venerdì 31 ottobre 2014

Il “Vescovo di Roma”, lo scisma latente e la Sede vacante

            
Pope Francis
 
Nota: pubblichiamo tramite Radio Spada questo interessante scritto di Guido Ferro Canale (che ringraziamo) consapevoli del vasto e complesso dibattito in corso all'interno del mondo cattolico integrale o "resistente" o "neo-resistente".  Non escludiamo affatto ulteriori approfondimenti, anche di segno diverso e ulteriore.
 
Quando ho cominciato a scrivere il mio precedente articolo – E' Francesco? Argomenti contrapposti, argomento trascurato – intendevo includervi anche ciò che scrivo ora: sarebbe dovuto essere l’”argomento trascurato”. Ma il pezzo, come spesso accade, mi è lievitato tra le mani, tanto da richiedere una divisione; mi restava comunque un altro argomento trascurato a giustificare il titolo, ossia la supplenza di giurisdizione per errore comune (che, per quanto circoscritta nell'ambito applicativo, attenua le conseguenze della nullità dell'elezione e, quindi, riduce l'esigenza di circoscrivere quam maxime le relative fattispecie).
Qui si tratta, invece, di un’altra ipotesi di Sede vacante, credo finora non formulata da nessuno; suppone risolti, ovviamente, i dubbi sulla legittimità dell’elezione, ma si può utilmente introdurre come quesito intorno all’atto immediatamente successivo: se fosse invalida l'accettazione??
A tutti quanti, immagino, è venuto il sospetto che Bergoglio abbia una concezione tutta sua del Papato (o si tratta dell’Episcopato romano). Portiamo all’estremo quest’impressione generale: se mi chiedono “Accetti l’elezione a Sommo Pontefice?” e il mio “Accetto” sottintende non il Pontificato quale è, ma un quid esistente solo nella mia testa; e se, in più, io non sono disposto ad accettare il Pontificato vero, non intendo rinunciare alla mia creatura… l’accettazione non è valida. Errore determinante sull’oggetto, oppure sua inesistenza, dipende dal punto di vista.
Desidero precisare che, al momento dell’elezione (putativa o legittima che sia), tutto quel che sapevo di Bergoglio si poteva riassumere in “gesuita, Cardinale, Arcivescovo di Buenos Aires, il candidato 'alternativo' a Ratzinger almeno nel finale del Conclave 2005” e che la sua prima comparsa alla Loggia delle Benedizioni non mi ha cagionato traumi indelebili: ho notato bensì qualcosa di strano, ma non ho capito subito che mancava la mozzetta; e anche nel discorsetto improvvisato, benché mi suonasse male il titolo di “Vescovo di Roma”, trovai rassicurante la successiva menzione del più appropriato “Papa”. Successivamente, però, al moltiplicare dei segni di discontinuità, se non proprio di rottura aperta, mi sono trovato a chiedermi se l’insieme di questi gesti non tradisse un animus scismatico; e anche quelle primissime “novità” mi son parse inquietanti. La mozzetta è insegna di giurisdizione; il fatto di non usarla e l’uso del titolo di “Vescovo di Roma” implicano forse un rifiuto del primato papale, quindi un vizio dell’accettazione?
Sia chiaro, non faccio di ogni erba un fascio: croce di ferro, scarpe etc. mi sembravano spiegabilissime in termini di semplice ostentazione, bensì riprovevole, ma non certo tale da integrare un delitto canonico; l’apostrofe a Marini - che mi vien confermata da fonti genovesi - “Il tempo delle carnevalate è finito” resta, per me, esempio di pura e schietta maleducazione; etc. etc. Neppure ho ignorato i segni che parevano incoraggianti: la visita alla Salus Populi Romani, un'insistenza sul Diavolo che mi sembrava positiva e, anzi, necessaria, e così via. Nei primi giorni, anzi, ipotizzavo che potesse trattarsi di una riedizione del Pontificato a due facce di Giovanni Paolo II, con l'aspetto mediatico-spettacolare da una parte e, dall'altra, una serie di tentativi di turare le falle della barca (almeno alcune). Pensavo perfino ad una strategia del tipo: conquistare un credito mediatico enorme per essere, poi, libero di agire come meglio si crede… foss’anche regolarizzando la Fraternità S. Pio X, gesto che non sarebbe mai stato perdonato a Benedetto XVI.
