mercoledì 9 luglio 2014

La Polveriera Balcanica dal 1875 al 1914 (4° ed ultima Parte ): Le Guerre Balcaniche (1912-1913)



File:SouthEast Europe 1878.jpg
Geo-politica dei Balcani nel 1878.
Con il precario equilibrio stabilito al Congresso di Berlino, seguito alla guerra russo-turca del 1877-78, vennero gettate le premesse per le Guerre Balcaniche.
La Serbia infatti, alleata dell'Impero Russo, aveva approfittato per strappare all'Impero Ottomano molti territori, la Grecia aveva occupato la Tessaglia subito dopo, nel 1881 (anche se poi ne dovette restituire una piccola parte agli Ottomani nel 1897), e la Bulgaria (il cui status di principato autonomo venne sancito al Congresso) la provincia della Rumelia orientale nel 1885.

Serbia, Grecia e Bulgaria, dopo essersi resi indipendenti, da tempo avevano iniziato a sviluppare politiche espansioniste volte a spartirsi la parte restante della provincia ottomana della "Rumelia", che comprendevano la Rumelia orientale, la Macedonia e la Tracia.
All'inizio del XX secolo l'Impero ottomano versava in uno stato di grave crisi; disordini e turbolenze affliggevano le provincie europee dell'Impero.
Rivolte locali, attentati ed una perdurante guerriglia sconvolgevano la regione. Particolarmente delicata era la situazione nella multietnica Macedonia, dove alla popolazione slava locale si affiancavano minoranze serbe, greche e bulgare. La settaria Organizzazione Rivoluzionaria Interna Macedone (VMRO), nata nel 1896, era una delle più attive nel compiere attentati contro l'amministrazione ottomana, al fine di costituire una Macedonia autonoma inserita all'interno di una federazione slava balcanica, mentre le altre minoranze etniche guardavano per lo più all'integrazione con i vicini indipendenti, da cui ricevevano segretamente sostegno e finanziamenti.
Mehmet V
Mehmet V

Il colpo di stato dell'aprile del 1908, promosso dall'organizzazione (massonica) dei Giovani Turchi, che portò alla destituzione del sultano Abdul-Hamid II in favore del fratello Mehmet V, costituì un motivo di ulteriore tensione nella Rumelia.
I Giovani Turchi erano settari  nazionalisti di etnia turca e le riforme del loro governo colpirono tutte le minoranze dell'Impero e trovarono forte opposizione in particolare presso gli albanesi.
La Bulgaria ne approfittò per proclamarsi Regno indipendente (ottobre 1908), e la Grecia procedette all'annessione dell'isola di Creta (le grandi potenze, tuttavia, bloccarono quest'ultima operazione). Nell'agosto 1910, anche il Montenegro si auto-proclamò Regno indipendente.

Üsküb (Skopje) sotto il controllo dei rivoltosi albanesi
Üsküb (nome turco di Skopje) sotto il controllo
dei rivoltosi albanesi.

 Nell'aprile del 1910 il vilayet del Kosovo, dove da tempo si verificavano scontri e violenze tra le minoranze serbe ed albanesi, vide lo scoppio di una vasta insurrezione antiturca delle popolazioni albanesi, rivolta estesasi anche ai vilayet di Scutari e Monastir in seguito alla schiacciante vittoria dei Giovani Turchi alle elezioni del febbraio 1912.
La rivolta albanese ottenne un ampio successo e gli insorti, arrivati a contare quasi 45.000 uomini, riuscirono ad occupare nell'agosto del 1912 le importanti città di Prizren, Novi Pazar e Skopje.
La prova di forza convinse il governo ottomano a trattare, e nel settembre del 1912 furono concesse ampie autonomie in materia di amministrazione e giustizia ai vilayet abitati dagli albanesi.
Si giunse perfino ad ipotizzare la costituzione di un unico vilayet albanese, preludio alla creazione di un'Albania propriamente indipendente.

Il governo serbo di Pietro Karađorđević  , vedutesi frustrare le proprie ambizioni egemoniche sulla Bosnia dall'Austria, che deteneva l'amministrazione della regione, e dalle altre potenze europee, rivolse le sue mire espansionistiche verso sud, in quella che era la "Vecchia Serbia" (il Sangiaccato di Novi Pazar e la provincia del Kosovo).
Alle mire serbe si aggiunsero quelle bulgare i quali, ottenuto l'appoggio della Russia, desideravano infatti annettere i territori ottomani in Tracia e Macedonia, mentre il 28 agosto 1909 in Grecia, un gruppo di ufficiali chiesero una riforma costituzionale, la rimozione della famiglia reale dalla guida delle forze armate ed una politica estera più decisa e nazionalista con cui poter risolvere la questione cretese e ribaltare l'esito della sconfitta del 1897.
La cartina in tedesco raffigura il teatro
delle operazioni della guerra italo-turca

A complicare ulteriormente la situazione per gli ottomani, nonché il loro prestigio politico e militare internazionale, arrivò nel 1911, l'invasione e l'occupazione sabauda della Tripolitania.
Lo scoppio della guerra italo-turca nel settembre del 1911 aveva accelerato il processo di disgregazione dell'Impero Ottomano: le sconfitte turche in Libia e nel mar Egeo misero in luce la profonda crisi in cui versavano le forze ottomane, mentre i disordini in Macedonia ed in Albania sembravano preannunciare un'imminente disgregazione dei territori europei dell'Impero.
 
Nikola Pašić.

 I contatti tra Bulgaria e Serbia in merito alla spartizione dei territori ottomani furono piuttosto freddi e graduali. I due paesi si erano scontrati in una breve guerra nel 1886, e forti rimanevano i contrasti in merito alla spartizione della Macedonia, abitata da gruppi etnici appartenenti ad entrambe le nazioni.
Nel riavvicinamento dei due Stati giocò un ruolo rilevante la diplomazia russa, nella persona degli ambasciatori Nikolaj Hartwing (a Belgrado) e Aleksandar Nekliudov (a Sofia).
Dopo alcuni incontri informali all'inizio del 1910, i contatti tra le due nazioni ripresero nel settembre del 1911: i rispettivi primi ministri, il bulgaro Ivan Gešov ed il serbo Nikola Pašić, convennero sulla necessità di un'alleanza militare per impossessarsi dei territori ottomani, concordando anche su una prima bozza di spartizione (la Tracia alla Bulgaria, il Kosovo ed il nord dell'Albania alla Serbia, che puntava così ad ottenere uno sbocco sul mare).

Più complicata fu la questione della spartizione dei territori macedoni. Abbandonata l'idea, promossa dai bulgari, di farne una provincia autonoma, per le insistenze egemoniche serbe, vennero definite due zone: una spettante alla Serbia ed una spettante alla Bulgaria, con in mezzo una vasta "zona contesa" rivendicata da entrambe, comprendente le città di Skopje, Kumanovo, Ohrid, Debar, Kičevo, Tetovo e Struga.
Dopo lunghi negoziati, si convenne infine che la sorte della zona contesa sarebbe stata definita a guerra conclusa, con un arbitrato mediato dallo Zar russo.
Tra l'11 ed il 13 marzo 1912, i due Stati sottoscrissero un trattato di amicizia ed alleanza, presentato alla diplomazia europea come un modo per mantenere lo status quo nei Balcani.
Le decisioni, in merito alla spartizione dei territori ottomani, erano contenute in un allegato mantenuto segreto.
Eleftherios Venizelos

La questione dei territori ottomani interessava anche la Grecia.
Uscita sconfitta nella guerra greco-turca del 1897, ambiva ad ottenere guadagni territoriali nella Macedonia meridionale, oltre a risolvere definitivamente la questione di Creta.
Sostenuto dagli ambienti militari e da un largo seguito popolare, nell'ottobre del 1910 divenne Primo ministro Eleftherios Venizelos, fautore di una politica nazionalista ed anti-ottomana.
Venizelos rilanciò i rapporti con la Bulgaria, nonostante una certa ostilità tra i due paesi.
Dopo aver stabilizzato le relazioni con la Serbia, nel febbraio del 1912 Gešov si dedicò ai rapporti con i greci, stabilendo una solida intesa sul piano militare ma trovando anche qui contrasti sulla spartizione della Macedonia meridionale, ed in particolare sul destino di Tessalonica, rivendicata da entrambi.
Incassato il sostegno bulgaro sulla questione di Creta e desideroso di portare a termine l'accordo, Venizelos non ritenne necessario forzare la questione della Macedonia, rimandando le spartizioni territoriali al dopoguerra: il 29 maggio 1912 un trattato di alleanza fu stipulato tra Grecia e Bulgaria.
Nicola I
Nicola I del Montenegro.

 L'ultimo ad aggregarsi alla "Lega balcanica" fu il Montenegro.
Attivo nel sostenere la guerriglia albanese contro gli Ottomani, il Re Nicola I era tuttavia ostile alla Serbia: erano note infatti le brame serbe sul trono del piccolo regno.
Solo nel maggio del 1912, su iniziativa diplomatica russa, il Montenegro fu coinvolto nei negoziati per la creazione della Lega: un accordo verbale con i bulgari concedeva al Montenegro, in cambio del suo sostegno militare, il possesso di tutto il territorio che sarebbe riuscito a conquistare.
Venne anche convenuto che i montenegrini avrebbero iniziato per primi la guerra, attaccando gli Ottomani per la fine del settembre 1912. Un'intesa serbo-montenegrina arrivò solo il 6 ottobre 1912, due giorni prima dell'inizio delle ostilità.
Si stabilirono linee di massima per la spartizione del Sangiaccato, con alcuni territori rimessi ad arbitrati nel dopoguerra, ed un tratto di alleanza fu infine stipulato il 15 ottobre seguente.
Il 17 luglio truppe turche e montenegrine si scontrarono lungo la frontiera tra le due nazioni, a causa di una disputa circa il possesso di un villaggio albanese: gli Ottomani ruppero le relazioni diplomatiche con il regno, ma sia Cettigne che Istanbul convennero di "congelare" la questione; i montenegrini, comunque, si assicurarono l'utile casus belli.

