lunedì 17 giugno 2013

Mons. Pildain y Zapiain o della realtà di una contraddizione

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 “FORTITUDO NOSTRA NOMEN JESU” 
Mons. Antonio Pildain y Zapiain fu un vescovo battagliero e buono, tutto dedito al suo gregge. Nacque a Lezo, piccola cittadina nella provincia basca del Guipùzcoa, il 13 gennaio 1890. Studiò teologia a Roma presso l’Università Gregoriana tra il 1907 e il 1912. Ordinato sacerdote il 13 settembre 1913, fu vescovo, per mandato di Pio XI, delle isole Canarie dal 1936[1] al 1966, il più lungo episcopato che quella diocesi ricordi.
Al seminario di Vitoria, ancor giovane, insegnò Lingua Ebraica, Storia della Filosofia e Teologia Dogmatica. Fu un oratore formidabile, dalla voce cristallina e dalla dizione chiara e trasparente[2]. Nella biografia scritta da Gabriel de Armas Medina si legge di lui:
“Consumato artista della parola, con padronanza assoluta della costruzione, le idee di Pildain vengono incatenate in magnifici periodi di precisa connessione logica. Possessore, d’altra parte, di un’immaginazione feconda e di un cuore ardente, il pubblico rimane attratto dalle sue labbra ed affascinato dall’eleganza ornamentale della sua mimica…”[3].
Ebbe un ruolo attivo nella vita politica spagnola dei primi anni trenta del secolo scorso, tanto che, in accordo con il propri vescovo, partecipò come candidato alle elezioni del 1931 e fu eletto deputato alle Corti Costituenti della II° Repubblica spagnola per la minoranza basco-navarra, all’interno della coalizione cattolico-fuerista.
A quarant’anni dalla morte, l’iscrizione posta sulla sua tomba, all’interno della Cattedrale di Las Palmas, vuole ancora donarci una sintesi della sua esistenza:
La Nostra fortezza, il nome del Signore.
Qui riposano i resti
dell’Ecc.mo e Rev.mo Dottor Don
Antonio Pildain y Zapiain.
degnissimo vescovo
di questa Diocesi delle Canarie
19-3-1937[4] – 16-12-1966.
Pastore amante dei poveri.
Difensore della Chiesa e della moralità.
Sollecito nella formazione dei sacerdoti.
Fedele al Magistero della Sede di Pietro.
Morì il 7 maggio 1973[5].
Il Magistero di Mons. Pildain fu abbondante e volto particolarmente a rimarcare la dottrina sociale della Chiesa, di cui era profondo conoscitore[6], per la tutela ed il miglioramento delle condizioni di vita delle fasce sociali economicamente più disagiate, attratte dalle illusorie e raccapriccianti teorie comuniste.  
Del comunismo, antidivino ed antireligioso, scrisse in perfetta aderenza agli insegnamenti dei Sommi Pontefici (specialmente di Pio XI e di Pio XII) nella Carta Pastorale Sobre el comunismo. ¿Adversarios o fautores? Puntos de meditación y examen de conciencia, pubblicata durante la Quaresima del 1945, dove pose ai lettori il dilemma sociale e politico di quel tempo, esortandoli a stare dalla parte di Gesù Cristo: “O cattolicesimo pieno, e senza concessioni di nessun genere; o comunismo rivoluzionario radicale. La scelta non può essere dubbiosa per nessun cristiano[7].
Ci sarebbero tanti validi motivi per ricordare la figura di questo eccellente e poco conosciuto Prelato. Tra questi, tuttavia, ne spicca uno che oggi sembra particolarmente utile illustrare. Si tratta dell’agonia che il cuore umile e pio di Mons. Pildain fu costretto a vivere a causa dell’approvazione, da parte del “Concilio”[8] Vaticano II,  della Dichiarazione Dignitatis humanae personae sulla libertà religiosa.
