sabato 8 novembre 2014

R.P. Matteo Liberatore d.C.d.G. IL MODERNISMO A RISPETTO DELLA LIBERTÀ

La Civiltà Cattolica anno XXXIV, serie XII, vol. IV (fasc. 799, 27 sett. 1883), Firenze 1883 pag. 42-50.
 
 
 

R.P. Matteo Liberatore d.C.d.G.

IL MODERNISMO [1] A RISPETTO DELLA LIBERTÀ

I.

Nobilissima dote dell'uomo è la libertà. Dante la chiamò il maggior dono, che Dio largisse alla sua creatura [2]. E ciò ben a ragione; perocchè per essa l'uomo riveste una più vicina simiglianza con Dio. La libertà involge il concetto d'indipendenza: Liberum est quod sui causa est [3]. Or l'uomo coll'esercizio della libertà si fa in certa guisa causa a sè stesso; non certamente quanto all'essere, ma quanto al perfezionamento dell'essere. Egli muove sè stesso, come vero autore della sua azione; la quale perciò giustamente a lui s'imputa. Gli agenti, inferiori all'uomo, che operano o per mere forze fisiche o per appetito determinato dall'istinto, quanto a sè sono non propriamente moventi ma mossi. La loro azione è pura conseguenza dell'essere; e però, come a causa determinante, non viene attribuita loro, ma al Motor primo, che così o così ne conformò la natura. Tali sono i minerali, le piante, ed anche i bruti animali. Solo l'uomo in vigore della sua libera volontà è padrone de' proprii atti, e li dà a sè stesso, e prefigge loro il bene da conseguire. Onde, tra le sensibili cose, egli solo da questo lato si assomiglia a Dio, il quale è da sè e per sè. Non è quinci meraviglia se l'uomo ama cotanto la libertà, che talvolta l'antipone perfino alla vita.
Libertà va cercando, che è sì cara,
Come sa chi per lei vita rifiuta [4].


L'eccellenza della cosa mostra quanto gran male sia il pervertirne l'idea. Or questo appunto ha fatto il Modernismo, ossia lo spirito rivoluzionario de' tempi nostri: ha pervertito il concetto di libertà, pervertendo il concetto d'indipendenza, in quello inchiusa. Egli ha voluto che cotesta indipendenza s'intendesse in senso assoluto, quando essa doveva intendersi in senso sol relativo. Ha voluto cioè che s'intendesse a rispetto anche dell'autorità divina, quando dovea intendersi a rispetto solo dell'autorità umana, considerata in quanto umana. Viziata di tale pervertimento egli ha trasferita la libertà dall'ordine individuale all'ordine politico; e nell'uno e nell'altro l'ha concepita come fine a sè stessa. Quinci la massima liberalesca che la libertà vuol piena balìa come pel bene così pel male. Massima che al trar de' conti viene a distruggere ogni distinzione tra il male ed il bene, e si fonda ultimamente nella negazione di Dio. L'uomo ateo, la società atea è il vero principio da cui quella massima discende.

II.

Il concetto di libertà in un essere creato involge quello di autorità. Separar l'uno dall'altro non può farsi altrimenti, che confondendo la creatura col Creatore; in altri termini, negando Dio. La sola volontà divina nel suo libero operare non ha mestieri di autorità dirigente ed obbligante. E ciò, perchè essa, come volontà della prima causa indipendente ed assoluta, s'identifica colla stessa sapienza, ed è di per sè regola suprema del bene e del giusto.
La prima volontà, ch'è per sè buona,
Da sè ch'è sommo ben mai non si mosse.
Cotanto è giusto, quanto a lei consuona;
Nullo creato ben a sè la tira,
Ma essa radiando lui cagiona [5].



