domenica 7 luglio 2013

Sull’infallibilità nella canonizzazione

Giovanni Paolo II, santo subito!
Prima di addentrarci nello studio della canonizzazione, quindi dell’infallibilità connessa e necessaria, sarebbe opportuno capire chi sono i santi, in cosa consiste la santità, cosa significa perseverare nella santità, ecc …
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La santità è il disprezzo del mondo, l’attaccamento e l’unione con Dio e con Gesù Cristo
da I Tesori di Cornelio A Lapide [vol. III, Ed. Internazionale, Roma, 1949, pp. 434 e succ.]
E’ santo colui che si mantiene fedele alle promesse fatte nel santo battesimo. «Che cosa è la santità? domanda il Nazianzeno, e risponde: è lo stare continuamente con Dio. Così Enoch e Noè, camminando con Dio divennero santi» (Iamb. XV). 
La santità consiste, dice S. Tommaso, nell’essere mondi da peccato, e nel praticare il bene con perseveranza (2a 2ae q. LXXXI, art. 8). «La santità del corpo, dice S. Gregorio, sta nella purezza; la santità dell’anima, nella carità e nell’umiltà» (Moral.).
La santità è lo stato al quale si arriva per mezzo del fedele adempimento di tutti i doveri; essa è a dir vero, la pratica di tutte le virtù, perché la santità le suppone e contiene tutte. La santità insomma richiede da noi che rinunziamo all’empietà e ai desideri del secolo, e viviamo nel mondo sobri, giusti e pii (Tit. II, 12).
«Io vi scongiuro, o fratelli, per la misericordia di Dio, che offriate i vostri corpi in ostia vivente, santa, accetta a Dio» (Rom. XII, 1). Su queste parole dell’Apostolo così ragiona, S. Giovanni Crisostomo: «Offrite a Dio i vostri corpi, alienateli da voi e trasferiteli nel dominio di Dio; affinché ve ne serviate, non a vostro talento, ma per il culto e l’onore di Dio» (Homil. ad pop.).
Gesù Cristo ha santificato la sua Chiesa, affinché ella comparisse dinanzi a lui gloriosa, senza macchia, senza ruga, senza neo, fosse santa ed immacolata (Eph. V, 26-27). Tale deve essere la santità del cristiano, il quale deve vivere talmente di Gesù, che possa dire con S. Paolo: Il mio vivere è Gesù Cristo (cf. Philipp. I, 21). «Non sono io che vivo, ma è Gesù Cristo che vive in me» (Gal. II, 20). Per praticare la santità, bisogna adempiere il precetto di S. Pietro: «Siate santi in tutto e dovunque» (1, I, 15).
«Siate santi, dice Gesù Cristo, come santo è il Padre vostro celeste» (Matth. V, 48). Ecco il modello e la misura della santità che deve essere in un cristiano: la santità di Dio e la santità di Gesù Cristo sono la forma della vita santa e veramente cristiana.
Attributi. – Il primo attributo di Dio è l’immutabilità, perché secondo la parola di S. Giacomo «in Dio non vi è né cambiamento, né ombra di rivoluzione» (Iac. I, 17); – Il secondo attributo di Dio è che ogni bene gli piace, ed aborre ogni male; – Il terzo attributo di Dio è la previdenza o prescienza; – Il quarto è la pazienza; – Il quinto è la giustizia; Il sesto è la rettitudine; – Il settimo attributo di Dio è la sua liberalità infinita; – L’ottavo attributo è che Dio facilmente si placa [così i Santi non la durano mai lungo tempo nella collera e nello sdegno, anche il più giusto]; – Il nono è che Dio è pronto al perdono con quelli che l’hanno gravemente offeso; – Il decimo attributo di Dio è la sua veracità nelle parole e nelle promesse; – L’undicesimo è che in Dio non vi è accettazione di persone; – Il dodicesimo è la fermezza; – Il tredicesimo è che Dio non cerca mai i propri vantaggi e nelle opere della creazione, della redenzione, della conservazione, del governo dell’universo, non mira che al bene degli uomini e delle altre creature; – Il quattordicesimo è che Dio fa ogni cosa bene e perfettamente; – Il quindicesimo è che Dio non punisce due volte la medesima colpa.
