giovedì 17 luglio 2014

“Modernità”: una classificazione temporale irrazionale e anticristiana

 
Antichità – medioevo – modernità: la cultura dominante, i mass-media e l’insegnamento scolastico ci hanno abituato a classificare la storia, la civiltà e il sapere usando questa suddivisione temporale tripartita.
 
Una tripartizione comoda ma contestabile
Nelle scuole di ogni livello, comprese quelle cristiane, le scienze umane e le materie umanistiche vengono insegnate non in sé stesse ma nella loro evoluzione temporale suddivisa nel modo citato; ad esempio, non s’insegna la filosofia come tale, ossia quella vera, ma la storia delle opinioni e delle correnti filosofiche, iniziando da quelle antiche, passando poi quelle medioevali (quando c’è tempo e voglia), infine arrivando a quelle moderne; lo stesso vale per la letteratura, le arti, la religione.
Tuttavia questa tripartizione temporale, pur essendo metodologicamente comoda per il suo schematismo, non è affatto scontata o neutrale come potrebbe sembrare; anzi, essa nasconde e veicola un implicito giudizio di valore che colpisce alla radice la credibilità sia della retta ragione naturale che dell’autentica Fede cristiana.
 
Una tripartizione contraria alla ragione
La tripartizione storica antichità-medioevo-modernità è contraria alla retta ragione. Secondo questa scansione temporale, partendo dalla età antica, dominata dalla idolatria e della schiavitù, l’umanità si sarebbe evoluta in quella medioevale, caratterizzata dalla superstizione e dalla tirannia, per giungere infine a quella moderna, illuminata dalla ragione e animata dalla libertà. Ma una tale valutazione ha senso solo se si accetta il falso presupposto ideologico dello storicismo progressista, secondo il quale “la verità è figlia del tempo” e ciò che viene dopo è sempre migliore di quanto lo ha preceduto.
Secondo questa tesi relativistica, non esiste un sapere che possa essere considerato come vero in sé; pertanto bisogna semplicemente farne la cronistoria per arrivare a celebrarne l’ultima versione, la quale sarebbe valida per il solo fatto di essere “moderna”, ossia conforme alle supposte esigenze del nostro tempo; in tal modo, saperi certi e perenni vengono ridotti a prodotto dei tempi e sostituiti da mode discutibili ed effimere elevate al livello di dogmi.
Eppure questo relativismo ammette una significativa eccezione: le cosiddette “scienze esatte” (matematica, fisica, chimica, biologia…) vengono insegnate non nella loro storia ma nella loro teoria e pratica attuali; ciò avviene perché si ritiene che queste scienze, essendo nate nella età moderna, siano per ciò stesso valide, per cui il loro insegnamento non avrebbe bisogno di essere storicizzato; questo significa che il solo sapere certo e sicuro sarebbe quello inventato dalla modernità, ossia quello scientifico, nel senso riduttivo impostosi da Galileo in poi.
Questa eccezione è rivelatrice, perché manifesta la scorrettezza e faziosità dello storicismo progressista. Infatti esso elude il fondamentale criterio della verità per ripiegare su quello dell’attualità; teorie, comportamenti, avvenimenti e istituzioni sarebbero da giudicare non secondo il criterio vero-falso o giusto-ingiusto, ma secondo il criterio attuale-inattuale, ossia “moderno-retrivo”. Data questa premessa, la cultura dominante non ammette critiche alla modernità, che vuole santificata per il mero fatto di essere attuale o pretesa tale; anche se oggi si parla di superare il moderno nel postmoderno, si tratta pur sempre di progredire nella stessa direzione, anzi di fare un salto di qualità per risolvere le contraddizioni del primo nel secondo.
Da qui si vede che il metodo apparentemente neutro della successione temporale viene usato per imporre slealmente un (pre)giudizio di valore progressista che rifiuta la verità, elude la verifica richiesta dalla ragione critica e induce a giudicare tutto in base alla mera attualità. Ciò costituisce un gran vantaggio per le idee e i fatti più erronei e malvagi, che in tal modo possono essere giustificati per il mero fatto di essere “moderni”; ad esempio, gli errori e orrori comunisti sono stati giustificati per 70 anni col pretesto che “indietro non si torna”.
La falsa e artificiosa tripartizione temporale permette allo storicismo di relativizzare quel patrimonio di civiltà e di saperi, ossia quella tradizione, costituita dalla civiltà classica, bollata come “antica”, e soprattutto da quella cristiana, bollata come “medioevale”. In tal modo, la cultura dominante tenta d’impedire che la memoria di questa tradizione risusciti nella opinione pubblica, specialmente giovanile, le fondamentali domande dell’esistenza comune (Chi sono? Da dove vengo? Dove vado? Esistono la verità, la giustizia, l’anima, l’aldilà, Dio?). Su questi problemi cala una condanna pregiudiziale e una censura sancita dal noto “divieto di far domande”, imposto da Marx e denunciato da studiosi come Voegelin e Del Noce.
E così, la tradizione viene relegata nel passato e ammessa solo come eredità da archiviare nei musei o da saccheggiare e dissipare per scopi di diletto nostalgico o di utilità pratica. Talvolta, nei periodi di crisi, sembra che si voglia rivalutare la tradizione; ma di solito lo si fa solo per ridurla a fattore preparatore o sussidiario dell’evoluzione in corso, inglobando passato e presente nella “tradizione vivente” e applicando la cosidetta “ermeneutica della continuità”; al massimo, antichità e medioevo vengono ammessi come tesi e antitesi preparatori di una moderna sintesi che relativizzi, assimili e superi entrambe. Le riforme dell’insegnamento scolastico, da quella liberale a quella fascista fino a quelle democratiche, rispondono tutte a questo noto schema hegeliano.
 