Per contrario la volontà creata nel suo libero operare ha mestieri di norma. Essa non è sapienza, ma è distinta dalla sapienza; non è il bene, ma tendenza al bene; quindi non è regolante, ma regolabile. [= La volontà creata invece non è sapienza, ma è distinta dalla sapienza; non è il bene, ma è tendenza al bene; non è regolante, ma regolabile e quindi, nel suo libero operare, necessita di una norma. N.d.R.]
La libertà sorge nell'uomo dall'indifferenza, in cui la volontà di lui si trova a rispetto del bene che le viene proposto. L'uomo è determinato da natura ad amare la felicità, ossia un bene o una somma di beni, che appaghi pienamente le sue brame. Egli necessariamente desidera esser felice; l'infelicità, appresa come tale, non può essere oggetto del suo volere. Intorno a ciò non ha luogo la libertà. Ma ben ha luogo, quanto a stabilire ciò in cui concretamente dimori la felicità, e quanto ai mezzi da porsi per conseguirla e che potrebbero farlo felice o infelice. Da questo lato la volontà non è attirata necessariamente dall'oggetto, ma si deve da sè risolvere ad aderirvi; e però ha mestieri di lume, di direzione, di guida, per non errare nella scelta.
Si dirà: A tal bisogno sopperisce la ragione. Senza dubbio, la ragione. Ma la ragione, riguardata come autonoma e donna [= domina, cioè padrona N.d.R.] di sè medesima; o come eco della voce di Dio e banditrice della sua legge? Se nel primo senso, l'ordine morale mancherà di stabile base, e sarà esposto a tutti gli assalti delle passioni. La ragione autonoma dirà all'epicureo che la felicità consiste nel dare libero sfogo ai brutali appetiti; e dirà al socialista che può rapirti lecitamente gli averi, perchè la proprietà è un furto. O non abbiamo noi vedute siffatte cose insegnarsi dalle cattedre e correre sbrigliatamente sui libri, in nome appunto della ragione? La ragione parlando all'uomo, come legislatrice assoluta, accomoderà i suoi dettati alle disposizioni personali del subbietto; e al trar de' conti, non gl'imporrà se non quello appunto che egli vuole ch'ella gl'imponga.
Sebbene, a che adoperiamo la voce imporre? Un vero comando, una vera intimazione, non può aversi dalla ragione, parlante in nome proprio. Ella, di per sè, non è che una facoltà, un'appartenenza dell'animo umano. Or come volete che un'appartenenza, vale a dire una dipendenza, si assuma il diritto d'imperare al subbietto stesso, da cui dipende? Così l'idea del dovere sarà del tutto sbandita.
Nè vale il ricorrere all'ordine obbiettivo delle cose, di cui la ragione sia come relatrice. Imperocchè se quest'ordine non ci vien da lei presentato come costituito da un essere superiore, il quale abbia diritto di comandarci, e c'imponga di conformare ad esso le nostre azioni, non ha per noi valore obbligatorio. L'ordine non è da più delle cose ordinate; e l'uomo è superiore alle cose tutte ordinate di questo mondo. Donde segue che niuna di esse può dargli legge, e assoggettarlo alle sue esigenze.
Egli è dunque mestieri prendere la ragione nel secondo dei sensi accennati di sopra; cioè in quanto essa non è autrice ma solo annunziatrice della legge che dee guidarci e reggere nelle operazioni dipendenti da noi. Ciò è il medesimo che riconoscere l'autorità divina come governatrice della libertà umana; e però la libertà umana, come dicemmo, è una libertà non lasciata a sè stessa, secondo che vorrebbe il Modernismo, ma è una libertà, di essenza sua governabile da un'autorità. Quest'autorità è quella di Dio, operante o per sè stesso, come nella legge naturale e nella legge rivelata, o per mezzo di suoi rappresentanti, come nella legge positiva umana, che sia applicazione della naturale o della rivelata. Diciamo ciò, perchè Dio anche nell'ordine morale, non altrimenti che nell'ordine fisico, opera come causa prima non come causa unica, e si vale di cause seconde, da lui costituite e da lui dipendenti nell'applicazione della sua legge. Così avviene nelle diverse combinazioni sociali, in cui o per natura, o per consenso o per istituzione divina si trovano gl'individui umani. In esse la libertà di natura sua richiede d'essere governata da autorità subalterne, soggette ancor esse alla legge divina, di cui non sieno che semplici applicatrici e ministre. In tal guisa la soggezione a Dio, sì nell'uomo individuo e sì ancora nella società e ne' reggitori della medesima, apparisce elemento essenzialmente inchiuso nel concetto di libertà. L'uomo sarà libero, appunto perchè soggetto a Dio e a chi lo regge in nome di Dio. Onde giustamente scrisse il Perin: «L'uomo non ha vero impero sopra sè stesso (ossia non ha esercizio di vera libertà), se non a condizione d'obbedire a Dio. Le società non differiscono in questo dagl'individui [6]

III.