Dio possiede tutti questi attributi e anche l’uomo può possederli: perciò Dio dice agli uomini: «Siate santi, perché io sono santo» (Lev. XIX, 2).
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«Siate santi, dice Gesù Cristo, come santo è il Padre vostro celeste» (Matth. V, 48)
«Siate santi, dice Gesù Cristo, come santo è il Padre vostro celeste» (Matth. V, 48)
 
Origene dice: «Come il sole, la luna, gli astri del firmamento splendono continuamente agli occhi delle creature che stanno sotto il cielo, così le insegne delle virtù dei Santi e le loro generose lotte risplendono meravigliosamente e sempre al cospetto di tutto il mondo; forniscono a tutti la norma del bene, porgono a tutti l’esempio della pietà e della santità» (Commentar.). E infatti, le vite dei Santi trasmesseci per iscritto, sono vive immagini messe dinanzi a noi come stimolo ad imitarne le sante opere, a ricopiarne le virtù sublimi.
S. Isidoro di Siviglia scrive: «Quando non esistessero i precetti divini che ci ammoniscono di fare il bene, basterebbero a tenere luogo della legge gli esempi dei Santi» (In Vita).
I Santi si elevano al di sopra di tutte le opere di Dio. Essi sono come un cielo, un sole vivente il quale narra la gloria di Dio per mezzo della loro bocca, del loro cuore, delle loro azioni. La loro vita ci è proposta in esempio, per provarci che possiamo imitarli, anche facilmente, e che l’imitarli ci porta gloria e utilità.
I mezzi per arrivare alla santità, e per perseverare in essa, sono: 1° la presenza di Dio…; 2° la fede…; 3° la vigilanza e la sobrietà…; 4° l’amor di Dio… «Tre cose, dice S. Agostino, deve osservare chi vuoi essere santo: la purità del corpo, la castità dell’anima, la verità della dottrina» (De Civ. Dei).
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Cosa santifica e vivifica il genere umano?
Concilio di Basilea, Ferrara e Firenze (1431-1445), SESSIONE XIII, 30 novembre 1444, Bolla di unione dei Siri: «[...] Il Signore, il quale non ha limiti nella sua onnipotenza e sapienza, ha sempre operato cose grandi e inscrutabili nella chiesa cattolica, che è la città di Dio, fondata sul monte santo dell’autorità della sede apostolica e di Pietro, questo però, di particolarmente singolare e grande le ha concesso l’ineffabile provvidenza del suo fondatore: che la retta fede, la quale, sola, santifica e vivifica il genere umano, rimanga sempre, in quel monte santo, in una sola ed immutabile confessione della verità, e che i dissensi che nascono contro la chiesa dai vari modi terreni di sentire e che separano dalla solidità di quella pietra, tornando a quel monte siano sterminati e sradicati. Per cui i popoli e le nazioni, confluendo al suo seno, si trovano d’accordo con essa in una sola verità». [Conciliorum Oecumenicorum Decreta, EDB, 2002, pp. 586 e succ.]
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Sessione Solenne del Concilio di Trento nel luglio del 1563
Sessione Solenne del Concilio di Trento nel luglio del 1563
Solo la retta fede santifica e vivifica il genere umano
Concilio di Trento (1545-1563, con interruzioni), SESSIONE V, 17 giugno 1546: «Perché la nostra fede cattolica, senza la quale è impossibile piacere a Dio, rimossi gli errori, resti integra e pura e perché il popolo cristiano non sia turbato da ogni vento di dottrina dal momento che l’antico, famoso serpente, sempre nemico del genere umano, tra i moltissimi mali da cui è sconvolta la Chiesa di Dio [...], ha suscitato nuovi e vecchi dissidi [si condannano varie eresie “sia anatema”] [...] il primo uomo Adamo, avendo trasgredito nel paradiso il comando di Dio, ha perso subito la santità e la giustizia, nelle quali era stato creato e che è incorso per questo peccato di prevaricazione nell’ira e nell’indignazione di Dio, e, quindi, nella morte, che Dio gli aveva prima minacciato, e, con la morte, nella schiavitù di colui che, in seguito, ebbe il potere della morte e cioè il demonio; e che Adamo per quel peccato di prevaricazione fu peggiorato nell’anima e nel corpo [...] la