Il vescovo delle Canarie fu uno dei padri conciliari. E benché non risulta che egli abbia fatto parte di quella schiera di padri che, sotto il nome di Coetus internationalis patrum, volle metter freno alla ferocia neomodernista, fu uno dei massimi oppositori della Dichiarazione sulla libertà religiosa.
Dice, a questo proposito, il suo biografo don Agustin Chil Estevez:
“Alla minoranza che si oppose alla libertà religiosa apparteneva monsignor Pildain, il quale lavorò con tutte le sue forze e i suoi argomenti per mostrare ciò che era inaccettabile di questa dichiarazione [la dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa]”[9].
Riferisce, inoltre, lo stesso Estevez:
“Di tutti i temi che si trattarono al Vaticano II questo [la libertà religiosa] dovette essere quello che fece lavorare  e soffrire di più il vescovo delle Canarie. Tutte le sessioni nelle quali si trattò questo argomento della libertà religiosa dovettero essere per lui una autentica via crucis”[10].
La definitiva approvazione di Dignitatis humanae personae provocò a Mons. Pildain un grandissimo dolore ed un profondo senso di smarrimento. Questo vescovo esemplare e così zelante nella pratica della virtù rimase sconvolto dal fatto che la Chiesa (egli riteneva, infatti, Paolo VI vero Papa e il Vaticano II vero Concilio Ecumenico) si accingesse e facesse poi propria la dottrina contenuta in quel documento.
Per rappresentare questa importante e terribile circostanza della vita di Mons. Pildain ricorro alla testimonianza di Mons. José María Cirarda de Lachiondo, il quale all’epoca del “Concilio” era vescovo ausiliario del cardinal Bueno Monreal, arcivescovo di Siviglia, ma che conosceva Mons. Pildain sin dalla primissima giovinezza.
 Ecco il racconto di Mons. Cirarda de Lachiondo:
“Il 7 dicembre 1965 andai in auto con Mons. Pildain dal Collegio Spagnolo alla Basilica di San Pietro per l’ultima sessione di lavoro. Il giorno prima c’era stata una serie di votazioni su vari documenti conciliari. Tra di essi, la dichiarazione “Dignitatis humanae” sulla libertà religiosa. Mentre andavamo, Mons. Pildain mi disse quasi testualmente:
- “Se oggi si approva questa Dichiarazione, tornerò alle Canarie, salirò sul pulpito con la mitra e il pastorale e dirò ai miei fedeli: “Il Concilio Vaticano II insegna qualcosa di diverso da ciò che io ho spiegato in varie Lettere Pastorali sulla libertà religiosa. Non fate caso a quello che ho insegnato. Ha ragione il Concilio”.
Mi impressionò la lotta interiore che affliggeva il buon Don Antonio e gli replicai: “Non dica così. Bisogna considerare che una curva è concava o convessa a seconda del punto da cui la si guarda. Nei suoi scritti lei parlò dei diritti della verità. Il Concilio, invece, ha cambiato punto di osservazione e parla del diritto di ciascuno di agire secondo la propria coscienza”.
- “No, mi rispose con forza. Non voglio scandalizzarla. Ma se il Concilio approva il testo così come si presenta oggi, significa che difende il contrario di ciò che io ho insegnato. Non capisco”.
Chiamato in causa, osai porgli una domanda. “Perché usa ancora una volta una forma condizionale: Se il Concilio approva questa Dichiarazione? È certo che sarà approvata oggi. Ieri nella sessione cui il Papa non ha assistito ha avuto solo un centinaio, più o meno, di voti contrari. Oggi sarà ancor meno contraddetta. Perché continua a parlare al condizionale: Se è approvata la Dichiarazione…?”.
