lunedì 30 giugno 2014

NOVUS ORDO MISSAE: «IMPRESSIONANTE ALLONTANAMENTO DALLA TEOLOGIA CATTOLICA»

 - http://radiospada.org- 
Novus Ordo Missae: «impressionante allonta¬namento dalla teologia cattolica»
In foto J. Ratzinger presiede alla mensa neocatecumenale, riconoscendola cattolica, autenticandola, secondo il suo punto di vista, come ci ricorda anche il sito degli stessi neocatecumenali (link qui): «Già nel 1974 la Chiesa si espresse sulla Liturgia del Cammino Neocatecumenale […] Riproponiamo l’ intervento di Mons. Annibale Bugnini, allora segretario della Congregazione per il Culto Divino e la disciplina dei Sacramenti, sulle celebrazioni del Cammino Neocatecumenale. Correva l’anno 1974. Nelle foto, Il Cardinale Ratzinger e Papa Giovanni Paolo II celebrano secondo la prassi del Cammino». Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Notitiae, 01/08/1974): «tutte le riforme, nella Chiesa, hanno apportato nuovi principi e promosso nuove norme, che hanno tradotto in pratica gli intenti della riforma stessa. Così accadde dopo il Concilio di Trento; né poteva essere diversamente ai giorni nostri. Il rinnovamento liturgico incide profondamente sulla vita della Chiesa. C’è necessità che la spiritualità liturgica germini nuovi fiori di santità e di grazia, nonché di apostolato cristiano più intenso e di azione spirituale. Un modello eccellente di questo rinnovamento si trova nelle «Comunità neo-catecumenali» che sorsero a Madrid, nel 1962, per iniziativa di alcuni giovani laici, con il permesso, l’incoraggiamento e la benedizione dell’eccellentissimo Pastore madrileno, Casimiro Morcillo. Le comunità hanno lo scopo di rendere visibile nelle parrocchie il segno della Chiesa Missionaria, e si sforzano di aprire la strada all’evangelizzazione di coloro che hanno quasi abbandonato la vita cristiana».
Novus Ordo Missae: «impressionante allontanamento dalla teologia cattolica»
Anche K. Wojtyla presiede alla mensa neocatemcumenale, riconoscendola cattolica, secondo il suo punto di vista, come si può vedere in foto ed in numerosi video.
Come ho già dimostrato, quindi non mi ripeterò, sia il primo che il secondo non hanno mai prestato molta attenzione alla liturgia, tanto che J. Ratzinger si spinge a scrivere: «Il Concilio di Trento conclude le sue affermazioni sul Corpo di Cristo con qualcosa che offende le nostre orecchie ecumeniche ed ha senza dubbio contribuito non poco verso lo screditare questo banchetto nell’opinione dei nostri fratelli protestanti. Ma se noi purifichiamo la sua formulazione dal tono appassionato del 16° secolo, saremmo sorpresi da qualcosa di grande e positivo […]» [in riferimento alla dichiarazione del Concilio di Trento, Sess. XIII, N° 5, circa la Santissima Eucaristia ed il Corpus Domini]. Anche «[...] oggi siamo testimoni di un nuovo integralismo che sembrerebbe di supporto a ciò che è strettamente Cattolico, ma in realtà lo corrompe dal di dentro. Produce sospetto e animosità lontani dallo Spirito del Vangelo. C’è una ossessione per la “lettera”, che stima la liturgia della Chiesa come invalida, ponendo se stessa fuori della Chiesa. Si è dimenticato che la validità della liturgia dipende primariamente, non da specifiche parole, ma dalla comunità della Chiesa [...]» (e tanto altro, come dimostro qui). Nel volume Apologia del Papato, EffediEffe 2014, riporto, a scopo di studio e come cronaca, numerose altre precise citazioni dove si conferma il dato. In questo articoletto l'avvocato Pietro Ferrari dimostra i salamelecchi conciliari al cammino neocatecumanle (Montini, Wojtyla, Ratzinger, Bergoglio). Di K. Wojtyla, che diversamente da J. Razinger non ha mai preteso di sembrare “tradizionalista” pur non essendolo (come dimostra l'erudito esegeta mons. Spadafora nel suo volume La Nuova Esegesi, dove documenta numerosi recenti scritti di modernismo di J. Ratzinger), è inutile parlare, come è già stato ampiamente dimostrato qui. La sola parola “tradizionalista”, nell’attuale accezione data, è un’invenzione dei modernisti, difatti il cattolicesimo è integrale, non esistono altre sfumature (ognuno interroghi la sua coscienza senza trascurare di informarsi).
