giovedì 21 agosto 2014

“Il regno dell’Anticristo ed altri scritti”: quando gli Adelphi sono “pop”

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“Il regno dell’Anticristo ed altri scritti” (Edizioni la Carmelina, 2014, 229 pp, 10 euro) è come un sottile filo rosso che unisce John Lennon ad Annibale Bugnini e alla Pittsburgh Pedriatic Society, Ernst Ludwig Kirchner a Karl Marx e David Rockefeller, Lady Gaga a Giovanni Battista Montini e Walt Disney, nomi a date, luoghi ad avvenimenti: questo libro però non è un semplice e sterile almanacco che si limita a descrivere il declino causato dal cancro della modernità. Tutto è reso in un vivo e terribile affresco i cui colori sono sapientemente dosati dal poliedrico Alessandro Guzzi, romano, dottore in legge, pittore e studioso di spiritualità.
 Nel recensire questo minuzioso lavoro viene quasi naturale la comparazione con il classico saggio di Maurizio Blondet “Gli Adelphi della Dissoluzione”. Chiariamo innanzitutto che il tratto distintivo di quest’opera dell’artista romano (arricchita da puntuali note ed esplicative illustrazioni) si mostra principalmente in due felicissime intuizioni, che tengono Blondet e il suo celebre “Gli Adelphi” a debita distanza. 
La prima intuizione di Alessandro Guzzi è il comprendere che l’Anticristo e la dissoluzione non sono materia esclusiva di cattedratici, intellettuali e parrucconi da salotti dell’alta società. Maurizio Blondet, nella sua nota opera, ci aveva presentato quasi esclusivamente circoli iniziatici elitari interessati esclusivamente al mondo della letteratura, dell’industria, dell’alta finanza, con scarso interesse per il volgo e solo sporadiche sortite nel mondo “pop” della massa. “Il regno dell’Anticristo”, invece, ci fa accorgere che l’élite non si limita a vaghe e sporadiche direttive, ma ha previsto e sta attuando il controllo mondiale con un insieme trasversale di azioni graduali e sempre più pressanti e pervasive. Da una parte l’esaltazione del marcescente, del putrido, del brutto, del caotico, tutto ciò sublimato nel primitivo istinto duale di eros e thanatos, teorizzato dai padri della psicanalisi e poi inoculato tramite una nuova arte, un nuovo cinema, una nuova musica, che parlano il linguaggio dei simboli e del subliminale. Tramite la sua spiccata sensibilità artistica, Guzzi ci invita a condividere con lui la profonda giusta collera e la dignitosa sofferenza nel rilevare l’involuzione primitiva tra il neoclassicismo, il romanticismo e i preraffaelliti da una parte e l’espressionismo e l’astrattismo dall’altra. Il sesso deviato flirta con Belzebù e non appaga mai i suoi fruitori, perché privato della sua funzione generatrice. È diventato, per stesso volere dei poteri dietro la dissoluzione, una sorta di vuota coazione, quella che Burroughs chiama giustamente “Pasto Nudo”. Esso rimbalza sempre più osceno, egemone, putrido, deviato e coatto, fra i cartoni animati dei Griffin, i quadri di Kirchner e il film “Eyes Wide Shut”, a cui Guzzi restituisce il significato di lucida denuncia delle pratiche iniziatiche dei circoli di Hollywood, costata la vita al regista Kubrik. Il documento più sconvolgente che Guzzi dona al pubblico italiano, inedito finora nella nostra lingua, è il resoconto di una riunione di pediatri statunitensi del 1969 che, cavalcando l’onda lunga dello gnosticismo, propone sorprendentemente un chiarissimo programma per il genocidio di massa, foriero di un “nuovo ordine mondiale”, folle utopia che i seguaci degeneri di Malthus inseguono agitando lo spauracchio della sovrappopolazione e dell’eco-terrorismo e che hanno scolpito a chiare lettere nelle tristemente celebri Georgia Guidestones. Il programma si articola in una sessantina di azioni, che riguardano ogni campo della vita umana, nessuno escluso. Queste azioni modificano il modo in cui l’uomo moderno comprende e si rapporta con la società, la famiglia, la sessualità, la morte, l’educazione, l’arte e finanche il sacro.
Già: il sacro! Questa la seconda felice intuizione di Guzzi: grande protagonista della dissoluzione è quella “chiesa conciliare” che ha sovvertito, umiliato, svilito, depauperato la Tradizione. La sensibilità dell’artista si concentra in special modo sulla liturgia, sui suoi gesti: lex orandi, lex credendi, va da sé. Il ruolo del Concilio Vaticano II nella modernità sembra essere terribilmente sottostimato, se non del tutto disconosciuto, in Blondet, per motivi ignoti, e qualsiasi pur eccellente anamnesi del giornalista milanese, manca di una serena presa di coscienza del problema con il Concilio Vaticano II. Guzzi, invece, dedica ampi stralci del suo libro alla sovversione della Messa, alle profanazioni, alle storture che la cena di Montini, Bugnini e Lercaro consentono. Confronta poi la tavola calda montiniana con il rito degli scismatici orientali, che non hanno subìto la rivoluzione che in occidente, con un colpo di spugna, ha cancellato memoria, senso di sacralità, gusto per ciò che è buono e bello. Nella “scoperta” della liturgia orientale, Guzzi segue un po’ le orme della poetessa Cristina Campo, che fu negli anni eroici di Una Voce, una delle più accese promotrici della conservazione della liturgia di sempre (ella è stata traduttrice del Breve Esame Critico dei Card. Bacci e Ottaviani dal francese all’italiano, e firmataria della celebre petizione del cosiddetto “indulto di Agatha Christie”).
Se si può presentare una critica al libro  i Guzzi, è quella inerente una lieve mancanza di chiarezza sul concetto di tradizione, che non spaventa gli “addetti ai lavori”, che sanno come muoversi agilmente fra le pagine di questo affascinante libro, ma che potrebbe destare qualche dubbio nei neofiti. Georg Trakl e Rene Guenon, ad esempio, hanno afferrato appieno il concetto di “tradizione”, lo hanno dissezionato in tutte le sue componenti metafisiche, esoteriche, simboliche, mitologiche, ma ciò è sufficiente ad arruolarli nel combattimento contro la dissoluzione e contro l’Anticristo? Tutt’altro. In fondo anche l’Anticristo è tradizionale. La lettura di quest’affascinante opera dunque, può e deve essere completata da una lucida e serena riflessione su come l’amore per i simboli, i gesti, l’immaginario caro alla Tradizione non è altro che la forma più immediatamente percepibile dell’amore per la disciplina, l’ordine, l’armonia che Dio ha infuso alla materia, al creato e alla nostra anima: “Tutto hai creato con misura, numero e peso”. Che è poi il miglior antidoto per l’Anticristo.
 
Recensione di anonimo, testo raccolto a cura di Piergiorgio Seveso - http://radiospada.org/