martedì 3 dicembre 2013

R.P. Raffaele Ballerini d.C.d.G. : DI UN'ALLEANZA DEI CATTOLICI COLLA DEMOCRAZIA (II°)

 
La Civiltà Cattolica anno XLVI, serie XVI, vol. III (fasc. 1085, 26 ago. 1895), Roma 1895 pag. 513-524.

R.P. Raffaele Ballerini d.C.d.G.

DI UN'ALLEANZA DEI CATTOLICI COLLA DEMOCRAZIA [1]

VII.

Vedemmo già che la moderna democrazia, colla quale s'invitano i cattolici a confederarsi, non essendo altro che un mascheramento di barbarie e d'irreligione, non poteva da loro tenersi per soggetto idoneo di un'alleanza: ed il dirla «faro e polo della civiltà» in Italia, era un mentire alla storia ed al senso morale della nazione.
Avvisammo ancora che, ciò non ostante, l'andamento delle cose in Europa sembrava condurre verso forme democratiche di Stato; d'onde veniva il presagio comune, che con queste forme si comporrebbe la pace sociale. Nè lo negammo; avvegnachè non manchino serii pensatori, i quali dubitano fortemente che il delirio democratico, dal quale paiono oggi presi i popoli inciviliti, sia per guidarli alla stabilità nella democrazia; e congetturano invece che, cessate le cause morbose ed artificiali di questo delirio, ai furori democratici succederanno ferree dittature, le quali riporranno i popoli in quell'ordine di monarchia equamente temperata, che è il più consentaneo alle loro condizioni. Ma di ciò non è qui luogo di disputare.
Ammesse queste non ludicre previsioni, s'intende come l'idea di una democrazia bene armonizzata col Vangelo scaldi la mente di parecchi cattolici; e tra questi se n'incontrino dei più fervidi, che la propugnano e la propagano a voce ed in istampa. Ma, come abbiamo altrove accennato, il pericolo è nella equivocazione, o scambio dei concetti, che agevolmente può sospingere a fallacie, le quali mal si porrebbero a cardini di un'alleanza del cattolicismo colla democrazia. Di queste, alcune più capitali abbiamo già notate. Resta però che mettiamo in sull'avviso i cattolici da altre, che si spendono facilmente per monete buone o verità sacrosante, e leggiamo raccolte in un lavoro, dettato forse più da zelo imprudente che da chiara intelligenza delle cose.

VIII.

Dalla perpetua confusione dei due ordini della natura e della grazia, e dei fini a cui tendono le due società politica e religiosa, provengono in gran parte i più massicci errori. Di fatto, eccone un'altra prova: «Il Cristo è il vero fondatore della democrazia, ed è l'istitutore del suo ministero, nè può trovarsi in contraddizione con sè stesso: quindi il vero prete non può essere che democratico. Ma che cosa vuole la democrazia, qual è il fine che si propone, su che si basa? La democrazia vuole la redenzione delle plebi, vuole l'unità del genere umano, vuole l'atterramento dei privilegii. E bene, non fu il Cristo, che pel primo fe' sentire il beati pauperes? E non è lui che ha predetto, che si farà un solo ovile ed un solo pastore? E non è lui che ha detto: — Amatevi, chè voi siete tutti fratelli?»
Quanti qui pro quo in poche righe! Abbiamo già osservato quale sia la democrazia, o più tosto la eguaglianza, di cui Gesù Cristo è fondatore: e come a gran pezza si differenzii dalla democrazia politica e naturale; nè ci rifaremo sopra il detto. Perciò è un altro grossissimo errore l'affermare, che Gesù Cristo abbia istituito il ministero di questa democrazia e l'abbia commesso a' suoi sacerdoti. Il sacerdozio è costituito da Dio, come insegna S. Paolo, per l'esercizio degli atti del suo culto, e per la eterna salvazione degli uomini. Omnis pontifex ab hominibus assumptus, pro hominibus constituitur in his quae sunt ad Deum [2]. Ed il sacerdozio cristiano, in virtù dell'ordine sacramentale ond'è insignito, ha per oggetto del suo ministero, non la umana politica, ma il Corpo vero ed il Corpo mistico di Gesù Cristo.
Il prete vero adunque non può essere democratico che in questo solo senso, che, riguardo al ministero suo spirituale, non deve usare nessuna accettazione di persone, ma considerare tutti i fedeli, alla sua cura dati, o a lui ricorrenti per le cose dell'anima, siccome uguali dinnanzi a Dio, o sieno ricchi, o sieno poveri, o sieno deboli, o sieno potenti, o sieno piccoli, o sieno grandi; perocchè, nell'ordine della grazia e della salute, nulla sono e nulla valgono le sociali diversità, i gradi, i titoli, i privilegii umani e civili.
Chi in altro significato vuole il prete democratico, non sa quel che si voglia, e colla sua ignoranza o presunzione mira a sconvolgere tutto l'edifizio da Gesù Cristo costrutto.