Una tripartizione contraria alla Fede
La tripartizione antichità-medioevo-modernità è contraria non solo alla retta ragione ma anche alla Fede. Infatti, con questa suddivisione, lo storicismo periodizza la storia religiosa dell’umanità secondo un implicito giudizio di valore che relativizza il Cristianesimo. Secondo questa valutazione, il Cristianesimo va considerato come un fatto storicamente superato, relegato nel passato perché tipico del medioevo, ossia di un’età di mezzo, che vale solo come transizione tra la idolatrica età antica e la scientifica età moderna. Non a caso, quando dall’insegnamento del medioevo si passa a quello della modernità, la teologia e la filosofia esplicitamente cristiane scompaiono come materia di studio, sebbene esse siano continuate nella vita culturale dei popoli fino ai giorni nostri.
Secondo il presupposto storicista, il Dio della Rivelazione biblica è il Signore non dell’umanità, ma solo di una sua fase storica superata; Gesù Cristo non è il centro della storia, ma solo un suo protagonista periferico, assieme a Budda, Confucio, Maometto; il Cristianesimo non può avere pretese di universalità e di totalità, ma è solo una tradizione e un fattore culturale relegato al tempo medioevale e allo spazio occidentale; la Chiesa non è la società di salvezza, ma solo una società religiosa prodotta dalla propria epoca e superata da quella successiva.
Questa relativizzazione del Cristianesimo può avere una versione radicale e una moderata.
Secondo la versione radicale, il Cristianesimo è un relitto del passato, una mitologia superstiziosa che ha mancato le proprie promesse e anzi ha impedito per due millenni, e tuttora ritarda, quel progresso che libererebbe l’umanità dall’ignoranza, dai bisogni e dalla oppressione. Pertanto, il Cristianesimo sarebbe semplicemente un errore da smentire e un ostacolo da sopprimere, esiliando Dio in Cielo e cancellando la Chiesa dalla Terra e dalla storia. Ciò fatto, la modernità (con quella sua conseguenza politica detta laicità) potrebbe realizzerebbe la propria missione: costruire un antropocentrico regno dell’Uomo capace di realizzare sulla Terra e nella storia quel paradiso alienato dalle religioni in un Cielo e un’eternità inesistenti.
Secondo la versione moderata, il Cristianesimo costituisce un importante agente della storia, ma deve evolversi con questa adeguandosi al progresso dell’umanità. Ciò significa che la Fede cristiana, rinunciando alla pretesa di essere verità universale e necessaria, dunque obbligatoria, deve ridursi a essere un fattore storico succedaneo e facoltativo, un “supplemento d’anima” capace di contribuire a quella liberazione dell’umanità guifata dalle forze progressive della storia.
Secondo questa tesi, durante l’età medioevale Dio elevò alla dignità divina un solo Uomo (Gesù Cristo) e avviò la maturazione dell’umanità intera, facendola passare dall’età infantile a quella fanciullesca e dalla barbarie alla civiltà; ma lasciò l’uomo incapace di governarsi da solo e quindi sottomesso alla tutela della Chiesa e al potere delle autorità. Durante l’età moderna, finalmente Dio ha avviato la divinizzazione dell’umanità intera, facendola passare dall’età fanciullesca a quella adulta, in modo che si governi da sola e si renda padrona del mondo, elaborando una scienza secolare e organizzandosi in una società laica che la emancipi da ogni dipendenza dal sacro.
La modernità dunque porterebbe a compimento l’evoluzione religiosa riconciliando Dio e Uomo, Cielo e Terra, Chiesa e Mondo, Tradizione e Rivoluzione, Autorità e Libertà, creando una civiltà profana fondata su un nuovo umanesimo che sia insieme teocentrico e antropocentrico, “fedele a Dio e alla Storia”, secondo lo spirito del Concilio Vaticano II implicito nella sua celebre Gaudium et spes.
 