prevaricazione di Adamo nocque [...] anche alla sua discendenza [e tutti perdemmo] la santità e giustizia ricevuta da Dio [...] il signore nostro Gesù Cristo, che ci ha riconciliati con Dio per mezzo del suo sangue, [è] diventato per noi giustizia, santificazione e redenzione [...] non esiste sotto il cielo altro nome dato agli uomini nel quale è stabilito che possiamo essere salvi [...] i bambini, che non hanno ancora potuto commettere peccato, vengono veramente battezzati, affinché in essi sia purificato con la rigenerazione quello che contrassero con la generazione. Se, infatti, uno non rinasce per l’acqua e lo Spirito santo, non può entrare nel regno di Dio [...] Questo santo Sinodo confessa che tuttavia nei battezzati rimane la concupiscenza o passione. Ma, essendo questa lasciata per la lotta, non può nuocere a quelli che non acconsentono e che le si oppongono virilmente con la grazia di Gesù Cristo. Anzi, chi avrà combattuto secondo le regole [della Chiesa cattolica], sarà coronato [diventerà santo, poiché osserva la nostra fede cattolica, senza la quale è impossibile piacere a Dio]». [Decreti del Concilio di Trento, Testo divulgativo con annotazioni delle fonti, Internetsv.info, Roma 2005]
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Papa Giovanni XV
Papa Giovanni XV
Sulla canonizzazione in breve e Cum conventus esset
La canonizzazione è un giudizio solenne, definitivo e infallibile (dichiarazione ex cathedra) sulla santità di un Servo di Dio già dichiarato «beato» da parte del Romano Pontefice. Con esso si dichiara che egli è degno di essere venerato da tutta la Chiesa perché vissuto in modo esemplare; può essere perciò imitato, invocato e onorato con culto di dulia. Il più antico PROCESSO di canonizzazione fu celebrato in un sinodo del Laterano il 31 gennaio del 993: interessò il vescovo Udalrico (o Ulrico). Ne informa Giovanni XV con lettera enciclica Cum conventus esset, indirizzata ai vescovi e agli abati della Gallia e della Germania il 3 febbraio 993. [cf. Dizionario del Cristianesimo,E. Zoffoli, Sinopsis, Roma, 1992, v. canonizzazione]
Il primo caso di canonizzazione extra urbem è quello di papa Innocenzo I (401-417) a proposito di Vigilio, vescovo di Trento (380-405). Il più antico PROCESSO, come detto, è attestato e formalizzato nel Sinodo Lateranense del 31 gennaio 993, durante il quale Giovanni XV (985-996) canonizzò sant’Ulrico, vescovo di Augsburg (890-973); ecco l’enciclica, che fu poi inviata ai vescovi, Cum conventus esset, 3 febbraio 993:
«In seguito a comune consultazione abbiamo decretato che la memoria di lui, cioè del Santo Vescovo Ulrico, debba essere venerata con piissimo affetto e fedelissima devozione: poiché preghiamo e veneriamo le reliquie dei martiri e dei confessori al fine di adorare colui di cui essi sono testimoni e confessori; onoriamo i servitori, affinché l’onore ridondi al Signore, che ha detto: “Chi accoglie voi, accoglie me” (Mt 10, 40): e di conseguenza noi, che non abbiamo fiducia nella nostra giustizia, possiamo venire sempre aiutati dalle loro intercessioni e meriti presso Dio clementissimo, giacché i molto salutari precetti divini e gli insegnamenti dei santi canoni e dei venerabili padri facevano efficacemente istanza con il pio sguardo della considerazione di tutte le chiese, nonché con l’appoggio del governo apostolico, di raggiungere i vantaggi appropriati e l’intera misura di stabilità, nel senso che la memoria del sopra citato venerabile Vescovo Ulrico venga assegnata al culto divino e possa essere sempre di aiuto alla devotissima presentazione delle lodi a Dio». [Denzinger, 675]
Di notevole interesse è la bolla di Onorio III (1216 – 1227) in cui venivano definiti precisi criteri per la canonizzazione, fra cui «opera pietatis in vita et miraculorum signa post mortem».
Nel processo per la canonizzazione di Ildegarda di Bingen, Gregorio IX (anno 1233) comandò studi e investigazioni precise «de ipsius vita, conversatione, fama, mentis, et miraculis et generaliter de omnibus circumstantiis».