In agosto, una serie di attentati condotti dal VRMO macedone a Kočani, provocarono la dura reazione delle autorità ottomane, che fecero 120 morti tra la popolazione civile: la repressione scatenò proteste in Bulgaria e pubbliche richieste di ritorsioni nei confronti degli Ottomani.
La concessione dell'autonomia agli albanesi nel settembre del 1912 accelerò i piani dei coalizzati: a metà settembre, serbi e bulgari stilarono un ultimatum per chiedere al governo turco di estendere l'autonomia anche alle altre minoranze etniche e di ritirare le proprie truppe dai territori europei, i greci proposero di risolvere la disputa solo per vie diplomatiche, auspicando un'accettazione dell'ultimatum da parte degli Ottomani, ma i bulgari spinsero per la soluzione militare.
Raymond Poincaré 1914.jpg
Raymond Poincaré .
Il presidente francese Raymond Poincaré propose un piano internazionale per stabilizzare i Balcani ed allontanare il pericolo di una guerra, ma non trovò l'appoggio degli alleati britannici, contrari ad impegnarsi nella regione, e dei russi, decisi ad estendere la loro egemonia sui Balcani attraverso l'influenza sui suoi alleati serbi e bulgari. Austria ed Italia sabauda premevano per il congelamento della questione ed il riconoscimento ufficiale dell'Albania.

 Tra il 23 ed il 24 settembre, un carico di materiale bellico destinato alla Serbia fu bloccato dai turchi nel porto di Tessalonicca, mentre contemporaneamente 100.000 uomini venivano mobilitati nel vilayet di Adrianapoli, davanti alla frontiera bulgara.
Per tutta risposta, Sofia ordinò una parziale mobilitazione dei propri riservisti a partire dal 25 settembre. Tra il 26 ed il 28 settembre i vertici militari serbo-bulgari si incontrarono per mettere a punto i piani operativi finali ed il 30 settembre Bulgaria, Serbia e Grecia proclamarono la mobilitazione generale, seguite dal Montenegro il giorno successivo e dall'Impero ottomano il 2 ottobre.
Il 4 ottobre, sempre su sollecitazione di Poincaré, le potenze europee trovarono infine un accordo per tentare di impedire la guerra (in modo più o meno sincero): fu costituita una delegazione diplomatica mista, russa ed austriaca, da inviare presso gli Stati balcanici per convincerli a desistere dai preparativi bellici, mentre su pressione francese il Gran Visir ottomano, Gazi Ahmet Muhtar Pascià, annunciò l'8 ottobre di aver preparato un pacchetto di riforme per tutta la Rumelia.


Fanti e riservisti montenegrini.
La mediazione europea arrivò troppo tardi.
Quello stesso 8 ottobre il Montenegro dichiarò guerra all'Impero Ottomano, adducendo come pretesto la mancata risoluzione della disputa sui confini, ed il 9 ottobre seguente, alle 7:00, il principe Pietro sparò simbolicamente il primo colpo di fucile contro le posizioni ottomane, e subito dopo le truppe montenegrine si riversarono oltre la frontiera.
Il 12 ottobre gli altri tre Stati della Lega rigettarono ufficialmente la proposta di mediazione austro-russa, inviando allo stesso tempo al governo turco il testo dell'ultimatum già predisposto.
Il 15 ottobre il governo ottomano respinse il testo dell'ultimatum, provvedendo ad espellere gli ambasciatori di Serbia e Bulgaria il 17 ottobre seguente, proprio mentre si accingevano a consegnare la formale dichiarazione di guerra. L'ambasciatore greco fu invece in grado di consegnare il testo il giorno successivo, dando ufficialmente avvio al conflitto.


Truppe bulgare in fase
di mobilitazione a Sofia.
L'esercito bulgaro costituiva la forza più potente, meglio armata ed addestrata della Lega balcanica: furono mobilitati più di 350.000 uomini delle forze regolari, suddivisi in undici divisioni di fanteria ed una di cavalleria.
La fanteria era armata con i fucili austroungarici Steyr-Mannlicher M1895, l'arma individuale più tecnologicamente avanzata del periodo, e con le mitragliatrici tedesche MG08, mentre i 720 pezzi d'artiglieria erano in maggioranza francesi del tipo Schneider 75mm Mod. 1905; erano inoltre disponibili cinque aeroplani (di fabbricazione britannica, francese e russa) a cui se ne aggiunsero ulteriori 17 a guerra iniziata, utilizzati prevalentemente per la ricognizione ma anche per improvvisate missioni di bombardamento.


Ferdinando I
 Ferdinando I di Bulgaria
in alta uniforme (1912).
La marina militare bulgara era una forza piccola, destinata principalmente alla difesa costiera, e poteva allineare 6 moderne torpediniere di produzione francese, entrate in servizio tra il 1905 ed il 1908, ed una cannoniera (la Nadežda) risalente al 1898. Comandante in capo delle forze bulgare era nominalmente lo Zar Ferdinando I, ma allo scoppio della guerra questi preferì cedere il suo ruolo al generale Mihail Savov; la carica di capo di stato maggiore dell'esercito era invece ricoperta dal generale Ivan Fichev.

Il piano originario bulgaro prevedeva un'offensiva iniziale nella regione della Tracia, per battere le principali forze ottomane e tagliare la ferrovia Istanbul-Salonicco, vitale via di rifornimento per le armate turche schierate più ad occidente; una volta fatto ciò, le principali forze bulgare avrebbero piegato verso ovest per muovere in aiuto di serbi e greci in Macedonia. In fase di pianificazione ci si rese conto tuttavia che tale manovra scopriva il fianco delle armate bulgare a contrattacchi dei rinforzi ottomani provenienti dall'Anatolia, con il rischio anche di un'invasione del territorio nazionale.
Venne quindi presa la decisione di lasciare ai serbi la responsabilità delle operazioni in Macedonia, mentre i bulgari si sarebbero concentrati solo sulla Tracia.

Artiglieria pesante bulgara al fronte
Il principale esercito bulgaro fu organizzato in tre armate: la Prima Armata del generale Vasil Kutinchev era schierata a sud di Jambol dietro la linea del fiume Tundzha; sul fianco occidentale della Prima vi era la Seconda Armata del generale Nikola Ivanov, puntata verso Adrianopoli, mentre su quello orientale, in posizione più defilata e mascherata dalla divisione di cavalleria, vi era la Terza Armata del generale Radko Dimitriev, incaricata di attraversare il massiccio dello Strandzha e di calare sulla fortezza ottomana di Kirk Kilisse.
La Tracia occidentale era obiettivo del "Distaccamento Rodope", schierato sul fianco ovest della Seconda Armata e formato dalla 2ª Divisione fanteria "Tracia" e da circa 16.000 volontari irregolari, in maggioranza macedoni. Infine, la 7ª Divisione fanteria "Rila", assegnata al fronte macedone, era inserita all'interno della Seconda Armata serba.


Un gruppo di soldati serbi
La Serbia mobilitò inizialmente 230.000 uomini, saliti poi a più di 300.000 dopo l'inizio delle ostilità. Le forze serbe erano suddivise in dieci divisioni e due brigate indipendenti di fanteria ed una divisione di cavalleria. Le unità migliori della fanteria serba aveva come arma individuale il fucile tedesco Mauser modello 1899 o 1910, ma i riservisti e le unità di seconda linea erano armate con il più datato fucile russo Berdan; come armi d'appoggio erano disponibili le mitragliatrici britanniche Maxim, mentre la maggior parte dei 500 cannoni disponibili erano i 75 mm Mod. 1897 francesi.
I serbi avevano inoltre tre aeroplani, a cui se ne aggiunsero altri 10 ad ostilità iniziate. Comandante in capo nominale era  Pietro I, anche se il comando effettivo era esercitato dal capo di stato maggiore dell'esercito Radomir Putnik.

Aleksandar e Pietro Karađorđević a Skopje
 durante la Prima guerra balcanica
Le forze serbe erano divise in quattro armate: nucleo centrale era la Prima Armata del principe ereditario Aleksandar Karađorđević, schierata nell'alta valle della Morava occidentale ed incaricata di marciare su Skopje attraverso la pianura dell'Ovče Pole, dove si prevedeva sarebbe stato schierata il grosso delle truppe ottomane; sul fianco orientale della Prima Armata vi era la Seconda Armata serba del generale Stepa Stepanović, schierata in territorio bulgaro presso Kjustendil ed incaricata di invadere la Macedonia orientale. Il Kosovo era obiettivo della Terza Armata serba del generale Božidar Janković, schierata nella Serbia occidentale nei pressi di Kuršumlija, mentre l'Armata dell'Ibar del generale Mihailo Živković, radunata presso Kraljevo, doveva operare nel Sangiaccato insieme ai montenegrini; infine, la brigata indipendente "Javor" del colonnello Milivoje Anđelković copriva la frontiera tra Serbia ed Austria-Ungheria, in prevenzione di un improbabile attacco a sorpresa delle forze austroungariche contro il paese.
La sola forza navale in grado di stabilire il controllo del mar Egeo e di imporre il blocco ai porti ottomani, era quella greca. A dispetto di quello che pensavano gli alleati, tuttavia, l'esercito greco aveva fatto passi da gigante dopo le sconfitte del 1897, anche grazie al contributo di una missione militare francese invitata nel paese nel 1911.
Un gruppo di euzoni greci
sul fronte dell'Epiro
Furono mobilitati 120.000 soldati delle forze regolari e 140.000 della guardia nazionale e delle forze di riserva, suddivisi in otto divisioni di fanteria di tre reggimenti ciascuna ed una brigata indipendente di cavalleria. I greci erano armati prevalentemente con i fucili austroungarici Mannlicher-Schönauer, mentre i circa 160 pezzi d'artiglieria erano principalmente Schneider 76 mm Modèle 1909 francesi da montagna; erano inoltre disponibili quattro aeroplani.
L'esercito greco fu quasi interamente concentrato nell'Armata della Tessaglia, posta sotto il comando del principe ereditario Costantino e del suo capo di stato maggiore generale Panagiotis Danglis, schierata presso Larissa ed incaricata semplicemente di muovere verso nord, in direzione di Salonicco e Monastir; l'Armata dell'Epiro del generale Konstantinos Sapountzakis, schierata presso Arta, non era più di una divisione rinforzata, costituita da un miscuglio di unità di fanteria, battaglioni di euzoni e due battaglioni di volontari cretesi.
Obiettivo nominale delle forze di Sapountzakis era Giannina, anche se le fortezze che proteggevano la città erano un ostacolo troppo difficile per le poche truppe a sua disposizione.


