martedì 9 settembre 2014

R.P. Raffaele Ballerini d.C.d.G. LIBERALISMO ED ANARCHIA

La Civiltà Cattolica anno XLV, serie XV, vol. IX (fasc. 1016, 8 genn. 1894), Roma 1894 pag. 129-136.


R.P. Raffaele Ballerini d.C.d.G.

LIBERALISMO ED ANARCHIA

I.

Nella storia si danno ricorsi di tempi, o raffronti secolari, che tengono del misterioso e rivelano leggi mirabili di Provvidenza. Per esempio, l'anno 1793 tramontava nella Francia sotto il terrore della mannaia, e nell'Europa sotto quello di una guerra sovvertitrice de' suoi ordini politici: e proprio cent'anni dopo, ecco il 1893 tramontare nella Francia sotto un peggior terrore, quello della dinamite, e nell'Europa sotto quello di una guerra la più barbara, perchè sovvertitrice dei fondamenti stessi della società umana. Cent'anni fa, si decapitava e si guerreggiava, in odio ai diritti di Dio Signore: al presente si cerca di mandare per aria ogni cosa, in odio ai diritti dell'uomo padrone. Allora si distruggeva e s'incendiava per amore di democrazia; ed ora si preparano stragi e ruine per amore di anarchia. Pazzo davvero chi al secolo, decorso fra questi due anniversarii, nega l'onore di secolo delprogresso!
Frattanto certo è, che il 1894 è sorto ad illuminare una grande tristezza ed uno sgomento, che si manifesta non meno nei pubblici Poteri, di quello che in chiunque ha qualche cosa da perdere sotto il sole. Alla paura che cent'anni or sono la borghesia, idolatra dei principii del 1789, mostrava dei re, dei nobili e del clero, è succeduta la paura dei socialisti e degli anarchici. Per questa borghesia, progredita colla ribellione al Principato di diritto divino ed al clericalismo, il nemico non è propriamente più questo diritto, nè il prete, ma il diritto nuovo, appoggiato alla propaganda del fatto, come si chiamano in gergo anarchico le bombe di dinamite, il quale involge nella medesima condanna di esterminio il borghese ripudiatore del diritto divino e l'autorità del prete.

II.

L'impresa degli anarchici Nè Dio, nè Padrone spaventa oggi tutto il liberalismo europeo governante, giudicante, docente, scrivente, commerciante, possidente, gaudente, che forma alla grossa la così detta classe dirigente. La quale perciò si affretta a prendere difese rigorose, che l'assicurino dai troppo sensibili effetti di quell'impresa, nei palazzi di Stato, nei teatri, nei campi di Marte e persino nelle aule legislative, com'è accaduto in Dublino, in Barcellona, in Parigi. Nè sa intendere perchè mai quella formola astratta di una scuola morale e sociale, debba avere conseguenze sì orribilmente concrete e chimiche, nel bel mezzo della società più civile.
Quindi nella Francia, nella Svizzera, nella Spagna, nell'Austria, si decretano severi articoli da incorporare nel codice penale: primieramente, contro gli anarchici pratici, i quali osano esprimere il libero pensier loro, non colle chiacchiere o colla penna solamente, ma colle bombe devastatrici e micidiali; secondariamente, contro gli anarchici teorici, che ardiscono sostenere, esaltare e promuovere questa insolita maniera di onorare la libertà del pensiero; in terzo luogo, contro i fabbricanti o trafficanti di materie esplosive, che contravvengano a certe determinate regole, circa lo spaccio e l'uso di tali materie, troppo acconce a favorire una libertà di pensiero, che non si ammette per inclusa nei gloriosi principii del 1789.
E bene sta: lodevoli, anzi debite sono, per parte dei Governi, queste severità e queste cautele, tutelatrici dell'ordine pubblico e della pubblica salvezza; ma non sufficienti, a dir vero, per infrenare la scuola propagatrice della terrifica anarchia.

III.