Concezione figlia del relativismo e dell’evoluzionismo
Le due versioni sopra esposte, quella radicale e quella moderata, derivano dalla comune visione relativistica ed evoluzionistica della civiltà, della religione e di Dio stesso. Questa visione nega al Cristianesimo la sua principale caratteristica e pretesa: quella di essere la verità divinamente rivelata per la salvezza dell’umanità, verità valida in ogni tempo e luogo. Se uno accetta la versione moderata, viene tendenzialmente portato ad accettare poi, per coerenza, quella radicale.
Pertanto, quelle due versioni non sono in conflitto né in alternativa ma anzi sono in collaborazione tra loro. Infatti la versione radicale, tipica dell’ateismo ideologico e militante, serve a convincere gli “spiriti forti”, esplicitamente e coerentemente irreligiosi, a combattere la Chiesa considerandola come ostacolo a una storia che deve evolversi senza o contro di Lei. Invece la versione moderata, tipica di cattolici liberali, modernisti e “adulti” che si vergognano della Chiesa, serve a convincere gli animi tiepidi, implicitamente e incoerentemente irreligiosi, a ridurla a fattore di una storia che può evolversi meglio asservendola e strumentalizzandola.
 
Conclusione
Come abbiamo visto, la tripartizione temporale antichità-medioevo-modernità costituisce, di per sé, un fattore che insinua nella opinione pubblica e insegna ai nostri studenti, se non il rifiuto, almeno il disprezzo della retta ragione e della vera Fede. Questo ci fa capire quanta influenza abbia l’insegnamento della storia, che non può mai essere neutro o avalutativo, ma contiene e veicola sempre una qualche filosofia implicita, ossia una concezione dell’uomo, della civiltà, della società e della religione; se non è quella vera, è inevitabilmente una radicalmente o moderatamente falsa.
Ne deriva quanto sia importante che nelle nostre scuole, a cominciare da quelle nominalmente cristiane, si ristabilisca un corretto insegnamento storico, basato su una vera filosofia e teologia della storia, nel quale il Cristianesimo non venga esiliato in un “medioevo” da commemorare come sorpassato, ma venga ricuperato come “thèma eis aèin”, “depositum aeternum”, tradizione perenne da vivere nel presente e da realizzare nel futuro, per coglierne infine i frutti nell’eternità.


Guido Vignelli - http://www.ilgiudiziocattolico.com/