La flotta greca alla battaglia di Lemno,
in una stampa dell'epoca
La marina greca, guidata dall'ammiraglio Pavlos Kountouriotis, costituiva una forza relativamente moderna e bene addestrata, anche grazie agli sforzi di una missione militare britannica attiva nel paese dal maggio del 1911.
Il cuore della flotta era rappresentato dal moderno incrociatore corazzato "Georgios Averof", costruito in Italia nel 1910 come terza unità della classe Pisa.
All'incrociatore si aggiungevano poi le tre vecchie corazzate pre-dreadnought della classe Hydra, costruite in Francia tra il 1889 ed il 1890, otto cacciatorpediniere, di produzione inglese e tedesca, entrati in servizio tra il 1906 ed il 1907, più altri sei cacciatorpediniere, costruiti nel Regno Unito ed in Germania, e consegnati nel 1912 pochi giorni prima dello scoppio delle ostilità insieme al primo sommergibile greco, il Delfin.
Un gruppo di ufficiali serbi e
 montenegrini a Yakova
Il piccolo Montenegro poteva impiegare 44.500 uomini, suddivisi in undici piccole brigate di fanteria, riorganizzate per l'occasione in tre "divisioni".
La Divisione Orientale del generale Janko Vukotić avrebbe dovuto attaccare il Sangiaccato e la città di Novi Pazar, per poi ricongiungersi alle forze serbe nel Kosovo; la Divisione della Zeta del principe ereditario Danilo, composta dalle truppe migliori, si sarebbe spostata lungo la riva orientale del lago di Scutari per attaccare la stessa Scutari, obiettivo principale dei montenegrini, mentre la Divisione Litoranea del generale Mitar Martinović avrebbe fatto lo stesso dal lato occidentale.
I fanti montenegrini erano armati per lo più con i fucili russi Berdan, mentre l'artiglieria disponeva di 120 bocche da fuoco tra mortai e cannoni da montagna.
Non esisteva un vero e proprio stato maggiore ed il re Nicola I deteneva il comando in capo.
Un soldato ottomano

L'Impero ottomano iniziò la guerra con il suo consueto esercito cosmopolita. Con il trascorrere del conflitto, tuttavia, le forze armate ottomane assunsero un carattere progressivamente più "islamico" e "turco", migliorando la coesione interna e guadagnando un'unità di intenti che prima mancava. In generale le forze ottomane, ancora in fase di riorganizzazione dopo la guerra contro l'Italia sabauda, non erano preparate ad un conflitto con gli Stati balcanici: una missione militare tedesca era da poco giunta nel paese per curare l'addestramento dell'esercito, ma necessitava ancora di tempo per produrre risultati apprezzabili.




Un monoplano Harlan di costruzione tedesca
 in servizio con la Havacılık Komisyonu,
designazione del periodo dell'aviazione
 militare dell'Impero ottomano,
 nel corso della prima guerra balcanica.
Le forze regolari erano dotate degli armamenti migliori, come i fucili tedeschi Mauser modello 1890, ma i riservisti erano dotati di un gran numero di armi più obsolete, come i Martini-Henry britannici del 1870, in più calibri diversi che producevano di conseguenza problemi nel rifornimento delle munizioni; l'artiglieria da campagna era dotata principalmente dei cannoni tedeschi Krupp 75 mm Model 1903 ma quella da fortezza era un miscuglio di pezzi più antiquati. In totale vi erano 1.200 cannoni da campagna e 1.115 pezzi d'artiglieria da fortezza.
La neonata forza aerea ottomana aveva 9 aerei da combattimento.
Nazim Pasha (military).jpg
Nazim Pascià

Allo scoppio delle ostilità il ministro della guerra Nazim Pascià assunse il comando in capo delle forze ottomane in luogo del sultano. Le truppe ottomane schierate in Rumelia erano suddivise in due armate: l'Armata Orientale, del generale Abdullah Pascià, aveva allo scoppio delle ostilità 115.000 uomini, concentrate nel quadrilatero formato dalle città di Adrianopoli, Kirk Kilisse, Babaeski e Didymoteicho, che costituiva in definitiva la linea di difesa avanzata della capitale Istanbul; le forze di Abdullah Pascià erano in netta inferiorità numerica rispetto alle forze bulgare che si trovavano ad affrontare, ma la vicinanza con Istanbul e l'Anatolia consentì agli Ottomani di rafforzare rapidamente l'Armata Orientale con nuove truppe, tanto che dopo le prime settimane i rapporti di forza tra i due contendenti raggiunsero una sostanziale parità.


Ali Riza Pasha.jpg
Ali Rizah Pascià
L'Armata Occidentale, del generale Ali Rizah Pascià, aveva 188.000 uomini, ed era suddivisa in due gruppi distinti, l'Armata del Vardar del generale Zeki Pascià (contrapposta ai serbi) e l'Armata della Macedonia guidata dallo stesso Ali Rizah Pascià (incaricata di coprire le frontiere con Grecia, Montenegro e Bulgaria).
Tutte le divisioni ottomane erano gravemente sotto organico, a causa delle lente procedure di mobilitazione, del boicottaggio, delle diserzioni da parte delle reclute cristiane, e del pessimo stato dei collegamenti ferroviari dell'Impero.

La marina ottomana era una forza eterogenea, allineando unità di moderna costruzione a navi piuttosto obsolete.
Dal 1907 era attiva una missione militare britannica incaricata di curare e migliorare l'addestramento delle forze navali ottomane, ma le lotte intestine tra i vari dipartimenti e gli interessi personali della classe degli ufficiali turchi ostacolavano pesantemente qualsiasi drastica riforma dell'arma.


L'incrociatore protetto ottomano Hamidiye,
molto attivo durante il conflitto
Per rispondere all'entrata in servizio della Averof greca, la marina ottomana aveva tentato di acquisire dalla Germania l'incrociatore corazzato SMS Blücher ed il nuovo incrociatore da battaglia SMS von Moltke, ma davanti al prezzo richiesto per l'acquisto, il governo turco aveva deciso di ripiegare su due vecchie corazzate pre-dreadnought della classe Brandenburg, la SMS Kurfürst Friedrich Wilhelm e la SMS Weissenburg, entrate in servizio con i nuovi proprietari nel settembre del 1912.
Le due navi, ribattezzate rispettivamente Barbaros Hayreddin e Turgut Reis, costituivano il cuore della flotta ottomana.

Altre unità relativamente moderne erano i due incrociatori protetti Hamidiye, costruito in Gran Bretagna ed entrato in servizio nel 1904, e Mecidiye, costruito negli Stati Uniti ed entrato in servizio nel 1903, e gli otto cacciatorpediniere, costruiti in Francia nel 1907 ed in Germania nel 1910, mentre le 13 torpediniere disponibili erano un misto di unità recenti e datate.
Obsolete, ma ancora in uso, erano le navi corazzate, destinate alla difesa costiera.


Fanti bulgari all'assalto in un quadro
 di Jaroslav Věšín
La notte del 18 ottobre 1912 le avanguardie bulgare iniziarono a penetrare in territorio nemico, respingendo facilmente le poche forze ottomane dislocate a presidio della frontiera.
La Seconda Armata bulgara si diresse verso Adrianopoli allo scopo di assediarla, mentre la Prima Armata puntava sulle forze campali ottomane ad est della città, con la Terza Armata in avanzata ancora più ad est senza lasciare intendere quale fosse il suo obiettivo principale. Il 21 ottobre i bulgari giunsero davanti al corpo centrale dell'Armata Orientale ottomana, dispiegato tra le città di Adrianopoli e Kirk Kilisse.

L'offensiva, iniziata il 22 ottobre, diede luogo ad una violenta battaglia lungo un fronte di 60 chilometri davanti Kirk Kilisse.
Mentre gli Ottomani concentravano la loro attenzione sulla Prima Armata bulgara, finendo per essere inchiodati da una serie di contrattacchi alla baionetta, la Terza Armata di Radko Dimitriev riuscì ad aggirare il fianco orientale del nemico attraverso una serie di marce forzate, favorita anche dall'improvviso cedimento del III Corpo d'armata ottomano. Il 24 ottobre i bulgari presero Kirk Kilisse praticamente senza combattere, mentre l'intera armata ottomana ripiegava in disordine verso sud-est.


Due soldati ottomani
in fase di ritirata
I bulgari non incalzarono da presso gli Ottomani, che furono così in grado di trincerarsi su una seconda linea difensiva lunga 40 km tra le cittadine di Luleburgaz, Karaagach e Bunarhisar, 150 km ad ovest di Istanbul: il 29 ottobre la Prima e Terza Armata bulgara attaccarono la linea ottomana, incontrando però una dura resistenza. Il 2 novembre Nazim Pascià diede ordine all'Armata Orientale di ripiegare verso Istanbul: le truppe ottomane si ritirarono lungo strade rese fangose dalle piogge invernali ed intasate da migliaia di profughi turchi in fuga davanti all'avanzata bulgara; la battaglia di Lüleburgaz si dimostrò lo scontro campale più sanguinoso della guerra, con 20.000 tra morti e feriti nelle file bulgare e 22.000 tra quelle ottomane.