Nell'idea liberalesca, ossia del Modernismo, l'uomo è legge a sè stesso. Nell'idea cristiana l'uomo riceve la legge, e sotto l'indirizzo di essa dispone del suo operare. Ciò è necessaria illazione dell'essere la libertà umana una libertà governabile da un'autorità, che sia o quella di Dio o derivata da Dio. Se questo è vero, ne segue che la libertà consentita dalle leggi civili non può mai stendersi insino al male. Per ampia che ella voglia stabilirsi, deve sempre contenersi nel giro del solo bene; altrimenti la legge civile non sarebbe applicazione della legge divina. E senza ciò la legge, ordinamento della ragione, non può consentire se non ciò che è conforme alla ragione; e niuno dirà che conforme alla ragione sia il male.
La libertà non fu data dalla natura all'uomo, acciochè l'adoperasse all'impazzata. Ciò avrebbe luogo nella sentenza di coloro, che concepiscono la libertà come fine a sè stessa. Ma una tal posizione è stoltissima. La libertà è dote d'una facoltà, vale a dire della potenza appetitiva dell'animo, e però essenzialmente ha per fine il perfezionamento della medesima. Ora il perfezionamento d'una tale potenza non si ha per l'appetizione del male, ma solo per l'appetizione del bene. Nella cerchia dunque del bene deve spaziare la libertà dell'uomo, sicchè vi possa tendere senza impacci e per tutte quelle vie che menano ad esso, e che a lui piacerà di trascegliere. Così solamente la libertà risponderà al fine, per cui la natura ne fregiò l'uomo. Ciò è sì vero, che lo stesso Montesquieu, in un momento di distrazione, in cui il buon senso prevalse a' suoi falsi principii, non dubitò di scrivere: «La libertà non può consistere che in poter fare ciò che si deve volere, a non esser costretto di fare ciò che voler non si deve [7].» Il potere di fare il bene, e di farlo senza ostacoli di sorta alcuna, ecco la libertà nel suo vero concetto; e la quale ha luogo sì per l'uomo individuo e sì per l'uomo sociale.
Or le società, infette di Modernismo, fanno tutto l'opposto. Licenziano pienamente al male e pongono mille ostacoli in ordine al bene. In esse è dato di poter liberamente bestemmiare, professarsi ateo, viver da ciacco, scandalizzare il prossimo in tutte guise; ma quanti impedimenti e quante pastoie non son poste in ordine al pubblico culto di Dio, alla professione de' consigli evangelici, alla cristiana educazione della gioventù, all'esercizio del ministero sacro nella coltura delle anime? Onde si pare che la libertà voluta dal Modernismo è propriamente la libertà del male, l'oppressione del bene. Così esso perverte il concetto stesso di società, la quale è aiuto degli individui, inteso dalla natura affinchè più facilmente e meglio conseguano il proprio fine. Da aiuto l'ha convertita in ostacolo.
Quindi non è maraviglia se in molti buoni si scorge tanta freddezza ad opporsi vigorosamente ai distruggitori assalti del Socialismo. La società, sotto il dominio del Modernismo, è una società irrazionale e contro natura. Essa tiranneggia, più che i corpi, l'anima de' cittadini. Una società così fatta, poichè non sembra potersi altrimenti strappare dalle unghie del Modernismo, è forse minor male che si disciolga. I disciolti elementi potranno poscia ricomporsi in un ordine novello, per virtù stessa della natura sociale dell'uomo, la quale non può a lungo rimaner soffocata o vinta dal disordine. È questo il discorso che si fa da non pochi; e non sapremmo dire se onninamente a torto. Del resto par che gli stessi fautori del Modernismo, vogliam dire i Liberali, diano loro ragione col lasciare sotto i proprii occhi apparecchiarsi e crescere i mezzi di distruzione, contro la società da essi costituita. Vogliamo alludere alle associazioni operarie che ogni dì si vanno moltiplicando ed organizzando, non solo con condiscendenza ma col favore altresì del Governo. Coteste associazioni, informate non d'idee cristiane ma liberalesche, non sono altro che battaglioni del Socialismo, i quali si vanno formando e disciplinando pel dì dell'assalto.

IV.