La sua risposta mi ha lasciato quasi pietrificato. Parlo al condizionale – mi disse –, perché ieri stesso presentai un testo alla Segreteria del Concilio, che iniziava dicendo: Utinam ruat cupulla Sancti Petri super nos antequam approbemus Declarationem De Libertate Religiosa…: (Possa crollare la cupola di San Pietro sopra di noi prima che approviamo la Dichiarazione sulla Libertà Religiosa…). Sono le otto e mezza del mattino e tutto può ancora accadere. Si fermò per un momento; e aggiunse: “Don José María: non voglio scandalizzarla. Stia sicuro che se la Dichiarazione viene approvata, tornerò alle Canarie, salirò sul pulpito e, come le ho detto prima, dirò al mio popolo: Il Concilio ha insegnato una dottrina diversa da quella che ho insegnato io sulla Libertà Religiosa. Mi sbagliavo. Non fate caso a quello che ho insegnato. Ha ragione il Concilio”.
La Dichiarazione fu approvata. E Don Antonio mantenne la sua promessa. Son passati già trentacinque anni. Forse qualcuno dei presenti ricorda Mons. Pildain nella pienezza del suo servizio episcopale, con mitra e pastorale, affermare la sua adesione senza riserva a quanto il Concilio aveva insegnato sulla libertà religiosa. Morì senza capire la dottrina conciliare in materia. Ma ha chiesto ai fedeli di ascoltare il Vaticano II e non quello che le sue lettere pastorali dicevano prima di esso”[11].
Il medesimo Mons. Cirarda, altrove, specifica che nella stessa occasione Mons. Pildain gli disse:
 “Io sono convinto che la Dichiarazione sulla libertà religiosa sia un enorme errore. ‘Perché?’, gli dissi. Perché la Chiesa ha insegnato sempre il contrario”[12].
Le parole indirizzate dal vescovo di Gran Canaria alla Segreteria generale del Concilio (“Possa crollare la cupola di San Pietro sopra di noi prima che approviamo la Dichiarazione sulla Libertà Religiosa…”) fanno quasi venire i brividi per l’immagine che portano con sé. Un’immagine che dà l’esatta dimensione di ciò che stava accadendo nel mondo nei giorni dell’approvazione della Dignitatis humanae e di promulgazione del nefasto conciliabolo detto Vaticano II. La Chiesa non cessava, ma la Vacanza della Sede di Pietro, che da allora perdura sino ad oggi, diveniva certezza.
Mons. Pildain indubbiamente sbagliò nel pensare che una dottrina contraria a quella sempre insegnata dalla Chiesa potesse provenire dalla Chiesa stessa, con tutto ciò che questo comporta in ordine al riconoscimento in capo a Paolo VI di un’Autorità pontificia che, invece, certamente non possedeva. In compenso, però, egli non assunse mai atteggiamenti “lefebvristi” tesi a compromettere la dottrina cattolica sull’infallibilità della Chiesa e del Papa.
L’evidenza della sua buonafede unita al candore della sua fermezza nel non voler ammettere la continuità del nuovo insegnamento sulla libertà religiosa, promulgato dal Vaticano II, con quello che la Chiesa aveva sempre proposto a credere ai fedeli è qualcosa di commovente e degno di riflessione, soprattutto per chi si ostina, ancor oggi, nella disperata impresa di voler far quadrare il cerchio. Di voler cioè credere, o tentar di far credere agli altri, che la dottrina contenuta nella Dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa sia conforme alla dottrina tradizionale sulla stessa materia.
Nessuno sarebbe stato in grado di togliere dalla mente di Mons. Pildain la consapevolezza di quella contraddizione. Di sicuro la sua dolorosa esperienza ci rattrista e ci incoraggia al contempo, perché rafforza – se mai ce ne fosse bisogno – la certezza che il Vaticano II nel proporre la propria dottrina sulla libertà religiosa si discosta dalla dottrina della Chiesa, contraddicendola irrimediabilmente.
L’iscrizione tombale di Mons. Pildain, abbiamo visto, conclude affermando che egli fu fedele al Magistero della Sede di Pietro. Purtroppo, questo, almeno oggettivamente, non corrisponde al vero, perché Mons. Pildain si sottomise alle volontà del conciliabolo, professandone le dottrine anche come “vescovo”. E per inevitabile conseguenza disconobbe, almeno esteriormente, il Magistero della Sede di Pietro.