Mentre le due armate bulgare respingevano le forze ottomane, la Seconda Armata del generale Ivanov completava l'investimento di Adrianopoli: respinte due sortite della guarnigione il 22 ed il 29 ottobre, il 9 novembre la città fu completamente circondata dai bulgari, raggiunti nei giorni successivi anche da un contingente serbo distaccato dal fronte della Macedonia. Adrianopoli risultava un obiettivo difficile, circondata da due anelli di fortificazioni e presidiata da una guarnigione di 60.000 uomini, mentre i bulgari si trovavano a corto di equipaggiamenti d'assedio. Il 14 novembre iniziò un sistematico bombardamento della città, nel tentativo di fiaccarne la resistenza.


Un gruppo di irregolari bulgaro-macedoni
Sul fianco destro della Seconda Armata, il "Distaccamento Rodope" bulgaro-macedone invase la Tracia occidentale, contrastato da circa 16.000 Ottomani sotto il generale Yaver Pascià.
Dopo aver occupato l'importante centro di Kărdžali il 20 ottobre, tra il 26 ed il 27 ottobre le forze bulgare si assicurarono la cittadina di Smoljan e la valle del Mesta, mentre incursioni di distaccamenti a cavallo portarono all'interruzione della ferrovia Istanbul-Salonicco, tagliando i collegamenti tra le due armate ottomane; il 5 novembre le forze bulgare forzarono la catena dei monti Rodopi ed occuparono l'importante centro ferroviario di Drama, assicurandosi il controllo dell'intera regione.

Dopo aver occupato Xanthi, il 26 novembre le forze bulgare raggiunsero la costa dell'Egeo ad Alessandropoli, mentre il giorno successivo le residue forze di Yaver Pascià furono costrette alla resa presso Feres. Quello stesso giorno truppe bulgare provenienti da Luleburgaz raggiunsero la costa del mar di Marmara nei pressi di Şarköy, isolando le forze ottomane asserragliate nella penisola di Gallipoli che tuttavia furono in grado di mantenere la posizione.
Le truppe ottomane in ripiegamento verso Istanbul furono fermate a 30 km dalla capitale su una terza linea difensiva, incentrata sulla cittadina di Çatalca: le fortificazioni già presenti, allestite durante la guerra russo-turca del 1877-78 per proteggere la stessa Istanbul, furono rinforzate da nuovi trinceramenti, mentre l'afflusso di riserve dall'Anatolia consentì di rafforzare le demoralizzate forze ottomane.
Savoff.jpg
Mihail Savov

La vittoria di Luleburgaz fece balenare all'alto comando bulgaro la possibilità di occupare Istanbul, nonostante le epidemie stessero riducendo la forza delle armate al fronte: dopo aver ammassato la Prima e la Terza armata davanti a Çatalca, le forze bulgare lanciarono la loro offensiva il 17 novembre. La presenza di paludi sui due lati della linea ottomana rendeva impossibili le manovre di aggiramento, e l'offensiva si risolse in un assalto frontale alle fortificazioni nemiche, appoggiate dal fuoco dell'artiglieria pesante e dei cannoni delle navi da guerra ancorate nel mar di Marmara. Gli attaccanti riuscirono ad aprirsi uno stretto varco nelle difese avversarie, ma al prezzo di alte perdite; con la nebbia ed il pesante fuoco dell'artiglieria ottomana che ostacolavano le operazioni.
Nel pomeriggio del 18 novembre il generale Savov ordinò di sospendere l'attacco e di ritornare sulle posizioni di partenza: la battaglia di Çatalca rappresentò l'unica netta sconfitta bulgara nella guerra. Il fronte rimase poi stazionario fino alla stipula di un primo armistizio il 3 dicembre.


Irregolari albanesi sul fronte di Scutari
Il 19 ottobre la Prima Armata serba del principe ereditario Aleksandar attraversò la frontiera ottomana a sud di Vranje puntando verso la valle del Vardar, mentre la Seconda Armata serba del generale Stepanović muoveva dal territorio bulgaro per prendere alle spalle le forze nemiche.
Il generale ottomano Zeki Pascià stava nel frattempo concentrando le sue sparse forze tra Skopje e Štip, ricevendo un inaspettato rinforzo sotto forma di un gran numero di miliziani albanesi irregolari, nemici fino a qualche settimana prima: i capi albanesi si erano infatti resi conto che l'invasione serba e greca metteva in pericolo l'autonomia politica guadagnata nel settembre precedente.
Obbedendo agli ordini di Nazim Pascià che chiedevano l'offensiva ad oltranza, Zeki Pascià portò le sue forze in avanti, nella speranza di cogliere di sorpresa i serbi avanzanti, ed il 23 ottobre i due contendenti si affrontarono nei pressi di Kumanovo. Benché inferiori di numero, gli Ottomani lanciarono un attacco frontale contro la Prima Armata serba, non ancora ben posizionata, riuscendo a far indietreggiare la sua ala destra; l'ostinata resistenza dei reparti serbi ed il sopraggiungere delle restanti unità della Prima Armata fecero però pendere l'ago della bilancia a favore del principe Aleksandar, che la mattina dopo lanciò un pesante contrattacco mettendo in rotta le forze ottomane


La cavalleria serba entra a Üsküb (Skopje)
La sanguinosa battaglia costò ai serbi 4.400 tra morti e feriti contro i 12.000 persi dagli Ottomani. Le forze di Zeki Pascià si ritirarono disordinatamente verso sud, perdendo gran parte della propria artiglieria e cedendo larghe fette di terreno.
Il 26 ottobre la Prima Armata serba prese Skopje praticamente senza combattere, dandosi al saccheggio ed a violenze dogni genere , mentre il giorno successivo la Seconda Armata catturò Štip e Strumica.
Le forze serbe stavano ormai avanzando non solo nella "zona contesa", ma anche all'interno della fetta di Macedonia spettante alla Bulgaria; ciò nonostante il primo ministro bulgaro Gešov autorizzò i serbi a continuare le operazioni ed a puntare su Monastir, per paura che i greci, con cui non esistevano accordi di spartizione, guadagnassero troppo terreno in Macedonia.

La Prima Armata serba marciò quindi alla volta di Monastir via Veles e Prilep.
In questa seconda località i serbi si imbatterono nel V Corpo d'armata ottomano, trincerato a difesa del centro abitato. Tra il 5 ed il 6 novembre i due contendenti si affrontarono nella battaglia di Prilep, vinta dai serbi che furono così in grado di proseguire la loro avanzata. Il 16 novembre le due armate serbe raggiunsero Monastir, terza città della Macedonia. Qui si erano raggruppati i reparti ottomani in ritirata ed un gran numero di irregolari albanesi, che formarono una linea di difesa lunga dieci chilometri. Dopo alcuni scontri preliminari, il 17 novembre i serbi lanciarono la loro offensiva contro la linea ottomana muovendo da nord e nord-ovest.

Duri combattimenti si svilupparono attorno al massiccio dell'Oblakovo, conclusasi con la vittoria dei reparti serbi che fecero breccia nella linea nemica. La notte del 18 novembre Zeki Pascià diede ordine alle sue forze di abbandonare il campo e di ripiegare verso ovest.
Il 19 novembre i serbi entrarono indisturbati a Monastir, lasciando liberi gli Ottomani di ripiegare verso l'Albania centro-meridionale, zona a cui il governo di Belgrado non era interessato.
La battaglia di Monastir decise l'esito della campagna di Macedonia, durata appena un mese. Il 20 novembre i serbi presero Resen, per poi concludere le loro operazioni con la cattura della città di Ocrida il giorno seguente.


Truppe greche in una litografia dell'epoca
L'Armata della Tessaglia, penetrata nel sud della Macedonia all'alba del 18 ottobre, era invece immobilizzata, in quanto i comandi militari e lo stesso principe ereditario Costantino puntavano all'occupazione di Monastir, mentre Venizelos spingeva per la conquista di Tessalonica nel più breve tempo possibile, nel timore che i bulgari fossero i primi ad arrivarci.
L'alto comando ottomano aveva commesso il grave errore di dividere equamente le proprie forze nella Macedonia meridionale in due corpi d'armata dislocati in Epiro ed in Tessaglia, con il risultato di avere solo 35.000 uomini nella zona del monte Olimpo con cui far fronte a 100.000 greci. Il 22 ottobre, le forze del principe Costantino sferrarono un assalto contro le fortificazioni ottomane del passo di Sarantaporo, superandole dopo una giornata di duri combattimenti.
Il 25 ottobre, mentre i greci entravano a Kozani, giunse notizia delle vittorie serbe e bulgare a Kumanovo e Kirk Klisse. Solo a questo punto Costantino cedette alle pressanti richieste di Venizelos e decise di marciare alla volta di Salonicco. Superato il massiccio dell'Olimpo, le truppe greche entrarono nella piana di Tessalonica, dove incontrarono la resistenza ottomana.
Tra il 1 ed il 2 novembre i due schieramenti si affrontarono nella battaglia di Giannitsa, un duro scontro conclusosi con un'altra vittoria dei greci, che furono così in grado di procedere verso Salonicco.
Alla volta della città stavano dirigendo anche i bulgari della 7ª Divisione "Rila", separatasi il 1 novembre dalla Seconda Armata serba. Incontrando una resistenza trascurabile, i bulgari presero Petrič, Sidirokastro e Serres, prima di svoltare a sud-est alla volta di Salonicco. I greci stavano intanto completando l'accerchiamento della città, bloccata anche dalla parte del mare dalla flotta ellenica che occupò con reparti da sbarco la penisola Calcidica.
Sottoposto a forti pressioni da parte del governatore e dei rappresentati degli Stati europei perché evitasse distruzioni all'antica città, il comandante della forze ottomane, generale Hasan Tahsin Pascià, decise di trattare.

