mercoledì 5 marzo 2014

La Rivoluzione del 1859 nel Ducato di Modena.


NOTA INTRODUTTIVA: Per  narrarvi le vicende che è mia intenzione divulgare con questo scritto , e che è mia premura che voi comprendiate a fondo, comincerò da avvenimenti che precedettero di decine di anni i nefasti accadimenti dai quali il presente testo prende il nome.

 

Francesco IV di Modena e la lotta alla Rivoluzione (1814-1846).


 
 
 

Da sinistra: Ferdinando d'Asburgo-Lorena e Maria Beatrice
Ricciarda d'Este.
Francesco Giuseppe Carlo Ambrogio Stanislao d'Asburgo-Este nacque a Milano il 6 ottobre 1779 dall’Arciduca Ferdinando Carlo Antonio Giuseppe Giovanni Stanislao d'Asburgo-Lorena , Duca di Brisgovia, Governatore del Ducato di Milano e ultimo figlio maschio di Maria Teresa d’Austria , e da Maria Beatrice Ricciarda d'Este, Duchessa di Massa e Principessa di Carrara, signora di Lunigiana, ultima degli Este.
 
 
Il giovane Francesco IV di Modena.
 
 
Francesco trascorse lunghi periodi alla Corte di Vienna , dove fin da bambino aveva assorbito gli ideali che da sempre sostenevano il grande Impero Cristiano: un assoluto legittimismo , una religiosità rigidissima e profonda , l’incondizionata fedeltà all’Imperatore. Furono questi i sacri principi che volle portare alla Corte di Modena . Questi suoi nobili principi erano condivisi anche dalla consorte , Maria Beatrice di Savoia  (nata a Torino il 6 dicembre 1792) , figlia del Re Vittorio Emanuele I di Sardegna e sua nipote in quanto figlia della sorella maggiore Maria Teresa Giovanna d’Asburgo-Este , che sposò nel 1812.






Duca Francesco IV e la Duchessa Maria Beatrice entrano nel Ducato di Modena
Francesco IV di Modena e Maria Beatrice di Savoia al loro arrivo a Modena.
In seguito alla sconfitta di Napoleone Bonaparte e alle disposizioni prese al Congresso di Vienna, il 15 luglio 1814 Francesco , divenuto Francesco IV di Modena , e la di lui consorte Maria Beatrice di Savoia poterono rientrare in possesso dei loro legittimi Stati dove il popolo , fin dal momento in cui misero piede nelle terre del Ducato, gli acclamava a gran voce. Giunti alle porte della capitale , ventiquattro giovani del popolo vollero trasportare la carrozza dei Duchi fino alla Cattedrale, dove all’ingresso principale era ad attendere il Vescovo Tiburzio Cortese , e dove , narra un contemporaneo , “tanto crebbe l’impeto degli affetti , che più volte le acclamazioni del popolo , con dimenticanza perdonabile all’evento , si mescolarono ai canti dell’inno ambrogiano”.  L’acclamazione e l’amore popolare per questo Sovrano e la sua consorte furono da subito grandi , ma il Ducato di Modena venne scosso da li a poco dalle mire espansionistiche e nazionalistiche del “re giacobino” Gioacchino Murat intento a farsi riconoscere “Re d’Italia”. Alla testa del suo esercito , il Murat invase il Ducato Estense . Francesco IV  si recò a pregare tra i suoi sudditi nella Cattedrale di San Geminiano per due volte in quei nefasti giorni .


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La fucilazione di Gioacchino Murat (1815).
Presso Carpi però, le mire di Murat trovarono una battuta d’arresto in quanto il suo esercito venne fermato dalle truppe Imperiali austriache che , nel rispetto degli accordi presi al Congresso di Vienna , accorsero per mantenere l’ordine legittimo , e le quali vennero affiancate dal neonato Esercito Estense. Murat  venne sconfitto prima ad Occhiobello, poi, dopo una ritirata attraverso Faenza, Forlì e Pesaro, nella battaglia di Tolentino (2 maggio 1815); il successivo trattato di Casalanza (20 maggio 1815), firmato presso Capua, sancì definitivamente la sua caduta.  Eliminato definitivamente il pericolo francese-giacobino con Murat fucilato e Napoleone esiliato all’Elba, l’ordine legittimo venne nuovamente ristabilito. Per alcuni anni sembrò regnare la pace , ma il cancro rivoluzionario , che aveva messo profonde radici in specie nella classe borghese e in alcuni ambienti della nobiltà, ben presto innescò i focolai sovversivi dei moti liberali.




Francesco IV di Modena.
Tra il 1820 e il 1821 si ebbe la prima ondata rivoluzionaria che percorse la penisola italiana. A Modena rimase celebre la condanna a  morte del sovversivo Don Andreoli, un sacerdote liberale iscritto alla Carboneria;  il Duca Francesco IV , di radicata fede nei principi del legittimismo, insofferente a ipocrisie e compromessi, sapeva che  i principi del Cattolicesimo e del liberalismo erano radicalmente inconciliabili ed egli per questo vide Don Andreoli più colpevole degli altri rivoluzionari.  Molti altri sovversivi implicati nei moti vennero graziati, ma volle esemplarmente condannare il sacerdote , sperando anche di scoraggiare in tal modo eventuali rivolte settarie future. Si sappia però che nessuna voce episcopale del Ducato, fatta eccezione per il solo Vescovo di Reggio monsignor Ficarelli , si levò a difesa del sacerdote carbonaro e che nessun prelato di rilievo prese le sue difese. Era ancora un’epoca dove gli uomini di Chiesa sapevano riconoscere e combattere  i loro nemici.  Francesco IV emanò due editti contro la setta (Carboneria) in quello stesso periodo.

Nel 1830 la Rivoluzione tornò a sovvertire l’ordine legittimo partendo dal Regno di Francia di Carlo X il quale , sempre a causa di un complotto settario che si protraeva da ormai quindici anni, subì l’usurpazione del legittimo Trono da parte dell’infido  cugino Luigi Filippo III Duca d’Orleans. Francesco IV di Modena rifiutò fermamente di riconoscere il governo rivoluzionario francese nonostante le minacce settarie e della stessa Francia Orleanista. Gli avvenimenti francesi ebbero ripercussioni in tutta Europa investendo anche la penisola italiana e il Ducato di Modena, dove il Duca Francesco IV al fianco delle fedeli  truppe Estensi e del grande legittimista Principe di Canosa si trovò a fronteggiare la rivolta settaria capeggiata da Ciro Menotti.  


Ciro Menotti.
Fra la folla osannante che accolse Francesco IV il 15 luglio 1814  c'era anche un ragazzo di sedici anni , già convinto Duchista e poco dopo Tenente della Guardia Urbana Estense . Il suo nome era appunto Ciro Menotti . Ricordava Giuseppe Bayard De Volo, direttore del quotidiano Modenese "Il diritto Cattolico": "Al ristaurarsi della dinastia Estense non esitò egli di aderirvi con entusiasmo , a tal chè fu notato tra quelli che al giungere in Modena del Duca Francesco IV  ne staccarono i cavalli e trassero il cocchio alla Reggia". Ciro in età adulta divenne imprenditore di successo e la brillante posizione economica raggiunta gli consentì l'accesso ai più prestigiosi salotti dell'Aristocrazia e ben presto alla stessa Corte. Continuò ad essere convinto sostenitore della politica Ducale fino al 1821, quando, per questioni di affari , ebbe l'occasione di entrare in contatto con Antonio Lugli , vecchio Giacobino del 96, fanatico rivoluzionario e convinto Repubblicano. Fra i due si instaurò da subito una cordiale amicizia, fatta soprattutto di accese discussioni politiche. I frequenti scambi di opinioni con Antonio Lugli finirono però poi per influenzare il giovane Ciro, che infine si ritrovò liberale convinto e clandestino membro della Carboneria. Ciro Menotti  venne arrestato già in quel  1821 per avere divulgato, fra i soldati Ungheresi di passaggio a Modena diretti a reprimere una rivolta settaria scoppiata nel Regno delle Due Sicilie, il proclama Latino in cui li si invitava ad astenersi dal portare aiuto agli "oppressori". Negli anni successivi ebbe modo di stringere amicizia con l'avvocato Enrico Misley, fantasioso regista della congiura Estense, e cominciò a dedicarsi con sempre maggiore fervore a quelle attività illegali, clandestine e rivoluzionarie che Francesco IV aveva pubblicamente e ripetutamente condannato e per la pratica delle quali aveva con chiarezza indicato , quale unica adeguata pena, la condanna capitale.

La rivolta che costò, in base alle giuste leggi contro la sovversione ,  la vita a Ciro Menotti, era stata organizzata a Modena per il giorno 5 Febbraio 1831. Si pensava di irrompere a Palazzo , approfittando dell'esiguo numero di guardie che normalmente controllavano gli ingressi, costringere il Duca a concessioni, senza risparmiargli la vita qualora si fosse rifiutato , prendere in ostaggio la sua famiglia , quindi allargare l'insurrezione agli altri Stati. Ciro Menotti con una lettera informava Enrico Misley il 28 Gennaio:"...il movimento è immancabile e disposto tutto bene che non temo ormai più dell'esito, nè qui, nè in Romagna, nè in Toscana. Parma ci seguirà il giorno dopo. Io non dormo , non mangio. Sono in continuo moto. Insomma, Lunedì sarà prontò...". Il 3 Febbraio il Duca , venuto a conoscenza del piano grazie al suo fedele segretario Gaetano Gamorra che aveva intercettato una lettera scritta con l'inchiostro simpatico dallo stesso Menotti, fece arrestare il rivoluzionario Nicola Fabrizi, gesto che spinse i cospiratori a decidere di anticipare l'insurrezione a quella stessa notte. Nella sera del 3 Febbraio una cinquantina di rivoltosi si trovarono clandestinamente riuniti nella casa di Ciro Menotti, in Corso Canalgrande. Francesco IV  decise di intervenire guidando personalmente le truppe Estensi nella spedizione che avrebbe sgominato la rivolta.