Mi sono orientato con decisione verso l’animus scismatico dopo aver verificato personalmente, sui file video del Centro Televisivo Vaticano, l’abitudine di non genuflettere mai dopo la Consacrazione. Dal mio punto di vista (al di là di dubbi, forse possibili, sull’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa…), era la prova provata che tutta questa fama di santità era falsa, semplicemente falsa. Semplicità, umiltà etc., insomma i tratti della “leggenda bergogliana”, potevano forse essere meri elementi caratteriali, ma mi sembrava molto più probabile che mascherassero un orgoglio smisurato. Nato, magari, proprio come orgoglio della sua stessa umiltà!
Il mio dubbio intorno alla validità dell’accettazione persisteva: non in termini di rifiuto dei poteri del Papa, visto che ne faceva uso, ma di un Papato di conio proprio. Beninteso, un errore che esasperi la plenitudo potestatis al punto di farne un potere assoluto e puramente arbitrario (alla Bergoglio, appunto) è, a mio avviso, l'esito logico di tanti eccessi di zelo nella difesa del Papato, lungo una linea che va da de Maistre a Veuillot... e ciascuno aggiunga i contemporanei che preferisce; ma supporre che quest’errore diventi essenziale, al punto di implicare il rifiuto pertinace di accettare il Pontificato vero, mi sembrava troppo. Non in astratto; rispetto agli elementi disponibili. Aggiungerò, anzi, che mi chiedevo se, nel mio ragionare, non fossi un po’ troppo condizionato dal disagio crescente e viscerale che avvertivo.
Ma, con il trascorrere dei mesi, l'aggravarsi degli scandali, della minaccia di rovina per le anime e del media-delirio bergoglioide mi hanno indirizzato in un’altra direzione, verso un’ipotesi. L’ho tenuta per me piuttosto a lungo, parlandone solo con pochi amici, in attesa degli eventi; ma le recentissime turbolenze sinodali e il ruolo chiave giocatovi da “Francesco” mi hanno fatto avvertire un vero obbligo grave e urgente di divulgarla. A tutela della mia anima, perché, ove fossi in errore, altri potranno correggermi; a vantaggio di tutti, se per disgrazia avessi ragione, come sono tristemente convinto che sia.
Credo che non ci sia alcun bisogno di specificare che lo scisma rende vacante la Sede tanto quanto l'eresia, benché l'ipotesi sia stata assai meno trattata dai probati auctores e anche dalle controversie tradizionaliste: solo Mons. Gamber, che io sappia, ha rispolverato l'argomento, riguardo alla promulgazione del Novus Ordo Missae. Si è scritto a profusione sulle dichiarazioni di Bergoglio, ma a parer mio – e senza nulla togliere alla loro gravità – tra interviste semi-smentite, detti e atti semi-ufficiali, improvvisazione costante, ci saranno sempre margini per chi vorrà negare trattarsi di eresia formale. Non così nell’ipotesi che prospetto; o almeno, non vedo una sola difesa che riesca a reggere.
Lo scisma, in qualsiasi fedele, sarebbe il rifiuto di sottomissione al Romano Pontefice o di comunione con chi a Lui è soggetto; nel Papa stesso – horribile dictu! - può solo essere la volontà di rompere con tutta la Chiesa e di volersene creare una per conto proprio. Questo prendere costantemente le distanza, nei fatti, dai propri predecessori immediati, quasi avessero sbagliato tutto, fossero stati privi di misericordia, etc.; il parallelo fomentare un clima di rinnovamento febbrile che libito fe' licito in sua legge; cosa sono, se non rottura con la Chiesa di ieri per creare quella di domani, che dovrà essere rigorosamente bergogliocentrica?
In termini weberiani, siamo all'esasperazione del potere carismatico: non c'è più spazio per la Rivelazione o la Tradizione, per il diritto divino od umano, e neppure per le semplici usanze; l'unica forma di legittimazione di Bergoglio sta nelle sue pretese qualità eccezionali. Ne segue che ogni suo minimo detto o fatto è “profetico”, trasuda ispirazione al punto di essere più che insindacabile: il più rispettoso cenno di critica sarebbe alto tradimento.
Ma per l'appunto: al di là delle censure dottrinali – sacrosante, se non fosse che il “carisma” non si formalizza in una struttura di pensiero, in proposizioni confutabili – cos'è quest'insofferenza per qualsiasi argine se non una rottura con tutta la costituzione divina della Chiesa?
Se questo non è scisma, io non vedo cosa lo possa essere.
E tralascio il mio tremendo sospetto, che al Santissimo Sacramento Bergoglio riserbi l'inchino – e non la genuflessione – perché Lo considera un suo pari. Che si saluta con educazione, ma con cui non si vuole avere nulla a che fare.
Neppure intendo parlare di profezie, complotti o disegni eversivi; tutte le relative ipotesi potrebbero, infatti, essere perfettamente vere (anzi, secondo me alcune sono piuttosto plausibili), ma non aggiungerebbero comunque nulla ai fatti notori e conclamati.
