venerdì 31 gennaio 2014

San Roberto Bellarmino, dall’Elevazione della mente a Dio

San Roberto Bellarmino, dall’Elevazione della mente a Dio

La Sacra Scrittura ripetutamente ci ammonisce a cercare sollecitamente Dio. Perché, quantunque Dio non sia “lontano” da noi, — l’Apostolo dice che «noi viviamo, ci muoviamo e siamo in Lui» (Act. 17, 28), — noi tuttavia siamo lontani da Lui. E se non disponiamo il nostro cuore ad ascendere Verso di Lui, anzi se non ci procuriamo delle scale per salire al cielo; se non ci mettiamo con tutto l’animo a cercare Iddio, ci succede come al figliuol prodigo che, allontanatosi dal padre per recarsi in paese lontano, si ridusse a pascere i porci.
Per far capire come possa darsi che Dio non sia lontano da noi e noi siamo lontanissimi da Lui, dirò che Dio ci è vicinissimo perché, avendo sempre presenti tutte le cose, sempre ci vede; e non solo ci vede, ma sempre pensa a noi, «avendo Egli cura di noi» (I Petr. 5, 7); e si può dire che sempre ci tocca, perché «ogni cosa sostiene colla sua possente parola» (Hebr. 1, 3). 
Noi invece siamo lontanissimi da Dio, perché non lo vediamo e non lo possiamo Vedere, «abitando Egli una luce inaccessibile» (I Tim. 6, 16); anzi, se « non siamo capaci di pensare alcuna cosa da noi come da noi; ma la nostra idoneità è da Dio» (II Cor. 3, 5), tanto meno saremo capaci di giungere a Lui con slanci d’amore e di unirci a Lui s’Egli non ci riceve e ci attrae a sè colla sua destra. Perciò il regale Profeta[1], dopo aver detto: «dietro a Te va anelando l’anima mia», immediatamente aggiunge: «la tua destra mi ha sostenuto» (Ps. 62, 9).
E siamo molto lontani da Dio non solo perché non Lo Vediamo nè Lo possiamo vedere; non solo perché ci riesce difficile pensare a Lui ed elevarci a Lui con gli affetti del nostro cuore; ma anche perché, immèrsi in tante faccende che ci stringono e ci tirano da ogni parte, facilmente ci dimentichiamo di Dio, e le nostre preghiere si risolvono in una fatica delle labbra.
E’ questo il motivo per cui lo Spirito Santo, nelle Sacre Scritture, tanto spesso ci esorta a cercar Dio: «Cercate Dio e l’anima vostra vivrà » (Ps. 68, 33). «Cercate sempre la sua presenza » (Ps. 104, 4). «Buono è il Signore con coloro che sperano in Lui; con l’anima che lo cerca» (Thren. 3, 25). «Cercate il Signore finché lo potete trovare» (Is. 55, 6). «Cercatelo nella semplicità del vostro cuore» (Sap. 1, 1). «Quando avrai cercato il Signore Dio tuo, lo troverai, se l’avrai cercato con tutto il cuore » (Deut. 4, 9),
Tutti i fedeli devono aver questa sollecitudine di cercare Iddio; ma in modo speciale ne hanno il dovere i Ministri della Chiesa; è sentenza dei Ss. Padri Agostino, Gregorio, Bernardo, per non citare che i principali. Essi affermano che l’Ecclesiastico non può esser utile a sè ed agli altri se non ha la cura di nutrire la propria mente coll’assidua meditazione delle cose divine. S. Agostino nel Libro XIX de «La città di Dio» dice che la meditazione della verità richiede molta quiete; e che, se per caso la si deve interrompere per un’opera di carità si badi a non perdere perciò l’unione con Dio. E nel libro X, al capo 40 delle «Confessioni »[2] parlando di se stesso, e della sua frequente meditazione di Dio studiato nelle creature, scrive: «E torno spesso a far questo, che è mia delizia, e sempreché ho un po’ di respiro dalle mie necessarie incombenze, mi raccolgo in questa prossima gioia».
San Gregorio nella sua opera dedicata ai sacri Pastori, dice: «Sia il Pastore a tutti vicino per la compassione; ma più di tutti unito a Dio per mezzo della contemplazione; in modo da accogliere in sè, per pietà verso gli altri, tutte le necessità del prossimo ed elevarsi sopra se stesso per l’altezza della meditazione e per il desiderio delle cose invisibili». Ed aggiunge l’esempio di Mosè e di Cristo. Mosè assai spesso entrava nel tabernacolo e ne usciva; entrava per studiare i segreti di Dio e ne usciva per portar rimedio alle necessità del prossimo. E Gesù Cristo stesso, passava i giorni predicando ed operando prodigi a Vantaggio del prossimo; e passava le notti insonni pregando e meditando.
San Bernardo[3], nelle sue considerazioni a Papa Eugenio[4], che era stato suo discepolo, lo esorta a non darsi interamente all’azione, ma a dedicare qualche ora del giorno al raccoglimento per nutrire il suo spirito col cibo celeste della verità. E, non contento di esortarlo alla meditazione, gli indica anche un buon metodo per tale esercizio affinchè da questo traesse forza di ascendere a Dio e di trasformarsi in Lui coll’intelletto c col cuore.
Nè fa buone le scuse che Eugenio avrebbe potuto addurre, come fanno tanti, delle sovèrchie occupazioni che sono inevitabili nel governo della Chiesa e che non lasciano un briciolo di tempo da consacrare alla meditazione delle cose divine. E’ certo infatti, che, anche tra le più gravi e pressanti occupazioni, si trova sempre il tempo di mangiare, di bere e di dormire. E se il corpo ha diritto di aver cibo e riposo, quanto più lo avrà lo spirito per rifornirsi di energie per soddisfare ai suoi gravi doveri?
Ora, cibo dell’anima è l’orazione, riposo la contemplazione : e sono come ali per ascendere e vedere Dio come si può vedere in questa valle di lacrime. E per noi la scala per innalzarci fino a Dio sono le sue opere. Perché coloro che per singolare dono di Dio furono ammessi al cielo dove videro gli arcani di Dio che non si possono  narrare agli uomini, non si dice che ascesero, ma che furono rapiti. Lo confessa di sè San Paolo quando dice: «Fui rapito in Paradiso ed udii parole arcane che non si possono ridire agli uomini» (Il Cor. 12, 4).
Che l’uomo possa ascendere alla cognizione e all’amor di Dio contemplando le sue opere, ce lo attestano il Libro della Sapienza - «Vani son tutti quegli uomini che non hanno cognizione di Dio: e dalle buone cose che si vedono, non son giunti a conoscere Colui che è, nè dalla considerazione delle opere conobbero chi ne fosse l’artefice» (Sap. 13, 1) - l’Apostolo nella sua Lettera ai Romani[5] e la stessa ragione. Dagli effetti si conosce la causa efficiente, e dall’immagine l’esemplare; non si può porre in dubbio che tutte le cose create siano opera di Dio. Che l’uomo e l’angelo poi siano non solo opere di Dio ma anche sue immagini, ce lo dice la Sacra Scrittura.
Tratto da: San Roberto Bellarmino, opera Elevazione della mente a Dio, ed. II, Pia soc. S. Paolo, Roma, 1943, Prefazione, pp. 9-13
Pubblicazione e alcune note a cura di Carlo Di Pietro per Radio Spada (clicca qui per leggere altri studi pubblicati)