Maria Beatrice di Savoia
Maria Beatrice di Savoia.


Raggiunse Maria Beatrice nei suoi appartamenti per quello che avrebbe potuto essere un estremo saluto. Poiché il subbuglio era stato avvertito in tutto il Palazzo , Francesco IV trovò negli appartamenti della Duchessa tutti coloro che erano andati a cercarvi rassicurazioni: i figli , le dame di corte, le domestiche. Con volto sereno per quanto concesso dalle circostanze e tono mesto ma speranzoso, ella cercava di portare conforto. Porgendo al consorte una reliquia del Sacro Legno  della Croce gli disse "questa ti salverà". Nel frattempo , in casa Menotti si sentiva bussare alla porta: era il Duca in persona, accompagnato da Cesare Galvani , dal Principe di Canosa, dagli ufficiali Sterpin, Coronini, Stanzani e Guicciardi, e da alcuni soldati. Fu proprio il Duca a gridare dalla strada , dopo avere ordinato ai suoi uomini di cessare il fuoco:" Sono Francesco quarto Sovrano, arrendetevi e potrete sperare. Ma se resistete sarete uccisi dai miei soldati". Seguì una pausa di silenzio che sembrava preludere alla resa, ma poi la porta di casa Menotti si aprì e l'unica risposta che i visitatori poco graditi ricevettero fu una nutrita fucileria , che costò la vita a due soldati, un Dragone e un Pioniere. Francesco IV  ordinò di circondare la casa e di far avanzare un cannone che , con soli due colpi , decise le sorti del tafferugglio. Ciro Menotti cercò di fuggire dal tetto calandosi con una fune , ma venne lievemente  ferito ad una spalla e catturato dal Maresciallo Pioppi. In seguito ai disordini creati e per sicurezza , Francesco IV e la sua famiglia dovettero lasciare il Ducato portando con sé il sovversivo Menotti in catene.
 

Scortato dalle truppe alleate Imperiali , Il 2 Marzo dal castello del Catajo Francesco IV pubblicava un proclama per annunciare che sarebbe rientrato nei suoi Stati "coll'aiuto di Dio in mezzo alle fedeli sue truppe, sostenute da quelle che S.M. l'Imperatore, augusto capo della sua famiglia, aveva mandato in suo soccorso". Dichiarava nulli gli atti del governo usurpatore e faceva appello all'attaccamento e alla fedeltà dei suoi amati sudditi.
Il 9 Marzo 1831 faceva il suo ingresso nella capitale Estense, accolto da universale entusiasmo. Lo accompagnava ancora il Principe di Canosa che, per la fedeltà dimostrata durante i moti e per il notevole contributo dato nello sventarli, fu nominato Consigliere privato del Duca.
Il 23 Aprile il Tenete Stanzani ricondusse a Modena Ciro Menotti che venne chiuso nelle carceri dell'Ergastolo. Quella sera stessa egli tentò il suicidio con una dose di veleno che teneva nascosta nella fodera del berretto , ma fu scoperto dal custode Bosselli e riuscì ad assumere solo una piccola quantità, quindi fu colto da accessi maniaci seguiti da assopimento, fu sottoposto a una visita medica , ma sopravvisse e dovette affrontare il processo. Il 9 Maggio 1831, il Tribunale Statario militare condannava Ciro Menotti alla morte sulla forca, con l'accusa di macchinazioni in unione con i rifugiati del comitato Italiano in Francia. Dal Catajo , il giorno 21 dello stesso mese , il Duca apponeva la sua firma di approvazione della sentenza, che venne eseguita la mattina del 26, mediante impiccagione nella fortezza della Cittadella. Insieme a Ciro Menotti moriva Vincenzo Borelli , il notaio che il 9 Febbraio 1831, dopo la partenza del Duca , ne aveva vergato l'atto di decadenza , nominando un  dittatore , nella persona di Biagio Nardi.

Francesco IV di Modena.

Francesco IV scrisse al presidente del Tribunale Statario Pier Ercole Zerbini una lettera contenente le istruzioni per la confisca dei beni dei condannati, prevista dalla legge, ma condotta dal sovrano con indubbia clemenza: "Considerando che l'uno(Borelli, nda) lasciò una vedova e l'altro(Menotti, nda) una vedova con figlie volendo noi provvedere al mantenimento sufficiente delle vedove ed all'educazione dei figli vogliamo che dalle sostanze confiscate venga prelevato quanto occorra a questo duplice oggetto e , ben lungi dal volere appropriarci di cosa alcuna della  confisca di questi due disgraziati a pro del nostro Erari, vogliamo che, pagate passività , l'avanzo sia impegnato in primo luogo al mantenimento delle vedove e al mantenimento e buona educazione dei figli , destinando tutto il rimanente ai poveri".
 

Dopo i disordini del 1831 , il Ducato di Modena visse un lungo periodo di pace e tranquillità , tanto che, quando Francesco IV vide avvicinarsi il termine del suo cammino terreno , accolse la morte con la pace nel cuore , convinto di lasciare in ereditare al figlio maggiore Francesco un Trono solido e sicuro, un popolo devoto e fedele , un avvenire prospero. In effetti il popolo era sinceramente devoto e fedele al Duca e al governo legittimo. Nei giorni della malattia di Francesco IV nelle anticamere degli appartamenti reali affluivano continuamente persone d’ogni ceto sociale per chiedere sue notizie. Anche nel 1840, quando morì la Duchessa Maria Beatrice di Savoia, grande fu il cordoglio popolare.
Francesco IV spirava il 21 gennaio 1846 , lasciando il Trono Estense al figlio primogenito Francesco Geminiano , divenuto Francesco V di Modena , il quale aveva sposato nel 1842 Adelgonda di Baviera. Mentre in governo di Francesco IV iniziò nel disordine per terminare nell’ordine , il figlio avrebbe avuto sorte ben diversa.

 

Francesco V di Modena: i primi anni di governo e i disordini del 48’ (1846-1849).

 
Francesco V di Modena.

Francesco V di Modena , nato nella capitale Estense il 1° giugno 1819, arrivò a cingere la Corona Ducale all’età di ventisette anni. Egli però non era sorretto , nell’arduo compito di combattere il cancro rivoluzionario, da quella forza di carattere che invece aveva sostenuto suo padre. Egli era mite e di buon cuore , forse troppo per poter governare con successo. Di carattere semplice , onesto e sobrio, egli agiva sempre con giustizia . Egli era come il padre difensore dei principi del legittimismo, di radicata Fede Cattolica, e incondizionatamente fedele all’Imperatore: egli era un membro di una dinastia la quale fu legata all’Impero per secoli oltre ad essere strettamente imparentato con la Casa d’Austria. Francesco V non mancò mai di assolvere ai suoi doveri rimanendo fedele all’Impero d’Austria anche nei periodi più difficili. Gli avversari politici  liberali, i modernisti e i settari in generale lo accusarono di non essere “uomo dei nostri tempi”. Tale considerazione nata come una presunta offesa in realtà non lo fu alla luce della Verità . Molti furono coloro che evidenziarono il senso positivo del non essere “dei nostri tempi”, sottolineando appunto come in tempi di corruzione , di tradimenti , di perdita della fede religiosa, Francesco V di Modena seppe mantenere intatta la coerenza , ebbe il coraggio di non rinunciare mai alle proprie idee, seppe difendere la religione Cattolica e la Monarchia legittima contro ogni convenienza. Mentre l’Europa sprofondava nella così detta “modernità”, Francesco V restava un uomo d’altri tempi, protettore di valori avversi alla setta e politicamente scomodi, difensore dell’ordine legittimo.


Adelgonda di Baviera
Adelgonda di Baviera.
I primi momenti di governo di Francesco V furono caratterizzati da una calma apparente , da una pace che, purtroppo,  sarebbe bruscamente terminata poco tempo dopo. L'anno seguente la sua ascesa al Trono di Modena , alla morte di sua cugina la Duchessa di Parma  Maria Luigia d'Asburgo-Lorena, il 18 dicembre 1847, Francesco V annetté ai domini Estensi , secondo le disposizioni del Trattato di Firenze del 1844,  la Guastalla , acquisendo quindi il titolo di Duca di Guastalla. La situazione economica del Ducato era florida , i commerci con gli altri Stati della Penisola e con l’Impero d’Austria garantivano prosperità e il popolo si dimostrava devoto al giovane Duca e alla Duchessa consorte. Ma nel frattempo, uno dei complotti più vasti della storia stava avendo luogo; il Convegno Massonico di Strasburgo del 1847 avrebbe infatti deciso il divampare dell’incendio rivoluzionario in tutta Europa l’anno successivo.