Truppe ottomane
alla battaglia di Lüleburgaz
L'8 novembre la guarnigione ottomana capitolò ed i greci presero possesso della città, battendo sul tempo i reparti bulgari che arrivarono il giorno successivo.
Nel mentre Costantino aveva inviato una divisione verso ovest, nella speranza di aprirsi la strada per Monastir, ma il 6 novembre le truppe greche si imbatterono nei reparti ottomani nei pressi di Sorovich e subirono una netta sconfitta.
Occupata Salonicco il principe inviò altre tre divisioni in rinforzo alla prima, riuscendo a prendere il 20 novembre la città di Florina, ma perdendo la corsa per Monastir, conquistata dai Serbi.
I greci estesero quindi le loro conquiste ad ovest fino a Coriza, in Albania, ed ad est fino al lago Dojran ed al monte Pangeo, completando l'occupazione della Macedonia meridionale in meno di un mese.

File:Montenegrin heavy cannon, 1912.jpg
Artiglieri montenegrini

Nell'estremo nord della Rumelia, le forze montenegrine invasero il Sangiaccato occidentale già a partire dal 9 ottobre, mentre i serbi penetrarono nella zona orientale della regione il 19 ottobre seguente. La resistenza dei pochi reparti ottomani a guardia della regione fu debole e la Divisione Orientale montenegrina prese Bijelo Polje l'11 ottobre, poi Berane il 16 ottobre e Plav il 20, terminando poi le operazioni con la presa di Pljevlja il 28 ottobre, in collaborazione con i serbi; l'Armata dell'Ibar serba prese invece Novi Pazar il 23 ottobre e Sjenica il 25 ottobre, concludendo l'occupazione della regione entro la fine del mese.
Più complesse furono le operazioni nella zona di Scutari: le truppe montenegrine giunsero in vista della città il 18 ottobre, ma due assalti frontali sferrati il 24 ed il 28 ottobre furono respinti dalla guarnigione ottomana, guidata dal generale Hasan Riza Pascià; i montenegrini si trovarono in grave difficoltà a causa della mancanza di un parco d'artiglieria d'assedio e della poca abilità tattica delle proprie truppe, non riuscendo nemmeno ad isolare la città che continuava ad essere rifornita dall'entroterra. Solo il 20 novembre, con l'arrivo delle truppe serbe che risalivano la costa dell'Albania, fu possibile completare l'accerchiamento di Scutari.
Il re Nicola, scoraggiato dai precedenti insuccessi, decise di cingere d'assedio la città, puntando a prenderla per fame.
La Terza Armata serba invase il Kosovo a partire dal 19 ottobre, incontrando poca resistenza da parte delle deboli truppe ottomane ma una diffusa ostilità da parte delle popolazioni albanesi.
Il 22 ottobre fu catturata Pristina, e gran parte della Terza Armata fu inviata per ferrovia a Skopje per dare man forte alle altre forze serbe, mentre anche distaccamenti montenegrini entrarono nella regione, catturando Peć il 2 novembre e Đakovica due giorni più tardi, congiuntamente ai serbi; con la presa di Prizren il 9 novembre, la regione fu completamente occupata.




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Artiglieria greca.
Assicuratasi la Macedonia, l'alto comando serbo decise di dare avvio alla fase successiva dell'offensiva, inviando la Terza Armata ad occupare l'Albania centrale allo scopo di conquistare uno sbocco sul mar Adriatico. Dopo essersi aperta la strada tra le montagne e le imboscate degli irregolari albanesi, una colonna serba raggiunse il mare ad Alessio il 17 novembre, marciando poi verso nord per portare aiuto ai montenegrini a Scutari; una seconda colonna catturò invece Tirana e Durazzo, completando l'occupazione della regione entro il 27 novembre. Per la fine di novembre la Serbia aveva catturato un territorio pari alla sua estensione prebellica.
Il 19 ottobre l'Armata dell'Epiro greca invase l'omonima regione, muovendo lentamente a causa del terreno impervio e della resistenza sparsa ma ostinata degli Ottomani.
Il 2 novembre fu raggiunta Prevesa, che cadde due giorni dopo al termine di un breve assedio, consentendo ai greci di approvvigionare l'armata anche per via mare. Duramente contrastati dalle forze ottomane e dagli irregolari albanesi, i reparti di Sapountzakis procedettero poi alla volta del loro obiettivo principale, Giannina.


File:Ottoman militia and redif troops at rest.jpg
Truppe ottomane
La città era circondata da un anello di moderne fortificazioni, mentre la già cospicua guarnigione era stata rinforzata da reparti regolari in ritirata dalla Macedonia e da un gran numero di volontari albanesi. Raggiunto da nuove truppe distaccate dal fronte della Tessaglia, il 25 novembre Sapountzakis fu in grado di circondare la città su tre lati, ma il lato nord rimase scoperto consentendo al generale ottomano Mehmed Esad Pascià di mantenere aperto un canale di approvvigionamento.
Come i montenegrini a Scutari ed i bulgari ad Adrianopoli, anche i greci decisero quindi di porre l'assedio a Giannina, sottoponendo la città a bombardamenti d'artiglieria nel tentativo di fiaccarne la resistenza.
Sfruttando l'acquisito controllo del mar Egeo, la flotta greca condusse una serie di operazioni di sbarco sulle isole controllate dagli Ottomani.


File:Greek soldier with Flag.JPG
Soldato greco
Il 20 ottobre reparti ellenici occuparono Tenedo, Taso, Imbro, Samotracia e Lemno ai primi di novembre.
Il 21 novembre i greci presero terra a Lesbo ed il 27 a Chio, ma i reparti ottomani opposero una dura resistenza ritirandosi nelle zone montuose dell'interno, tanto che la prima isola fu completamente conquistata il 22 dicembre mentre la seconda capitolò solo il 3 gennaio 1913.
L'ultima posizione ottomana nell'Egeo, Samo, fu occupata dai greci solo il 13 marzo 1913, per evitare tensioni con le truppe italiane stanziate nel Dodecanneso.
Per la fine di novembre del 1912, dopo appena quaranta giorni di combattimenti, le ostilità su tutti i fronti andavano placandosi o si trovavano in una situazione di stallo; all'infuori di alcune zone dell'Albania meridionale, dell'area tra Istanbul e Çatalca e delle città assediate di Adrianopoli, Scutari e Giannina, tutti i territori europei dell'Impero ottomano risultavano occupati dai coalizzati.
Entrambe le parti erano esauste per i duri combattimenti sostenuti e già dal 19 novembre i bulgari avevano iniziato trattative preliminari con gli Ottomani per arrivare ad un armistizio.
L'iniziativa bulgara, fortemente sostenuta dalla diplomazia russa, trovò l'appoggio di serbi e montenegrini, mentre i greci la respinsero, desiderosi di completare l'accerchiamento di Giannina e la conquista delle isole dell'Egeo.
Il 3 dicembre l'armistizio fu firmato, senza l'adesione della Grecia.
Un cannone da 75 mm dell'artiglieria bulgara
I contendenti concordarono sul mantenere le posizioni acquisite e sullo sblocco dei porti bulgari sul Mar Nero e della ferrovia che transitava per Adrianopoli, onde meglio rifornire le truppe bulgare stanziate in Tracia.
Contemporaneamente alle trattative tra i belligeranti erano in corso frenetiche consultazioni tra gli ambasciatori delle principali potenze europee.
L'assetto dei Balcani così come era stato stabilito dal congresso di Berlino del 1878 era stato spazzato via, ed urgeva stabilirne uno nuovo per garantire stabilità alla regione.
Le conquiste della Lega balcanica
 alla fine della guerra
Il 16 dicembre i negoziati di pace tra i belligeranti si aprirono a Londra, nel St. James's Palace.
Le posizioni si dimostrarono subito inconciliabili. La Lega balcanica domandò la cessione di tutti i territori europei dell'Impero, compresa Creta e le isole dell'Egeo, lasciando agli Ottomani solo la zona davanti Istanbul e la penisola di Gallipoli; al contrario, gli Ottomani pretesero la restituzione dell'intero vilayet di Adrianopoli e delle quattro isole egee poste davanti allo stretto dei Dardanelli, mentre la Macedonia e l'Albania sarebbero state costituite come principati autonomi.
Accettata da tutti l'idea dell'indipendenza albanese, la questione si incentrò sulla definizione dei confini della nuova nazione. La Russia propose un confine comune tra Albania e Montenegro, isolando così la Serbia dal mare; mentre l'Austria avanzò la proposta di includere nel nuovo stato anche Scutari, Giannina e gran parte del Kosovo, scatenando le proteste di serbi, che si sentivano già traditi dai russi per la privazione dello sbocco adriatico, e montenegrini, provocando costernazione presso le altre potenze.
File:Ethnic albania.jpg
Albania etnica.
Gennaio trascorse senza esito, sia sulla questione della cessazione delle ostilità, sia su quella dei confini albanesi, con i bulgari che insistevano per ottenere Adrianopoli ed i greci intenzionati a non cedere le isole egee.
Il 17 gennaio le potenze europee fecero pressioni su Istanbul perché accettasse una proposta di compromesso ed il sultano si disse disposto a discuterne, ma il 23 gennaio un colpo di stato promosso dai Giovani Turchi portò alla deposizione del gran visir Kâmil Pascià, rimpiazzato con un ferreo sostenitore del possesso turco di Adrianopoli, Mahmud Shevket Pascià.
Il ministro della guerra Nazim Pascià, incolpato dei disastri bellici, fu assassinato e rimpiazzato da Ismail Enver, fautore della soluzione militare. Il colpo di Stato rese inutili ulteriori trattative, in Bulgaria lo Zar Ferdinando ed il generale Savov fecero pressioni sugli alleati perché le ostilità riprendessero, trovando il pieno sostegno di greci e montenegrini, i serbi inizialmente esitarono, visti i negoziati in corso sulle loro conquiste in Albania, ma alla fine decisero di aggregarsi quando videro che le trattative stavano volgendo in modo contrario ai loro interessi.
Il 29 gennaio i delegati della Lega abbandonarono le trattative di Londra, anche se la conferenza degli ambasciatori delle potenze continuò i lavori sull'Albania.
Il giorno dopo, l'armistizio fu revocato unilateralmente dai coalizzati, ed il 3 febbraio le ostilità ripresero ufficialmente.
 