IX.

E poichè tocchiamo questo punto del sacerdozio, ossia della porzione reggente, docente e ministrante nella Chiesa, giova notare quanto sia lungi dal vero che Cristo, circa il suo stesso organismo sociale e visibile, l'abbia fondata nella democrazia, cioè nell'eguaglianza dei diritti. Basta un'occhiata, ancorchè superficiale, al mirabile corpo di questo capolavoro divino, a fare che si scorga subito in esso la disuguaglianza giuridica dei membri che lo compongono.
La Chiesa di Gesù Cristo è, per l'essenza sua, gerarchica e tale è per istituzione di Cristo medesimo. Vi è il Capo supremo, Pietro, vivente sempre ne' suoi successori, vero monarca, investito da Cristo della pienezza di giurisdizione immediata sopra ogni membro del corpo, con diritti e poteri e privilegii a lui unicamente conferiti: vi sono i Vescovi, costituiti nella suprema altezza del sacerdozio, per l'ordine ed il carattere di cui sono dotati, ma esercitanti la particolare loro giurisdizione sotto Pietro: vi sono i semplici Sacerdoti, tutti eguali per l'ordine sacro, ma diversi per la giurisdizione che, o dai Vescovi, o da Pietro ricevono: vi è finalmente la plebe, plebs Christi, ed è l'aggregato dei comuni fedeli, senza distinzione alcuna di dignità, o di posto che occupino nel mondo; tanto essendo plebei, sotto l'ordine gerarchico della Chiesa, il contadino e l'operaio, quanto il principe, il re e l'imperatore.
Dal che risulta che la Chiesa di Cristo non è una Repubblica, ma un Regno, sebben da quelli del mondo diverso, come Cristo è Re, dai re del mondo diversissimo. La quale diversità spicca massimamente nello scopo suo finale, che è la beatitudine del cielo; nei mezzi, che sono superiori ai naturali; e nell'origine, che è tutta divina e non dipendente dai diritti e dai fatti mondani. Regno conseguentemente che è hic, quaggiù nella terra; ma non è hinc, derivato cioè dalla terra, perchè Dio lo ha immediatamente costituito nella terra e ad ogni terrena podestà sottratto.
Questo cenno è più che sufficiente a mostrare, che la forma sociale, data da Cristo alla sua Chiesa, è ben altra che democratica; e che quindi l'eguaglianza giuridica del ministero nè manco vi esiste nell'ordine puramente spirituale. Or come dunque può, non diciamo salvo il rispetto, non diciamo salva la verità, ma salvo il buon senso cristiano, adattarsi a Cristo Redentore, in quanto è autore della Chiesa, il titolo di primo democratico, d'istitutore del ministero della democrazia?
Si risponderà forse, che tutti gl'idonei hanno ugualmente accesso alla gerarchia di questo Regno, senza riguardo a nascita, a censo e ad altri privilegii o condizioni civili; e per ciò tiene della democrazia. Si concede: ma questo non altera la forma costitutiva della Chiesa, la quale consiste nella intrinseca disuguaglianza dei diritti gerarchici, che, come nella monarchie vere, si accentrano in un Capo solo.

X.