L’ondata Rivoluzionaria , come da copione , investì l’Europa e la penisola italiana fin dai primi mesi del 1848. In Italia i rivoluzionari portarono con le loro barricate e la loro sovversione l’idea di “indipendenza” e di “unità nazionale”. Su questi temi Francesco V aveva espresso le proprie opinioni in uno scritto giovanile , nel quale auspicava per l’Italia la creazione di una Confederazione di Stati (in linea con quasi tutti gli altri Sovrani d’Italia; tranne il Re di Sardegna). Egli scrisse: “Credo fermamente  e lo crederò fino alla morte che l’idea principale , il fatto cioè di un’unione politica degli Stati d’Italia sotto il protettorato dell’Austria è un’idea giusta , salutare, che ha l’Italia per salvarsi dal naufragio”. Francesco V avvertiva la necessità di fare dell’Italia una Confederazione , capendo anche che sarebbe stato innaturale ed errato un sistema unitario che mettesse sotto lo stesso governo e la stessa legislazione paesi e popoli che da secoli godevano di proprie leggi, costumi e tradizioni. Questa era una semplice valutazione dettata dal buonsenso e da un sincero amore per l’Italia.

Quadro di Pio IX appena eletto al
soglio Pontificio.
A Modena il primo segno di rivolta si ebbe domenica 19 marzo 1848. Alcuni giovani liberali facinorosi si erano riuniti per manifestare sulle mura della città. Portavano , in onore del nuovo Papa Pio IX , vittima dell’equivoco per cui tutti gridavano al “Papa liberale” , una coccarda con i colori del Vaticano , bianca e gialla, simile ad un fiore. La sommossa per questo fu battezzata “Rivoluzione delle Giunchiglie” . Il Duca in seguito decise di posizionare per sicurezza dei cannoni davanti al Palazzo Ducale, diffondendo successivamente un proclama nel quale invitava i suoi sudditi ad evitare disordini , almeno il tempo necessario affinché  egli potesse decidere attentamente il da farsi in una situazione difficile e prendere le necessarie misure di sicurezza.  Il proclama venne ignorato dagli sgherri della Rivoluzione che il mattino dopo si ammembrarono sfilando provocatoriamente con le coccarde bianche e gialle , reclamando una Costituzione liberale. Una delegazione guidata da Giuseppe Malmusi  si recò a Palazzo Ducale per avanzare richieste a Francesco V. Il comandante delle Milizie Estensi , Colonnello Brocchi, e il Conte Giuseppe Forni  suggerirono al Duca di concedere l’istituzione della Guardia Civica , onde placare i rivoltosi. Il Duca , fiducioso, non solo accettò di istituire la Guardia Civica , ma la rifornì anche di fucili.
Incisione del re Francesco I
Francesco V di Modena.

L’istituzione della Guardia Civica fu solennemente proclamata in Piazza Grande a Modena davanti ad una folla di manifestanti liberali che poi si riunì sotto il Palazzo Ducale per inneggiare al Duca per ringraziarlo. Francesco V , preoccupato per quella concessione di cui non era affatto convinto e per le future conseguenze delle sommosse dei sovversivi , ben lungi dall’essere lusingato da quelle acclamazioni, commentava mestamente: “Si grida evviva perché ho concesso ; se non concedevasi si griderebbe morte”. Egli temeva che tale concessione non sarebbe bastata a tenere a bada i rivoluzionari , e il tempo gli avrebbe dato ragione. La Guardia Civica placò solo temporaneamente l’ingordigia dei rivoluzionari: in città le manifestazioni dei sovversivi continuarono , le truppe Estensi faticavano a mantenere l’ordine , l’autorità ducale appariva non più rispettata ne temuta dai facinorosi. Quando un telegramma del Cardinale di Bologna annunciò che una spedizione stava per raggiungere Modena per sostenere i rivoltosi delle giunchiglie e rovesciare con le armi il legittimo governo Austro-Estense, Francesco V decise di lasciare la capitale , per non rischiare quegli spargimenti di sangue che il suo mite temperamento fortemente avversava. Prima della sua partenza venne raggiunto a palazzo da Giuseppe Malmusi che avanzava la richiesta di altri trecento fucili . Dopo averli ottenuti , nel suo colloquio con Francesco V , lo invitò a ricordare di essere nato a Modena. Il Duca rispose tristemente commosso : “Ma io non farò del male a nessuno”, e lo dimostrò con i fatti lasciando spontaneamente il Trono. Prima di uscire dal Palazzo si soffermò a lungo nella cappella a pregare e piangere. La Reggenza presieduta da Rinaldo Scozia nominata dal Duca fu immediatamente costretta dalla Guardia Civica comandata dai rivoluzionari a dimettersi , per lasciare il posto ad un Governo rivoluzionario presieduto dal doppiogiochista Malmusi. Alla fine di giugno arrivò a Modena dal Piemonte il senatore Lodovico Sauli come “Commissario Regio”: il Regno di Sardegna , impegnato nella sua guerra d’espansione, era in combutta con i capi sovversivi di Modena come di Parma. Il 29 maggio il governo sovversivo aveva già proclamato l’unione agli Stati sabaudi delle Provincie cisappenniniche del Ducato. Massa e la parte transappenninica dello Stato Estense vennero invece incorporate al Granducato di Toscana (all’epoca alleato del Piemonte) al quale sarebbero rimaste fino all’aprile del 1849.

Appena Francesco V ebbe lasciato Modena, la mattina del 21 marzo , il Generale Agostino Saccozzi , da due anni comandante dell’Esercito Estense, venne arrestato. Altri come lui , tra militari rimasti e molti duchisti, subirono persecuzioni dal governo sovversivo e diversi furono costretti a prendere la via dell’esilio.

File:Scontro di Volta Mantovana.jpg
Episodio della Battaglia di Custoza (1848).
Dopo alcuni successi delle truppe sardo-piemontesi , dovute più che altro all’iniziale inganno che il governo sabaudo ebbe  su altri sovrani della penisola e sullo strascico delle rivolte settarie, la vittoria dell’Esercito Imperiale nella battaglia di Custoza permise il ritorno a Modena di Francesco V , al quale comunque la città era rimasta fedele anche nella crisi. L’armata Imperiale guidata dal Generale Liechtenstein riaprì le porte al legittimo sovrano. L’arrivo in città delle colonne dell’esercito Imperiale fu accolta dai contadini , riuniti in piazza per il mercato settimanale , da acclamazioni e grida di “morte alla Guardia Civica”, la quale per tutta risposta prese il popolo a colpi di calci di fucile e di baionette disperdendo la folla. Il Duca Francesco V rientrò il 10 agosto . Sul finire di quel nefasto anno l’esercito Estense riconquistò le terre dell’Oltrappennino . Francesco V affiancò l’esercito Imperiale alla liberazione di Livorno il 10 maggio 1849.

Al suo rientro a Modena Francesco V concesse un amnistia a rivoltosi e traditori , invitando solo alcuni promotori ad allontanarsi dalle terre del Ducato. La stessa clemenza Francesco V la ebbe quando, in quello stesso novembre 1849, subì un attentato.
Questa eccessiva clemenza non fece altro che minare il Ducato e l’ordine legittimo…

 

Le trame nell’ombra e il ritorno della  Rivoluzione (1850-1859).


Francesco V di Modena.
Per un breve periodo di tempo sembrò tornare la pace e la tranquillità dopo l’incendio rivoluzionario che scosse il Ducato di Modena nel 1848. Ma la setta continuava a tramare e a progettare il trionfo della Rivoluzione. I tentativi mazziniani del 1854 provocarono tensioni nelle province dell’Oltrappennino Estense. La situazione era preoccupante per il governo legittimo soprattutto a Carrara, mentre Massa  “era da sempre una delle città più Reazionarie del Ducato”. A Carrara però erano numerosi gli affiliati alle sette che , al momento dell’affiliazione giuravano di battersi  “contro la monarchia e la religione, per l’esterminio dei principi , dei preti, dei frati e di tutti quelli che sono pagati dal governo”  e i disordini si palesavano con numerosi episodi di violenza , ferimenti e omicidi. Il 30 ottobre Giulio Gattini di Bedizzano ricevette tredici coltellate  e il 2 novembre fu tentato l’assassinio del parroco di sorgano . Il 13 dicembre 1854 Francesco V ordinò lo stato d’assedio di Carrara. Nella notte fra il 15 ed il 16 dicembre 1854 forti picchetti di Milizia si appostarono sui confini di Carrara , una compagnia di Cacciatori si schierò nella piazza della città dove, alla mattina alle nove , il Tenente Casoni proclamò lo stato d’assedio. Nel 1856 cominciò a farsi audace la propaganda rivoluzionaria , mentre si facevano insistenti le voci su una possibile sollevazione. La follia sovversiva del  Mazzini lo spinse a progettare un moto insurrezionale in Lunigiana e a tale scopo aveva già lasciato Londra e il 28 giugno era giunto in gran segreto a Genova. La rivolta nei suoi piani sarebbe dovuta partire da Carrara , nella notte tra il 25 ed il 26 luglio . Bande sovversive provenienti dal sarzanese dovevano correre in aiuto ai ribelli , mentre i pochi adepti a Massa dovevano controllare che dalla città non partissero aiuti alle forze legittimiste. L’insurrezione fallì sul nascere , ma i gruppi filopiemontesi agli ordini del Cavour continuarono a diffondere allarme di presunte sollevazioni tra la popolazione d’Oltrappennino .