E’ evidentissimo che ogni fedele (Chiesa discente), il quale riconosce autorevoli (veri Papi) i quattro personaggi citati (Montini, Wojtyla, Ratzinger, Bergoglio), nonché parimenti la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, ha poco da lamentarsi per numerose ragioni spiegate anche in maniera elementare nel Catechismo breve di san Pio X, almeno se vuol conservare la fede cattolica (qui il catechismo). Ha, invece, voce in capitolo, chi pubblicamente, in coscienza e senza alcun dubbio, alla luce in parte del Magistero della Chiesa ed in parte della teologia comune che lo spiegano, deve ritenere che i soggetti citati non furono affatto papi (o lo furono solo materialmente), pertanto il loro governo ed il loro insegnamento sarebbero nulli, da ignorare, da contrastare sempre e comunque.
La “liturgia” neocatecumenale, riconosciuta valida ed accreditata come salvifica da J. Ratzinger e da K. Wojtyla, è, invece, una delle tante aberrazioni volute dal Concilio Vaticano II per impedire la celebrazione di Messe gradite a Dio, come fa presente il pro-Prefetto della Santa Inquisizione, cardinale Alfredo Ottaviani, nel 1969. Riporto uno stralcio dall’editoriale di apertura dell’ultimo numero si «Si, Si, No, No», e concludo con delle mie note aggiuntive.
San Pio V, dopo il Concilio di Trento, “mise ordine” nel rito della Messa, sia in teoria che in pratica, tanto che ancora oggi si usa parlare “impropriamente” di Messa di san Pio V a riguardo del rito romano di sempre, il quale, invece, è di Tradizione apostolica (cfr. Michael Davies, La Riforma liturgica Anglicana). Monsignor Klaus Gamber (Die Zelebration “versus populum”, in Ritus modemus. Gesammelte Aufsàtze zur Liturgiereform) dimostra in nu­merosi studi che la Messa detta di San Pio V è la Messa di Tradizione apostoli­ca e che nella Chiesa primitiva e duran­te il Medioevo, fu norma rivolgersi ad oriente durante la preghiera. Nel corso della XVIII Sessione, il Concilio di Tren­to designò una Commissione incaricata di esaminare il ‘Messale Romano’, di re­visionarlo, e di restaurarlo. Non si trat­tava di fare un nuovo Messale, come ha fatto [Montini (Paolo VI), NdR] nel 1969, ma di restaura­re quello di Tradizione apostolica, fa­cendone un’edizione critica, servendosi dei migliori manoscritti e di altri docu­menti. Il 13 luglio 1570, con la bolla ‘Quo primum tempore’, san Pio V pro­mulgava il Messale restaurato. Il titolo era “Missale Romanum ex decreto SS. Concilii Tridentini restitutum”. Ossia “ri­portato, restituito” filologicamente alla sua pura origine apostolica, che fu tra­smessa da Gesù a san Pietro e da questi ai suoi successori, l’ultimo dei quali a mettervi le mani fu [Papa, NdR] san Gregorio Magno (+604). Il Messale del 1570, in maniera prossima, fu il risultato pratico delle di­rettive date durante e subito dopo il Concilio di Trento. Ma, per quanto ri­guarda l’Ordinario, il Canone, il Proprio del tempo e ben altri punti, fu, in ma­niera remota, una restaurazione filolo­gica del Messale romano del 1474, il quale riprendeva a sua volta, su tutti i punti essenziali, la pratica della Chiesa romana all’epoca di  [Papa, NdR] Innocenzo III (+ 1216), pratica che proveniva a sua volta dall’uso liturgico in vigore ai tempi di S. Gregorio Magno e dei suoi succes­sori nel VI secolo. In breve, il Messale del 1570 era, per l’essenziale, l’uso li­turgico dominante dell’Europa medioe­vale dei Padri ecclesiastici e dei Dottori scolastici.
I cardinali Ottaviani [2] e Bacci [3] nel Corpus Domini del 1969 chiesero a [Montini (Paolo VI),NdR] di abrogare il Novus Ordo Missae in quanto “legge nociva per le ani­me” (“Lettera di presentazione al Breve Esame Critico del Novus Ordo Missae”). La ‘nota n° 1’ del “Breve Esame Critico del Novus Ordo Missae” riporta le se­guenti citazioni: «Le preghiere del no­stro Canone si trovano nel trattato De Sacramentis (fine del IV-V secolo) [...]. La nostra Messa risale, senza muta­mento essenziale, all'epoca in cui si svi­luppava per la prima volta dalla più an­tica liturgia comune [circa trecento an­ni dopo Cristo], Essa serba ancora il profumo di quella liturgia primitiva, nei giorni in cui Cesare governava il mondo e sperava di poter spegnere la Fede cristiana; i giorni in cui i nostri padri si riunivano avanti l'aurora per cantare un inno a Cristo come a loro Dio [cfr. Plinio junior, Ep. 96]. Non vi è, in tutta la cristianità, rito altrettanto venerabilequanto la Messa romana» (A. Fortescue, La Messe, Parigi, Lethielleux, 1921); «Il Canone romano risale, tale e quale è oggi, a San Gregorio Magno. Non vi è, in Oriente come in Occidente, nessuna preghiera eucaristica che, rimasta in uso fino ai nostri giorni, possa vantare lana tale antichità! Agli occhi non solo degli ortodossi, ma degli anglicani e persino dei protestanti che hanno an­cora in qualche misura il senso della Tradizione, gettarlo a mare equivarreb­be, da parte della Chiesa Romana, a rinnegare ogni pretesa di rappresentare mai più la vera Chiesa Cattolica» (P. Louis Bouyer, Menschund Ritus, 1964).