 
La seconda fase della guerra fu caratterizzata da scontri più circoscritti rispetto a quelli della prima fase, anche se non meno sanguinosi.
Il 7 febbraio le truppe ottomane lanciarono un'offensiva lungo il fronte della Prima e Terza Armata bulgara davanti Çatalca; l'azione tuttavia non era che un diversivo per coprire un massiccio attacco lanciato il giorno successivo nel settore di Bulair, il punto più stretto della penisola di Gallipoli, contro le posizioni della Quarta Armata bulgara del generale Stiliyan Kovachev, da poco formata con le truppe richiamate dalla Macedonia. Completava il piano d'attacco ottomano un'operazione di sbarco a Şarköy, con l'appoggio delle corazzate della flotta, lanciata in concomitanza con l'offensiva di Bulair allo scopo di tagliare fuori ed accerchiare le forze di Kovachev.
Ripresisi dalla sorpresa iniziale, i reparti bulgari opposero una resistenza determinata: l'attacco su Bulair fu respinto dopo una giornata di pesanti scontri, e l'insuccesso rese inutile l'operazione di sbarco a Şarköy, che pure aveva ottenuto qualche risultato, obbligando gli Ottomani a reimbarcare il contingente l'11 febbraio successivo.
Sul fronte di Çatalca l'attacco fece inizialmente indietreggiare i reparti bulgari, ma con la fine dell'offensiva di Gallipoli l'alto comando ottomano, piuttosto riluttante ad abbandonare la protezione delle sue posizioni fortificate, decise di sospendere l'operazione e di riportare le truppe sulla linea di partenza. Il 15 febbraio il fronte di Çatalca tornò stabile, ed il confronto si trasformò in una statica guerra di posizione fino alla conclusione delle ostilità.
Gli scontri tra greci e Ottomani nella Macedonia meridionale erano proseguiti per tutto il gennaio del 1913, dopo la presa di Coriza il 20 dicembre precedente i greci furono in grado di chiudere progressivamente gli accessi a Giannina dal nord, riuscendo infine ad isolare la città. Il 20 gennaio le truppe elleniche del generale Sapountzakis lanciarono un assalto frontale contro le fortificazioni ottomane, venendo però respinte dalle forze capitanate da Mehmed Esad Pascià.



Giannina si arrende ai greci il 5 marzo 1913
L'insuccesso spinse i greci a progettare meglio il successivo assalto, e mentre tre divisioni venivano trasferite a Giannina da Salonicco il principe Costantino rimpiazzò Sapountzakis nella conduzione dell'assedio. Il 4 marzo i greci lanciarono il loro attacco finale, cogliendo di sorpresa gli Ottomani. Mentre l'artiglieria bombardava il settore nord della città, due colonne greche attaccarono da sud, espugnando dopo duri combattimenti lo strategico forte di Bizani. Il 5 marzo Esad Pascià si arrese, anche se parte della guarnigione fu in grado di fuggire e rifugiarsi in Albania.
Caduta Giannina i greci completarono la conquista dell'Epiro, prendendo tra il 15 ed il 21 marzo Argirocastro e Tepelenë. Da nord i serbi avanzarono nell'Albania meridionale, occupando Lushnjë il 6 aprile e Berat il 12 aprile, lasciando in mani ottomane solo uno spicchio di territorio davanti Valona, bloccata dal mare dalla flotta ellenica.

Dopo il fallimento dell'offensiva ottomana in Tracia, la Bulgaria si dedicò interamente a completare i preparativi per la presa di Adrianopoli: rinforzate da ulteriori reparti serbi di artiglieria pesante. I bulgari dedicarono tutto febbraio ad intensi cannoneggiamenti della città; l'assalto finale veniva tuttavia procrastinato di volta in volta, nel timore che una sconfitta anche parziale compromettesse la posizione della Bulgaria sul piano diplomatico. Migliorate le condizioni meteo e la situazione logistica, nella seconda metà di marzo gli assedianti si prepararono alla stretta finale. All'alba del 24 marzo, supportate da tutta l'artiglieria disponibile, le fanterie bulgare e serbe si lanciarono all'assalto delle fortificazioni di Adrianopoli, travolgendo le difese ottomane con una serie di attacchi ad ondate successive. Il 26 marzo al comandante ottomano Şükrü Pascià non restò altro che offrire la resa ai bulgari, ponendo fine ad un assedio durato 155 giorni.


Essad Pasha Toptani.jpg
Essad Pascià Toptani
A Çatalca i combattimenti ripresero brevemente tra il 24 marzo ed il 2 aprile senza risultati apprezzabili, prima che un nuovo armistizio bulgaro-ottomano entrasse in vigore il 15 aprile seguente.
Più complesso fu l'assedio di Scutari, dove la guarnigione ottomana, guidata dal notabile albanese Essad Pascià Toptani, aveva sfruttato il periodo di tregua per ricevere consistenti rinforzi dalle popolazioni locali. La questione del possesso della città rientrava ormai nella disputa sui confini della futura Albania indipendente, e ciò motivava i difensori a tenere duro.

Il 7 febbraio 1913 i montenegrini lanciarono un attacco su vasta scala contro la città ma i loro assalti frontali, scarsamente appoggiati dalla poca artiglieria disponibile, furono respinti dai difensori. Al re Nicola non restò altro che chiedere ulteriori aiuti ai serbi, che furono felici di concederli: un contingente di 30.000 uomini con artiglieria e quattro aeroplani fu trasportato da Salonicco a San Giovanni di Medua da navi greche, mentre il serbo Petar Bojović assunse la direzione dell'assedio.
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Petar Bojović
Tutto ciò avveniva però mentre a Londra gli ambasciatori delle potenze attribuivano Scutari all'Albania. In sostanza l'Austria-Ungheria accettò di concedere il Kosovo alla Serbia in cambio del possesso albanese di Scutari, mentre la Russia prese a fare pressioni sui coalizzati perché affrettassero la conclusione delle ostilità.
Il 23 marzo le potenze europee notificarono alle capitali balcaniche la bozza di un accordo: tutta la Rumelia ad ovest della linea Enez-Kıyıköy sarebbe stata spartita tra i membri della Lega, salvo che per il nuovo Stato albanese in via di formazione. I bulgari accettarono subito, presentando anche il 30 marzo la bozza per avviare le trattative di pace con Istanbul, serbi e greci furono più cauti, volendo sapere quale sarebbe stata la sistemazione definitiva dei confini albanesi ma, incalzati dalla diplomazia russa, si accodarono ai bulgari ed il 24 aprile proclamarono un armistizio con gli Ottomani. Il re Nicola respinse invece qualsiasi invito alla tregua, impuntato come era ad ottenere Scutari.

Ccome forma di pressione contro il piccolo Stato, una squadra navale britannica, francese ed austroungarica impose un blocco navale al Montenegro a partire dal 31 marzo, impedendo ulteriori rinforzi serbi agli assedianti. Sempre su pressione dei russi, i serbi ritirarono il proprio contingente dall'assedio il 9 aprile, lasciando però la loro artiglieria ai montenegrini che continuarono così a bombardare la città.
Con la popolazione ridotta alla fame e stremata dalle epidemie, il 22 aprile Essad Pascià si decise a trattare con gli assedianti: la città fu consegnata ai montenegrini, che in cambio consentirono alle truppe ottomane di lasciare Scutari senza ulteriori impedimenti; Nicola si disse anche disposto ad appoggiare Essad Pascià nelle sue rivendicazioni al trono albanese. Il 24 aprile i montenegrini presero possesso della città, provocando forti sconquassi sul piano diplomatico. Vienna arrivò a minacciare la guerra se i Serbo-Montenegrini non avessero rinunciato a Scutari, ed anche i russi fecero presente a Nicola che il loro appoggio al piccolo Stato non era più sicuro.

Il 4 maggio Nicola si rassegnò a cedere alle richieste delle potenze europee, ed un contingente internazionale prese possesso di Scutari l'8 maggio seguente.
Allo scoppio delle ostilità il grosso della flotta ottomana fu concentrato nel Mar Nero contro i bulgari, lasciando solo poche unità nel mar Egeo a confrontarsi con i greci.
La marina ottomana fu in grado di bloccare i porti di Burgas e Varna come pure di condurre frequenti bombardamenti delle zone costiere della Bulgaria, ma ciò ebbe un peso poco significativo sullo svolgimento delle operazioni belliche in Tracia. Il 21 novembre 1912, al largo di capo Kaliakra, si ebbe l'unico scontro in mare tra le rispettive flotte, quando una formazione di quattro torpediniere bulgare sorprese l'incrociatore ottomano Hamidiye e due cacciatorpediniere diretti verso Varna.
Lo scontro fece in pratica cessare le incursioni ottomane lungo la costa bulgara fino alla conclusione delle ostilità.