Gregorio IX (1227 – 1241) nel 1234 vincolò tutti i vescovi a chiedere l’approvazione pontificia prima di procedere a qualche canonizzazione: «Sine papae licentia non licet aliquem venerari pro sancto». E’ documentato che Gregorio IX accluse alle Decretali la lettera Audivimus che Alessandro III inviò al re Canuto, Kol di Svezia, poiché sembra che questi ed il suo popolo veneravano come santo un suo avo alcolizzato per la cui intercessione, pare, avvenissero miracoli. Il Papa comandò: «Anche se ci sono dei miracoli non vi è permesso considerare santo e venerare qualcuno, senza l’approvazione della Chiesa di Roma». [Quaderni di diritto ecclesiale, Ancora, 2002, p. 75 e succ.]
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Bisognerebbe rammentarlo anche ai “medjugorjani” che autonomamente ed in gruppo venerano tal Slavko Barbaric, sacerdote deceduto il 24 Novembre del 2000, durante la Via Crucis sul monte Krizevac, e gli attribuiscono “prodigi”. Va detto che p. Slavko morì in disobbedienza, addirittura privato della giurisdizione confessionale dal Vescovo di Mostar-Duvno, Ratko Peric [1]. La Gospa di Medjugorje, il giorno dopo la morte del Barbaric: «Cari figli, oggi quando il Cielo vi è vicino in modo speciale vi invito alla preghiera, così che attraverso la preghiera mettiate Dio al primo posto. [...] Gioisco con voi e desidero dirvi che vostro fratello Slavko è nato al Cielo e che intercede per voi. Grazie per aver risposto alla mia chiamata». [Messaggio dato dalla “Madonna” a Medjugorje il 25 novembre 2000] ???
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Il primo caso di processo ordinario (processus ordinarius) dovrebbe essere quello per la canonizzazione di Raimondo di Penafort (1279), poiché il Concilio provinciale di Tarragona fece preparare un Libellus da consegnare seguentemente alla Santa Sede. [Ibid.]
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Tra il 1470 e il 1475 Benozzo Gozzoli eseguì la tavola col Trionfo di san Tommaso d'Aquino, esposta al Louvre
Tra il 1470 e il 1475 Benozzo Gozzoli eseguì la tavola col Trionfo di san Tommaso d’Aquino, esposta al Louvre
 
San Tommaso d’Aquino e l’infallibilità nella canonizzazione
DIFFICOLTÀ: Sembra che alcuni di coloro che sono stati canonizzati nella Chiesa possano essere nell’inferno. Infatti:
1. Nessuno può essere certo dello stato di qualcuno come lui stesso, poiché «le cose dell’uomo nessuno le conosce all’infuori dello spirito dell’uomo che è in lui», come si legge (1 Cor 2,11); ora, l’uomo non può essere certo riguardo a se stesso se è in stato di salvezza, come si legge (Qo 9,1): «Nessuno sa se è degno di odio o di amore»; quindi molto meno lo sa il Papa: quindi può sbagliare nel canonizzare.
2. Chiunque nel giudicare si basa su un mezzo fallibile può sbagliare; ora, la Chiesa nel canonizzare i santi si basa su una testimonianza umana, dato che indaga mediante testimoni sulla vita e sui miracoli: quindi, essendo la testimonianza degli uomini fallibile, sembra che la Chiesa nel canonizzare i santi possa sbagliare.
IN CONTRARIO:
1. Nella Chiesa non ci può essere errore biasimevole; ora, sarebbe un errore biasimevole se si venerasse come santo chi fu un peccatore, poiché alcuni conoscendo i suoi peccati o l’eresia, se fosse il caso, potrebbe essere condotto all’errore: quindi la Chiesa in tali cose non può errare.
2. S. Agostino scrivendo a S. Girolamo (Lettera 40,5) dice che se si ammette qualche menzogna nella Scrittura canonica muterà la nostra fede, che si basa sulla Scrittura canonica; ora, come siamo tenuti a credere ciò che si trova nella Sacra Scrittura, così [anche] ciò che è comunemente determinato dalla Chiesa, per cui è giudicato eretico chi sente contro la determinazione dei concili: quindi il comune giudizio della Chiesa non può essere erroneo. E così come prima.