Alla scelta che ogni cattolico oggi è chiamato a compiere di fronte alle novità del “Concilio” e del post-“Concilio”, si potrebbe applicare la stessa esortazione che il vescovo delle Canarie fece ai suoi fedeli per allontanarli il più possibile dal comunismo: o il cattolicesimo pieno, senza alcun compromesso, o le mortifere dottrine dei Montini, dei Wojtyla, dei Ratzinger e dei Bergoglio. Non c’è spazio per i dubbi.
Ora pro nobis Sancta Dei Genitrix. Ut digni efficiamur promissionibus Christi.
Antonio Polazzo

[1] La pubblicazione della nomina pontificia al governo della Diocesi risale al 18 maggio 1936. La consacrazione episcopale, tuttavia, avvenne l’anno successivo, il 14 febbraio 1937.
[2] Cfr. José Cabezas Vaz, Diario de Las Palmas, 8 maggio 1973,  citato da Agustin Chil Estevez in Pildain – Un obispo para una epoca, 1988, pag. 43.
[3] “Consumado artista della palabra, con absoluto dominio de la construcción, las ideas de Pildain salen encadenadas en magníficos períodos de precisa trabazón lógica. Poseedor, por otra parte, de una imaginación fecunda y de un corazón ardiente, los auditorios quedan prendidos de sus labios y aun fascinados por la ornamental elegancia de su gesticulación…”, Gabriel de Armas Medina, Pildain, obispo de Canarias, 1976, pag. 25, citazione tratta da Agustin Chil Estevez, op. cit, 1988, pag. 42.
[4] La data, in cui ricorre la festa di San Giuseppe, è quella del giorno dell’arrivo di Mons. Pildain al porto di La Luz a Las Palmas de Gran Canaria.
[5] Nuestra fortaleza, el nombre del Señor. / Aquí descansan los restos / del Excmo. y Rvdmo. Doctor Don / Antonio Pildain y Zapiain. / dignísimo obispo / de esta Diócesis de Canarias / 19-3-1937 – 16-12-1966. / Pastor amante de los pobres. / Defensor de la Iglesia y de la moralidad. / Solícito en la formación de los sacerdotes. / Fiel al Magisterio de la Sede de Pedro. / Falleció el 7 de mayo de 1973.
Le parole iniziali alludono al motto episcopale del defunto Monsignore: “FORTITUDO NOSTRA NOMEN JESU”.
[6] Un quadro generale del Magistero del vescovo di Las Palmas de Gran Canaria in materia sociale è dato da Segundo Diaz Santana nell’articolo pubblicato nella rivista del centro teologico di Las Palmas, Almogarén, intitolato El Magisterio social del Episcopado de Monseñor Pildain y Zapiain, 1988, pagg. 73 ss..
[7] Sobre el comunismo, 1945, Imprenta del Obispado, pag. 34: “O catolicismo pleno, y sin menguas de ningún género; o comunismo revolucionario radical. La elección no puede ser dudosa para ningún cristiano”.
[8] Adopero le virgolette perché, personalmente, non lo ritengo un Concilio della Chiesa Cattolica, a causa del fatto che Paolo VI non godeva dell’Autorità papale, non potendo così conferire a quell’assemblea di vescovi la natura e l’Autorità di un Concilio Ecumenico.
[9] Agustin Chil Estevez, op. cit., 1988, pag. 125: “A la minoría de la oposición contra la libertad religiosa pertenecía monseñor Pildain, quien trabajó con todas sus fuerzas y argumentos por mostrar lo inaceptable de esta declaración”.
[10] Agustin Chil Estevez, op. cit., pag. 129: “De todos los temas que se trataron en el Vaticano II éste debió ser el que le hizo trabajar y sufrir más al obispo de Canarias. Todas las sesiones en las que se trató este asunto de la libertad religiosa debieron ser para él un auténtico vía crucis”.
