lunedì 10 marzo 2014

Consiglio d'Europa: l'aborto è un diritto, l'obiezione forse no

 

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Il Consiglio d’Europa ha accolto il reclamo presentato dalla Ong International Planned Parenthood Federation European Network (Ippf), che accusava il nostro Paese, a causa dell’alto numero di obiettori, di non garantire il rispetto della legge 194 sull’interruzione di gravidanza. Il Consiglio d’Europa, con 13 voti favorevoli e un solo contrario, ha quindi richiamato il nostro paese perché «l’obiezione di coscienza non può impedire la corretta applicazione della norma».  [fonte: Tempi.it, qui l'articolo completo]

All'indomani delle campagne di UAAR e dintorni per la limitazione dell'obiezione di coscienza all'IVG, che speravamo rimanessero un'amenità del folklore nostrano, da Strasburgo arriva una "novità" che lascia perplessi per più motivi.
Primo: la coerenza. Una precedente risoluzione dello stesso Consiglio d'Europa (che, ricordiamo, non è un organo dell'Unione Europea), sul medesimo tema dell'obiezione di coscienza, aveva espresso nel 2010 una posizione molto diversa. Qui si possono leggere i dettagli.
Secondo: la ratio legis. Autorevole dottrina penalistica italiana ha sostenuto con forza la dignità dell'obiezione di coscienza e ha denunciato l'atteggiamento schizoide della sinistra italiana, ieri convinta assertrice dell'obiezione alla leva, oggi recalcitrante a riconoscere tale libertà al personale sanitario: qui un articolo di Ferrando Mantovani. (Né si può sospettare l'autore di partigianeria, stante il suo storico endorsement dell'aborto terapeutico, sposato poi dalla giurisprudenza che "spinse" culturalmente verso la legge 194: cfr. A. Santosuosso, Diritto, scienza, nuove tecnologie, pp. 48 s.).
Terzo: la coerenza, stavolta dell'Unione Europea. Una vecchia risoluzione (1994) del Parlamento Europeo aveva addirittura riconosciuto nell'obiezione di coscienza un diritto soggettivo, inestricabilmente connesso all'esercizio delle libertà individuali (v. C. Tagliapietra, L'autotutela nella filosofia del diritto, in Aa. Vv., La disciplina dell'autotutela, pp. 590 e 595). Certo, è lo stesso Parlamento Europeo che ha recentemente votato il rapporto Estrela, forse è meglio non farsi più illusioni. Ma tant'è.
Quarto: il principio di realtà. Con buona pace della nostra Corte Costituzionale (1975), l'embrione o il feto che si uccide non "deve ancora diventare" persona, perché lo è già, dal momento del concepimento: in tal senso depone tutto il nostro ordinamento (ibidem, pp. 596 s.). Vent'anni dopo, la Cassazione sancisce che l'aborto per la donna è un diritto (Cass. civ., Sez. III, 1 dicembre 1998, n. 12195).  Quello che forse sfugge alla più alta magistratura del nostro ordinamento - i giudici delle leggi e i giudici di legittimità, rispettivamente - è che la giurisprudenza legge la realtà, ma non può forgiarla. Se l'aborto è uccisione di un essere umano, l'ordinamento può serenamente ammettere un obbligo di uccidere? A meno di applicare il codice penale militare di guerra agli operatori sanitari (e di considerare il bambino un nemico), no.
Guardiamo dall'alto la questione. Il legislatore del 1978 si era posto come obiettivo dichiarato un bilanciamento tra diritti costituzionalmente tutelati (la vita del figlio, la vita e la salute della madre) e non l'attribuzione alla madre di un diritto potestativo di vita e di morte sul nascituro. Quale sia stato il risultato, è sotto gli occhi di tutti: l'ambiguità della legge 194, che di fatto legalizzava l'omicidio tentando formalmente di salvare capra e cavoli, è divenuta un grimaldello per le abnormità giuridiche di cui sopra.
La via di fuga dell'obiezione di coscienza non è meno ambigua.
Questo perché la "coscienza", così come è oggi intesa nell'immaginario cattolico postconciliare, è divenuto un concetto bifronte e a doppio taglio. Persino una nota Erinni contemporanea dell'aborto può volgere a proprio vantaggio una citazione di S.S. Pio XII, che nel 1955 affermava "un cittadino cattolico non può appellarsi alla propria coscienza per rifiutar di prestare i servizi e adempiere i doveri fissati per legge" (v. C. Lalli, C'è chi dice no, p. 32). Superfluo precisare che il Papa si esprimeva in questo modo con riguardo all'obiezione alla leva militare; non ha però tutti i torti l'autrice a rintracciare una frizione tra l'atteggiamento della Chiesa Cattolica di allora di fronte all'obiezione civile e la strenua difesa della coscienza e della sua libertà nel magistero da S.S. Giovanni XXIII in poi. La spiegazione di tale incongruenza, però, esula troppo dal nostro tema.
Se la coscienza è semplice sensibilità individuale e non è invece il luogo intimo, rettamente formato fin dall'infanzia, in cui Dio parla all'uomo, l'obiezione di coscienza è una coperta di Noé per coprire le vergogne di una disobbedienza civile qualunque (e, domani, di una cultural defense che, per decenza, il diritto penale non ammette ancora). Contro l'aborto, un simile strumento è un'arma inceppata.
Non è necessario scomodare lo statuto giuridico dell'obiezione, a fronte di una legge che vorrebbe obbligare ad uccidere l'innocente. Molto semplicemente, la legge arbitraria, "scollata" dal requisito della giustizia, cessa di avere forza obbligante e il fondamento giuridico di un ipotetico "diritto all'aborto" si sgretola all'istante.
...non bisogna dimenticare l'essenziale insufficienza e fragilità di ogni norma di vita sociale che riposi su un fondamento esclusivamente umano, s'ispiri a motivi esclusivamente terreni e riponga la sua forza nella sanzione di un'autorità semplicemente esterna. Dove è negata la dipendenza del diritto umano dal diritto divino, dove non si fa appello che ad una malsicura idea di autorità meramente terrena e si rivendica un'autonomia fondata soltanto sopra una morale utilitaria, qui lo stesso diritto umano perde giustamente nelle sue applicazioni più gravose la forza morale, che è la condizione essenziale per essere riconosciuto e per esigere anche sacrifici. (Pio XII, Summi Pontificatus)
...Noi vediamo che voi siete degni di lode anche per questo motivo: cioè perché nelle quotidiane e lunghe prove, in cui vi trovate, voi percorrete proprio la via giusta, quando prestate, come si conviene a cristiani, rispettoso ossequio alle vostre pubbliche autorità nel campo di loro competenza, e, amanti della vostra patria, siete pronti al compimento di tutti i vostri doveri di cittadini. Ma Ci è anche di grande consolazione sapere che voi, all'occasione, avete apertamente affermato e ancora affermate che in nessun modo vi è lecito allontanarvi dai precetti della religione cattolica, e che in nessun modo potete rinnegare il vostro Creatore, per il cui amore molti di voi hanno affrontato tormenti e carcere. (Pio XII, Ad Sinarum gentem)
Di un Papa giurista ci si può fidare. Ogni aborto è un vulnus gravissimo alla giustizia, ed ogni azione che cerca di frenarlo - dunque, anche la cosiddetta obiezione - è doverosa prima che meritoria; quindi sì, in effetti il mondo abortista ha ragione a dubitare che un medico abbia diritto di obiettare.

Ne ha il dovere.

di Ilaria Pisa (http://radiospada.org/)