesù Cristo tolsero dai nostri esemplari della versione dei Settanta la riferita parola, la quale si ritrova ben anche espressa nell’Inno del Vespro della Domenica di passione: Impleta sunt, quae concinit David fideli carmine, dicendo nationibus: Regnavit a ligno Deus).
Fu anche predetto da Davide nel citato salmo XXI che Gesù Cristo doveva morire deriso e bestemmiato dai giudei e dai soldati: Omnes videntes me deriserunt me: locuti sunt labiis, et moverunt caput: Speravit in Domino, eripiat eum: salvum faciat eum, quoniam vult eum. A ciò allude quello che poi riferisce san Matteo: Praetereuntes autem blasphemabant eum moventes capita sua, et dicentes: Vah qui destruis templum Dei, et in triduo illud reaedificas, salva temetipsum, si Filius Dei es, descende de cruce. Similiter et principes sacerdotum illudentes cum scribis et senioribus, dicebant: Alios salvos fecit, seipsum non potest salvum facere. Si rex Israel est, descendat nunc de cruce, et credimus ei. Confidit in Deo; liberet nunc, si vult, eum; dixit enim: quia Filius Dei sum (27,39-45). Fu predetto ancora da Daniele e da Davide che il Messia doveva morire abbandonato da tutti, senza trovare chi lo consolasse; Daniele scrisse: Occidetur Christus, et non erit eius populus, qui eum negaturus est (9,26). Volta l’ebreo: Et nemo ipsius. E Davide scrisse: Et sustinui qui simul contristaretur, et non fuit; et qui consolaretur, et non inveni (in Psal. 68,21).
Così parimenti fu predetto da Davide l’abbandono che sentì Gesù Cristo sulla croce, come scrive san Matteo (27,46): Clamavit Iesus voce magna, dicens: Eli, Eli lammasabacthani? hoc est: Deus meus, Deus meus, ut quid dereliquisti me? E prima fu scritto da Davide in nome del Messia: Deus, Deus meus, respice in me; quare me dereliquisti? Longe a salute mea verba delictorum meorum (in Psal. 21,2). Come dicesse: Dio mio, voi mi avete privato d’ogni consolazione, perché i delitti degli uomini, ch’io, per soddisfarli, li ho fatti miei, mi impediscono la salute, cioè l’esser liberato da questi dolori che mi opprimono. Onde poi scrisse sant’Ambrogio (L. 10. in Luc.): Pro me dolebit Christus, qui pro se nihil habuit, quod doleret? Et sequestrata delectatione divinitatis aeternae, taedio meae infirmitatis afficitur. E sant’Agostino (Serm. 77. n. 11.): Seponit divinitatem, idest quodammodo sequestrat, hoc est occultat quod suum erat, apparet quod acceperat, cioè il peso di pagare per li nostri peccati.
I giudei hanno orrore di riconoscere e adorar Gesù Cristo per loro Salvatore, vedendolo morto giustiziato con una morte così acerba e obbrobriosa. Ma se Gesù Cristo fosse morto con una morte placida ed onorata da tutti, non potremmo noi sperar la salute da un tal Salvatore, perché il Salvatore a noi promesso dalle scritture doveva morire sazio di vituperi e di dolori, e trattato come l’ultimo degli uomini: Saturabitur opprobriis10. Et vidimus eum… despectum et novissimum virorum, virum dolorum (Isa. 53. 2. et 3). E tale appunto la nostra santa Chiesa coi sacri Evangelisti ce lo presenta, morto in un mare di dolori e d’ignominie: onde a questo solo Salvatore possiamo e dobbiamo confidare la nostra salute.
Prima che gli ebrei avessero veduto adempite le predizioni già fatte dai profeti circa la venuta, le opere e la morte del Messia, pare che fossero più degni di scusa; ma dopo aver veduto avverato tutto con tutte le circostanze preannunziate, ben dovevano rendersi alla verità conosciuta, come già si rendettero quei discepoli, di cui parla san Giovanni (12,16): Haec non cognoverunt discipuli eius primum, sed quando glorificatus est Iesus, tunc recordati sunt, quia haec erant scripta de eo etc. Ma per gli ebrei che ostinati vogliono seguitare ad esser ciechi, la croce di Gesù Cristo continua ad essere scandalo, come un tempo fu stoltezza per i gentili.
 
Tratto da Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, Verità della fede, II, VIII, §2
 
Pubblicazione a cura di CdP Ricciotti - http://radiospada.org/