[11] José María Cirarda de Lachiondo, El Concilio Vaticano II y Mons. Pildain, in Almogarén, 2002, pagg. 25-26: “El 7 de diciembre de 1965 bajé con Mons. Pildain en coche desde el Colegio Español a la Basílica de San Pedro para la última sesión de trabajo. La víspera se había celebrado una serie de votaciones sobre varios documentos conciliares. Entre ellos, la declaración “Dignitatis humanae” sobre la Libertad Religiosa. Según bajábamos, Mons. Pildain me dijo casi textualmente: - “Si se aprueba hoy esta Declaración, volveré a Las Canarias, subiré al púlpito con mitra y báculo y diré a mis fieles: “El Concilio Vaticano II enseña cosa distinta de la que yo os expliqué en varias Cartas Pastorales sobre la libertad religiosa. No hagáis caso a lo que os enseñé. El Concilio tiene razón”. Me impresionó la lucha interna que estaba sufriendo el buen D. Antonio y le repliqué: “No dirá Vd. eso. Tiene que decir que una curva es cóncava o convexa según el punto desde el que se la contemple. Vd. habló en sus escritos sobre el derecho de la verdad. Pero el Concilio ha cambiado su punto de mira y habla del derecho de toda persona a obrar según su conciencia”. -”No, me contestó con fuerza. No quiero escandalizarle a Vd. Pero si el Concilio aprueba el texto que hoy se nos presenta, defiende lo contrario de lo que yo he enseñado. No lo entiendo”. Metido en arena, me atreví a plantearle una pregunta. “¿Porqué usa Vd. una condicional una y otra vez: Si el Concilio aprueba esta Declaración? Es seguro que va a ser aprobada hoy. Ayer en sesión a la que no asistió el Papa sólo tuvo un centenar, más o menos, de votos contrarios. Hoy será menos contradecida todavía. ¿Cómo sigue Vd. hablando en condicional: Si es aprobada la Declaración…?”.
Su respuesta me dejó casi petrificado. Hablo en condicional – me dijo -, porque ayer mismo presenté un texto ante la Secretaría del Concilio, que empezaba diciendo: Utinam ruat cupulla Sancti Petri super nos antequam approbemus Declarationem De Libertate Religiosa…: (Caiga la cúpula de San Pedro sobre nosotros antes de que aprobemos la Declaración sobre la Libertad Religiosa…). Son las ocho y media de la mañana y todo puede pasar todavía. Se quedó parado un momento; y añadió: “D. José María: no quiero escandalizarle. Esté Vd. seguro de que si la Declaración es aprobada, volveré a Canarias, subiré al púlpito y, como le he dicho antes, diré a mi pueblo: El Concilio ha enseñado doctrina distinta de la que yo os enseñé sobre la Libertad Religiosa. Estaba equivocado. No hagáis caso de lo que os enseñé. El Concilio tiene razón”. La Declaración fue aprobada. Y D. Antonio cumplió su promesa. Han pasado ya treinta y cinco años. Quizás alguno de los presentes recuerde a Mons. Pildain en la plenitud de su servicio episcopal, con mitra y báculo, afirmando su adhesión sin reservas a cuanto el Concilio había enseñado sobre la libertad religiosa. Murió sin entender la doctrina conciliar en la materia. Pero pidió a los fieles que sintieran con el Vaticano II y no con lo que sus cartas pastorales decían antes de él”. 
[12] José María Cirarda de Lachiondo, Recuerdos de un Padre conciliar. Scripta theologica, Vol. XVII, Fasc. 3, 1985, pag. 821: “Yo estoy convencido que la Declaración de la libertad religiosa es un enorme error”. ‘¿Por qué?’, le dije. Porque la Iglesia ha enseñado siempre lo contrario”; citato in Agustin Chil Estevez, op. cit., 1988, pag. 130.
 
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