Tra cui ve n’è uno che giudico decisivo. Al punto che credo o temo che neanche il lettore più refrattario agli argomenti fin qui svolti lo possa refutare.
E’ impossibile negare, con un minimo di obiettività, che, intorno alla figura di Bergoglio, si sia sviluppato un movimento scismatico; che tutte le intenzioni da me appena attribuite a lui siano senz'altro riferibili ad una moltitudine di persone. Più o meno credenti, più o meno fuorviate dai media, più o meno “erranti di lungo corso” che hanno visto una Grande Luce.
Fin qui ho supposto che Bergoglio non sia colpevole del delitto di eresia e che l'elezione sia stata perfettamente legittima; sono anche passato oltre il dubbio di partenza sulla validità dell'accettazione. Bene: spingiamoci al massimo del garantismo; supponiamo che, dietro tutti i canti della Bergogliade, stia bensì un disegno, ma diverso e non scismatico. Ad esempio, egli potrebbe essere animato dalla convinzione che la Chiesa abbia un gran bisogno di riparare i propri danni d'immagine, indubbiamente nocivi all'apostolato; in ipotesi, egli sbaglierebbe completamente strategia, ma sarebbe animato da intenzione retta. Resterebbe fermo il dovere di resistenza contro atti che demoliscono la Chiesa anziché edificarla, però non si potrebbe ipotizzare la vacanza della Sede.
Tuttavia, perfino in questa prospettiva, la più favorevole a Bergoglio che mi riesce di concepire, si cela un dettaglio esiziale. Un dettaglio macroscopico, in effetti: appunto il movimento scismatico di cui sopra.
Bergoglio sa benissimo – vista la passione per le telefonate, visto che segue la rassegna stampa, etc. etc. - che le sue parole e i suoi gesti vengono presentati e intesi in un certo modo. Ha di sicuro almeno un'idea generale di quella che si proclama “la nuova chiesa di Papa Francesco” (maiuscole conseguenti all'ordine di importanza). Se, come assunto in ipotesi, la sua intenzione fosse retta, dovrebbe immediatamente correggere il tiro di parole e gesti. Più gesti che parole, a meno che queste non siano inequivocabili.
Non farlo significa cooperare al peccato altrui.
Cooperare formalmente. Perché, consapevoli della conseguenza deleteria del proprio comportamento, non la si vuole direttamente, ma si accetta che si verifichi, magari vedendola come “male minore” rispetto ad un preteso vantaggio in termini di – lasciatemelo dire – marketing da supermercato delle religioni.
Ma non è mai lecito volere il male, né come fine né come mezzo, né comunque come conseguenza – prevista ed evitabile – della propria azione.
Non è lecito moralmente. E neppure sul piano del diritto penale canonico, dove la cooperazione nel peccato diventa concorso nel delitto. Recita, infatti, il can. 1329:
§1. Coloro che di comune accordo concorrono nel delitto, e non vengono espressamente nominati dalla legge o dal precetto, se sono stabilite pene ferendae sententiae contro l'autore principale, sono soggetti alle stesse pene o ad altre di pari o minore gravità.
§2. Incorrono nella pena latae sententiae annessa al delitto i complici non nominati dalla legge o dal precetto, se senza la loro opera il delitto non sarebbe stato commesso e la pena sia di tal natura che possa essere loro applicata, altrimenti possono essere puniti con pene ferendae sententiae.”.
L’intenzione è retta? No: non è mai lecito fare il male perché ne derivi il bene. E comunque non basta. “Se compio un delitto sapendo che è tale perché voglio in tal modo raggiungere uno scopo buono, può essere ugualmente ravvisabile il titolo del dolo - come coscienza e volontà di ciò che si sta facendo - pur sussistendo il convincimento, erroneo o vero, di agire per uno scopo lecito e morale.”. A. D’Auria, L’imputabilità nel diritto penale canonico, PUG 1997,  pag. 84. Lo stesso ragionamento può applicarsi senza difficoltà al dolo di concorso: coscienza a volontà di contribuire al delitto altrui, sebbene il proprio intento “principale” sia un altro.
Dunque, Bergoglio concorre nell'altrui delitto di scisma: non è “complice” (§2) nel senso del previo accordo (§1), ma in quello del contributo consapevole, senza il quale il delitto non sarebbe stato commesso. E se per caso si volesse ancora ipotizzare, in costui, un difetto di consapevolezza circa le conseguenze delle proprie azioni, il can. 1325 risponderebbe che l'ignoranza non scusa neppure in minima parte, laddove sia crassa, supina o affettata.