Il male di questa scuola non è nella propaganda del fatto, ma nella propaganda delle idee: ed il peggio si è, che le idee della scuola anarchica hanno la naturale origine ed il perenne alimento proprio da quel medesimo liberalismo, che ora pretende combatterle col codice penale e colle manette degli sbirri. Pur troppo così è: tra anarchia e liberalismo corre una sì stretta parentela, che non più tra figliuolo e padre. Nè a toglierla val nulla il disconoscerla od occultarla.
Il motto Nè Dio, nè Padrone, fuor di dubbio comprende in teorica la sintesi dell'anarchia. Ma non è motto inventato dai suoi maestri o dalla sua scuola: lo ha imparato dai maestri e dalla scuola del liberalismo; con questo solo di giunta, che ne fa un'applicazione più larga, perchè più logica, di quel che ne faccia la scuola liberale.
Il ripudio sociale di Dio e del suo Cristo, fra le nazioni cristiane, è tutta opera e tutto merito del liberalismo. Dal 1789 in qua esso teoricamente lo ha rinnegato in ogni cosa, per principio; e praticamente si è studiato di bandirlo dallo Stato, dalle leggi, dalla famiglia, dall'insegnamento, da tutte quante le appartenenze della civiltà: al quale scopo ha promulgata la doppia necessità disecolarizzare il Governo, separandolo dalla Chiesa, e di laicizzare il cittadino, separandolo dalla fede. In ciò, e non in altro, ha esso posto il cardine della modernità dell'incivilimento e la sostanza della libertà nuova; cioè dire nello sciogliere Governi e governati da qualunque siasi dipendenza dal Dio creatore e Signore dei signori. In una parola, il liberalismo si è mosso dal presupposto che non vi ha da essere Dio: Non est Deus, per giungere a poter vivere senza Dio e contro Dio. Dunque il primo membro dell'impresa anarchica, Non Dio, è trovato, non dell'odierna anarchia, ma del vecchio liberalismo.

IV.

Il medesimo è a dire dell'altro membro Non Padrone, ragion finale dell'essersi ripudiato Dio. Il diritto di Dio, sussistente nell'autorità naturale ed ecclesiastica, era giogo insopportabile ai maestri di liberalismo. Chiunque fosse investito di quest'autorità, era un padrone che impacciava. Come meglio sottrarsene, che negando il diritto divino nella sua sorgente, che è Dio stesso? Ecco perchè il ripudio di Dio in tutto e per tutto divenne essenziale al sistema liberalesco, qual mezzo dialettico di escludere la padronanza dalla società civile.
Per tal modo a Dio si surrogò l'uomo, e questo fu il capolavoro della incielata libertà del 1789, colla quale si mirò a levare dal mondo il diritto di Dio, ed a porre in sua vece il diritto dell'uomo. Da questa libertà scaturì la formola Nè Dio nè Padrone, come il rivolo dalla sua fonte.
Sbandito così Dio dalla società, ne veniva per conseguenza che l'autorità mutasse origine, e si riconoscesse, non più proveniente dall'Autore e Signore supremo della società, ma dall'uomo associato. Per quest'effetto s'ideò la sovranità popolare, stabilita nella perfetta eguaglianza di tutti; e quindi l'esercizio del Potere pubblico come semplice delegazione del popolo: il quale, gran mercè di questo espediente, non veniva più ad essere suddito di nessuno, secondochè accadeva quando l'investito del Potere rappresentava Dio, ma libero suddito di se stesso, rappresentato da chi fa le leggi in suo nome, ed in suo nome le fa eseguire. Con che il liberalismo, negando Dio e il Padrone luogotenente di Dio, credette di far apparire avverata pei popoli la impostura luciferina, Eritis sicut Dii dell'Eden: ed al tempo stesso sperò di eternare nella borghesia, insignoritasi dei Poteri, i godimenti, gli onori ed i lucri del comando.

V.