Esaminato e fatto esaminare [1] il Novus Ordo - proseguono i due Cardinali - «sentiamo il dovere, dinanzi a Dio ed alla Santità Vostra, di esprimere le considerazioni seguenti: Come dimostra sufficientemente il pur “Breve Esame Critico’ allegato [...] il Novus Ordo Missae,considerati gli elementi nuovi, [...] rappre­senta, sia nel suo insieme come nei particolari, un impressionante allonta­namento dalla teologia cattolica della Santa Messa, quale fu formulata nella Sessione XXII del Concilio Tridentino, il quale, fissando definitivamente i “cano­ni” del rito, eresse una barriera invali­cabile contro qualunque eresia che in­taccasse l’integrità del Magistero. [...]. Sempre i sudditi, al cui bene è intesa una legge, laddove questa si dimostri viceversa nociva, hanno avuto, più che il diritto, il dovere di chiedere con filiale fiducia al legislatore l’abrogazione della legge stessa» (A. Ottaviani - A. Bacci). [4]
Breve estrapolato tratto dalle note 3 e 4, pp. 1 e 2, del periodico «Si, Si, No, No», anno XXXX, n° 9
Note aggiuntive (le prime 3 leggibili anche su Wikipedia: chi cerca trova!). Informazioni importanti da sapere:
[1] Il Breve Esame Critico del Novus Ordo Missae è stato scritto dal teologo domenicano Michel Guérard des Lauriers (consacrato vescovo dall'arcivescovo vietnamita Pierre Martin Ngô Đình Thục, senza il consenso del Vaticano modernista, il 7 maggio 1981). Docente presso la Pontificia Università del Laterano, scrisse il Breve esame critico del Novus Ordo Missae, presentato a Montini  (Paolo VI) dai cardinali Antonio Bacci e Alfredo Ottaviani il 25 settembre 1969. Già collaboratore di mons. Marcel Lefebvre e autore della tesi teologica detta di Cassiciacum, dal nome del periodico, che per primo pubblicò i suoi studi. Secondo la tesi di Cassiciacum, Montini (Paolo VI) e i suoi successori sono papi solo "materialiter" ("materialmente", nell'accezione della filosofia scolastica) poiché‚ non attuando il bene della Chiesa e insegnando l'errore e l'eresia, non possono in alcun modo, se non ritrattano prima i loro errori, ricevere da Cristo l'autorità per governare, insegnare e santificare la Chiesa.
[2] Alfredo Ottaviani (Roma, 29 ottobre 1890 – Città del Vaticano, 3 agosto 1979) è stato un cardinale italiano, rigoroso difensore della tradizione e oppositore di tendenze riformistiche della Chiesa cattolica. Il 12 gennaio 1953, papa Pio XII lo nominò pro Prefetto del Santo Uffizio (Santa Inquisizione), e contestualmente creato e pubblicato cardinale. Essendo conservatore ebbe forti contrasti con chi voleva innovare la secolare tradizione ecclesiale.
[3] Antonio Bacci (Giugnola, 4 settembre 1885 – Città del Vaticano, 20 gennaio 1971) è stato un cardinale, arcivescovo cattolico e latinista italiano. Partecipò al Concilio Vaticano II, sostenendo le posizioni dell'ala conservatrice. Il 24 ottobre 1962, nel corso della prima sessione, difese il latino come lingua liturgica. Nella stessa sessione sostenne lo schema preparatorio sulle fonti della Rivelazione, che riproponeva la dottrina tradizionale della Chiesa. Nella seconda sessione si espresse contro l'introduzione del diaconato permanente. Nella quarta sessione si batté affinché nei documenti conciliari fosse inserita una condanna esplicita del comunismo.
[4] Il resto dell’articolo rilanciato non posso condividerlo poiché apre al sedeplenismo (ammette un uso non cattolico delle “chiavi”) ed alle perniciose tendenze ermeneutiche (ammettono l’errore su fede e costume nel Magistero universale), ammette che un vero Pontefice possa promulgare un Rito universale nocivo per le anime e lontano dalla fede cattolica, dunque (secondo me, ma come dimostro usando il Magistero) va contro la dottrina integrale della Chiesa, come ho spiegato: 
  1. http://radiospada.org/2014/06/chi-e-papa-e-chi-non-e-papa-da-apologia-del-papato-di-carlo-di-pietro/
  2. http://radiospada.org/2014/04/un-papa-che-canonizza-un-eretico-non-e-papa/
  3. http://radiospada.org/2013/11/puo-esistere-un-papa-notoriamente-eretico/
  4. http://radiospada.org/2014/06/riflessione-sulla-partecipazione-alla-santa-messa-in-stato-di-necessita/
  5. http://radiospada.org/2013/06/linfallibilita-della-chiesa-e-del-papa-magistero-universale-e-ordinario/
  6. http://radiospada.org/2013/07/sullinfallibilita-nella-canonizzazione/
  7. http://radiospada.org/2013/07/bendetto-xvi-rileggere-i-documenti-del-concilio-alla-luce-della-tradizione/
  8. ed altrove.