Giunsero anche da Torino gli avvisi di una rivolta programmata per il 24 agosto , tanto che fu dato ordine di sospendere i preparativi per  la tradizionale fiera di San Bartolomeo. Tale avvisaglie si dimostrarono in concreto false in quanto non accadde nulla di concreto, ma il Comandante della piazza Capitano Pullé e il Sottotenente dei Dragoni Chiossi ricevettero lettere che li invitavano a seguire “la causa della revoluzione , desiderata da venticinque milioni di italiani governati da cinque dei più infami tiranni, cioè il monarca di Modena , la puttana di Parma , il bombardatore di Napoli, la tigre toscana e il demonio di Roma”.

Ai soldati venivano rivolti incitamenti a deporre la “sozza livrea”, mentre il Comando Superiore dell’Oltrappennino prendeva nuove misure precauzionali .  Nel dicembre del 1856 Francesco V revocò lo stato d’assedio , ma pochi giorni dopo un milite venne assassinato. Nel 1857 nuovi fatti di sangue funestarono il Carrarese . La sera del 9 Don Francesco Andrei , parroco di Miseglia e cappellano della Milizia , venne ucciso da un colpo di fucile durante le funzioni del giovedì santo. Francesco V fu costretto a rimettere lo stato d’assedio.  Tutti questi accadimenti opera di circoli settari aveva come collegamento le  direttive dell’infido governo di Torino.

Francesco V  l'11 Giugno 1858 scriveva al suo ministro Teodoro Bayard De Volo, "io vedo un temporalone formarsi lentamente. La Francia è di giorno in giorno più insolente e provocatoria, l'Inghilterra la vedo una ben infida alleata per chiunque, ma temo più la Francia che altri...". L'esercito del Ducato di Modena alla metà di Gennaio del 1859, cioè alla vigilia  della guerra franco-piemontese , contava nelle terre dell'Oltrappennino quattro compagnie: la 4° Dragoni, la 3° d'Artiglieria, e la 11° e 12° Cacciatori, per un totale di 584 uomini. Di essi circa duecento presidiavano Massa, altrettanti Carrara, settanta i forti e le batterie del litorale, mentre i restanti prestavano servizio di gendarmeria nelle varie località. Il comando era tenuto dal Maggiore Messori.
Tenente Colonnello Casoni .
Sapendo di non avere a disposizione forze bastanti ad organizzare una difesa efficace in tutto il territorio Estense, il Duca aveva mandato al di là dell'Appennino uomini in numero appena sufficiente a garantire l'ordine pubblico. Le truppe estensi non erano molto numerose e, in tempi particolarmente difficili come quelli che si stavano verificando , forse avrebbero fatto comodo più uomini. Francesco V si era dimostrato sempre attento a contenere gli oneri militari che andavano a gravare sulla popolazione, e le ottime relazioni che vi erano tra il Ducato di Parma,  Granducato di Toscana , e Stato Pontificio escludevano la necessita di dover difendere i confini con tali paesi. Il Ducato di Modena non aveva nulla da temere nemmeno dall'Austria, per cui doveva guardare con preoccupazione solo al confine con il Regno di Sardegna che si dipanava per un non lungo tratto tra Aulla, Fosdinovo e Carrara. Modena era legata a Vienna da un trattato militare perciò, in caso d'aggressione , l'esercito del Duca doveva solamente essere in grado di resistere fino all'arrivo degli aiuti austriaci. Visto l'aggravarsi della situazione politica il 17 Gennaio il  Duca decise di rafforzare la guarnigione dell'Oltrappennino , e mandò in Lunigiana la 1° divisione Cacciatori guidata dal Tenente Colonnello Casoni , al quale fu prescritto di occupare Fivizzano e Fosdinovo.

 

Le truppe del Duca erano continuamente prese di mira dai rivoltosi, i quali cercavano tra l'altro di provocare la diserzione dei soldati.

"Lettere anonime, e allora e dipoi, dal Sardo, quando lusinghiere, quando minacciose, pervenivano a diversi militari per eccitarli alla defezione ed al tradimento", si legge nel giornale della Reale Ducale Brigata Estense.

I disordini più preoccupanti per i soldati estensi in quel burrascoso inizio dell'anno 1859, accaddero a Sarzana, dove correva voce che dovesse arrivare Garibaldi con seimila uomini e quattrocento cavalli. Francesco V non credeva che stesse veramente per scoppiare una guerra in Italia e definiva "ciarlatanesche millanterie" le voci che ritenevano imminente un attacco sardo. Anche Casoni , che pure guardava con maggiore preoccupazione alla situazione in Lunigiana,  giudicava in verità Garibaldi un po' come  "il Messia degli Ebrei, sempre aspettato e non ancora arrivato".

Non mancarono comunque le misure precauzionali, come appunto l'aumento delle truppe di guarnigione o le direttive emanate per i casi di sommossa, anche i soldati a disposizione non erano sufficienti.

L'11 Febbraio a vari Ufficiali e sotto Ufficiali vennero fatti pervenire stampati sediziosi, che essi prontamente consegnarono ai loro superiori, mentre nella notte tra il 13 e il 14 Febbraio i sacerdoti Don Giacomo e Don  Giovanni Chiari ricevettero scritti e libelli con minacce di morte e dovettero fuggire da Carrara.

Il 16 Febbraio invece un centinaio di rivoltosi armati innalzarono una bandiera tricolore sul monte di Fontia, a pochi passi dal confine estense, in modo che la si potesse scorgere bene da Carrara. Uno di loro varcò poi il confine e si recò dalle truppe estensi chiedendo in tono provocatorio se avrebbero avuto il coraggio di togliere quella bandiera. L'uomo fu immediatamente arrestato e condotto a Carrara, mentre i suoi complici sparavano alcuni colpi sull'esercito estense. Saputo quanto stava accadendo, il Comandante da Carrara mandò quarantacinque uomini, che per quella volta bastarono a mettere in fuga i rivoltosi, il 16 Febbraio 1859 a Sarzana , "ove ormai" scriveva il Casoni, "nessuno che non sia conosciuto dagli emigrati del loro colore, può più andarvi senza pericolo di uscirvi la pelle..." . Vari sudditi estensi a Sarzana rimasero vittima di pestaggi.

Francesco V auspicava un rapido intervento dell'Austria e scriveva al Conte Bayard De Volo il 16 Aprile 1859: " Io già credo e spero che il Piemonte se non altro non accetterà il disarmo e che quindi l'Austria si dichiarerà dégagé dalla difensiva e, dopo un'intimazione al Piemonte , se questo è infruttuosa, farà la guerra , cioè grazie a Dio prenderà l'iniziativa e non starà più a disposizione del Conte Cavour. E veramente ciò è una necessità per noi. Debbo dirle francamente che le mie truppe nell'Oltrappennino non resistono ad ogni maniera di seduzione che s'impiega per corromperle... Ella vede che la cancrena fa progressi, io non voglio incancrenire altri battaglioni che finora sembrano sani , poiché da Modena a Reggio non v'è diserzione... Dunque alla lunga è inevitabile uno scandalo se non si viene a battersi, ed io non potrei più compromettermi, massime nell'Oltrappennino colle mie sole truppe..." .

Intanto anche nel Granducato di Toscana la situazione stava degenerando, agenti piemontesi da tempo erano penetrati clandestinamente nello stato lorenese preparando una serie di finte insurrezioni messe in scena con la complicità dei liberali rivoluzionari Toscani diretti dall’agente segreto del Conte Cavour Filippo Curletti; anche diversi Carabinieri appositamente congedati si arruolarono nell'anonimato nelle fila del piccolo esercito Granducale per crearvi disordini .

 

Fra Piemonte e Toscana ,  Massa e Carrara rischiavano di diventare una vera e propria trappola per le truppe estensi che le presidiavano. Fu dato quindi ordine di partire: le truppe stanziate a Massa e Carrara abbandonarono quella località nel pomeriggio del 28 Aprile, dopo avere inchiodato le artiglierie del castello e dei forti del litorale e avere distrutto le munizioni, e il 29 giunsero a Fivizzano, dove si ricongiunsero con gli uomini di Casoni. Lo stesso 28 Aprile arrivarono i Commissari Piemontesi: Giusti a Massa e Brizzolari a Carrara, e assunsero illegittimamente il  governo. Ad appoggiarli era giunto anche un distaccamento di carabinieri Piemontesi. Venne subito istituita la Guardia Civica e in entrambe le città estensi sventolò il tricolore rivoluzionario.

La notizia fu accolta con grande allarme a Modena. Francesco V non sapeva che già un anno prima, nel luglio del 1858 , al Convegno di Plombières, Cavour e Napoleone III  avevano scelto proprio i territori dell'Oltrappennino del Ducato Estense per provocare deliberatamente quegli incidenti che avrebbero dovuto giustificare agli occhi dell'opinione pubblica l'intervento del Piemonte e della Francia in territorio straniero.

Alle dieci e trenta del 30 Aprile 1859, partiva da Modena la sovrana Adelgonda. Si recava a Mantova, e non avrebbe mai più fatto rientro nei suoi stati. " Questa partenza consigliata dalle gravi circostanze politiche del giorno , riuscì dolorosa a quanti conservavano un resto di sentimenti leali , e che avevano cuore e coscienza": la popolazione "rispettosa e dolente" riempiva il cortile del Palazzo Ducale e la piazza per l'estremo saluto." né è certo esagerato il dire che in quel giorno ed a quella partenza la città intera fu in duolo". Francesco V accompagnò l'amatissima consorte per un breve tratto di strada, poi rientrò in città.



