martedì 4 marzo 2014

Dickinson, l’americano che non firmò la Dichiarazione di Indipendenza


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Proponiamo la traduzione integrale in italiano dell’articolo Book Review: ‘The Cost of Liberty’ by William Murchison, una recensione apparsa su The Wall Street Journal, da parte di Robert K. Landers, giornalista ed autore del libro An Honest Writer: The Life and Times of James T. Farrellal libro The Cost of Liberty: The Life of John Dickinson, scritto da William Murchison, saggista ed editorialista per Chronicles e The Lone Star Report. (Traduzione di Luca Fusari)
La strenua difesa da parte di John Dickinson dei diritti americani come uomini inglesi acquisì rinomanza in tutte le colonie negli anni ’60 del XVIII° secolo, ma il suo rifiuto nel firmare la Dichiarazione di Indipendenza nel 1776 diminuì la sua reputazione e venne ingiustamente visto come decisivo.
I recenti libri degli storici Jack Rakove, John Ferling e Richard Beeman hanno portato nuovamente alla ribalta questo Fondatore trascurato, The Cost of Liberty la vivace ed ammirevole biografia scritta dal giornalista William Murchison ci fornisce un ritratto più completo.
Ricco avvocato di Philadelphia altamente intelligente e colto, Dickinson (1732-1808) fortemente contestò gli sforzi dei britannici di tassare gli americani ed aumentare le entrate imperiale. Ma i coloni, sostenne, avrebbero dovuto evitare la «turbolenza e il tumulto» nel cercare di convincere gli inglesi a correggere i loro errori, per timore che «la causa della libertà (…) fosse macchiata». Il suo affetto per la madre patria era genuino. «Ogni goccia di sangue nel mio cuore è inglese», disse.
Sebbene non fosse un quacchero, derivò dalla tradizione quacchera l’impegno a lottare per la pace, usando la forza come ultima risorsa. Molti storici lo hanno definito un ‘conservatore’ o un ‘moderato’. Queste etichette hanno la loro utilità, ma come afferma Murchison, nessuna può comprendere una figura così complessa. Uno studioso ha definito Dickinson «un Burke americano», e Murchison a tal riguardo commenta: «non senza motivo».
Come lo statista britannico Edmund Burke, che  sostenne i coloni nella loro lotta, Dickinson «sarebbe stato con il radicato e il testato contro i prodotti della congettura umana». Oppure come Dickinson disse durante la Convenzione Costituzionale del 1787: «l’esperienza deve essere la nostra unica guida, la ragione può trarci in inganno». Ma in netto contrasto con Burke e la sua denuncia nelle Reflections on the Revolution in France, Dickinson, che nel 1790 si era associato con i Repubblicani-Democratici di Jefferson, accolse con favore la Rivoluzione francese e nonostante il Terrore, abbracciò la repubblica francese che ne emerse.
Nonostante il suo affetto per la Gran Bretagna, Dickinson giocò un ruolo fondamentale nei primi fermenti di rivolta americani. Infatti gli storici lo hanno definito la “penna della Rivoluzione”. Al Stamp Act Congress dell’Ottobre 1765 , redasse la sua Declaration of Rights and Grievances che spiega l’opposizione coloniale all’Atto che richiedeva l’acquisto di marche da bollo per i documenti legali e d’altro tipo.
Nel 1767-1768 , in opposizione ai Townshend Acts sui dazi sul tè , sulla carta, il vetro e le altre materie prime, Dickinson (adottando il personaggio di un educato gentleman agrario) scrisse le Letters From a Farmer in PennsylvaniaLa serie di 12 saggi ebbe ampia circolazione e il maggiore impatto rispetto a qualsiasi altra pubblicazione in epoca rivoluzionaria ad eccezione di Common Sense (1776) di Thomas PaineAnche se a Dickinson mancava l’istinto di Paine per «la splendida frase demolente», Murchison spiega che i suoi scritti portarono «i doni inestimabili della lucidità, dell’equilibrio, e dell’eloquenza (…) fortificata da studio e saggezza»
Al Primo Congresso Continentale nel mese di Ottobre del 1774, Dickinson scrisse la bozza finale della sua petizione a Giorgio III, la combinazione di un atto di accusa contro i suoi ministri e la loro politica con espressioni esagerate di riguardo per il re stesso. Al Secondo Congresso Continentale, l’anno successivo, dopo lo scoppio dei combattimenti a Lexington e Concord, Dickinson collaborò con Thomas Jefferson sulla Declaration of Causes and Necessity for Taking Up Arms e fu il principale autore della Olive Branch Petition, l’appello finale del Congresso al re.
John Adams, che parlò in opposizione alla petizione (che poi però firmò), la derise privatamente come una «misura di imbecillità». Come la precedente petizione, si rivelò inutile, ma dimostrò col suo stesso rifiuto l’ incrollabile intransigenza britannica.
Nella primavera del 1776, se non prima, Dickinson si rese conto che la riconciliazione con la Gran Bretagna non era percorribile, ma si oppose dichiarando prematura l’indipendenza. Sostenne che sarebbe imprudente correre verso una guerra per l’indipendenza, senza prima ottenere la garanzia dalla Francia che sarebbe venuta in soccorso dell’America.
Se Dickinson avesse votato per l’indipendenza, per lo storico Forrest McDonald, molto probabilmente sarebbe stato lui e non Jefferson la persona scelta per scrivere la Dichiarazione di Indipendenza, e la  dichiarazione dei diritti verosimilmente si sarebbe basata non sulla teoria del ​​diritto naturale ma sulla storia costituzionale inglese, con meno implicazioni universali.
Quando il 2 Luglio 1776 vi fu  il voto finale sull’indipendenza, Dickinson e il ricco mercante Robert Morris (il quale anche lui si opponeva ritenendo prematura la dichiarazione) si astennero. Questa decisione permise che il 4 a 3 nel voto della delegazione della Pennsylvania contro l’indipendenza del giorno precedente diventasse un 3 a 2 a favore di essa e quindi lasciò che il Congresso parlasse con una sola voce su questo tema importante.
Avendo seguito la sua coscienza in materia di indipendenza, Dickinson mostrò a sé stesso di essere un patriota, quasi immediatamente partì come colonnello al comando di una milizia di Philadelphia ad Elizabethtown nel New Jersey, per combattere contro gli inglesi.
Motivò in seguito la sua convinzione riguardo l’indipendenza «come un uomo onesto deve fare», ma una volta che il Congresso Continentale decise: «ho ritenuto tale determinazione come la sacra voce del mio Paese. (…) Da quel momento è diventata la mia determinazione, e ho contribuito coi miei sforzi alla sua istituzione perpetua».
Nell’Agosto del 1776 Morris aggiunse la sua firma alla Dichiarazione di Indipendenza, un fatto che Murchison nota solo tra parentesi e in una nota di chiusura, senza commentarla. Perché Dickinson non fece come Morris firmando questa espressione della «sacra voce» del Paese? Dickinson, a quanto pare, non lo  spiegò mai, e Murchison non vi specula.
Dopo la guerra, Dickinson servì come “presidente” (capo esecutivo) del Delaware e poi della Pennsylvania (e per alcuni mesi d’entrambi contemporaneamente). Fu una presenza significativa alla Convenzione costituzionale e scrisse le Letters of Fabius, sostenendo la ratifica della Costituzione.
Quando nel 1808 morì all’età di 75 anni, Jefferson parlando con un amico disse di Dickinson: «un uomo più stimabile o un più vero patriota non avrebbe potuto lasciarci. (…) Il suo nome sarà consacrato alla storia come uno dei grandi uomini illustri della Rivoluzione».