mercoledì 30 ottobre 2013

Sono ancora qui grazie a San Giuda Taddeo?

Sono ancora qui grazie a Giuda Taddeo?

È difficile scindere la Verità, la Fede, la superstizione popolare dai progressi di quella che all’epoca era la moderna medicina urologica della fine anni ’60, primi anni ’70, dove – forse – il disegno di un Dio superiore si manifesta attraverso strane ed imperscrutabili vie ammantando di sapienza e un pizzico di follia, dettata dallo stato di necessità, trasformando un infante malato in un oggetto/ soggetto di sperimentazione chirurgica e farmacologica, non diversa dalle attuali cavie da laboratorio.
Nel testo universitario di medicina urologica “Le ostruzioni cervico-uretrali nell’infanzia” di F.Pagano, G. Passerini e G.F, Rizzoni, Ed. Piccin del 1975 a pagina 52, con tanto di foto, si può leggere:
“... bambino di 33 giorni, ricoverato per grave insufficienza respiratoria e riconosciuto affetto da ascite. È evidente l’aumento del volume dell’addome. Dopo paracentesi, che consente un miglioramento delle condizioni respiratorie, segue l’urografia ...”
Le asettiche parole dell linguaggio medico, pochi giorni dopo il battesimo, nel giorno del primo ricovero, non svelavano ancora il mio reale e quadro clinico. Pochi giorni dopo a poco più un mese di vita, venni dato per spacciato.
I miei genitori, persone devote – a modo loro – affranti dal dolore, la sera stessa del ricovero si recarono a chiedere conforto al sacerdote della chiesa dove ero stato battezzato e dove si erano sposati. E il Ministro di Dio, che mi fu amico per gli anni successivi, con poche semplici parole disse: «Se è ancora vivo, vivrà! Lo metteremo sotto la protezione dei Santi Simone e Giuda» , i Santi della “cause impossibili” a cui la chiesa era dedicata.
Nacqui con una malformazione congenita alle vie urinarie, per dirla in modo profano, gli ureteri, i condotti che portano l’urina dai reni alla vescica, invece di essere dritti erano attorcigliati. La peculiarità e la stranezza del caso era dettata dal fatto che raramente questa patologia congenita è bilaterale.
Dopo sei interventi, con la situazione che mi vedeva più di la che di qua, si tentò un esperimento: si sostituirono gli ureteri, totalmente quello destro e parzialmente quello sinistro, con un ansa intestinale, eseguendo un autotrapianto, per evitare il rigetto. L’intervento tecnicamente riuscì.
Passai un anno e mezzo dei primi due anni di vita, dentro e fuori l’Ospedale Civile di Padova, tra infezioni, errate valutazioni cliniche e sottrazione di latte da parte di alcune suore, che lo davano ad altri degenti, visto che a loro avviso – senza essere dottori – mi davano per spacciato. Successivamente venni sottoposto tra le altre cose, a seguito di una grave infezione batterica, alla somministrazione di un farmaco sperimentale, a base di ormoni di maiale, nel tentativo – riuscito – di debellarla.
Superai tutte le fasi critiche, portandomi appresso in ogni caso strascichi emotivi, psicologici e fisici. A tutt’oggi, conservo, come reliquie, le cicatrici sull’addome, sentendomi come un perseguitato dal destino che ha vinto decine combattimenti nell’Anfiteatro Flavio, protetto da Ipoccrate e da Ascelpio, avendo sempre rifiutato sin dall’età di otto anni gli inviti che mi rivolgevano i cerusici di sottopormi ad una serie di interventi di chirurgia plastica.
Secondo quanto mi è stato sempre detto, fui il primo sopravvissuto al mondo su 39 casi documentati, affetti della mia stessa patologia: “uropatia bilaterale”.
Il mio quadro clinico si stabilizzò in modo relativo verso i tre anni e rimase tale fino all’inizio della pubertà. Ci stavano gli esami di routine, le visite dal nefrologo, dall’urologo, i ricoveri di breve durata per i ceck-up completi,insomma, la vita quasi normale di una persona che ha sfiorato per un pelo la dialisi, visto che la mia funzionalità renale ha sempre oscillato entro i limiti di guardia. 
Con l’arrivo della pubertà l’uretere destro, quello totalmente di ileo intestinale, si sviluppò secondo ciò che era la sua configurazione originale, inadatta all’interno della sua nuova sede. Questo iniziò a causarmi il riacutizzarsi di vecchi problemi: infezioni, coliche renali, cistiti, febbri, a cadenze sempre più ravvicinate.
Mi recai a fare un esame radiologico e vidi la mia condizione interna; avevo imparato da anni a leggermi le radiografie, capii che si era tornati nuovamente all’inizio. Il primario di allora optò per un intervento chirurgico, che fu fissato nell’agosto del 1984, ma quando mi ricoverai per sottopormi all’intervento, cambiò idea. Era troppo rischioso e mi rimandò a casa. Ma prima di andarmene ebbi un incontro con lui , riuscendo a convincerlo a fissare una nuova data: «Se devo morire – gli dissi – tanto valeva morire sotto i ferri».
Venni ricoverato il 10 dicembre del 1984 e dimesso lunedì 07 gennaio del 1985. L’ottavo intervento avvenne il 14 dicembre 1984, entrai in sala operatoria alle 07.30, uscendone alle 17.30. Di quei 27 giorni, a distanza di trent’anni, oggi, dopo un lungo periodo di rimozione, ricordo ogni singolo momento, dolori, odori, particolari, sensazioni, pensieri e paure, ma non fu facile ripescare dagli anfratti del vissuto, negli angoli nascosti e inaccessibili dei ricordi che non volevano più essere portati alla luce.
Oggi mi sento un “angostico-credente”; so che la definizione può apparire come una contraddizione, ma trovo irrazionale abbandonarsi ciecamente ad una fede o a una religione, togliendo il freno a mano, ma rispetto quanti sono dotati di una solida Fede.
Mi hanno salvato San Simone e San Giuda? Non lo so. Mi sentieri superbo nel dire che questi due Santi della tradizione cattolica si sono degnati di mettermi una mano sul capo; probabilmente, non lo posso sapere. Certo è che sono avvenute una serie di “coincidenze”, di eventi concatenati e legati l’uno all’altro, che potrebbero fare parte di un “disegno Superiore”, ma che come ogni comune mortale non posso né toccare né percepire, se esiste un disegno Superiore.
Tuttavia non posso nemmeno esimermi dal pensare che se forse non fossi stato messo sotto la loro protezione, oggi non sarei qui a scrivere queste poche righe. Resta solo da stabilire se per me e per gli altri tutto ciò è stato un bene o un male.
Il giudizio lo lascio a quella “Forza” più grande dell’uomo, ma che - secondo me - è “presente nell’uomo”, semmai un giorno dovessi trovarmi dal Suo cospetto e scoprire, con stupore, che quella “Forza” esiste e che i Santi Simone e Giuda intercedettero per me presso Costei.

Marco Bazzato

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