Con somigliante confusione e gratuità e falsità di supposti si comparano gl'intenti dell'umana democrazia, cogl'intenti di Gesù Cristo nell'operare la salvazione del mondo.
Si ammetta pure, che la democrazia propongasi la redenzione delle plebi: la locuzione è molto ambigua; ed è levata di peso dal frasario dei socialisti, del quale i cattolici, faranno assai bene a sospettare; ma, interpretata ancora pel meglio, questa redenzione sarà sempre rispetto al benessere materiale e politico, non allo spirituale e celeste: che propongasi l'unità del genere umano; questa riguarderebbe, se mai fosse possibile, i modi del Governo e le mutue relazioni di popolo con popolo, nel giro del diritto umano, dei vantaggi umani, dell'umana civiltà; non le soprannaturali, appartenenti alla vita Eterna: che propongasi l'atterramento dei privilegii; questi, quando il loro atterramento fosse secondo giustizia, sarebbero civili e pubblici, non mai sacri e religiosi. Il perchè, concessi questi intendimenti della democrazia umanitaria, conforme è chiamata da' suoi maestri ed apostoli, che niente hanno di cattolico, non si uscirebbe giammai dalla sfera delle cose terrestri e delle mondane faccende.
Se non che quante volte è necessario ripetere, che le cose terrestri e mondane non si attengono per sè al Regno di Gesù Cristo, il quale non è istituito per esse, ma per le celesti e sovramondane della salute? La redenzione che Gesù Cristo ha compiuta delle plebi, o meglio dell'intera stirpe d'Adamo, non è la politico-sociale; ma la spirituale del peccato, del demonio e dell'eterna morte, cui tutta la nostra progenie era dannata, per la colpa del progenitore. L'unità che Gesù Cristo è venuto a ristabilire nel mondo, non è l'umanitaria dei commerci e degl'interessi; è la divina, acciocchè l'uman genere, com'è uno per l'origine e per la natura, così uno sia per l'unità dello Spirito, santificante colla grazia e beatificante colla gloria: unum sint, sicut et nos unum sumus [3].
Per ciò poi che ai privilegii si attiene, Gesù Cristo non ne ha abolito veruno; ma, riconfermando la legge naturale e indirizzandone l'adempimento alla soprannaturale sua carità, ha anzi severamente vietato di ledere la giustizia, che riposa nel gran principio dell'unicuique suum, dal quale non si possono certamente escludere i legittimi privilegii.

XI.

E com'entra il beati pauperes, proferito da Cristo, colla democrazia civile? Egli tanto non ha mirato, con questo detto, a pareggiare socialmente i poveri ai ricchi, che, appunto chiamandoli beati, ha inteso di confortarli alla rassegnazione ed alla pazienza nel loro stato; promettendo loro il regno dei cieli (e non l'eguaglianza civile) a condizione però che sieno pauperes spiritu, cioè poveri che si contentano della povertà loro, l'accettano dalle mani di Dio; e non ambiscono di tramutare lo stato loro con quello dei ricchi, mediante un'eguaglianza di democrazia, che nasconde invidie, cupidige e pravi disegni di latrocinio e di saccheggio. Onde questo detto sublime del Salvatore fa contro, non fa in pro della tesi dell'egualità che si mette sempre avanti, come segno trionfale dell'idea democratica.
L'unità poi dell'ovile e del pastore lega colla democrazia sociale, come l'oro col piombo. Gesù Cristo, sotto la figura del pastore, pone sè stesso; e sotto quella dell'ovile, i gentili e gli ebrei, i quali, fino dal primo svolgersi del cristianesimo, dovevano formare l'unica Chiesa, di cui Egli e Pietro sono i Capi; Egli invisibile e visibile l'altro.
Il medesimo dicasi della carità e fratellanza predicata da Cristo nel mondo, le quali si possono e si debbono praticare in ogni forma di Stato civile, ossia democratica, ossia aristocratica, ossia monarchica; giacchè debbono sussistere in lui e per lui, in ordine, non già alla politica, ma alla grazia ed alla salute. Altrimenti guai, se la fratellanza della carità cristiana non avesse l'atto suo fuori della democrazia! Queste sono state e sono sì rare nei paesi cristiani, che si avrebbe a concluderne essere questa una prescrizione più teorica che pratica.
Col che non vogliamo già negare che, ancora umanamente e naturalmente, le società civili, in qualunque siasi ragione di Stato organate, non abbiano ritratto e non sieno per ritrarre utili grandissimi di pace, di sana libertà e d'incrementi dall'opera soprannaturale di Gesù Cristo; chè sarebbe menzogna, come, con assiduo magistero, ha dimostrato lungo il suo Pontificato Leone XIII: ma vogliamo negare che questi frutti di saluberrima civiltà sieno stati direttamente intesi da Gesù Cristo, quasi fine proprio e prossimo dell'opera sua.
La grazia perfeziona la natura, sì nella conoscenza della verità, e sì nella pratica del vivere; ed inoltre è scritto che chi cerca prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia sovranaturale, avrà, come accessorii, anche i beni naturali. Così ben s'intendesse e si credesse a questa divina promessa, radice di sì dolce speranza nelle miserie della vita!