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Soldati greci al fronte.
Il concentramento della flotta ottomana nel Mar Nero diede ai greci il tempo di preparare le proprie forze navali al conflitto, completando la loro preparazione e stabilendo nel giro di poco tempo un saldo controllo delle rotte navali dell'Egeo: il corpo principale della flotta greca fu dislocato nella baia di Moudros sull'isola di Lemno, a solo pochi chilometri dall'imboccatura dei Dardanelli, mentre un gran numero di cargo convertiti in incrociatori ausiliari stabilirono una linea di blocco estesa fino a Suez, tagliando le principali rotte mercantili ottomane ed impedendo ad Istanbul di trasferire rinforzi via mare alle sue guarnigioni in occidente, bloccando almeno 250.000 soldati turchi lungo le coste asiatiche.

La flotta greca fu anche molto attiva nel sostenere gli sforzi delle truppe di terra. Nel mar Ionio la debole presenza navale ottomana fu eliminata con la presa di Prevesa, e le navi greche furono in grado sia di rifornire l'armata di Sapountzakis sia di provvedere al blocco dei porti albanesi, compiendo inoltre bombardamenti costieri delle posizioni nemiche. Sul fronte della Tessaglia la marina greca diede il suo contributo anche alla presa di Salonicco.

Resosi conto dell'errore, il nuovo comandante della marina ottomana Ramiz Naman Bey ridislocò il grosso della flotta nel mar di Marmara ai primi di dicembre, preparandosi al confronto con i greci.
Il 16 dicembre praticamente l'intera squadra ottomana lasciò i Dardanelli nel tentativo di intercettare qualche unità greca isolata, finendo per scontrarsi con le navi del contrammiraglio Kountouriotis nella battaglia di Elli: l'incrociatore Averof si dimostrò superiore alle altre navi ottomane e, con la corazzata Barbaros Hayreddin gravemente danneggiata da un colpo di grosso calibro, Ramiz Bey diede ordine alla flotta di ritirarsi sotto la protezione delle difese costiere.
Il 20 dicembre le navi ottomane tentarono una nuova sortita, sempre con l'intenzione di prendere in trappola qualche cacciatorpediniere greco impegnato a pattugliare l'imboccatura dei Dardanelli. Sulla via del ritorno il sommergibile greco Delfin lanciò un siluro contro l'incrociatore Mecidiye, mancandolo.

All'inizio di gennaio, in preparazione di una nuova sortita della flotta, gli Ottomani misero in atto un piano per allontanare la Averof dalla zona di operazioni: l'incrociatore Hamidiye, l'unità più veloce della flotta, fu inviato a compiere in solitaria una serie di attacchi contro le rotte mercantili greche, nella speranza che la Averof fosse distaccata alla sua caccia: forzata la sorveglianza greca dello stretto nella notte tra il 14 ed il 15 gennaio, la Hamidiye si spinse in mare aperto, bombardando poi il porto di Syra dove affondò l'incrociatore ausiliario greco Makedonia. Facendo base a Beirut e Porto Said, l'incrociatore si spinse in lungo e largo per l'Egeo e lo Ionio, arrivando anche a compiere puntate lungo la costa albanese.
Sebbene queste azioni ebbero un effetto positivo sul morale ottomano, non diedero alcun risultato sul piano pratico, visto che la Averof non si mosse dal suo ancoraggio di Moudros.

Il 18 gennaio 1913 la flotta ottomana uscì di nuovo al completo dai Dardanelli, scontrandosi con la squadra greca nella battaglia di Lemno.
Ancora una volta la Averof mise in luce la sua superiorità, e con la Barbaros Hayreddin nuovamente danneggiata gli Ottomani ruppero il contatto e si ritirarono. Questo fu l'ultimo tentativo ottomano di forzare l'uscita dai Dardanelli, e per il resto del conflitto la flotta rimase all'ancora nel mar di Marmara.

Nonostante il primo impiego bellico dell'aeroplano risalga alla guerra italo-turca, la prima guerra balcanica fu il primo conflitto della storia che vide entrambe le fazioni contrapposte impiegare degli aerei per fini militari.
La presenza di aeroplani nei cieli dei Balcani e le modalità del loro impiego furono influenzate da due fattori principali: il primo fu proprio lo scalpore sollevato dalle prime azioni militari dei velivoli dell'esercito sabaudo (costati una cifra spropositata che gravò sui già sofferenti popoli d'Italia) in Libia, le quali avevano suscitato vivaci discussioni sulle potenzialità e il valore dell'arma aerea in tutti gli ambienti militari dell'epoca; il secondo, considerato meno appariscente ma più importante nella sostanza, era legato al ruolo politico e commerciale della Francia, la quale fornì aeroplani adatti all'impiego militare a tutte le nazioni coinvolte nel conflitto e si occupò, più o meno direttamente, dell'addestramento di tutti i piloti che avrebbero volato nel corso delle guerre balcaniche.

In quasi tutte le nazioni del mondo, in effetti, tra il 1910 e il 1914 furono in servizio aerei di costruzione francese; inoltre le prime idee sulle tattiche d'impiego dell'aviazione in guerra erano state notevolmente influenzate (e diffuse) dai francesi, i quali avevano così favorito successive penetrazioni commerciali.
I greci fin dall'inizio delle ostilità, e poi con continuità, impiegarono con successo gli aeroplani nel ruolo di ricognitori, riuscendo a tenere efficacemente sotto controllo tutti i principali movimenti dell'esercito ottomano.
Su altri fronti l'impiego dell'aviazione fu più difficoltoso e ottenne successi più marginali; ad esempio gli aeroplani bulgari (pilotati perlopiù da volontari russi, francesi o italiani) furono duramente contrastati dal fuoco di terra dei fucili e dei cannoni ottomani.

Le attività più rilevanti furono svolte sempre dai greci, che sorvolarono i Dardanelli con regolarità in modo da poter segnalare tempestivamente l'eventuale uscita in mare della flotta turca; in almeno un'occasione un idrovolante Farman greco lanciò delle bombe sulle navi turche, senza causare però danni.
 
Nell'agosto del 1913 una commissione internazionale, formata da diplomatici e uomini di cultura, fu creata sotto l'egida della Carnegie Endowment for International Peace, una fondazione privata costituita dal magnate americano Andrew Carnegie, per investigare circa le atrocità commesse su civili e militari nel corso di entrambe le guerre balcaniche.
L'iniziativa, per certi versi innovativa anche se monitoraggi internazionali della situazione delle popolazioni macedoni si erano già avuti nel 1903-1908, essa rifletteva il mutato clima internazionale in merito al diritto bellico ed ai crimini di guerra (dipendeva poi chi era a commettere i crimini Ndr), sancito dalla stipula delle due convenzioni dell'Aia del 1899 e del 1907.
Furono raccolte testimonianze e dichiarazioni su fatti avvenuti durante il conflitto, riunite poi in un documento unitario dal titolo Report of the International Commission to Inquire into the Causes and Conduct of the Balkan War, pubblicato nel 1914.

Azioni criminali contro civili e prigionieri di guerra furono condotte da entrambe le parti, sia ad opera di forze militari, sia dalle varie comunità etniche le une contro le altre. Crimini particolarmente violenti ebbero luogo in Macedonia e Albania , dove maggiori erano le divisioni etniche: in alcune zone venne a mancare qualsiasi tipo di autorità civile per diverse settimane, un vuoto di potere che favoriva le azioni di bande isolate e degli eserciti coinvolti.

Gruppi di civili e miliziani irregolari locali scorrazzarono in lungo e largo per la regione attaccando le comunità turche e musulmane.
Osservatori britannici rilevarono che nel vilayet di Monastir, occupato da serbi e greci, l'80% dei villaggi musulmani furono bruciati e le popolazioni costrette a rifugiarsi nei centri principali, ritenuti più sicuri.
Rapine ed uccisioni furono condotte contro i proprietari terrieri di origine turca e più in generale contro i notabili ed i possidenti musulmani.

A Strumica fu formata una commissione mista di cristiani locali, ufficiali serbi e bulgari e capi-banda bulgaro-macedoni, che si arrogò il diritto di giudicare arbitrariamente i notabili musulmani locali, facendo ricorso alla tortura ed infliggendo un gran numero di condanne alla pena capitale. Le stime sul numero delle vittime variano, andando da un minimo di 800 (fonti americane) ad un massimo di 3-4.000 (fonti turche).
Nel dopoguerra, gli ufficiali bulgari presenti nella commissione furono condannati da una corte marziale, mentre nessuna misura fu presa nei confronti degli ufficiali serbi.
A Kilkis, occupata dai bulgari, gli esponenti di una missione cattolica francese riportarono accuse di atrocità perpetrate dalle bande dei settari irregolari del VMRO, tra cui massacri di donne e bambini, stupri ed incendi di moschee.
A Serres, truppe regolari bulgare e serbe saccheggiarono case e negozi turchi, ma anche greci ed ebrei, compirono stupri, devastarono edifici religiosi islamici ed uccisero circa 600 civili, prima che le violenze fossero fermate per intervento del locale vescovo greco-ortodosso.
Truppe regolari greche compirono azioni criminali contro le popolazioni turche durante l'avanzata verso Tessalonica, in particolare incendi di villaggi e quartieri abitati da musulmani.
Anche i reparti ottomani compirono crimini contro le popolazioni cristiane, ed un grave eccidio fu compiuto a Servia, dove 117 civili greci furono trucidati poco prima della ritirata della locale guarnigione ottomana.

In Tracia reparti bulgari, ed in particolare i membri della "Legione dei volontari bulgaro-macedoni", compirono devastazioni e saccheggi nei villaggi turchi situati intorno ad Adrianopoli, città fortemente cosmopolita.
Nel corso dei primi giorni si verificarono anche molti casi di conversioni forzate al Cristianesimo di membri della comunità dei pomacchi, bulgari di religione musulmana.
La caduta di Adrianopoli fu seguita da tre giorni di devastazioni e violenze, prima che le unità di polizia militare potessero riportare una parvenza di ordine.