SOLUZIONE:
Una cosa può essere considerata possibile considerata in se stessa, mentre riferita a qualcosa di estrinseco risulta impossibile. Dico dunque che è possibile che il giudizio di coloro che presiedono alla Chiesa possa sbagliare in qualsiasi cosa, se si guarda soltanto alla loro persona. Se però si considera la divina provvidenza che dirige la sua Chiesa con lo Spirito Santo affinché non sbagli, come egli stesso promise (Gv 16,10) che lo Spirito che sarebbe giunto avrebbe insegnato tutta la verità, cioè riguardo alle cose necessarie alla salvezza, è certo che è impossibile che il giudizio della Chiesa universale sbagli nelle cose che appartengono alla fede; per cui bisogna stare più alla sentenza del Papa, al quale compete di determinare riguardo alla fede, che proponesse nel suo giudizio, che non all’opinione di qualsivoglia uomo sapiente nella Scrittura, poiché si legge che Caifa, sebbene di nessun valore, tuttavia in quanto pontefice profetizzò anche senza saperlo (Gv 11,51).
Nelle altre sentenze invece, che riguardano fatti particolari, come quando si tratta di possessioni o di crimini o di cose del genere, è possibile che il giudizio della Chiesa sbagli a motivo di falsi testimoni.
Ora, la canonizzazione dei santi è intermedia fra queste due cose: poiché tuttavia l’onore che prestiamo ai santi è una certa professione di fede, mediante la quale crediamo la gloria dei santi, bisogna piamente credere che nemmeno in queste cose il giudizio della Chiesa possa sbagliare.
RISPOSTA ALLE DIFFICOLTA’:
1. Il Pontefice, a cui compete canonizzare i santi, può certificarsi sullo stato di qualcuno mediante l’esame della vita e l’attestazione dei miracoli, e soprattutto mediante l’istinto dello Spirito Santo, che «scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio» (1 Cor 2,10).
2. La divina provvidenza assiste la Chiesa affinché in tali cose non si inganni a motivo della testimonianza fallibile degli uomini. [Se tutti i santi che sono stati canonizzati dalla Chiesa siano nella gloria, o alcuni di essi siano nell'inferno, Quodlibetal Questions, VIII, a. 1]
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Papa Benedetto XIV
Papa Benedetto XIV
Approfondimento
La Canonizatio è riconosciuta universalmente «[Canonizatio est] ultimum et definitivum iudicium, quo summus Pontifex declarat aliquem in coelum receptum atque ab omnibus colendum esse; co lendum nempe hoc saltem sensu, quod omnes fideles teneantur eum habere sanctum et cultu publico dignum. Differt a beatificatione, quae non est sententia definitva sed provvisoria, per quam cultus permittitur tantum aut saltem non universaliter praecipitur».
Così Benedetto XIV, De Servorum Dei beatificatione et de Beatorum canonizatione: «Si non haereticum, temerarium tamen, scandalum toti Ecclesiae afferentem, in Sanctos iniuriosum, faventem haereticis negantibus auctoritatem Ecclesiae in Canonizatione Sanctorum, sapientem haeresim, utpote viam sternentem infidelibus ad irridendum Fideles, assertorem erroneae propositionis et gravissimis poenis obnoxium dicemus esse qui auderet asserere, Pontificem in hac aut illa Canonizatione errasse… et de fide non esse, Papam esse infallibilem in Canonizatione Sanctorum [...]».
Papa Gregorio XVI
Papa Gregorio XVI
 
Citiamo, adesso, un esempio pratico che conferma la teoria dell’infallibilità pontificia nella canonizzazione [anche se non c’è bisogno], con la prassi pratica:
Papa Gregorio XVI circa «l’autorità di Alfonso de’ Liguori». L’arcivescovo di Besançon interroga la Sacra Penitenzieria circa l’autorevolezza di Sant’Alfonso nella sua teologia morale, da alcuni follemente ritenuta pericolosa per la salvezza.
Resp. S. Paenitentiariae ad archiep. Vesuntion [Risposta della S. Penitenzieria all’arcivescovo di Besançon], 5 luglio 1831: «[...] Quando alla seconda risposta, si deve notare che il giudizio della Santa Sede circa la dottrina di un beatificando avviene in vista della beatificazione. A questo fine è sufficiente che la dottrina sia immune da qualsiasi censura teologica – sit immunis a quacumque theologica censura» (cfr. Benedetto XIV, De Servorum Dei beatificatione, II, 28, § 2). Questo è il caso di Alfonso de’ Liguori.