XII.

Nè meno erronea o, a dire pochissimo, equivoca è la massima, che vien chiamata «giusta e suprema formola della democrazia»: ed è che nessuno ha diritto al superfluo, finchè vi è chi manca del necessario. «Principio, si continua a dire, che scaturisce, come corollario inevitabile, dal comandamento di Cristo: — Il di più date al poverello.» Presa come suona, una sì fatta massima, non che sapesse di cattolico, ma giustificherebbe la tesi fondamentale del socialismo, la quale è la più pericolosa delle forme, che la moderna demagogia aspiri di recare ad atto nel mondo civile. L'equivoco sta tutto nella parola diritto.
Il socialismo, o il problema sociale, come altri ama di nominarlo, è il litigio che si dibatte oggi fra chi ha e chi non ha, fra chi possiede e chi non possiede sostanze terrene. Dalla risoluzione di esso si vuol far dipendere l'armonia della disuguaglianza di condizione e di fortuna, fra gli uomini nella medesima società viventi. Il paganesimo tentò risolverlo contro l'ordine costituito da Dio: e che immaginò? Immaginò la schiavitù, per la quale il massimo numero doveva servire, col sudore e col sangue, ai capricci, alle ambizioni, alle cupidige del minimo. Venne il Redentore del mondo, e colla voce e coll'esempio insegnò, che la soluzione dei problema, non poteva essere nell'iniquità e nella prepotenza del forte verso il debole, ma nella vicendevole carità dell'uno verso l'altro. Rivocò gli uomini all'ordine della natura, e quest'ordine nobilitò e divinizzò in sè medesimo, mettendosi egli in luogo del bisognoso, e conferendo al povero bisognoso la dignità della stessa Persona sua divina.
Il socialismo dei nostri tempi abborre dalla schiavitù del paganesimo, ma nè meno accetta in verità la santa fratellanza del cristianesimo. Alla carità di Gesù Cristo pretende si sostituisca una giustizia, che dimanda sociale, e non sussiste nè nell'ordine della natura, nè in quello del Vangelo, santificatore della natura. Suppone esso che chi ha, sia obbligato, per titolo di giustizia, a comunicare del suo a chi non ha. In una parola, della limosina del ricco o del benestante vuol fare un atto di giustizia, non un'opera di carità.
Posto ciò, siccome ad ogni diritto corrisponde un dovere e, viceversa, ad ogni dovere corrisponde un diritto, ne seguirebbe che il povero ha un diritto sopra i beni del ricco o dell'agiato; e se questi non adempie il dovere di fargli parte dei suoi beni, il povero, per ragion di giustizia, può richiederne la riparazione.
Le conseguenze pratiche di questa suprema formola della democrazia sono facili a dedursi. Col Vangelo in mano, si legittimerebbero pian piano tutti gli eccessi, ai quali, conduce l'altra formola del Proudhon, che la proprietà è un furto.

XIII.