Generale Saccozzi.
Il primo Maggio giunse la notizia che anche la Duchessa Reggente  di Parma, Luisa Maria Teresa di Borbone , aveva dovuto lasciare i suoi Stati, per motivi di sicurezza personali, sempre a causa di  insurrezioni architettate da agenti filo-piemontesi infiltrati nelle province Parmensi. Alla Reggenza da lei nominata era stato impedito di esercitare il potere, e il governo era stato presto assunto da un Comitato Nazionale di Parma a nome del Re di Sardegna. Le truppe rimaste fedeli alla Duchessa ristabilirono il legittimo governo Ducale due giorni dopo, ma intanto la notizia produsse grande agitazione nei domini estensi, soprattutto a Reggio , dove si erano riuniti rivoluzionari e liberali a manifestare davanti all'albergo della posta. Il Duca ordinò che venisse inviata a Reggio la 2° divisione del 1° battaglione di linea , forte di trecentoquaranta uomini. Appena entrate in Reggio le truppe sfilarono per la città inneggiando a Francesco V , poi si radunarono  " di moto spontaneo" in Piazza del Duomo dove, dopo aver lanciato "evviva" al Duca di Modena e all'Imperatore d'Austria, passarono "a grida insultanti, e le espressioni più frequenti erano merda e morte, verso il Piemonte, i soldati Piemontesi, il suo Re, all'Italia, alla sua Nazionalità, alla Francia..." . Recita il rapporto compilato sull'accaduto dal Generale Saccozzi: "Gli Ufficiali tentarono di calmare questo bollore, ma non vi riuscirono; la gente fu spaventata e si chiusero le botteghe . Il Maggiore Melotti trovò necessario di far battere la ritirata un quarto d'ora prima  del necessario , onde avesse fine questo baccano , che ebbe a continuare anche lungo le strade e fino a che entrarono in Quartiere".

Avendo il Duca mandato rinforzi a Reggio, Modena si ritrovò sguarnita . Francesco V risolse a chiedere aiuto all'Austria, e il 2 Maggio giunse nella capitale estense un battaglione dell'Imperiale Reale Reggimento Fanti Conte Giulay, accolto dal Duca in persona e dal generale Saccozi: "Colla venuta di un battaglione Austriaco potei mettere un cerotto al mio Stato" scriveva Francesco V.

Il 3 Maggio cominciò a spargersi la voce inquietante che le truppe Piemontesi dalla Toscana volessero entrare in Modena attraverso l'Abetone. Il 7 Maggio il Tenente Colonnello Casoni ricevette una lettera del Generale Sardo Ribotti che lo invitava ad unirsi alle sue truppe , minacciando di costringerlo con la forza a deporre le armi se avesse rifiutato. Ad arte si faceva circolare la voce che le truppe Sarde a Massa e Carrara contassero oltre duemila uomini. I lavori di fortificazione , diretti personalmente dall'Arciduca Ferdinando Massimiliano D'Asburgo-Lorena, si moltiplicarono a Brescello . Erano stati demoliti gli argini e spianato il terreno nei dintorni della piazzaforte , erano state alzate le palizzate e costruite nuove postazioni per l'artiglieria sull'argine del Po.

Francesco V  era comunque ancora fiducioso e cercava anzi di rassicurare il suo Ministro residente a Vienna. Scriveva infatti l'8 Maggio al Conte Bayard De Volo: "Essa si affligge per Massa, ma interroghi qualunque militare e gli chieda se con due compagnie , fra paesi rivoluzionati, vi si può stare, e poi mi dica la loro risposta. Se lasciavo che fossero ivi oppresse e tagliate fuori sacrificavo anche quelle truppe, e Casoni con due sole compagnie non poteva stare a Fivizzano dove è tuttavia ed in buona posizione militare...Rinforzarlo era impossibile avendo da presidiare Modena, Reggio, Brescello. Qui ho ora quattro compagnie mie, sei austriache , e ciò basta, per ora. Sfido a far di più , di difendere più terreno, di agire con più vigore di quello che faccio. Le mie truppe non sono demoralizzate da che v'è la  guerra; lo sarebbero state se v'era il Congressi. Ora sono animatissime e fraternizzano cogli Austriaci. Fuor di Massa Carrara ovunque profonda quiete, perfino in Garfagnana, che confina con la Toscana e nella quale vi sono circa venti Dragoni in tutto". L'ottimismo di Francesco V era destinato ad essere presto deluso. il 10 Maggio il Generale Ulloa, inviato dal governo Piemontese ad assumere il comando dell'esercito in Toscana, aveva diretto  le sue forze tra Perretta e l'Abetone. il 17 Maggio aveva ricevuto l'ordine di partire per Livorno il Principe Gerolamo Napoleone , comandante del V corpo d'armata Francese, con il compito di affrettare lo sgombero dei Ducati. A disposizione del Principe stavano la divisione Uhrich e la brigata di cavalleria  Dalmas e La Pèrouse, per un totale di oltre diecimila uomini , che cominciarono a sbarcare a Livorno il 23 Maggio.

Alla notizia che i Francesi avevano cominciato ad invadere la Toscana , Francesco V , per non lasciare le sue fedeli truppe esposte al nemico, ordinò che lasciassero immediatamente l'Oltrappennino. Il Tenente Colonnello Casoni si ritirò sopra a Bagnolo né  Monti, lasciando come avanguardia una compagnia al Cerreto. Prima di abbandonare i due piccoli forti in Val di Magra, il sottotenente d'artiglieria Corradini fece  inchiodare i pezzi e distruggere le munizioni. Prima di partire da Fivizzano, il Tenente Colonnello Casoni incaricò il Potestà Barbieri di rappresentare il Governo estense e di preoccuparsi soprattutto di curare il mantenimento dell'ordine. Subito dopo il ritiro delle truppe tuttavia le Guardie Nazionali piemontesi si opposero alle autorità nominate dal Duca e imposero in Lunigiana il governo rivoluzionario. Il 22  Maggio le truppe della Garfagnana dovettero ritirarsi sopra Pievepelago e furono mantenuti solo due posti di Dragoni, alla foce delle Radici e a San Pellegrino.

Buona parte degli abitanti dell'Oltappennino non gradì il nuovo stato delle cose. Raccontava Francesco Selmi il 24 Maggio:"Ho trovato il paese morto e zeppo di Duchisti, in specie nella campagna.So che ivano ripetendo fra di loro: Vedremo come andrà a finire! E speravano nel ritorno di Casoni. La sveltezza del Delegato alla Questura  e la fermezza di Giusti sventarono due moti reazionari, manipolati da famiglie Duchiste, d'inteligenza coi contadini.Ora, colla ritirata di Casoni, colle altre notizie, non ardiscono più; nondimeno la scorsa Domenica, e non più tardi, alcuni ubriachi del contado gridarono: Viva Francesco V° e strapparono alcuni proclami del Commisario". Scriveva ancora il Selmi a Giuseppe La  Farina "...la città di Massa conta buon numero di Duchisti; moltissimi nel contado circostante. In alcune ville, specialmente all'intorno di Massa , in Fosdinovo , in Tendola ed in altri paesucoli, può dirsi che si sopporta per timore la dominazione piemontese, e che ivi le disposizioni sarebbero a pigliare anche le armi contro di noi..." .

Il 26 arrivarono i dispacci telegrafici che portavano la notizia che, all'alba di quel giorno, era passato da Brescello il Duca Roberto I di Parma, diretto in Svizzera, accompagnato dal Marchese Malaspina. La Duchessa reggente  Luisa Maria Teresa di Borbone  era ancora a Parma, ma i piemontesi avevano già occupato Pontremoli.

Il 31 Maggio il Ministro estense Conte Forni , scriveva al Ministro residente a Vienna , Conte De Volo: "Quanto a noi ecco cosa sappiamo. In Toscana si concentra il corpo del Principe Napoleone, che unanimemente si dice  diretto per la via dell'Abetone a Modena, per agire poi sopra Piacenza prendendo così di fianco gli Austriaci. A Firenze deve esso Principe Napoleone essere arrivato soltanto ieri, mentre fino dal 23 giunse a Livorno. Il 29 poi alcuni ufficiali Francesi verso il mezzogiorno arrivarono in carrozza all'Abetone, e fra essi vi era un Borghese, che molti pretendono potesse essere lo stesso Principe Napoleone" .

Il 1 Giugno , alla notizia che i Francesi rinforzavano le truppe nemiche sull'Abetone , Francesco V decise di inviare truppe da Modena, passandole in rassegna il giorno successivo con un ordine del giorno che suscitò fra i soldati entusiastiche acclamazioni:




 


Francesco V di Modena.
"Soldati!
"Il nemico minaccia di penetrare nel Nostro Stato dal lato dell’Abetone, ove ha spinto la sua avanguardia.
"Il 1° battaglione del reggimento di linea con una sezione d’artiglieria e un distaccamento di dragoni a cavallo avrà l’onore di affrontarlo pel primo, ov’egli si avanza.
"Soldati! Voi meritate fin d’ora la mia fiducia, ed aspetto che in quest’occasione non smentirete le qualità che fanno il vero soldato, cioè valore unito alla fermezza, ed inconcussa fedeltà al giuramento e alle vostre bandiere. Voi formerete l’estrema avanguardia di un corpo che fra pochi giorni vi sosterrà efficacemente in queste pianure, e che sarebbe, se verrà il caso, testimonio della vostra bravura, della vostra fedeltà e della vostra disciplina. Io voglio che siano i soldati estensi che affrontino pei primi lo straniero invasore del Nostro territorio che è pure Nostra e vostra patria. Esso sarà forse preceduto da masnade rivoluzionarie. Se pur doveste ripiegare in buon ordine dinanzi al primo, permetterò che non si contino i secondi, dei quali vi lascerò fare buona giustizia.
"Modena, 2 giugno 1859.
"Francesco."