NAPOLITANO CI RICASCA: TERZA LETTERA ALLA MASSONERIA IN 8 MESI

 -di Davide Consonni-
articolo comparso su Informare x Resistere

E' quasi imbarazzante. Mi ritrovo a scrivere della stessa questione per la terza volta in meno di otto mesi. Napolitano c'è ricascato. Ha scritto la terza lettera al Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia Gustavo Raffi. Amore vero, nemmeno fossero due fidanzatini. La farò brevissima. IN QUESTO ARTICOLO documentai le prime due lettere che il Napolitano scrisse direttamente al Gran Maestro Raffi. Ora mi tocca documentare l'invio della terza lettera.
Qui di seguito riporto il testo della lettera che Raffi ha inviato a Napolitano in occasione dell'apertura dei lavori di loggia della Gran loggia di Rimini 2014:
Messaggio del Gran Maestro Gustavo Raffi al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. A nome del Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani, in occasione della Gran Loggia 2014 riunita a Rimini, le esprimo, signor Presidente, profondo apprezzamento per il suo ruolo di rigoroso interprete e garante della Costituzione. E nel rivolgerle un rispettoso saluto le ribadisco la nostra lealtà di liberi muratori ai principi in essa contenuti, la nostra forte adesione ai valori laici di libertà, eguaglianza e solidarietà e il nostro impegno a contribuire al progresso di una società equa in un' Europa che si possa riconoscere in valori condivisi che ispirino azioni miranti a ridurre ben altri spread che quelli tra Btp e Bund, spread che stanno crescendo a dismisura e che sono i differenziali
di cultura, di benessere, di accesso alla conoscenza. [FONTE]
Qui di seguito pubblico la scannerizzazione della risposta grata e devota del Napolitano:

Questo di seguito è l'articolo pubblicato dal sito ufficiale del Grande Oriente d'Italia in merito alla terza letterina del Napolitano: http://www.grandeoriente.it/eventinewsgoi/2014/04/apprezzamento-del-presidente-napolitano-per-l-impegno-del-grande-oriente-a-promuovere-i-valori-della-costituzione.aspx
Per completezza e correttezza qui di seguito riporto l'articolo che pubblicai il 3 marzo 2014 in merito alle prime due lettere dei fidanzatini Raffi-Napolitano:
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha inviato un'altra lettera di risposta al Gran Maestro Gustavo Raffi, la seconda lettera in meno di 6 mesi. Questa lettera, datata 28 febbraio 2014, contiene un cordiale e lusinghiero messaggio di saluto ai partecipanti all'inaugurazione del nuovo tempio massonico del Grande Oriente d'Italia a Roma, denominato "Casa Nathan" [Ernesto Nathan fu il Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia, ebreo nato a Londra, cosmopolita, repubblicano e mazziniano, massone dal 1887, laicissimo ed anticlericale, Ernesto Nathan fu sindaco di Roma. Ricoprì la carica di gran maestro del Grande Oriente d'Italia dal 1896 al 1904 e dal 1917 al 1919]. Giorgio Napolitano, come si evince dalla lettera, fu invitato per l'inaugurazione del nuovo tempio di Roma, alla quale però ha dovuto cortesemente rinunciare per impegni istituzionali.
Qui di seguito il testo della lettera del 28 Febbraio 2014:
"Il Segretario Generale della Presidenza della Repubblica
Roma, 28 febbraio 2014
Illustre avvocato,
il Presidente Napolitano la ringrazia per l'invito a presenziare alla inaugurazione del Centro polifunzionale del Grande Oriente d'Italia dedicato ad uno dei più grandi sindaci di Roma, Ernesto Nathan, ricordato nella storia cittadina come propugnatore di una amministrazione corretta e moderna, attenta alle esigenze di uno sviluppo pianificato della città e in particolare di una chiara laicità delle istituzioni pubbliche e scolastiche.
Sono spiacente di doverle comunicare che impegni istituzionali già da tempo previsti non consentono, purtroppo, al Capo dello Stato di presenziare alla cerimonia.
Il presidente della Repubblica, nell'auspicare che Casa Nathan possa inserirsi rapidamente nella grande tradizione dei centri culturali della nostra città, invia a lei ed a tutti i partecipanti un cordiale saluto, al quale unisco volentieri il mio personale. " 
Ciò è quanto si legge nella lettera che il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha inviato al Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia, Gustavo Raffi, tramite il segretario generale della Presidenza della Repubblica, Donato Marra,
[Fonte della lettera del 28 Febbraio 2014: http://www.grandeoriente.it/media/330576/Lettera-Marra-01-03-14.pdfFonte1 della lettera: http://www.grandeoriente.it/eventinewsgoi/2014/03/messaggio-del-presidente-napolitano-per-l-inaugurazione-di-casa-nathan.aspx ]
Immagine della lettera del 28 febbraio 2014:
napo mass
Sono passati meno di sei mesi dall'ultima lettera che Napolitano spedì al Gran Maestro Gustavo Raffi il 17 Settembre 2013.
Qui una parte del testo della lettera del settembre 2013: ""Il Presidente Napolitano esprime apprezzamento per i temi affrontati quest'anno, cultura e fratellanza, che testimoniano il costante e meritorio impegno del Grande Oriente d'Italia nel riaffermare quei principi di solidarietà e di contrasto ad ogni forma di integralismo che sono alla base di un'etica civile fondata sul dialogo e sul rispetto reciproco"
Napolitano si dice: "certo che dagli incontri previsti, che vedranno la partecipazione di autorevoli studiosi, potranno scaturire importanti contributi di analisi e riflessione".
[Fonte della lettera: http://www.grandeoriente.it/media/305154/Messaggio-Napolitano-17-09-13.pdf;
Fonte1: http://www.grandeoriente.it/comunicati/2013/09/napolitano-riaffermare-principi-di-solidarieta-e-di-contrasto-a-ogni-forma-di-integralismo.aspx]
Immagine della lettera del 17 settembre 2013:
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Mi preme specificare che altri legami noti collegano il Presidente Napolitano alla storiografia massonica della Repubblica Italiana. 
Per fare cenno a questi legami riporto uno stralcio di un articolo pubblicato sul sito personale di Luigi Pruneti, Gran Maestro della Gran Loggia d’Italia in merito all’appartenenza massonica del padre del Presidente Napolitano.
L’articolo, di cui riporto solo uno stralcio,  certifica appunto l’appartenenza massonica del padre del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano citando le considerazioni dello storico italiano della massoneria più celebre ed accreditato: Aldo Mola. 
Qui di seguito la parte d’articolo che c’interessa: “ Il prof. Luigi  Pruneti, Gran maestro della Gran Loggia d’Italia, ne ha parlato con il prof. Aldo A. Mola, direttore del Centro per la storia della massoneria. Dal loro colloquio emerge quanto segue. “Il padre di Giorgio Napolitano, Giovanni, nato il 17 febbraio 1883, fu iniziato massone nella loggia “Giovanni Bovio” di Napoli  il 20 giugno 1911, all’obbedienza del Grande Oriente d’Italia (matricola 36.019). “Oltre che avvocato, Giovanni Napolitano (1883-1955) fu poeta di fama e saggista apprezzato, come ricorda Luigi Simonetti nel documentato articolo pubblicato in Cumignano e Gallo alle origini del Comune di Comiziano (Cimitile, ed. Tavolario). “La cosa non deve stupire affatto. Anche il padre di Giorgio Amendola, Giovanni, fu massone attivo e quotizzante, sia pure a fasi alterne: con maggiore assiduità nei momenti della persecuzione totalitaria. “Va aggiunto che nell’Appendice a Malaparte. Vite e leggende (ed. Marsilio, Premio Acqui Storia 2013) Maurizio Serra, Ambasciatore dell’Italia all’Unesco, Giorgio Napolitano ricorda i suoi incontri giovanili a Capri con Curzio Malaparte, “un comunista quasi dichiarato”. Subito dopo lo sbarco a Napoli (27 marzo 1944), Palmiro Togliatti “si precipitò a trovarlo”, attesta Napolitano. Pochi sanno che anche Kurt Suckert (“Malaparte”, appunto) fu iniziato alla Gran Loggia d’Italia dopo la vittoria del Listone fascista nelle elezioni del 6 aprile 1924 e pochi giorni prima dell’assassinio di Giacomo Matteotti. Venne iniziato il 28 maggio 1924 nella loggia “Nazionale”, direttamente all’obbedienza del gran maestro Raoul Palermi (speculare all’altrettanto famosa  “Propaganda massonica”). “La documentazione – concludono Pruneti e Mola – dimostra che tanta parte della storia d’Italia è fluita anche tra le colonne dei templi, ove tanti italiani di valore si sono formati ai principi della libertà e della  tolleranza”. [fine citazione]

La croce dell'informe - Breve storia critica del Crocefisso nell'arte (ottava parte)

 Croce1
Con quest'articolo continua la pubblicazione in varie puntate (qui la primaqui la secondaqui la terzaqui la quartaqui la quintaqui la sesta e qui la settima) di una "Breve storia critica del Crocifisso nell'arte" a cura di Luca Fumagalli,  socio fondatore e membro storico di Radio Spada.
di Luca Fumagalli
La rivoluzione del secolo XIX