Ma per mettere cristianamente a posto le cose, si distingua: il ricco ha l'obbligo di aiutare col suo, in quanto può, il povero; questo è vero: ma è falso che l'obbligo sia di giustizia verso il povero: è invece di carità verso Dio. Il ricco ha un dovere sacro di soccorrere il povero, perchè il Signore Iddio glielo ha ingiunto colla naturale legge e col precetto evangelico dell'amore: e se a questo dovere falla, non offende l'uomo, offende Iddio. Il diritto per ciò verso il ricco risiede in Dio, non risiede nel povero; il quale conseguentemente non ha ragione alcuna di giustizia, per esigere dal ricco il soccorso.
Premessa questa dichiarazione, si vede subito quanto sappia d'ambiguo la formola, che nessuno ha diritto al superfluo, finchè vi è chi manca del necessario. Data ancora al vocabolo superfluo la più ampia significazione, resta sempre vero che, rispetto agli altri uomini, ognuno ha diritto al suo, ossia superfluo o non sia, ossia capitale del patrimonio, o ne sia frutto: nè Gesù Cristo, prescrivendo di fare limosina col superfluo: Quod superest date eleemosynam [4], ha potuto intenderci di spogliare, in pro dei poveri, i ricchi del naturale loro diritto di possedere il proprio.
Dal che si fa palese l'errore cubitale che cova sotto l'ambiguità della suddetta formola, la quale, appresa come si è spiegato, scioglie la questione sociale; appresa diversamente, la imbroglia sempre più e la confonde. In vero, il socialismo è una enormità che la Chiesa unicamente può dissipare, nel giro delle idee, colla luce della verità sua e, nel giro dei fatti, con l'accordo della giustizia e della carità.
E così torna a dimostrarsi che il cristianesimo, quantunque non abbia per oggetto immediato della sua operazione la civiltà umana e la naturale felicità, pure tanto conferisce a promuovere l'una e l'altra, che si può affermare senza esagerazione, i popoli più veracemente civili e felici essere sempre stati i più veracemente cristiani.

XIV.

Dall'esposto finora si raccoglie, che se dall'un lato è assurdo spacciare il cristianesimo per cittadella, e il divino suo Istitutore per duce supremo della democrazia, dall'altro sarebbe stolto il rappresentarli come avversi a questo modo di politico reggimento. La Chiesa di Gesù Cristo niuna forma di Governo predilige e niuna ripudia; perocchè tutte possono essere ugualmente giuste e buone, secondo i diritti, gli aggiunti e i casi che ne determinano la costituzione: e con tutte le è facile accordarsi, per adempiere il soprannaturale uffizio da Dio commessole nel mondo.
Ben è certo che ella mai nè protegge, nè ispira la tirannide, addolcendo invece l'esercizio del comando negl'imperanti, conforme il documento del celeste Maestro, che inculcò ai superiori la benignità, l'umiltà e la carità, e diede loro in esempio sè medesimo, che non venne ministrari, ma ministrare: di che nella Chiesa stessa questo esercizio della podestà, anche somma, prese nome di ministero, non punto d'imperio, nè di regno, nè di dominazione. [Sicut Filius hominis non venit ministrari, sed ministrare, et dare animam suam redemptionem pro multis. — Siccome il Figliuolo dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per servire, e dare la sua vita in redenzione per molti. Matth. XX, 28. N.d.R.] Col rendere poi, quando sia ascoltata ed ubbidita, gli uomini cordialmente religiosi ed onesti, la Chiesa induce nella società civile il rispetto e l'osservanza delle sane e legittime libertà; avendo i cittadini tanto minor bisogno dell'esterior freno delle leggi, quanto più forte è quello che sentono nella coscienza; per lo che non a torto sentenziava Tacito, che plurimae leges, pessimam Rempublicam [Cfr. Annal. III, 27: Corruptissima republica plurimae leges. — Nella repubblica corrottissima, leggi assaissime. N.d.R.]. Onde francamente asseriamo, che la democrazia, fondata nella giustizia e praticata con virtù, fuori degl'influssi del cristianesimo, è una chimera. E ciò, perchè questa forma di vita politica richiede una concordia fra la libertà e l'autorità, che non si può stringere in altre mani, salvochè in quelle della religione; e domanda una così fatta temperanza negli animi dei governanti e dei governati, che non si trova eccettochè nel timore di Dio.
E questa è la ragione potissima, per la quale i Governi a popolo, o democratici, siccome le storie in generale ci dimostrano, o sono trascorsi quasi meteore passeggere o, se a lungo sono durati, sono anche riusciti semenzai di civili guerre e discordie; e quindi sono poi quasi sempre stati spenti dalle dittature, convertite in Principati. A provare il qual fatto abbondano le testimonianze antiche e le moderne. Tutte le Repubbliche democratiche, sorte nei tempi del cristianesimo, e quelle segnatamente dei nostri Comuni d'Italia nel medio evo, furono teatri di gare, di odii, di sanguinose e diuturne lizze intestine, di tumulti e di disordini infiniti: e poi, eccettuata la elvetica, tutte caddero, quali in un modo e quali in un altro, sotto la spada e lo scettro di un signore. Le sole che sopravvissero molti secoli ed ebbero glorie pari alla vita, furon le due di Venezia e di Genova, che non erano altrimenti democratiche, ma aristocratiche.