 

Guidate dal Colonnello Foghieri le truppe si misero in marcia verso la montagna e giunsero a Pavullo a mezzogiorno del 3 Giugno.




Colonnello Foghieri .
I rinforzi Austriaci , che erano stati richiesti dal Duca per fronteggiare l'invasione piemontese dalla Toscana, giunsero presto, ma in quantità sufficiente solo a ritardare l'occupazione, non a fermarla. Nella mattina del 4 Giugno arrivarono a Modena tre battaglioni Austriaci  comandati dal Generale maggiore Barone di Jblonsky, mentre un altro battaglione si era fermato a Carpi. Compreso il reggimento Conte Giulay, che già si trovava a Modena , si trovavano quindi nello Stato Estense  cinque battaglioni Austriaci.

Il 5 Giugno il battaglione Giulay era sulla strada del Frignano , un altro battaglione Austriaco era diretto a Reggio e il giorno successivo una compagnia avanzava fino a Puianello. Tutto ciò aveva trasmesso alla maggioranza fedele della popolazione "le più lusinghiere speranze" che tuttavia vennero presto disattese dalla tragica notizia della sanguinosa battaglia di Magenta ,  che fece mutare radicalmente la situazione nello Stato estense e non solo.


Le avverse circostanze politiche costrinsero la Duchessa Reggente di Parma Luisa Maria Teresa di Borbone  ad abbandonare di nuovo i suoi Stati. Il 9 Giugno Luisa Maria partì da Parma alla volta di Mantova , lasciando una Commissione di Governo che venne sovvertita dagli agenti filo-piemontesi e nel primo pomeriggio dichiarò in un proclama , senza alcuna legittimità, di assumere il potere in nome di Vittorio Emanuele II .

  

Francesco V venne informato degli avvenimenti di Parma il giorno stesso da un telegramma del Casoni. Il giorno successivo il Duca apprese che, nella notte, le truppe Ducali avevano abbandonato totalmente Parma, per cui il nemico poteva transitare attraverso il Parmense senza essere intercettato: Francesco V comprese così che gli sarebbe stato impossibile rimanere a Modena. Alle cinque del pomeriggio riceveva inoltre dal Quartiere Generale Austriaco l'avviso ufficiale che l'Armata Imperiale si ritirava oltre il Mincio. Le truppe Austriache abbandonavano cioè la città di Modena e lo Stato Estense. Lo sgombero delle Legazioni Pontificie delle Romagne, che erano state oggetto di sovversioni organizzate del tutto simili alle finte insurrezioni prima citate, "era sinonimo della vittoria della rivoluzione in quelle provincie", si legge nel Giornale della Reale Ducale Brigata Estense. Il ritrovarsi privo di supporti militari convinse infatti suo malgrado il Duca a dare ordine di evacuare Modena e Reggio.

"Ogni ulteriore esitazione sarebbe stata inutile e forse fatale", scriveva il Giornale della Reale Ducale Brigata Estense.

Consapevoli di governare un piccolo Stato con un piccolo esercito, da sempre gli Estensi di fronte alla minaccia dell'invasione straniera preferivano ritirarsi dalle loro terre, onde evitare guerre civili o inutili spargimenti di sangue. Il mite Francesco V poi era particolarmente avverso alla guerra e alla violenza, così lasciò spontaneamente il Trono di fronte alla minaccia dell'invasione Piemontese. Qualcuno ritiene  che,  se non lo avesse fatto , con la fedeltà del popolo, sarebbe riuscito a mantenere l’ordine legittimo , o per lo meno cadere in battaglia cercando di difenderlo . E' di questo parere ad esempio Filippo Curletti, l'agente segreto di Cavour che al termine del processo risorgimentale scrisse le sue confessioni, rivelando peraltro vari aspetti oscuri e scandalosi del cosi detto risorgimento. Come rivela il Curletti , Francesco V , lasciando le sue terre , fece suo malgrado il gioco del nemico. Nel mentre che si compivano le rivoluzioni di Firenze e di Parma , Francesco V di Modena , abbandonava i suoi Stati, lasciando così il campo libero ai Zini e ai Carbonieri; meravigliati di un successo così inaspettato. La condotta del Duca in questa occasione è inconcepibile, se non si suppone che egli sia stato ingannato sulla vera situazione delle cose. Come per Firenze e parma, sarebbe bastato un colpo di fucile per mandare a vuoto la cospirazione di Modena.

Nella sera del 10 Giugno, quella che precedeva il momento dell'esilio definitivo, Francesco V si rivolgeva alle sue truppe con un ordine del giorno che le riempì di fervore:

 

File:Francesco V d'austria este Duca Modena old.jpg
Francesco V di Modena.

Ordine del giorno
Soldati!
"La campagna prevista da qualche tempo è incominciata. Il vostro Sovrano è colle fedeli sue truppe per dividere con esse la sorte della medesima, e per difendere i diritti suoi più sacri contro l’indegna violenza d’uno straniero conquistatore, e della rivoluzione di cui si fece capo.


"Soldati! Voi mi avete dato nei mesi scorsi in mezzo a mille tentativi di seduzione prove della più inconcussa fedeltà; alcuni indegni tra voi hanno mancato al loro dovere: voi avete veduto in un paese vicino mancarne altri in maggior numero e divenire spergiuri; ciò non ostante voi siete rimasti fedeli.
"Verrà giorno in cui il mondo vi renderà giustizia esso pure; la vostra coscienza e la parte più onorata della società ve la rendono fin d’ora.
"Soldati! Io confido dunque doppiamente in voi nei presenti giorni, che sono di prova bensì, ma che potranno essere insieme giorni di gloria.
"Cedendo al numero, ci ripiegheremo intanto sul Po, pronti a combattere l’inimico, dove le circostanze l’esigessero, a fianco della fedele e prode I. R. armata austriaca, nostra alleata.
"Accompagnati dai voti di ogni uomo onesto, potremo, a Dio piacendo, in breve riavere il perduto, e voi, dopo sostenute onorate fatiche godere in seno dei vostri della quiete e dell’ordine, al ristabilimento del quale potrete gloriarvi di aver contribuito a costo ancora del vostro sangue.
"Modena, 10 giugno 1859.
"Francesco".
 

 
La Brigata Estense nel 1859: Francesco V di Modena passa in
rassegna le fedeli truppe.

Il giorno successivo , l'11  Giugno 1859 Francesco V all'alba lasciava le terre del Ducato di Modena , quelle terre che gli appartenevano "non tanto per avito legittimo retaggio, quanto assai più perché ne aveva conquistato colla giustizia e coi benefizi l'amore e la gratitudine" . Narrava il funzionario Ducale Raffaele Vaccari: " Il Duca a cavallo vestiva l'uniforme da Generale dè suoi Cacciatori: un  cappello guarnito ad oro, ed un gran pennacchio a piume cadenti, nuda la sciabola, con cera aggrondata , burbera, e sdegnosa, l'occhio scintillante per ira, pallido piuttosto che no, e di atti sprezzanti". Era seguito dalle sue fedelissime truppe, oltre tremila soldati che lasciavano a Modena quato possedevano di più caro e prezioso: i beni e la famiglia.”

La Brigata Estense fu l'unico fra gli eserciti Italiani (fatta eccezione per la breve parentesi dei soldati Parmensi) a seguire il Sovrano in esilio e lo fece esclusivamente per incondizionato amore verso il Principe e per rispetto dei giuramenti prestati, offrendo un esempio straordinario che meravigliò anche i più accesi anti-duchisti. Chi voleva far credere che l'allontanamento dei Sovrani dalle proprie terre avvenisse per volontà popolare, che essi rappresentassero esempio di tirannia da sconfiggere, che i plebisciti organizzati ad arte dai Piemontesi per usurpare i troni agli altri Principi Italiani ritraessero l'effettiva volontà della gente, ebbe nella vicenda delle truppe estensi, la più grande ed esemplare contestazione: "Se ancor si rifletta che a ciò non furono nè violentate nè costrette, ma vi si condussero con generosa e spontaneo entusiasmo; non si può non iscorgere in questa loro abnegazione un plebiscito solenne, assai più splendido e spontaneo di quanti ebbero in seguito a porsi in iscena con menzognero prestigio", scriveva il ministro residente a Vienna Teodoro Bayard De Volo per poi aggiungere: " ... una truppa la quale segue il proprio sovrano non il giorno del trionfo ma in quello della sventura, che rinunzia per lui alle alternative di patria , ed agli affetti di famiglia , che rsiste alle seduzioni dell'usurpatore, che sopporta le ingiustizie dei partiti, che stretta intorno alle sue bandiere tiensi, senza esitare un istante, pronta a qualsiasi evento , non protesta essa forse con  tutta l'energia di una fede antica, contro alla vituperevole cedevolezza dei tempi nuovi?" .