La libertà, intesa nel senso del Modernismo, riesce a tutt'altro da quel che suona. Riesce a servitù. Sottratta dalla dipendenza da Dio, cade sotto la dipendenza dall'uomo, e mena inevitabilmente al Cesarismo.
Il Cesarismo è l'assorbimento della società, e quindi degl'individui associati, nell'onnipotenza dell'imperante. Il perchè esso è la sostituzione della forza al diritto, dell'arbitrio alla ragione. Non è mestieri che il Cesarismo, per esser tale, s'incarni in una sola persona, col titolo d'Imperatore o di Re; ma ben può prender corpo eziandio in un'accolta di Ottimati più o meno estesa, od anche in repubbliche estremamente popolari. Lo stiam vedendo segnatamente in Francia; dove, sotto forma di democrazia radicale, signoreggia il più schifoso Cesarismo. Non è il subbietto che costituisce il Cesarismo, è il principio che lo informa. Se vige il principio, importa poco che il subbietto sia tale o cotale.
Or che a cotesto reggimento della forza, a cotesta onnipotenza arbitraria dello Stato, adduca [= conduca N.d.R.] necessariamente la libertà, intesa nel senso del Modernismo, è cosa che salta agli occhi di ognuno. Imperocchè rimossa l'autorità divina, governatrice della libertà, sia per sè stessa sia per mezzo di suoi rappresentanti, dove potrà trovarsi il principio di sovranità, necessario ad unire in azione comune le moltitudini e regolarne la vita sociale? Non apparisce altro, che la libertà stessa indipendente degl'individui. E perciocchè la libertà indipendente produce dissenso, non ci è altro mezzo per trovare in essa un principio di unità preponderante, che numerarla secondo un accordo, prodotto in lei da sè stessa. La prevalenza del numero, in cui s'incarni un arbitrario consenso, ecco il principio della sovranità modernistica. Quindi il popolo sovrano, che o ritiene in sè il potere supremo o lo trasmette a suoi delegati; i quali per conseguenza non rappresentino altro che la maggiorità e il puro beneplacito della medesima: la volontà generale. Ora il numero, come tale, non dà che la forza; il puro beneplacito costituisce l'arbitrio: Sic volo, sic iubeo, stat pro ratione voluntas. [Cioè la maggioranza (maggiorità) afferma: «Quel che voglio lo impongo, la volontà sostituisce la ragione»; e poichè la maggioranza viene (ri)educata dai mezzi di comunicazione di massa (altrimenti, lasciata a se stessa, sarebbe preda di ciò che oggi si chiama populismo, termine col quale si denota negativamente tutto ciò che, nel bene e nel male, è politicamente scorretto e che talora contiene ancora, nonostante la corruzione dilagante dei costumi, una certa dose di buon senso), chi controlla economicamente, intellettualmente e politicamente la propaganda è il vero e proprio Cesare dei giorni nostri. N.d.R.] La forza dunque e l'arbitrio, in luogo del diritto e della ragione, debbono di necessità diventare il principio governativo della società, senza Dio, del Modernismo. «Il concetto liberalesco dello Stato, dice sapientemente il Perin, conduce fatalmente al Governo della forza. Se lo Stato sussiste esclusivamente e perfettamente da sè, se il comando nell'ordine civile non ha bisogno per farsi obbedire d'alcuna sanzione d'un ordine superiore; se i poteri politici si pretendono affrancati da ogni regola posta da un'autorità istituita da Dio per definire ciò che è permesso e ciò che non l'è, ciò che è bene e ciò che è male, dove andremo a cercare la ragione ultima della loro autorità, se non nella società ch'essi rappresentano e che essi reggono? Or da questa massa d'individui che compongono la società come cavare l'unità dell'idea e l'unità del volere, se non per la legge del numero? E che cosa è la legge del numero, se non la legge della forza [8]
Per fuggire da tanto male, non ci è altro scampo che la Chiesa di Gesù Cristo. Essa sola, presentandosi come banditrice e interprete infallibile della legge divina, a cui tutte le volontà, individuali o collettive, sieno soggette, può preservare l'umano consorzio dal Cesarismo. Per lei i poteri pubblici non sono emanazione del numero e dell'arbitrio, ma ufficii subordinati ad un'autorità superiore, cioè a quella di Dio, di cui debbono osservare la legge, ed applicarla non per distruggere la libertà de' soggetti ma per regolarla e promuoverla all'acquisto del vero bene. A cotesti poteri la Chiesa ripete del continuo quelle parole della Sapienza: «Udite, o Re, ed intendete; ascoltate, o giudici della terra. A voi la potestà e la potenza è stata data dall'Altissimo Iddio; il quale interrogherà le vostre opere, o scruterà i vostri pensieri. Guai, se, essendo ministri del regno suo, non giudicate rettamente e non custodite le leggi della giustizia, e non camminate secondo la volontà di Dio. Orribilmente e presto vi accorgerete che si farà giudizio durissimo di coloro che presiedono altrui [9]
La sovranità finchè è costretta ad udire del continuo queste parole, e udirle da un'autorità che parla in nome di Dio ed ha ufficio di farne rispettare la legge, è ben difficile che degeneri in Cesarismo. Se in esso degenera, o si emenda o vien repressa. E però veggiamo che i nemici del bene, coloro che si sforzano di ricondurre sul soglio o ridonare alla piazza la sovranità pagana, in altri termini i fautori del Modernismo, si studiano a tutt'uomo di combattere la Chiesa e comprimerne la voce e rimuoverne l'influenza dal consorzio civile. Essi veggono in lei il nemico più dichiarato del Cesarismo, e ne' suoi insegnamenti e nella sua azione il più potente ostacolo ad attuarlo.
Gli opposti termini adunque, tra cui la società oggidì deve scegliere, sono: il Cattolicismo o il Cesarismo. Il primo assoggettando la libertà umana a Dio, la salva; sì nell'uomo individuo, e sì nell'uomo sociale. Il secondo emancipando la libertà da Dio, la distrugge, e sottopone l'uomo all'uomo nella vita sociale, val quanto dire al servaggio. Dalla scelta tra questi due termini dipende la salute o la rovina del mondo umano.