venerdì 14 febbraio 2014

I TESCHI DI DMANISI RISCRIVONO LA STORIA DELL’UOMO: MA LE “LOBBY SCIENTIFICHE” TACCIONO DA ANNI.

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Tra il 1999 e il 2002, a Dmanisi in Georgia, furono ritrovati vari crani e resti di crani appartenenti a specie ominidi differenti. Questa scoperta sconvolse letteralmente il mondo archeologico e scientifico perché minava alle fondamenta tutta la teoria evoluzionistica, secondo la quale la specie a cui noi apparteniamo, Homo sapiens sapiens, discende da altri ominidi, cronologicamente posti in successione, a partire dall’Australopithecus, risalente a 4,2 milioni di anni fa, fino ai nostri ultimi “avi”, Homo erectus e Homo neanderthaliensis.
Perché questa scoperta, apparentemente simile a tante altre, fu invece sconvolgente? Secondo la maggior parte degli scienziati evoluzionisti, il cosiddetto “anello mancante” (fino ad ora mai ritrovato!) ha dato origine a vari rami filogenetici, che a loro volta hanno dato origine a numerosi ominidi differenti tra loro. Quello che vi proponiamo sotto è un albero filogenetico che gli scienziati offrono come modello generico (clicca sopra per ingrandire):

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Le linee tratteggiate indicano che non esistono prove e reperti in grado di affermare con certezza che i vari ominidi siano tra loro imparentati e che l’uno si sia poi effettivamente evoluto nell’altro. Non manca quindi un solo “anello mancante”, l’avo comune di ominidi e scimpanzè, ma una intera catena di anelli! Eppure tutto ciò viene presentato nelle scuole e nei musei come teoria scientifica certissima, indubitabile ed evidente. Chi la mette in dubbio è un eterodosso da mettere in cattiva luce!
Per gli evoluzionisti, ciascuno di questi ominidi è una specie presa a sé, frutto di evoluzioni differenti, spesso endemiche di un solo territorio e quindi non interfecondabili: un homo habilis, per intenderci, non poteva accoppiarsi con homo ergaster e generare una prole feconda. Un po’ come avviene con asini (equus asinus) e cavalli (equus caballus): anche se si accoppiano, essendo di ugual genere ma di specie differente, danno alla luce una prole non feconda, il mulo o il bardotto.
Ma torniamo al ritrovamento di Dmanisi, che mette in crisi tutto quanto detto finora. Quattro dei crani completi ritrovati appartengono a ominidi differenti, ma appartenenti tutti allo stesso periodo. Questo dimostra:
1) che gli ominidi in questione non sono in successione evolutiva, come fino ad oggi hanno detto gli evoluzionisti, ma risalgono allo stesso periodo storico,
2) che addirittura convivevano nelle stesse tribù, come dimostrano i ritrovamenti in questione, e che quindi erano interfecondabili,
3) se erano interfecondabili, non si tratta di specie ominidi differenti ma di una unica specie umana con caratteristiche fisiche diverse.
Il professor David Lordkipanidze, del Museo Nazionale della Georgia, analizzando i diversi crani ha riscontrato che si tratta di quattro diversi ominidi: homo habilis, homo ergaster, homo rudolphensis, homo erectus. Questi quattro ominidi non sono dunque da porre in successione cronologica. Essi convivevano addirittura nelle stesse tribù… semplicemente perché non si tratta di specie differenti, ma di “razze”, potremmo dire. Il professore ha notato che anche nel genere degli scimpanzè si riscontrano caratteristiche analoghe. Il cranio ed addirittura il patrimonio genetico dello scimpanzè comune (Pan troglodytes) variano a seconda delle sottospecie: le misure del cranio di uno scimpanzè comune dell’Africa centrale (Pan troglodytes troglodytes) sono significativamente differenti da quelle di uno scimpanzè comune dell’Africa orientale (Pan troglodytes schweinfurthii). Anche a livello genetico ci sono significativi adattamenti, eppure queste diverse “razze” possono benissimo accoppiarsi e dare origine a prole fertile. Un esempio ancora più evidente è nelle razze canine: il cranio di un dobermann è diverso da quello di un mastino napoletano, o da quello di un lupo.

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L’immagine sopra mostra un cranio di mastino italiano (canis lupus familiaris) al confronto con cranio di lupo (canis lupus lupus). Le differenze si notano anche ad occhio nudo. Ciononostante, potenzialmente, le due razze possono benissimo accoppiarsi e dare alla luce una prole feconda, l’ibrido cane-lupo. Il ritrovamento di Dmanisi ha dimostrato che quelle che noi ritenevamo specie ominidi differenti, in realtà appartengono alla nostra stessa specie Homo sapiens, ma essendo razze diverse presentano anche misure craniche differenti e addirittura un patrimonio genetico lievemente diverso, a causa degli adattamenti.
Infine, il ritrovamento di Dmanisi ha anche messo in crisi l’idea che la nostra specie derivi dall’Australopiteco. Ebbene sì, perché l’Australopiteco (come dimostra il nome scientifico Australopithecus afarensis) è originario dell’Africa e, secondo le teorie evoluzioniste, dette origine alle specie più antiche di ominidi, ossia l’homo habilis e l’homo rudolphensis. Ma il ritrovamento di ossa degli stessi ominidi, risalenti allo stesso periodo se non più antichi, in una zona totalmente diverse da Afar in Etiopia (ricordiamo che Dminisi è in Georgia!), dimostra che questi ominidi con il genere Australopithecus, endemico dell’Africa centrale ed ormai estintosi, non hanno alcuna parentela evolutiva! L’Australopiteco era, più semplicemente, uno dei tanti generi di scimmie che abitavano il continente africano. E l’origine dell’Homo sapiens, specie a cui noi apparteniamo, è da retrodatare da 200.000 anni ad almeno 2,5 milioni di anni fa!
La domanda dunque dovrebbe riporsi per gli scienziati: se l’uomo non discende dall’Australopiteco, e quindi non discende dai primati, come comparve sulla Terra?

Gaetano Masciullo, clicca qui per altri studi e articoli. ()