Tornando ai pochi esempi, seppur lodevoli, che abbiamo visto in precedenza, capiamo molto bene come da soli non bastarono a frenare la violenta ondata anticattolica. Nel XIX secolo, la società europea, con l’avvento della rivoluzione francese, fu devastata da un pregno scetticismo generalizzato. La filosofia darwiniana, il criticismo kantiano, il nichilismo di Strauss, Renan, Harnak ecc. avevano portato il dubbio e l’incredulità nell’anima moderna e così l’arte sacra, ormai quasi del tutto affidata ad artisti “minori”, perì lentamente. Infatti ad eccezione di Caspar David Friedrich (1774-1840), di Eugene Delacroix (1798-1863) e del più giovane Paul Gauguin (1848-1903), la maggior parte degli altri artisti impegnati durante il secolo a rappresentare Nostro Signore in Croce non è certo costituita da personaggi di primo piano della storia dell’arte.
Friedrich con la sua Croce sulle montagne (in due esemplari:  una pala d’altare del 1808 e una tela del 1812) organizza la risposta più efficace del romanticismo avanzando una nuova ipotesi figurativa dove una riproduzione della crocifissione è immersa nel contesto paesaggistico delle montagne, in un gioco di chiari e scuri enfatizzato dalla luce del tramonto. Ambigua nella sua costruzione complessiva, la composizione sembra denunciare una matrice panteista dove la natura e Dio si confondono in un unicum indistinto, ambiguo e passibile di equivoci. L’inusuale collocazione del Crocifisso sembra inoltre riecheggiare il tema della solitudine dell’uomo (così tipico in tanti quadri di Friedrich)[1] disperato nella ricerca di un Dio «che si erge nel silenzio indifferente della montagna»[2].

1

Gauguin dal canto suo rappresenta nel suo famosissimo Cristo giallo del 1889 un gruppo di donne bretoni in preghiera ai piedi di un Crocifisso nella campagna di questa regione francese. Durante una vacanza Gauguin era rimasto affascinato dalla venerazione che i locali bretoni di Tremalo dimostravano nell’adorazione della Croce e decise di dedicare a questa devota gente la composizione. L’eccessivo primitivismo con cui è però rappresentata la scena male si adegua alla sacralità del soggetto e stupisce l’uso del colore giallo per la carnagione del Cristo; «a detta dell’artista […] il giallo […] è simbolo del suo dolore presente e futuro»[3] ma non se ne capisce bene il motivo.

2

Anche Delacroix ha prodotto un discreto numero di crocifissioni, un tema del resto che si ripresenterà più volte nella personale carriera artistica. Ci basti citare il Cristo sulla croce del  1853 conservato alla Britsh Gallery dove, in un contesto tutto sommato di impianto classico, si nota chiaramente la pennellata rapida e ferma del maestro francese. La Croce divide la scena in due parti: sulla destra uomini e donne oppressi dal dolore assumono svariate pose dolenti, sulla sinistra due centurioni a cavallo guardano intimoriti il cielo che si sta facendo plumbeo. Al centro Cristo è ridotto vergognosamente ad un cadavere emaciato il cui volto è avvolto nell’ombra.

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Tra i gruppi più attivi in ambito cristiano nel XIX secolo non possiamo non citare i cosiddetti “Nazareni”, titolo che dapprima lanciato come scherno, divenne in seguito distintivo di gloria. Il gruppo era costituito da pittori tedeschi i quali, immersi in un clima romantico, si ribellarono al classicismo accademico, aspirando ad un'arte rinnovata su basi religiose che stilisticamente assunse un carattere arcaicizzante, dato da un forte accento lineare e dall'uso del colore crudo, steso con pennellate uniformi in un tentativo di ricomposizione formale, quasi filologica, dell’arte dei quattrocenteschi italiani. I suoi fondatori e maestri principali erano Friedich Overbeck (1789-1869), Franz Pforr (1788-1812), Peter Cornelius (1783-1867) e molti altri ancora tra cui l’italiano Michelangelo Grigoletti (1801-1870) senza però appartenervi ufficialmente. Tra le molte crocifissioni dipinte dal gruppo ricordiamo in particolare la bellissima Crocifissione (1855-1864) proprio del Grigoletti per la Basilica si Santa Maria Assunta ad Esztergom in Ungheria. La composizione, sobria ed equilibrata, vede la figura livida di Cristo in Croce al centro, illuminata da un fascio di luce che squarcia le tenebre in alto a sinistra. In primo piano si vedono uscire dal sepolcro scoperchiato Adamo ed Eva e sullo sfondo, al di là del colle, si distinguono alcune costruzioni che simboleggiano Gerusalemmme. «Nel suo complesso la composizione si presenta articolata secondo un ordine piramidale, da leggersi in senso ascensionale, che culmina nella figura di Cristo posto leggermente in tralice rispetto all’osservatore»[4] e che conferisce un ulteriore senso di angoscia e sofferenza all’intera opera ma anche la speranza del riscatto grazie al sacrificio di Dio.