Soldati serbi e bulgari, ma anche locali civili cristiani, compirono razzie e saccheggi nei quartieri musulmani, oltre ad uccisioni e stupri.
15.000 prigionieri di guerra ottomani e circa 5.000 civili turchi furono trasferiti sull'isola di Sarai Eski, in mezzo al fiume Tundža, e qui abbandonati per molti giorni, esposti alle intemperie e senza cibo, riportando decine di morti per stenti.
Decine di migliaia di civili turchi abbandonarono la Tracia seguendo le armate ottomane in ritirata, finendo con il riempire i quartieri di Istanbul di profughi e favorendo lo scoppio di una vasta epidemia di colera in città.

Eccidi e massacri ebbero luogo anche in Kosovo, lacerato dalla rivalità tra le comunità serba e albanese.
Lev Trotsky, allora corrispondente dal fronte per il giornale Kievskaja Mysl', riportò la testimonianza di un ufficiale serbo circa i massacri, gli stupri e le violenze a danno di civili turchi ed albanesi nella zona di Skopje ad opera dei miliziani macedoni e serbi, testimonianza confermata anche dai racconti inviati dagli stessi soldati al giornale del partito socialista serbo e dalla relazione dell'arcivescovo cattolico di Skopje, Lazer Mjeda.
Quest'ultimo resoconto riporta la cifra di 25.000 vittime in tutto il vilayet del Kosovo, anche se stime più attendibili parlano di 5.000 vittime.

I rapporti tra serbi ed albanesi non furono tuttavia sempre conflittuali: in diversi casi ufficiali serbi riuscirono a stabilire contatti con i clan albanesi per negoziare il pacifico passaggio delle proprie truppe.
Le truppe montenegrine non furono esenti da azioni criminali, come le uccisioni di albanesi nella zona di Kosovo da loro occupata, o la cristianizzazione forzata di 10.000 musulmani nel Sangiaccato.
Quest'ultima azione fu sconfessata dallo stesso Re Nicola, che proclamò la libertà di culto nel suo regno e consentì loro il ritorno all'Islam.

I negoziati per la stipula del trattato di pace si aprirono a Londra il 14 maggio 1913.
Le potenze europee esercitarono forti pressioni affinché i belligeranti arrivassero il più presto possibile ad un accordo, onde non ripetere l'estenuante ed inconcludente situazione creatasi durante il primo armistizio.
Praticamente messi con le spalle al muro, i membri della Lega e l'Impero ottomano siglarono il trattato il 30 maggio seguente.
Il testo riprendeva in gran parte quanto concordato al momento dell'armistizio, ovvero la consegna alla Lega di tutti i territori ottomani ad ovest della linea Enez-Kıyıköy, la creazione di un Principato di Albania esteso da Scutari a Valona e governato dal principe tedesco Guglielmo di Wied, la cessione di Creta e delle isole dell'Egeo alla Grecia, mentre il destino delle quattro isole davanti ai Dardanelli sarebbe stato deciso successivamente dalle potenze sentite le parti.
Nessuna decisione era presa in merito alla spartizione dei territori tra i vari membri della Lega. Il trattato pose ufficialmente fine alla prima guerra balcanica, ma la situazione generale era tutt'altro che risolta.

Due importanti questioni avevano nel frattempo irrimediabilmente minato la coesione della Lega balcanica.
La perdita dello sbocco al mare e dei territori albanesi per colpa delle pressioni internazionali spinse la Serbia a chiedere una revisione degli accordi prebellici con i bulgari, chiedendo compensazioni in Macedonia per quanto perduto in Albania.
Al tempo stesso scoppiò la lungamente rinviata questione della spartizione dei territori tra Grecia e Bulgaria, su cui nessun accordo era stato raggiunto, ed in particolare il nodo centrale del possesso di Tessalonica, inflessibilmente rivendicata da entrambe le parti.

Su entrambe le questioni il primo ministro bulgaro Gešov tentò di temporeggiare, convinto di avere il pieno appoggio della Russia e quindi di poter avere a suo favore il pattuito arbitrato sui territori macedoni.
Sazonov invece era convinto che Sofia dovesse andare incontro alle richieste di greci e serbi, ma non si dimostrò chiaro e deciso nel comunicare le sue opinioni ai bulgari, lasciando che fossero gli alleati a trovare da soli un accordo.

L'intransigenza bulgara spinse Grecia e Serbia ad un avvicinamento, ed il 25 maggio 1913 i due Stati firmarono un trattato di alleanza e mutua difesa.
Il 28 maggio il Primo ministro serbo Pašić affermò ufficialmente che alla Serbia spettavano compensazioni in Macedonia per i territori albanesi perduti, sostenendo anche la necessità di un confine comune serbo-greco lungo la linea raggiunta dalle rispettive armate.

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Ivan Evstratiev Gešov
Entrambe le parti iniziarono a far affluire truppe in Macedonia, e ben presto presero a verificarsi incidenti e scontri a fuoco.
A Sofia, Gešov si disse disposto a venire incontro alle richieste serbe, ma la sua posizione era sempre più minacciata dall'ala dura dei militari, capitanata dal generale Savov e dallo Zar Ferdinando, decisi a risolvere la questione con le armi.

Il 30 maggio Gešov fu costretto alle dimissioni e rimpiazzato da Stojan Danev, contrario a qualsiasi trattativa.
Dopo un ulteriore mese di inconcludenti incontri e mediazioni proposte dai russi, il 30 giugno 1913 il generale Savov, agendo praticamente di sua iniziativa, diede ordine alle truppe bulgare di attaccare le posizioni degli ormai ex alleati, dando avvio alla seconda guerra balcanica.
 
La seconda guerra balcanica scoppiò il 29 giugno del 1913, con l'attacco della Bulgaria ai suoi ex alleati della Lega Balcanica.
Dapprima Greci, Serbi e Montenegrini resistettero saldamente all'attacco dell'ex alleato, in seguito passarono all'offensiva.
Dello scoppio di questo nuovo conflitto nei balcani, subito ne approfittarono gli ottomani che, il 20 luglio, attaccarono la Bulgaria orientale, riconquistando Adrianopoli, ed i Rumeni, i quali avanzavano pretese sulla Dobrugia, che scesero in armi contro i Bulgari e, passato il Danubio, si diressero su Sofia.
Il conflitto fu breve e le ostilità cessarono il 10 agosto del 1913.
Dopo faticose trattative si raggiunse un accordo ed a Bucarest fu firmata una pace che avrebbe modificato profondamente la geografia politica dei Balcani.
Alla Grecia, oltre all'isola di Creta, vennero assegnate Tessalonica, l'Epiro, parte della Macedonia fino a Bitola, e Cavala.
Al Montenegro venne ceduto qualche lembo dell'Albania settentrionale ed il Sangiaccato di Novi Pazar.
La Serbia vide quasi raddoppiato il suo territorio, annettendo quasi totalmente la Macedonia.
La Romania annetté Silistra, quasi tutta la Dobrugia e parte della costa bulgara sul Mar Nero.

In seguito, al termine della guerra e della conferenza di Londra, l'Albania, almeno apparentemente, venne proclamata Stato indipendente, retta su da un Principato ereditario e dichiarata neutrale.
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Principe Guglielmo di Wied,
Principe d'Albania
Fu una vera impresa trovare un sovrano per il nascente stato albanese.
Scartate le proposte di dare il trono al Principe Ghica, si tentò di proporre la guida della nuova monarchia prima al marchese d'Auletta Giovanni V Castriota Scanderbeg, in seguito al principe Napoleone, figlio di Gerolamo e di Clotilde di Savoia.
Fu alla fine scelto il tedesco Guglielmo, Principe di Wied, fratello della Regina Elisabetta di Romania.
Conclusesi dunque in questo modo, le due guerre lasciavano una situazione di pace che aveva tutto l'aspetto di un armistizio e che non dava un equilibrio definitivo all'assetto politico della penisola.
Di tutti gli stati che parteciparono alla conferenza di pace di Bucarest, l'unico che ne uscì pienamente soddisfatto fu il Regno di Romania, che riuscì ad avere tutti i territori che si aspettava di ottenere.
La Grecia avrebbe voluto impadronirsi di una parte dell'Albania meridionale, creando grattacapi all'Italitalietta del Savoia nel tentativo di alimentare il nazionalismo greco nelle isole del Dodecanneso, annesse al decadente Regno d'Italia nel 1912.
Un grande malcontento nacque anche nel Regno di Montenegro, che avrebbe aspirato a mantenere il controllo su Scutari e altri territori, e nella Serbia.
Assetto confinario prima e dopo le guerre balcaniche

Osservando come vennero lasciate in sospeso alcune questioni, è facile immaginare, soprattutto alla luce del ben noto panslavismo-nazionalismo serbo, tutt'altro che sopito nonostante i cospicui ampliamenti territoriali ottenuti da questo conflitto, come ben presto la situazione politica dell'area balcanica sarebbe stata una scintilla che avrebbe dato luogo ad un nuovo conflitto non soltanto per l'egemonia sulla regione ma per la distruzione dell'intera Europa.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Fine...
 
 
Fonte:
 
  • Lev Trotsky, Le guerre balcaniche 1912-1913, edizioni Lotta Comunista, Milano, 1999
  • Egidio Ivetic, Le guerre balcaniche, Il Mulino, Bologna, 2006, ISBN 88-15-11373-8
  • GianPaolo Ferraioli, Politica e diplomazia in Italia tra XIX e XX secolo. Vita di Antonino di San Giuliano (1852-1914), Rubbettino, Soveria Mannelli, 2007
  • (EN) Testi della Biblioteca del Congresso USA sulle guerre balcaniche
  • (EN) "Le crisi dei Balcani, 1903 - 1914"
  • (EN) Le Guerre Balcaniche, 1912-13
  • Uniformi ed insegni militari nelle Guerre Balcaniche
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    Scritto da:
     
    Presidente e fondatore A.L.T.A. Amedeo Bellizzi