Vedasi il decreto della S. Congregazione dei Riti del 18 maggio circa l’esame delle sue opere, come pure la bolla di canonizzazione Sanctitas et doctrina del 26 maggio 1839 (Gregorio XVI, Acta, a cura di A.M. Bernasconi 2, 305a-309b) e il decreto inter eos qui del 23 marzo 1871, che gli conferisce il titolo di «dottore della chiesa» (Pio IX, Acta, 1/V, 296-298). [...]
«Inoltre ha illuminato questioni oscure e spiegato questioni dubbie, spianando tra le avviluppate opinioni o più lassiste o più rigide dei teologi una via sicura, su cui le guide dei fedeli potessero avanzare senz’inciampo»«Obscura insuper dilucidavit dubiaque declaravit, cum inter implexas theologorum sive laxiores sive rigidiores sententias tutam straverit viam, per quam Christifidelium moderatores inoffenso pede incedere possent».
Lo scritto prosegue con disquisizione circa gli insegnamenti morali di Sant’Alfonso ed emerge chiaramente che «Il confessore [...] legge le opere del beato dottore per conoscere accuratamente la sua dottrina [...] ritiene di comportarsi in modo sicuro per il fatto stesso che la dottrina, che non contiene nulla degno di censura, egli possa prudentemente giudicare che è sana, sicura, per nulla contraria alla santità evangelica». Il confessore domanda se può essere molestato [...] se segue tutte le opinioni del beato Alfonso de’ Liguori?
La risposta al confessore, confermata dal Papa il 22 Luglio 1831, fu: «No, tenendo conto del pensiero della Santa Sede circa l’approvazione degli scritti dei Servi di Dio per il conseguimento della canonizzazione» [Cf. Denzinger, EDB, pp. 974 e 975].
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Sisto Cartechini, Dall’opinione al domma, Civiltà Cattolica, Roma, 1955
Sisto Cartechini, Dall’opinione al domma, Civiltà Cattolica, Roma, 1955
Attenzione. Quanto segue è molto sintetizzato. Per approfondimenti:
Il papa, dunque, è infallibile solo quando parla ex cathedra, ed è questa una prerogativa incomunicabile, strettamente personale, non perché come persona privata abbia la garanzia di essere esente da errore o da eresia, ma nel senso che è infallibile ciascuno indistintamente dei successori di Pietro. La definizione vaticana non precisa l’oggetto dell’infallibilità pontificia, ma la dichiara identica a quella della Chiesa nel suo oggetto primario, cioè nell’insegnamento di quanto è esplicitamente o implicitamente rivelato in materia di fede e di costumi. Ma è evidente che non si possono escludere dal dominio della infallibilità pontificia le cosiddette «verità connesse», le quali, benché non si trovino formalmente nella rivelazione, sono con questa così strettamente congiunte che vi si possono dire virtualmente contenute: un errore intorno a ciò metterebbe in pericolo la stessa fede. Tali verità sono le conclusioni teologiche, i fatti dogmatici, la canonizzazione dei santi e la legislazione ecclesiastica. [Sisto Cartechini, Dall’opinione al domma, Civiltà Cattolica, Roma, 1955, p. 16]
[...] la locuzione ex cathedra non sempre proclama dommi di fede. Allo stesso modo talvolta i pontefici obbligano la Chiesa ad ammettere alcune verità di fatto, che sono fatti dogmatici, come, per esempio, che le cinque proposizioni di Giansenio sono condannate nel senso oggettivo inteso dall’autore, che le ordinazioni anglicane sono invalide e che perciò i preti anglicani non hanno il carattere sacerdotale. Lo stesso si dica di tutte le bolle di canonizzazione. Ora è certo che anche in tali giudizi i pontefici e i concili sono infallibili trattandosi di verità connesse con la rivelazione, sebbene ancora non si possa dire che questa infallibilità sia domma di fede. Il Concilio Vaticano [primo], infatti, per fare astrazione da tale questione, nel definire l’infallibilità pontificia ex cathedra, parla di verità da tenersi e non di verità da credersi di fede divina. Che in queste sia infallibile, è il minimo, perché, se è infallibile, deve esserlo almeno in questo. [ibid., p. 24].