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Poco dopo la metà del secolo, si affiancano ai pochi artisti cristianamente impegnati i monaci benedettini del monastero tedesco di Beuron che, attraverso l’impegno e il carisma di padre Desiderio Lenz (nato nel 1832), fondarono una scuola artistica i cui più bei monumenti furono la cappella di S. Mauro a Beuron, la chiesa di Maredsous in Belgio e il monastero di Montecassino[5]. L’arte praticata dai monaci benedettini del XIX secolo «è in assoluta antitesi con il realismo. [Essi] conoscono perfettamente la forma, ma la assoggettano al loro libero talento […] con padronanza assoluta»[6]. In questo caso l’arte si fa vita spirituale ed elevata contemplazione in cui la forma semplice e la sobria compostezza della rappresentazione fonde un senso di pacifica serenità nello spettatore.
A causa di danni provocati da eventi sismici i monaci di Lenz restaurarono completamente il santuario della Torretta a Montecassino: qui era conservato un bellissimo affresco sul tema del Crocifissio (distrutto durante la seconda guerra mondiale), in cui la completa assenza del declamatorio e del teatrale, unito alla gamma attenuata e delicatissima dei colori, inducono facilmente la commozione. Il Cristo richiama «per dolcezza e compostezza anatomica, le varie crocifissioni del Beato Angelico a S. Marco»[7].
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Ulteriore novità del XIX secolo è quella particolare corrente realistica, caratterizzata da una ricerca storica e filologica molto accurata, che aveva come obbiettivo rendere al meglio nella pittura il tipo, l’ambiente, le vesti, le scene relative alla figura di Gesù e gli episodi evangelici. Tra i grandi artisti che portarono questa sorta di naturalismo storico nell’arte sacra è da menzionare  James Tissot (1836-1902) che nel 1886, a causa di una crisi mistica al culmine della propria fama, si recò in Palestina e vi rimase per ben dieci anni fotografando il luoghi, studiano l’archeologia e commentando i Vangeli. Il frutto di questo intenso periodo di studio e di meditazione fu il Vangelo illustrato del 1896 contenente centinaia di acquarelli e disegni del pittore francese. Tra questi ricompare il Crocifisso legato alla croce (tenendo quindi conto di un particolare storico spesso trascurato) in un contesto decisamente realista e quanto più possibile vicino ai testi evangelici. Nonostante la fine bellezza delle composizioni, questo eccessivo realismo, questo troppo ardente zelo per il dato storico preciso, è ottenuto a scapito di un impatto emozionale autentico e risulta dunque freddo e distante dall’osservatore.

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Di tendenze naturalistiche è anche Bruno Piglhein (1848-1894) che con il suo Panorama di Gerusalemme al momento della morte di Gesù ottenne nel 1886 un clamoroso riscontro di pubblico e critica. Recatosi a Gerusalemme l’anno precedente con alcuni assistenti vi si fermò a prendere fotografie, ad aggrupparle, a studiare i tipi e poi, riordinato tutto il materiale, espose a Vienna questa monumentale opera costata nove mesi di duro lavoro. Troppo dispersivo nella sua notevole dimensione l’opera indugia con compiacenza sulla minuzia della ricerca storica condotta, restituendoci un lavoro degno e ragionato ma non certo d’arte sacra.

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Preraffaellita ma vicino ai due precedenti pittori per sensibilità è l’inglese William Holman Hunt (1827-1910) che «animato da sentimenti religiosi e pervaso dallo spirito moralistico di Ruskin, dipin[se] quadri sacri rivolti ad una vasto pubblico»[8]. Hunt è legato alla tradizione naturalistica del XIX secolo per la sensibilità storica, l’accuratezza descrittiva dei particolari e per essersi recato più volte in Terrasanta (nel 1854, 1869, nel 1875 e nel 1892) come Tissot e Piglhein. Naturalmente nell’artista preraffaellita il verismo storico si fonde con una simbologia molto profonda come dimostra l’atipica Crocifissione senza Croce de L’ombra della morte del (1869-1870) conservata alla City Art Gallery di Manchester. Gesù è ritratto in piedi nella bottega paterna nella classica posa della sofferenza della Passione (con tanto d’indumento piegato sulla cintola che lascia scoperte non solo le gambe ma anche il petto). A destra gli attrezzi da falegname giacciono inusati mentre sulla sinistra la Madonna deposita in una cesta i doni offerti dai Magi in occasione della nascita del figlio. La figura del Salvatore proietta sulla parete della stanza l’inquietante ombra della ventura morte e tutta l’atmosfera del quadro è intessuta di sofferenza ma anche di consapevole accoglienza del proprio destino (il melograno, frutto simbolico frequentissimo nei preraffaelliti, simboleggia infatti il dolore e la sofferenza)[9]. Hunt trasfigura in questa sua opera il dramma del lavoro manuale e della fatica che esso comporta ma anche la nobiltà dell’agire umano, di tutte quelle azioni che allontanano dall’animo l’autentica morte del peccato. Siamo innanzi ad uno dei rari esempi in cui, pur nell’innovazione figurativa, si preserva genuina la sacralità del soggetto.