[1] Il Dottore con il termine Profeta intende Davide, al quale si attribuisce la gran parte dei Salmi.
[2] Pag. 344 nell’edizione della Pia Società S. Paolo — Roma (1940)
[3] San Bernardo di Chiaravalle. (Fontaine-lès-Dijon, 1090 – Abbazia di Clairvaux, 20 agosto 1153), fu un monaco e abate francese, fondatore della celebre abbazia di Clairvaux e di altri monasteri. Fu dichiarato Dottore della Chiesa, da Papa Pio VIII nel 1830. Nel 1953 Papa Pio XII gli dedicò l’enciclica «Doctor Mellifluus».
[4] Papa Eugenio III. Dalla lettera di san Bernardo al Papa vorrei sottolineare anche questo aspetto: «Vorrei che stabilissi come regola generale di ritenere sospetto chiunque abbia paura di dire in pubblico ciò che sussurra all’orecchio; se poi rifiutasse di ripeterlo davanti i tutti, consideralo alla stregua di un calunniatore, non di un accusatore.  Il flusso delle cose temporali corrode la coscienza. Molte devi ignorarle, parecchie trascurarle, alcune dimenticarle. Ve ne sono alcune che non vorrei fossero sconosciute. Tu non devi essere l’ultimo a conoscere i disordini che avvengono nella tua casa (la Chiesa). Alza la mano sul colpevole. L’impunità provoca temerarietà ed apre la via ad ogni eccesso. Con chi hai dimestichezza, o sono più onesti degli altri, o riempiono di chiacchiere la bocca di tutti. Non ti consiglio tuttavia di essere severo, ma grave. La severità è costante per chi è un po’ debole, mentre la gravità mette a freno chi è sventato. La prima rende odiosi, ma se manca la seconda si diventa oggetto di scherno. Comunque, è più importante in ogni caso il senso della misura. Io ti vorrei né troppo severo, né troppo debole. Nel palazzo comportati da Papa, tra i più intimi da padre di famiglia. […]  considera che devi essere modello esemplare di giustizia, lo specchio della santità, l’esempio della pietà, il testimone della verità, il difensore della fede, il maestro delle genti, la guida dei cristiani, l’ordinatore del clero, il pastore dei popoli, il maestro degli ignoranti, il rifugio dei perseguitati, il difensore dei poveri, l’occhio dei ciechi, la lingua dei muti, il sacerdote dell’Altissimo, il Vicario di Cristo, l’unto del Signore,e da ultimo, il re».
[5] Quello che di Dio si può conoscere è in essi (negli uomini) manifesto dappoiché Dio Io ha ad essi manifestato. Perciò le invisibili cose di Lui (cioè le divine perfezioni), dopo creato il mondo, per le cose fatte comprendendosi, si veggono: «anche la eterna potenza e il divino essere di Lui, onde siano inescusabili» (Rom. 1, 19-20). Dio, che gli occhi umani non possono vedere quaggiù, si rende quasi visibile nelle opere della creazione. San Cipriano ne tira la conclusione: «Il massimo dei delitti si è di non voler conoscere Colui cui tu non puoi ignorare».