giovedì 14 agosto 2014

Il Papa e gli errori di Versailles - Luca Geronico

tratto da: Avvenire, 31.5.2000.
Benedetto XV

   Da oggi a Portogruaro un convegno sul trattato che pose fine alla Grande Guerra. E fornì le basi al nazismo
Nel 1918 chiese agli Asburgo di riformare l'impero, poi tentò di opporsi a una pace punitiva
Benedetto XV però non fu ascoltato



"Nel precipitare degli avvenimenti noi riteniamo opportuno e necessario che Vostra Maestà con atto pubblico e solenne, estendendo la forma federale dell'impero, conceda larga autonomia ai Czeco-Slovacchi e Jugoslavi". Pochi giorni ancora e la caduta degli Asburgo con la fuga di Carlo I si sarebbe consumata. Per questo il telegramma di Benedetto XV del 10 ottobre 1918 all'imperatore dell'ultima potenza "cristiana" può essere letto oggi come l'epitaffio di un'epoca, ma anche come implicito auspicio di un nuovo sistema internazionale. Invano il 1° agosto del ‘17 Papa Benedetto aveva gridato all'"inutile strage", tanto inutile quanto ancor più tragica per Pietro, perché combattuta anche fra popoli "naturaliter" cristiani.

Un colpo di maglio quell'"inutile strage" che doveva spazzare via le macerie del pericolante castello diplomatico disegnato un secolo prima - dopo il terremoto giacobino e napoleonico - proprio nella Vienna degli Asburgo. Svanito l'impero, il secolare baluardo mitteleuropeo contro l'islam, l'ortodossia e protestantesimo, e anche uno dei perni della «balance of powers» del Vecchio Continente, la nuova Europa avrebbe dovuto ricominciare da Versailles. Un tornante della storia - come si dice - ma che, invece di stabilire nuovi equilibri fu un infelice preambolo al formidabile duello fra democrazie liberali, fascismo e comunismo che si sarebbe concluso solo dopo una seconda guerra mondiale e la guerra fredda.

Per quali ragioni un congresso di pace tanto atteso si trasformò in uno strumento di provocazione e diede l'avvio a questioni oggi non ancora risolte? Un intreccio di complessi scenari internazionali che sarà analizzato da prestigiosi relatori provenienti da tutta Europa - a partire da oggi fino a domenica a Portogruaro e Bibione (Venezia) - nel primo congresso storico internazionale sull'argomento.

Dal Vaticano a Vienna. Così a un passo dal "confine orientale" sarà Giorgio Rumi (cui dobbiamo la citazione d'apertura) ad illustrare attraverso i dispacci diplomatici il rapporto fra Vaticano e Vienna nel 1917-1918: un legame profondamente sentito quello di papa Della Chiesa con l'ultimo sovrano cattolico, tanto che, "il Papa dopo Caporetto si permise di raccomandagli l'incolumità di donne, bambini, sacerdoti e parrocchie", afferma Rumi. Quando poi la caduta dell'impero era ormai imminente, Benedetto XV "compì un estremo tentativo per salvare l'impero, rivolgendo all'imperatore un pressante invito, fuori di ogni consuetudine protocollare, ad una coraggiosa riforma della struttura statuale asburgica. Chiese specificamente la forma federale e larga autonomia per i cecoslovacchi e gli jugoslavi". Per Benedetto XV il nuovo equilibrio andava dunque cercato attraverso nuove istituzioni più rispettose dell'"autonomia" dei popoli.

Dal Vaticano a Versailles. Non è consueto per un Papa dare indicazioni istituzionali, ma l'invito era conseguenza di una profonda preoccupazione morale: "In ogni guerra per giungere alla pace si è dovuto smettere il proposito di schiacciare l'avversario. Mettere l'avversario in condizione di non più tentare la prova è una stoltezza... Le guerre esisteranno non finché vi sarà la sola forza, ma finché vi sarà l'umana cupidigia". Non schiacciare l'avversario, non cercare una pace punitiva, rispettare i popoli... Benedetto XV appunta di suo pugno questi pensieri a margine del discorso del 1 agosto 1917, quello dell'inutile strage. "L'appunto è stato scritto certamente subito dopo la fine della guerra", spiega Antonio Scottà, organizzatore del convegno e fra i massimi studiosi del Della Chiesa che ha rinvenuto queste inedite note.

Un auspicio di una pace non punitiva che, sia pure da premesse culturali molto diverse, era condiviso dal presidente statunitense Wilson autore dei famosi 14 punti esposti al Senato statunitense l'8 gennaio 1918, un progetto destinato ben presto all'insuccesso. "Sin dall`ingresso in guerra nell'aprile del 1917 - afferma da parte sua lo storico Italo Garzia - Wilson fu portatore di un'ideologia nuova rispetto alla politica di potenza e propose un concetto di sicurezza innnovativo, cioè garantito dalla Società delle Nazioni e non più dai singoli Stati". A Parigi si verificò quindi uno scontro fra questa ideologia e gli interessi dei Paesi vincitori, in particolare con la Francia sulla definizione delle sanzioni. "Per Wilson, d'accordo con la Gran Bretagna, la Società delle Nazioni avrebbe dovuto imporre sanzioni morali e finanziarie. La Francia, invece, voleva anche sanzioni militari, la possibilità della Società di avere un esercito capace di intervenire direttamente", spiega Garzia.

Un progetto che si infranse sugli scogli della «real politik», ma anche contro la debolezza di Wilson che non ebbe mai l'approvazione del Senato americano. "A quel punto - conclude Garzia - fu chiaro che il sogno wilsoniano era finito e a Versailles, dopo gli entusiasmi iniziali, subentrò una profonda delusione". Italia e Gran Bretagna cercarono i maggiori benefici territoriali possibili, mentre la Francia mirava a una pace punitiva rispetto alla Germania. "Wilson non seppe opporsi alla rete dei particolarismi degli europei. Inoltre fallì nel punto chiave dei trattati di pace, cioè il trattamento della Germania" prosegue lo storico Danilo Veneruso. La Germania, sulla base dei 14 punti di Wilson, si era arresa confidando nella trasformazione dell'impero di Guglielmo II in una repubblica. "La nuova classe dirigente tedesca democratica e imperniata sul Centro cattolico e sui socialdemocratici avrebbe avuto bisogno del sostegno internazionale - continua Veneruso -. Invece Wilson accettò che la Germania fosse gravata da una assurda riparazione e subisse punitive perdite territoriali. Il risultato fu una delegittimazione della giovane democrazia tedesca, ritenuta debole complice di quel sistema internazionale". In pochi anni in Germania avrebbe prevalso il nazionalsocialismo mentre dall'altra parte d'Europa emergeva un nuovo attore l'Unione sovietica. La vecchia e civilissima Europa stava scivolando come su un piano inclinato verso la seconda guerra mondiale. Aveva prevalso l'"umana cupidigia".