La colonna Estense partita da Modena giunse a Carpi alle dieci del mattino. Riportava Francesco V  nel suo diario: "L'11 Giugno lasciai Modena colle mie truppe. Erano appena le cinque del mattino. Alle quattro e mezzo sortendo dal palazzo per la porta verso il Corso Estense v'era poca gente: facchini o dell'infima plebe. L'attitudine era del tutto passiva e tra il malinconico ed il cupo, l'aspetto era come di gente avente ansietà sulla loro sorte avvenire. In campagna parevano i più non comprendere la gravità del momento ed il passaggio, chi sa per quanto tempo, dal potere legittimo ad un governo rivoluzionario ed estero. Però vi erano eccezioni e vidi dei vecchi contadini al vedermi passare stender le mani al celo e piangere dirottamente, uno fra gli altri in Villa Quartirolo, presso Carpi".

Il 12 Giugno, il giorno di Pentecoste, le truppe estensi assistettero alla messa a Carpi, poi ripresero la marcia e sostarono a Novellara per il pasto. All'una lasciarono Novellara e alle quattro arrivarono a Guastalla, dove rimasero per tutto il giorno successivo.

Una colonna formata da una parte della guarnigione di Reggio l'11 Giugno aveva invece raggiunto Brescello, dove era ad attenderla un  reggimento Austriaco. Francesco V sperava che il Comando Imperiale non avesse intenzione di abbandonare completamente la riva destra del Po e che fosse possibile tentare una resistenza a Brescello. L'armamento della fortezza era stato recentemente rinforzato e Francesco V contava molto sulla possibilità di resistere nella piazzaforte di Brescello , se non altro per dimostrare all'opinione pubblica che non cedeva alle forze nemiche senza combattere. Il giorno 13 le truppe Austriache vennero però ritirate da Brescello e le truppe Estensi vennero avvisate che due giorni dopo sarebbe stato distrutto il ponte di Borgoforte. Francesco V si vide così costretto ad evacuare Brescello .


Soldati dell'Esercito del Ducato di Parma.
Fra Borgoforte e Guastalla la truppa Estense incontrò l'esercito Parmense che si recava a Mantova al seguito della Duchessa Luisa Maria , dove per l'ultima volta sarebbero stati resi gli onori militari alle insegne dei Borbone di Parma.

La Brigata Estense seguì il Duca Francesco V in esilio fuori dalle terre Estensi sino a Mantova.

Avevano inoltre seguito i Duca : il Generale Conte Luigi Forni, Aiutante Generale Maggiordomo Maggiore; la Guardia Nobile d'Onore: il Conte Giacomo Molza, il  Conte Giuseppe Abbati Marescotti , il Conte Ferdinando Galvani , il Marchese Luigi Coccapani Imperiali, il Conte Luigi Alberto Gandini, il Cavallier Carlo Santyan y Velasco , il Conte Scipione Scapinelli , il Nobile Giulio Besini, il Nobile Enrico Borsari. Sulla bandiera della Guardia Nobile d'Onore , il cui nastro era stato intessuto dalle mani della Duchessa Maria Beatrice, campeggiava la scritta: "Onoro e fedeltà".

Anche i Cavalieri della Guardia che scelsero di restare a Modena diedero prova di lealtà e devozione al Duca e quando il governo Sardo costrinse la Guardia Nazionale di Modena al giuramento di fedeltà al Re Vittorio Emanuele II , nessun cavaliere della Guardia Nobile fu visto nelle sue file: " L'Europa accetti nella lunga e ognor durevole esistenza del nobile corpo di cui parlammo , una prova di più per seguire a credere che il Trono degli Estensi a Modena aveva ed avrebbe per base l'amore e la venerazione dei sudditi".

 

Le conseguenze della Rivoluzione nel Ducato di Modena.

Una volta che Francesco V di  Modena partì , Zini e Carbonieri si affrettarono a formare un governo provvisorio e chiamarono come governatore Luigi Carlo Farini, allora medico a Torino. Il Curletti lo seguì come capo della sua polizia politica.

Luigi Carlo Farini con la famiglia.

Il primo ordine che Farini diede al Curletti entrando nel palazzo d’Este, fu di impadronirsi di tutte le chiavi, comprese quelle della cantina. “E’ inutile”  disse il Farini  “di fare un inventario”. All’arrivo della signora Farini, dovette  rimettere tutte le chiavi nelle di lei mani. Tutta l’argenteria, collo stemma ducale, fu dato a fondere. Dove finì  il prodotto?… Io non posso essere totalmente sicuro fino a questo punto, ma ciò che si sa è che non fu versato al tesoro. Una circostanza che ci conferma una simile valutazione , è che a quell’epoca Farini ordinò al Curletti di comunicare ai giornali un articolo, che tutti all’epoca lessero, e nel quale vi era scritto che  il Duca partendo, aveva portata via tutta la sua argenteria, e tutti gli oggetti di qualche valore, e non aveva, per così dire, lasciato che le quattro mura: anche le cantine erano vuote, per quanto ne asseriva codesto articolo comunicato. Esse lo erano anche pressoché, in quel momento, ma da dieci giorni. Farini teneva corte bandita nel palazzo ducale, Borromeo, Riccardi, Visoni, Carbonieri, Mayr, Chiesi e Zini erano i soliti commensali di quei pranzi principeschi. Su questo proposito  accadde un piccolo fatto che rallegrò qualche giorno le conversazioni di Modena, e di cui si perderebbe, veramente, a non conoscere i dettagli.  La tavola del governatore era stata fornita da un tale Ferrari, che teneva (e che tiene tuttora) l’albergo di San Marco a Modena. Suo padre era  Capo dello Stato Maggiore di Francesco V. Al termine di otto giorni la lista del Ferrari ammontava a 7.000 franchi. Farini trovò accordo di pagare questa somma con un brevetto di colonnello che Ferrari accettò. Costui si trovò tutto ad un tratto posto al livello di suo padre che contava  30 anni onorato servizio. Il figlio arrivò così a comandare la piazza di Modena , mentre il padre era in esilio!!: Questa metamorfosi di un cuoco in colonnello non è più sorprendente di quella di un cocchiere in tenente colonnello di stato maggiore, trasformazione di cui noi abbiamo un esempio in Mezzacapo, fratello del generale di questo nome. Egli si è addormentato una sera colla frusta in mano e si è risvegliato la mattina colle spallette di aiutante di campo di suo fratello. Tutta Torino lo conosceva , non già, ben si intende, come tenente colonnello.

  Qualche giorno dopo l’installazione della signora Farini tutta la guardaroba della Duchessa fu data alle sartorie, dopo che essa e sua figlia l’ebbero divisa.  Ciascuna di loro fece ridurre la sua parte alla propria misura. La corpulenza di Farini non gli permise di approfittare della guardaroba del Duca, ma questa non sortì, per così dire, di famiglia. Riccardi, allora segretario, e poi genero di Farini, se ne impadronì. 

Il saccheggio della casa ducale cagionò nel Curletti  qualche sorpresa. Contrastava infatti passabilmente col disinteresse spartano di cui Farini voleva allora dare spettacolo.

Firma del Trattato di Zurigo.
Come il lettore ben saprà , l’11 luglio 1859 , dopo le sanguinose battaglie di Solferino e San Martino , venne firmato da Napoleone III e dall’Imperatore Francesco Giuseppe I d’Austria l’Armistizio di Villafranca. Esso pose fine alla Seconda Guerra d’espansionismo sabaudo e alle mire che il Cavour aveva su Venezia. L’armistizio di Villafranca, a cui anche l’ignorante e meschino Vittorio Emanuele II di Sardegna pose la firma il 12 luglio, fu ratificato dal Trattato di Zurigo del novembre 1859. Come il lettore ben informato sa , tale trattato non venne rispettato dal governo di Torino il quale ignorò le disposizioni chiaramente esposte all’Art. 18 e 19:


"Art. 18. Sua Maestà l’Imperatore dei Francesi e Sua Maestà l’Imperatore d’Austria si obbligano a favorire con tutti i loro sforzi la creazione di una Confederazione tra gli Stati Italiani, che sarà posta sotto la presidenza onoraria del S. Padre, e lo scopo della quale sarà di mantenere l’indipendenza e l’inviolabilità degli Stati confederati, di assicurare lo svolgimento de’ loro interessi morali e materiali e di garantire la sicurezza interna ed esterna dell’Italia con l’esistenza di un’armata federale.
"La Venezia, che rimane posta sotto la corona di Sua Maestà Imperiale e Reale Apostolica, formerà uno degli Stati di questa Confederazione, e parteciperà agli obblighi come ai diritti risultanti dal patto federale, le cui clausole saranno determinate da un’assemblea composta dei rappresentanti di tutti gli Stati Italiani.
"Art. 19. Le circoscrizioni territoriali degli Stati indipendenti dell’Italia, che non presero parte nell’ultima guerra, non potendo esser cambiate che col concorso delle Potenze che hanno presieduto alla loro formazione e riconosciuta la loro esistenza, i diritti del Gran Duca di Toscana, del Duca di Modena e del Duca di Parma sono espressamente riservati tra le alte parti contraenti.