XV.

Nulla diciamo degli esempii che il secolo nostro ci offre, poichè nessuna delle istituzioni democratiche introdotte dalla rivoluzione ha niente che rassomigli ad una vera democrazia: ma tutte sono strumenti di tirannia di una setta, cupida di godere gli onori e i vantaggi del predominio, per ingrassare i suoi, impoverire e far imbestiare i popoli e guerreggiare Cristo e la sua Chiesa.
La rivoluzione moderna, mossa dallo spirito anticristiano delle logge e delle sinagoghe, non si è curata, nè si cura dei popoli, nè si è curata, nè si cura dei re: si è curata e si cura soltanto de' suoi proseliti e de' suoi gerofanti. Sotto colore di rilevare i popoli dall'abbiezione, ha democratizzate al possibile le monarchie, riducendole ad una larva di quel che furono: e sotto colore di assodare le libertà acquistate ai popoli colle sue democrazie, le ha snaturate. Ad altro non è riuscita, se non a raffazzonare oligarchie che deprimessero i troni ed opprimessero le plebi, col solo intento di spiantare l'ordine del cristianesimo.
Perciò, in questo secolo che muore, niun edifizio politico si è creato, che non posasse sull'arena e non sia crollato, o di crollare non minacci, poco dopo che si è costruito. Contro Dio è impossibile cosa venire a capo di niente: e chi contro Dio innalza Stati e Repubbliche, attira sopra l'opera sua le maledizioni che affrettano la ruina e la morte.
Ma, checchè sia per avvenire nel mondo, allorchè questa nostra epoca di demolizione e di nichilismo politico e morale sia passata; succeda allo sfacelo della civiltà liberalesca un conserto di monarchie o di democrazie, certo è che, se avrà da sussistere, bisognerà necessariamente che esso fondato sia in quell'unica pietra, fuori della quale niente regge e dura.
Prima dunque di lasciarsi adescare da offerte di alleanza colla democrazia, i cattolici tengano fisso l'occhio nelle verità e dottrine che abbiamo sinora indicate. La democrazia che, nell'Italia almeno, possa coi cattolici allearsi, è ancora da nascere. Gli aggruppamenti disgregati, che pretendono formarla, non sono tanto composti di democratici, quanto di demagoghi; e quelli che pure dalla demagogia si discostano e l'aborrono, non mostrano avere nessun chiaro concetto di una democrazia, che appaia, nel tempo medesimo, atta a conciliare insieme le ragioni sociali del cattolicismo e le esigenze storiche degl'Italiani. Per ora questa lor democrazia, per dirla col poeta, è una luce,
Quale in nubilo ciel dubbia si vede,
Se 'l dì alla notte, o s'ella a lui succede.

NOTE:

[1] Vedi quad. 1084 a p. 390 e segg.
[2] Ebr. V, 1.
[3] Giov. VII, 22.
[4] Luc. XI, 41.