Quanti, che prima magari si limitavano ad un generico disinteresse per la vita della Chiesa, o a un “Non capisco perché i divorziati non possano fare la Comunione!”, ...e via discorrendo con tutte le categorie note all'esperienza comune; quanti di costoro, dicevo, son passati alla militanza bergogliana attiva? Quanti, prima forse semplici peccatori, sono giunti alla ribellione aperta, al delitto di scisma?? “La Chiesa deve cambiare! Meno male che c'è questo Papa! Adesso si fa come diciamo noi!”. E codesto trascinante esempio biancovestito non ha, forse, fatto trascendere a nuovi eccessi anche i ribelli storici e conclamati?
Ciascuno di voi, se conosce anche un solo caso del genere, può essere moralmente certo che Jorge Mario Bergoglio porta la pena di quel delitto, che quello scisma grava la sua anima con il fardello della scomunica latae sententiae. E' vero, infatti, che egli non sa nulla del singolo caso in questione, che non si è rappresentato il delitto di Tizio, né ha voluto concorrervi. Tuttavia, in chi imbracci un mitra e cominci a sparare all'impazzata in mezzo alla strada, per la condanna non si richiede certo la volontà di uccidere proprio coloro che ha ucciso; similmente, quando ci si è necessariamente rappresentati il fatto che una pluralità indeterminata, e assai numerosa, di soggetti sarebbe stata in vario modo spinta, o aiutata in modo determinante, a compiere atti scismatici, tanto basta perché si contragga la pena prevista per ciascuno, sebbene non siano stati considerati nella loro individualità.
Suscita orrore il pensiero del cumulo di scomuniche che viene a gravare sull'anima di chi ha cagionato uno scandalo di proporzioni simili!
C’è però, e per fortuna, una sorta di consolazione.
Da cinquant'anni suonati, ormai, noi, tutti noi che vogliamo restare Cattolici, discutiamo sul Concilio e il post-Concilio, ci dividiamo lungo uno spettro che va dai continuisti ai seguaci degli antipapi, sgranati come un Rosario di lacrime per la dolorosissima condizione della Chiesa... e spesso, troppo spesso in lotta aperta. Desiderosi di reagire, ma incerti sulla via giusta o intenti a disputare in proposito. E “se la tromba ha un suono incerto, chi si preparerà per la battaglia?” (1Cor 14,8).
Ma ora, finalmente, tra tanti dubbi e legittimi dibattiti, possiamo disporre di una certezza.
Comunque la pensiamo sul Concilio e su tutto ciò che ne è seguito fino alla rinuncia di Benedetto XVI inclusa, se abbiamo quel minimo di onestà intellettuale che basta ad ammettere i fatti evidenti e se la mia ricostruzione giuridica è corretta – come temo che sia – dobbiamo trovarci tutti d'accordo - tutti, perfino i più accesi continuasti - nel concludere che la Sede è vacante.
E se, su questo tragico punto comune, riuscissimo a ritrovare almeno un poco di unità soprannaturale, quel briciolo di pasta che poi la Grazia sa come far lievitare, io sono certo, certissimo che, proprio nell'ora più cupa, quando le Tenebre paiono scatenate del tutto, avrebbe inizio la reazione. Santa e destinata a trionfare, non importa se con un trionfo visibile o nel cataclisma della fine dei tempi.
Questa è un'ora che chiama a raccolta intorno allo stendardo, nudo e scabro, della Croce. Non promette gloria o ricompense in questo mondo, ma solo dileggio, disprezzo o martirio. Ma siamo mandati “come agnelli in mezzo ai lupi” affinché essi credano di trionfare… e un'altra forza, che non è la nostra, sconvolga i loro cammini di empietà. E' tempo che squilli la tromba dell'Arcangelo, ben più potente e sicura delle nostre. Perché ci attende l'equivalente spirituale di una lotta all'ultimo sangue. Da questa lotta dovrà emergere, trionfante, il Cuore Immacolato di Maria; ed Ella, che sa essere dolce Madre di Gesù Bambino e, nello stesso tempo, schiacciare al suolo il serpente; che oggi accoglie ognuno di noi, peccatore, per riportarlo a Dio, ma da sola ha sconfitto, con la forza di una Fede adamantina, tutte le eresie di tutti i tempi; ci ottenga la grazia incommensurabile di saper essere inflessibili sui diritti di Dio e la salvezza dell'anima nostra, senza mai perdere neppure l'apparenza della vera Carità; ci ottenga di convincere, prima ancora che di vincere, e con il profumo soave delle virtù prima che con ogni risorsa dialettica. Così Dio ci aiuti!
 
Guido Ferro Canale