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Di tendenze vicini al realismo e alla cura dei particolari, senza però tralasciare il lirismo di fondo, ricordiamo il simbolista-espressionista Franz Von Stuck (1863-1928) le cui Crocifissioni sono cariche di dolore e di disperazione. Se alcune di esse sono più vicine al naturalismo (seppur non sempre storicamente corrette), altre invece sembrano intuire certe deformazioni figurative, per il momento contenute, che saranno poi tipiche degli espressionisti di area nord europea (in particolare si notano molte somiglianze con la pittura di Munch)[10].
Tra gli scultori possiamo menzionare ancora Pietro Canonica (1869-1959) e Leonardo Bistolfi (1859-1933). Del primo, precocissimo talento, conserviamo un bellissimo Crocifisso posto nel santuario del S. C. di Maria a Torino in cui la ragionata fisionomia naturalista ha il raro merito di accendere e non di soffocare l’ispirazione religiosa; del secondo invece si ricorda il Crocifisso in bassorilievo per il monumento funebre della famiglia Brayda al cimitero di Villarbasse a Torino in cui si ritorna, con una felicissima intuizione, al modello del Cristo trionfante dell’arte primitiva. Così, sulla tomba, il Crocifisso appare giustamente vincitore della morte.

9

Nella storia della Crocifissione nell’arte, gli autori che forse più di tutti chiudono il XIX secolo e aprono idealmente il secolo successivo sono il belga James Ensor (1860-1949) e il norvegese Edvard Munch (1863-1944) la cui raffigurazione del Salvatore sulla croce porta proprio la data del 1900. Se nel suo Cristo tormentato dai demoni (1895) Ensor apre la strada al filone blasfemo e grottesco del moderno e del post-moderno[11], Munch, nel suo Golgotha, esposto al Munch Museuam a Oslo, sembra incarnare invece quella linea di autoriflessione e di coscienza della crisi in rapporto al travagliato passaggio epocale che il mondo stava vivendo alla fine dell’800. Crollata la spinta ottimistica del positivismo e ridotta sostanzialmente l’influenza del cristianesimo in Europa, l’uomo si trova solo innanzi al mondo (come già si era notato per Friedrich), in balia degli eventi, sfiduciato e agonizza in una disperata ricerca di senso. A maggior ragione questo si verifica per un artista come Munch la cui vita è stato costellata sin dalla giovane età da gravi lutti famigliari. E proprio Golgotha nasce nel periodo in cui il pittore è ricoverato per alcolismo al Kornhaug Sanatorium tra l’autunno e l’inverno  1899. Sotto un cielo plumbeo, un crocifisso al centro della tela (probabilmente da identificare con l’artista stesso)[12] sovrasta una folta turba di uomini: se le persone in primo piano sono anatomicamente piuttosto ben definite, già quelle retrostanti si sciolgono in una danza di corpi fluidi che sembrano convergere verso la croce. Il quadro non ha nulla di sacro: la Croce è soltanto un pretesto iconografico per narrare la propria sofferenza d’uomo e la sofferenza di un secolo che ha smarrito il senso. Solo l’artista - forse involontariamente - si fa carico di tale macigno nella speranza di poter redimere, attraverso la sua arte, il resto dell’umanità che ora più che mai sembra una accozzaglia disordinata di uomini ignari.

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[1] Su tutti cfr. C. D. FRIEDRICH, Il viandante sul mare di nebbia, 1817-1818, Kunsthalle, Amburgo.
[2] H. SEDLMAYR, Perdita del centro, Torino, Borla editore, 1967, p. 154.
[3] OGGIONNI, La civiltà del Crocifisso, p. 71.
[4] V. GANZER, V. GRANSINIGH (a cura di), Michelangelo Grigoletti, Milano, Bruno Alfieri editore, 2007, p. 218.
[5] Cfr. M. CIGOLA, L’abbazia Benedettina di Montecassino, Cassino, Francesco Ciolfi Editore, 2005, p. 205.
[6] COSTANTINI, Il crocifisso nell’arte, pp. 156-157.
[7] P. VITTORELLI (a cura di), Ave Crux Gloriosa. Croci e crocifissi nell’arte dall’VIII al XX secolo, Montecassino, Abbazzia di Montecassino, 2002, commento a illustrazione n. 151.
[8] M. T. BENEDETTI, I preraffaelliti, Firenze-Milano, Giunti editore, 1986, p. 37 [“Art Dossier”, 5].
[9]Cfr. M. WERNER, Pre-Raphaelite painting and nineteenth century realism, Cambridge, University press, 2005, p. 202.
[10] Altro artista del XIX secolo che influenzerà Edvard Munch è Max Klinger (1857-1920), anch’egli autore di una Crocifissione il cui vivo e brutale realismo (compresa la scelta di dipingere il Cristo nudo) entusiasmò e scandalizzò i contemporanei.
[11] Naturalmente, nel caso di Ensor,  non stiamo parlando di un grottesco fine a sé stesso, anzi, a maggior ragione è bene ricordare che rimane anche ampio spazio per una sera riflessione sulla società del suo tempo e del ruolo dell’artista in rapporto ad essa (cfr. M. CALVESI, Le maschere di Ensor, in AA. VV,Ensor, Milano, Electa, 1981, p. 12). E’ però altrettanto chiaro che la Croce, in balia dei demoni, costituisce una volgarizzazione blasfema del tema sacro.
[12] Cfr. AA. VV, Edvard Munch. The modern life of the soul, New York, Museum of Modern Art, 2006, p. 213.
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