La canonizzazione dei santi. Essa non è se non l’applicazione concreta di due articoli di fede, quello sul culto dei santi e l’altro della comunione dei santi. È dottrina cattolica o teologicamente certo che la vita del santo che viene canonizzato sia esempio esimio e modello di vita cristiana e di perfetta virtù. [...]sarebbe prossimo all’eresia se, per esempio, uno dicesse: san Luigi non è in paradiso; questo vuol dire che il papa non è infallibile nella canonizzazione dei santi. [...] L’oggetto proprio che viene definito dalla Chiesa nella canonizzazione dei santi, è che una data persona in concreto, per esempio Giovanni Bosco, è un santo e merita quel culto il quale viene imposto a tutti i fedeli verso di lui. Da questo segue necessariamente che quel Santo già si trova in Paradiso. Ma nello stesso tempo la Chiesa ci propone col suo magistero ordinario, il medesimo santo come esimio esemplare di vita cristiana. [...] Nelle canonizzazioni dei santi è teologicamente certo che la Chiesa sia infallibile, non è invece teologicamente certo che lo sia anche nelle beatificazioni. [ibid., p. 57 e succ.]
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Concilio ecumenico Vaticano I
Concilio ecumenico Vaticano I
Conclusione
Ora, noi sappiamo che la Chiesa è, per definizione:Società visibile, religiosa, gerarchica, fondata da Cristo e da Lui organizzata come suo «Corpo Mistico», a cui chiama incessantemente tutti gli uomini; i quali, in essa, professano la medesima fede, accettano la medesima morale, partecipano al medesimo culto, rispettano la disciplina (in base allo status); sono istruiti, santificati e diretti dalla medesima Gerarchia che fa capo al Pontefice, successore di Pietro, Vicario di Cristo. Sue note caratteristiche sono l’unità nella fede, nella morale, nel culto, nella; la santità: attiva, procurata, e passiva, realmente posseduta; la cattolicità per l’universalità e indefettibilità della sua struttura, del suo dinamismo, del suo messaggio; l’apostolicità per la sua diretta e immediata derivazione dagli Apostoli, unici depositari della Rivelazione cristiana, non altri (senza gli Apostoli, oggi, nulla si avrebbe); la romanità per la sede già occupata da Pietro, Vicario di Cristo e Principe degli Apostoli.
La Chiesa, noi sappiamo certamente, e lo abbiamo studiato e letto: – è stata fondata da Gesù, nel sangue e nell’acqua, sulla base della fede di Pietro; essa, militante, discende da quella trionfante; – è l’attuale regno di Dio; – col Cristo suo Capo, la Chiesa forma una «persona mistica»; – è retta dallo Spirito Santo; – ottima la sua organizzazione; – i suoi poteri sono quelli medesimi che aveva al tempo degli Apostoli; – identica, nella Chiesa, la persona che governa e insieme ne dispensa i tesori; – i Vescovi hanno la stessa autorità degli Apostoli a cui sono succeduti; – la Chiesa (sacramento di Cristo) è stata istituita per amministrare i sacramenti; – fuori della Chiesa (uomini privi di Battesimo sacramentale, di sangue, di desiderio implicito o esplicito) nessuno può salvarsi; chi conosce sufficientemente la Chiesa e volontariamente la rifiuta non può salvarsi, salvo contrizione finale; – la Chiesa, destinata a propagarsi in tutto il mondo, non poteva né doveva restare nei confini del mondo giudaico; – la Chiesa, col moltiplicarsi dei fedeli, non aumenta la perfezione di Cristo, ma tende a moltiplicare le anime che ne possono partecipare; – Dio ha disposto che Roma, già capitale dell’impero, fosse il centro della Chiesa per meglio rivelare la sua vittoriosa potenza, sì che tutti apprendessero la fede dal suo Magistero; – l’unico Tempio di Gerusalemme prefigurava l’unità della Chiesa militante e trionfante; – la Chiesa è una come uno è il Cristo. Come unica è la fede degli antichi e dei moderni, così una è la Chiesa. La quale è un unico «corpo». La sua unità dipende dalla coordinazione di tutti al Cristo-Capo rappresentato dal Papa (se il Papa si macchia di crimini contro la fede ed il costume, la sua elezione fu illegittima oppure è decaduto -per vari motivi di dogma- dall’ufficio se l’elezione fu valida, quindi la Sede è vacante, ma la Chiesa continua a esistere, sempre, in attesa di un successore legittimo, validamente eletto, che operi per il bene-fine di Cristo); – la Chiesa trae la propria santità dalla Passione di Cristo; – le sue preghiere sono degne di essere esaudite da Dio; – la Chiesa (edificio) si consacra perché luogo dove si celebra l’Eucaristia; – la Chiesa universale non può errare (dove per Chiesa universale si intende sempre e solo la Gerarchia legittima con a capo il Papa canonicamente eletto, validamente e non decaduto); – il Magistero della Chiesa non sarebbe autorevole, se cadesse in qualche errore (se vi sono contraddizioni -errori- in materia di fede e morale nel Magistero, non è magistero; vuol dire che chi lo ha approvato non è successore legittimo. L’ipotesi teologica di una disobbedienza è minoritaria [2] poiché si tratta di anti-chiesa o anti-magistero da non prendere neanche in considerazione, è NON AUTENTICO).