Ma non fece bene i conti colla logica. La ciurmeria valeva ad affrancare licenziosamente il liberalismo borghese, che non accettava più sopra di sè nè Dio nè padroni; ma non valeva ad affrancare le moltitudini, le quali restavano sempre di fatto assoggettate al dominante liberalismo, padrone il più despotico che immaginar si potesse; giacchè, tolto Dio di mezzo e con Dio la forza morale della coscienza, non gli rimaneva nelle mani altro argomento di governo, che non fosse la forza materiale e l'inganno. Coll'inganno legittimava l'uso e l'abuso della forza, coll'uso e coll'abuso della forza avvalorava l'inganno.
Vantando l'impresa Nè Dio, nè Padrone, scritta in fronte al suo Stato, sotto scusa della indipendenza sovrana e della rappresentanza del popolo-re, il liberalismo si costituì esso Dio e padrone assoluto; e violò quanti diritti sacri ed umani gli tornò conto violare. In ispecie calpestò svergognatamente il diritto della proprietà, in danno della Chiesa, della quale rubò i beni; ed in danno delle popolazioni, che venne saccheggiando colle tasse.

VI.

Se non che fra la moltitudine così corrotta, oppressa e schernita dal liberalismo borghese, che le ha strappato il pane dalla bocca e Dio dal cuore, vi è stato chi ha pensato e detto: — E perchè il liberalismo borghese deve soprastarci da Dio e tiranneggiarci e dissanguarci a libito suo? Perchè a questo liberalismo gaudente ha da spettare il privilegio di appropriarsi il bene della Chiesa ed il bene comune; e non ha da spettare invece alla moltitudine, per cui virtù il liberalismo borghese si arroga di regnare e di governare? Se non vi ha da essere più Nè Dio, nè Padrone per la borghesia, nè meno vi ha da essere pel popolo. L'eguaglianza è radice di libertà. Dunque il popolo applichi alla borghesia, che spadroneggia in tutto e per tutto, la dottrina che rigetta Dio e i padroni, ed essa tanto in suo pro ha sfruttata. Questa dottrina non ha da aver vigore soltanto nel pubblico Governo, e ad utile di chi vi partecipa, ma nel municipio, ma nella famiglia, ma in ogni relazione della vita sociale. L'autorità derivante da Dio impediva il liberalismo borghese di farsi padrone degli Stati e dei popoli; ed il liberalismo borghese se la scosse d'intorno, per amore di libertà: il preteso diritto di proprietà impedisce la plebe di farsi padrona del capitale posseduto dal liberalismo borghese; e la plebe se lo scuota d'intorno, per amore di umanità. Se Dio e il padrone debbon cessare di esistere, lo debbono per tutti i membri della società, e non per un'unica casta sua privilegiata: la distruzione dell'autorità regia ed ecclesiastica ha portato in alto il liberalismo borghese: la distruzione della proprietà privata deve, non portare in alto, ma ragguagliare la plebe colla borghesia.
Poste le premesse, il ragionamento va pel filo della sinopia [= il ragionamento procede dritto per la sua stradaN.d.R.]: ed è chiaro, limpido, accettatissimo, come articolo di fede, dai seguaci del socialismo, i quali crescono ogni dì più, secondati dagli scandali e dagli aiuti che lor fornisce il liberalismo empio, vorace e pervertitore.

VII.

Tuttavia i pedagoghi della scuola socialistica, benchè divisi di opinione, quanto al modo di scavalcare la borghesia e levarle di mano il Potere, concordano però in questo, che il trionfo delle loro idee, più che colle rivoluzioni violente, si ha da ottenere colle rivoluzioni pacifiche ed ordinate delle leggi, coll'organamento degli scioperi, dei sindacati, delle camere di lavoro, colle leghe e sopra tutto coll'arma del suffragio universale: — Noi siamo il numero, dicon essi; dunque noi siamo la forza: nostro è il diritto, che nella forza riposa. Possiamo aspettare: la nostra vittoria potrà tardare, ma non potrà fallire.
Vero è che non tutti sono d'accordo in tal punto. Come al tempo delle congiure liberalesche, per abbattere il Principato cristiano, sorgevano sètte impazienti di precipitare le cose; nella stessa guisa, tra le congiure del socialismo contro la borghesia regnante, sorgono gruppi d'uomini intolleranti degl'indugi, i quali preferiscono un furioso ed incerto soqquadramento al metodico e sicuro incesso del comune partito. E questi sono gli anarchici per antonomasia, i frettolosi ed arrabbiati maneggiatori della dinamite. Nel campo socialistico son essi quello che, nel campo liberalesco, erano già i carbonaried i buoni cugini della Giovane Francia e della Giovane Italia.
Erano questi gli autori degli alti fatti delle stilettate e delle trombonate proditorie, come gli odierni anarchici lo sono della propaganda del fatto, per via di scatole o palle scoppianti. Tra gli anarchici socialisti e gli anarchici dinamitardi la differenza non è nella teorica, è nella pratica: il disparere non è nel fine, è nei mezzi di conseguirlo; in quel modo che, tra i liberali ed i sicarii delle sètte, la discordia si aggirava, non sopra l'intento finale, ma sopra l'opportunità dei metodi per raggiungerlo.
D'onde si scorge come strettissima sia la parentela fra liberalismo ed anarchia, e nulla manchi a costituirla di dentro, ed a chi ben la guardi, a ravvisarla di fuori. Vi è comunità di sangue nell'origine, vi è comunità di latte nei principii, vi è comunità di lineamenti nelle maniere di procedere, vi è persino comunità di patrimonio, nella sostanza di ribellione a qualsiasi autorità divina ed umana. In quella forma che, andante il secolo scorso, i girondini generarono nella Francia i giacobini, e gli uni e gli altri generarono il terrore; nella stessa, andante il secolo nostro, i liberali hanno generati nell'Europa i radicali e i socialisti, e tutti insieme hanno generata l'anarchia.

VIII.

Perciò è cosa, non sappiamo se più ridicola o compassionevole, mirare tutto il liberalismo, commosso e impallidito, strepitare affinchè con ogni sforzo si proceda alla difesa sociale.
Ma da chi, per vita vostra, o signori? Da voi forse che, colla scusa della libertà, avete sfrenate le più malvage passioni, e spezzato nelle nazioni cristiane il fondamento di ogni ordine, che è nella coscienza e nella religiosità? Da voi, banditori e insegnatori di morale indipendente, educatori di generazioni senza Dio e fautori del vizio pubblico, che avete legittimato e persino gabellato? Da voi, predoni dei beni più sacri al mondo, che sono quelli di Dio nella sua Chiesa, ed affamatori del popolo nel nome di una patria, che si è ridotta ai vostri scrigni ed alle libidini della superbia e lussuria vostra? Da voi, irrisori ed oltraggiatori di quanto è più venerabile nella Chiesa di Cristo, de' suoi dommi, del suo decalogo, de' suoi misteri, del suo Capo, del suo clero, de' suoi fedeli? Da voi, lodatori, premiatori e adoratori di tutti gli assassini politici e di tutti i regicidi, che sono giovati ad innalzarvi, ad ingrassarvi, a farvi vivere da sibariti? Come potete voi tutti che avete eretti monumenti, offerte corone o bruciati incensi ai Ciro Menotti, agli Agesilao Milano, ai Felice Orsini, ai Moncasi, ai Monti e Tognetti, e li avete proposti ad eroico esempio della gioventù, come potete voi invocare pene e supplizii contro gl'imitatori dei Ravachol, dei Pallas e dei Vaillant?
Si badi bene: noi non riproviamo, anzi approviamo le materiali difese che ora si prendono dagli Stati, a repressione dei delitti degli anarchici. Ma affermiamo che son difese da poco e quasi da nulla, finchè non si metta mano a togliere l'anarchia dalle teste, e non si torni colle leggi, coll'educazione e coi costumi, a quelle credenze e pratiche del Cristianesimo, la cui legale e pubblica apostasia produce necessariamente la sociale anarchia.