Il Duca Francesco V , secondo il suddetto trattato , avrebbe dovuto rientrare in possesso dei suoi legittimi Stati ed entrare a far parte della Confederazione Italiana che si era deciso di istituire. Come purtroppo ben si sa , ai sovrani di Modena , Parma , Toscana e Legazioni Pontificie delle Romagne venne impedito di riprendere ciò che legittimamente gli spettava per diritto e per trattato internazionale. Le proteste alle potenze d’Europa non sortirono l’effetto sperato dai sovrani spodestati con l’inganno della Rivoluzione.

 

I plebisciti nel Ducato di Modena.

Con completa inosservanza degli accordi presi alla firma del Trattato di Zurigo, il governo di Torino indisse i plebisciti d’annessione per l’11-12 marzo 1860.


Luigi Carlo Farini.
Nel frattempo Farini si mostrava molto concitato contro i duchisti estensi e principalmente contro i preti e le monache. “Non bisogna avere pietà con quelle canaglie” ripeteva egli sovente, leggendo i rapporti del Curletti. Dietro simili disposizioni del governo l’agente segreto del Cavour aveva  carta bianca per gli arresti e le incarcerazioni. Curletti immagino, con Riccardi, di profittare della loro posizione. Agenti della più infima specie reclutati da loro si introducevano presso le persone conosciute per il  loro attaccamento alla dinastia ducale, presso i preti, nei conventi, ed all’atto di operare gli arresti, facevano comprendere che con qualche opportuno lascito di denaro si sarebbe potuto riconquistare la libertà, od anche evitare l’imprigionamento. Simili argomenti mancarono ben raro di riuscita; vi si sottometteva; ed era ciò che avevano di meglio da fare. Il prodotto di queste estorsioni era rimesso a Riccardi, genero di Farini. Le somme erano più o meno considerevoli, lo si comprende, secondo la fortuna delle persone arrestate. Guastalla e Sanguinetti banchieri, non dovettero versare nelle mani del Curletti meno di 4.000 franchi a testa.

Filippo Curletti.
Nel frattempo si preparava tutto nell’Italia centrale per le elezioni dei parlamenti provinciali, quando giunse a Torino la nota dal gabinetto francese, che domandava il richiamo, prima del voto, dei commissari piemontesi. Il Piemonte non poteva sottrarsi a questa esigenza: vi si sottomise, anche se di mala voglia, per le Romagne, la Toscana ed il Ducato di Parma.  Là il terreno pareva abbastanza preparato data la presenza di agenti in incognito che garantivano il risultato delle elezioni.  Ma non era così per il  Ducato di Modena, di cui soprattutto le campagne, davano molta inquietudine.  I partigiani della dinastia Estense vi erano numerosi ed influenti: in una parola, il Piemonte temeva, lasciando questo paese a sé medesimo, di vederselo sfuggire dalle mani con una Controrivoluzione.  Si decise quindi che Farini restasse, ma per permettere ciò era necessario trovare un pretesto che ingannasse il governo francese o piuttosto l’opinione, perché è difficile credere che il gabinetto francese abbia preso un solo istante sul serio la commedia di Modena. Curletti ebbe un lungo colloquio col governatore per  programmare la commedia che  fu esattamente eseguita. Il giorno finale per la partenza di Farini, il Curletti appartò una parte dei suoi uomini sul piazzale del palazzo; aveva fatto venire per ingrandirne il numero tutti i carabinieri e gli agenti di polizia che si trovavano a Reggio, a Carpi, Mirandola e Pavullo.  Al momento che il governatore apparve, per montare in carrozza, si misero essi a gridare, in conformità della consegna che avevano ricevuto: “viva Farini… egli non partirà, egli è il nostro padre!!!”. Costoro seguirono la carrozza continuando le loro acclamazioni, Curletti si era collocato, col resto dei suoi  agenti fuori dalla porta a Parma. Al momento in cui il governatore arrivò, dietro un suo segnale, gli agenti del Curletti si misero a gridare: “viva il dittatore!!”.

Si gettarono sulla carrozza, ne distaccarono i cavalli e la ricondussero in città alle grida di “viva il dittatore!”. Arrivando al palazzo, dove attendevano i membri principali del governo commissariale, si stese, senza perdita di tempo, in presenza di Farini, un processo verbale che lo nominava cittadino di Modena e dittatore. Le prime firme che si leggono ai piedi del processo verbale sono quelle del Conte Borromeo (segretario generale di Farini), di Carbonieri (ministro dell’interno), di Chiesi (ministro dei culti), di Riccardi (capo di gabinetto e genero di Farini), di Zironi (segretario addetto), di Zini (intendente a Modena), di Mayr (intendente a Ferrara). La sera da Farini si parlò molto della scena truffa della porta a Parma: al momento in cui furono staccati i cavalli Curletti era a due passi dal nuovo dittatore, e lo vide conservare a gran fatica la sua serietà.  Le elezioni che si fecero qualche giorno dopo assomigliarono moltissimo alla scena che ho raccontato pocanzi. Il Curletti e i suoi si eravamo fatti rimettere i registri parrocchiali per stendere le liste degli elettori. E quindi prepararono tutti i biglietti. Per le elezioni dei parlamentari locali, come più tardi per il voto di annessione, un piccolo numero di elettori si presentò a prendervi parte, ma al momento della chiusura delle urne, gli sgherri sovversivi vi gettarono dentro i biglietti, naturalmente in senso piemontese, di quelli che si erano astenuti; non tutti peraltro, ciò si intende; ne lasciarono da parte qualche centinajo o qualche migliaio, secondo la popolazione del collegio. Bisognava ben salvare le apparenze, almeno in faccia all’estero, perché per l’interno sapevano a quale espediente attenersi. Tutto ciò che sto narrando è della più scrupolosa esattezza.  Anche prima dell’apertura del voto carabinieri ed agenti di polizia travestiti ingombravano le sale dello scrutinio e l’ingresso alle medesime. Era sempre fra di loro che il Curletti e i suoi sceglievano il presidente dell’ufficio e gli scrutatori. Loro non erano quindi “molestati” da questo lato. In certi collegi questa introduzione di massa nell’urna dei biglietti degli agenti (che chiamavano “completare il voto”) si fece con tale sicurezza e con sì poca attenzione, che lo spoglio dello scrutinio diede più votanti che elettori inscritti. Vi si rimediò facilmente con una rettificazione nel processo verbale. Poi biglietti negativi o ostili al Piemonte, necessari al fine di dare al voto un’apparenza di sincerità, ne lasciarono il pensiero agli stessi elettori.  Per ciò che concerne Modena il Curletti ne parla scientemente, perché tutto vi si fece sotto i suoi occhi e la sua direzione. Del resto , come il lettore ben saprà, un metodo perfettamente uguale fu seguito a Parma ed a Firenze.  Il dittatore dal suo canto all’epoca delle elezioni aveva preso tutte le misure per essere sicuro del parlamento: egli obbligò i candidati a sottoscrivere prima due decreti che egli aveva preparato. Il primo pronunciava senza alcuna legittimità la decadenza della Casa d’Este, il secondo prorogava indefinitivamente i poteri del dittatore.

Immagine di propaganda risorgimentalista
sui plebisciti.

Due persone sole  si rifiutarono di sottoscrivere, Amadio Levi banchiere e Paglia professore,  ed esse, come è facile immaginare, non furono nominate.

Come già menzionato per i fatti di Firenze e di Parma riguardo ai plebisciti, il lettore mi perdonerà se ripeto un fatto rilevante  e cioè che  i verbali dei risultati e le schede sparirono subito e già nel 1903 non si trovavano più né presso le preture né presso i municipi  . Vediamoli comunque questi risultati truccati che interessarono Modena:

Parma, Modena e Romagne (11-12 marzo 1860): SÌ 426.006. NO 756. Annessionisti: 99,82 % Contrari: 0,17 %.

La commedia organizzata dal Farini sotto la direzione del Curletti e in linea con il governo di Torino diede i suoi frutti avvelenati.  Il Ducato di Modena venne così fuso al Regno di Sardegna , e Modena divenne una volgare provincia lasciata ad appassire. Vi furono insurrezioni legittimiste nelle campagne e in alcune città in favore della dinastia ducale al grido di “Viva Francesco V!  Morte ai liberali!”; tali isurrezioni furono prontamente soffocate nel sangue dall’esercito “italiano” o prevenute col terrore delle minacce. L’economia del Ducato sprofondò e là dove abbondavano gli impieghi vi si trovava ora disoccupazione e mal contento misto alla nostalgia dei bei tempi passati. Molti giovani attraversavano il Po per arruolarsi nella Brigata Estense che si trovava in esilio con il Duca, piuttosto che militare nell’esercito degli invasori.
In codesta trista maniera si conclude la narrazione dei fatti che interessarono il Ducato di Modena in quei nefasti avvenimenti che ne decretarono l’occupazione e la fine della sua indipendenza.

Presidente e fondatore A.L.T.A. Amedeo Bellizzi.  

Fonte:


Filippo Curletti- LA VERITÀ SUGLI UOMINI E SULLECOSE DEL REGNO D’ITALIA RIVELAZIONI DI J. A. ANTICO AGENTE SECRETO DEL CONTE CAVOUR (a cura di Elena Bianchini Braglia).

Controstoria dell’Unità d’Italia – Fatti e misfatti del Risorgimento (Di Gigi Di Fiore).

In esilio con il Duca
(La storia esemplare della Brigata Estense)Elena Bianchini Braglia.