Chiudiamo con una delle più diffuse sintesi note, sunto ampiamente ESATTO / CORRETTO: «Oggetto secondario dell’infallibilità sono quelle verità di fede e di morale che, benché non formalmente rivelate, sono però strettamente connesse con le rivelate. Sentenza certa (D. 1839 [DS- 3074]). Ciò emerge dal fine dell’infallibilità stessa, che è quello di “santamente custodire e fedelmente esporre il deposito della fede” (D. 1836 [DS. 30701). La Chiesa non raggiungerebbe questo fine se non potesse decidere in modo infallibile, sia positivamente accertando la verità sia negativamente riprovando l'errore opposto, circa dottrine e fatti che sono in stretto rapporto con la rivelazione. Appartengono all'oggetto secondario dell'infallibilità: 1) le conclusioni teologiche, che derivano da una verità formalmente rivelata e da una verità di ragione naturale; 2) i fatti storici, dal cui riconoscimento dipende la sicurezza di una verità rivelata (facta dogmatica); 3) le verità di ragione naturale, che sono strettamente connesse con le verità rivelate; 4) la canonizzazione dei santi, cioè il giudizio definitivo che un membro della Chiesa è stato accolto nella beatitudine eterna e dev'essere fatto oggetto del culto pubblico. Il culto reso ai santi, è, come insegna S. Tommaso, "una professione di fede, con cui crediamo alla gloria dei santi" (Quodl. 9, 16). Se la Chiesa potesse sbagliare nel suo giudizio, ne deriverebbero conseguenze inconciliabili con la sua santità.» [AA. VV.]
 
 
Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII presto santi (8.12.2013)
Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII presto santi (8.12.2013)
 
Si potrebbe – scherzando – obiettare: a) dopo il Concilio le procedure di canonizzazione sono cambiate [ma sono ancora cattoliche???]; b) il concilio ha introdotto collegialità, falso ecumenismo, ecc… [quindi??? è dottrina cattolica???]; c) a giudicare potrebbero essere organi post conciliari [che comunque sono visibili], quindi dubbiosi o equivoci [???]; d) il Concilio, con i suoi documenti, potrebbe far valutare “diversamente” vita e scritti del candidato, secondo nuovi presunti criteri [quali??? sono criteri cattolici???]. … Quindi l’infallibilità della canonizzazione sarebbe dubbia [???].
Risposta: Beh, se così fosse, è chiaro che la Fede non è più quella del Deposito, che la Chiesa non opererebbe più per il bene-fine di Cristo e di Essa stessa, che il Papa canonizzerebbe un “peccatore”, e tutto ciò è impossibile per Dogma di Fede, per le PROMESSE DI CRISTO – Infatti ai successori di Pietro è stato promesso lo Spirito Santo non perché per sua rivelazione manifestassero una nuova dottrina, ma perché con la sua assistenza custodissero santamente ed esponessero fedelmente la rivelazione trasmessa dagli apostoli, cioè il deposito della fede (Concilio Vaticano I) … si tratterebbe, quindi, di ANTI-CHIESA.
Carlo Di Pietro
 
Note: