lunedì 25 marzo 2013

M. Liberatore: Il naturalismo pol. rovina delle istituz. di libero reggimento.

 

 

R. P. Matteo Liberatore d.C.d.G.

Da: La Chiesa e lo Stato (2a ed.) Napoli 1872, cap. II, pag. 149-159.

CAPO II. — DEL NATURALISMO POLITICO.

ARTICOLO IV.

Il naturalismo politico è rovina altresì delle istituzioni di libero reggimento.

La Chiesa nel medio evo cominciò e promosse la restaurazione sociale subordinando a sè lo Stato, le associazioni parziali all'associazione universale, il fine prossimo al fine ultimo, la terra al Cielo, gl'interessi materiali e transitorii agli interessi spirituali ed eterni. Lutero suscitando una universal ribellione contro la Chiesa frastornò quell'opera meravigliosa, ruppe quell'accordo sublime, e ricondusse sulla scena l'elemento pagano del predominio della materia sullo spirito, della vita presente sull'avvenire, dell'idea umana sull'idea divina. Il principio protestantico invase da prima i troni; presentemente dai troni è passato nelle moltitudini, dalle corti è disceso nelle piazze. L'idea per altro è sempre la stessa; lo Stato che si ribella alla Chiesa, il corpo che ricalcitra contro lo spirito, l'uomo corrotto che ricusa la redenzione, l'orgoglio dell'uomo, che disdegna di sottostare a Dio.
Il liberalismo moderno come vuol formato lo Stato per semplice agglomerazione d'individui; così intende che sia composta la Chiesa. Materiale d'affetti e di pensieri, egli ignora l'essenza d'un organismo, che sebben integrato di parti variamente disposte e dotate di peculiar movimento, abbia nondimeno un principio di vita comune, che tutte le informi e regga e le unifichi nell'azione. Esso non vede che molecole, per fortuito concorso insieme accozzate e mantenute in equilibrio per contrasto di forze. Come lo Stato per lui è la somma degli individuali diritti, così la Chiesa è la somma delle individuali coscienze. Ogni altro potere distinto da siffatta collezione, che vanti il diritto di regolarla, è usurpato e tirannico. L'opporglisi, l'astiarlo, il conquiderlo, val quanto il respingere una ingiusta aggressione, un affrancare il genere umano dai lacci d'indecorosa schiavitudine. Ecco il modello dell'odierno liberalismo. Di qui l'odio concentrato e feroce contro l'autorità della Chiesa e i suoi legittimi depositarii, che a nome di Dio si presentano come suoi visibili rappresentanti, ordinati a promulgarne i voleri, e ripeterne dai docili animi l'osservanza.
Se l'uomo non è nato quaggiù qual puledro selvaggio per correre nella foresta, dietro gli sbrigliati appetiti del senso; se è fatto per compiere i disegni del Creatore; se da lui ha ricevuto una legge, a cui debba conformare, secondo la sua dipendente natura, la sua dipendente operazione; egli è di necessità costituito sotto l'indirizzo e la guida di chi di tal legge è promulgatore, e custode. Da siffatta soggezione egli non può sottrarsi, senza sottrarsi al divino ordinamento e pervertire la sua stessa natura. Qualunque sia lo stato in che si trovi, la dignità a cui salga, l'incremento che riceva per esplicamento delle sue facoltà, egli non può cambiare siffatta condizione, la quale nasce dall'essenza medesima di creatura libera e ragionevole. Vuoi dunque che concepiscansi gl'individui umani di per sè soli, vuoi che collettivamente nella comunanza civile; tu sei costretto a ravvisare in loro il dovere di seguire la norma da Dio prescrittagli di sottostare al potere che sulla terra tien le veci di Dio. Sudditi adunque o sovrani, individui o società, tutti in somma, dovunque si avveri la natura umana, son tenuti a riconoscere la superiorità ed accogliere l'influenza di quel potere, che è stabilito da Dio per essere l'organo immediato della sua azione, ed il mezzo per cui egli visibilmente indirizza l'uomo ai suoi eterni destini.
Ma ciò forse val poco a commuovere certi spiriti indolenziti, sopra cui la voce del dovere fa inutili pruove. Ebbene comprendano costoro che essi dispettando la Chiesa e ricusandone l'influenza, non che guastare l'idea della verace libertà, apparecchiano la rovina di quella stessa che agognano, costringendo le nazioni ad invocare, come àncora di salute, il potere assoluto, per non precipitare nel servaggio e nella barbarie.
La virtù, come avverte san Tommaso, è il fondamento di tutti i governi ben ordinati. Tuttavia essa più che altrove è necessaria in un governo retto ad ordini popolari. Quivi gli amminicoli esterni all'onesto operare sono molto più scarsi; e però più avvalorato e costante convien che sia l'interno principio, da cui sgorga l'azione. Se si mira lo scopo, almen palesato, dei dottrinanti liberali, essi tendono ad affrancare la società il più che si possa dagli esteriori legami, e rendere esente da ogni impaccio l'operazione umana. Quindi essi annientano la censura, la polizia preventiva, la sopravveglianza alle barriere; e vi sostituiscono libertà di parola, libertà di stampa, libertà di traffico, libertà di associazione, libertà di mestieri. Ogni freno, ogni laccio, che impedisca o limiti l'operare del cittadino, è per essi un'usurpazione fatta sulla libertà dell'uomo individuo, un nocevole intoppo all'esplicamento delle forze sociali.
Ma chi non vede che quanto più si sciolgono i vincoli esterni all'operare, tanto più è necessario che la volontà, interno principio che muove le esteriori potenze, sia retta ed onesta, e perciò stabilmente attaccata al vero ed al bene? Se questo non presuppongasi, la libertà anzidetta necessariamente degenera in licenza e sfrenatezza; essa apre un più largo e sicuro campo al misfare, mette in più pericolosa avventura gl'interessi privati e pubblici, accresce gl'incentivi al male, favorisce il delitto, è insomma un danno non un favore per la tranquilla e pacifica convivenza.
L'uomo è come una doppia persona. L'una è chiusa nel recinto della coscienza, e come elementi concorrono a formarla la ragione e la libera volontà; l'altra si spande al di fuora: e risiede nel complesso delle facoltà organiche, che esternano gl'interiori prodotti e rendono reale nel mondo fisico e nel sistema sociale, ciò che dianzi non avea che un'esistenza ideale e stava rinchiuso nella cerchia privata d'una intelligenza invisibile. Nondimeno egli è cospicuo che questa seconda personalità è interamente subordinata alla prima, che di quella è motore e principio. Tanto essa vale, quanto vale l'altra che la informa, la regge, l'applica ad operare.
Di qua il diverso còmpito della Chiesa e dello Stato, il criterio delle loro attribuzioni, la norma dei loro rapporti scambievoli, l'addentellato per cui si collegano. La Chiesa mira direttamente a formar la persona interna dell'uomo, e si stende all'esterna in quanto questa concorre ad aiutare o far nota la operazione di quella, e presenta la materia intorno alla quale l'interna operazione si aggira. Società essenzialmente spirituale, essa guarda a congiungere ed ordinare gli spiriti al loro fine soprassensibile. Ma siccome questi spiriti sono umani, alberganti in organismi corporei; la sua azione si stende anche a questi, in quanto in qualità di strumenti a quel fine si riferiscono. Lo Stato, società temporale, ordinata, come a scopo immediato, al ben essere di quaggiù, prende di mira la persona esterna dell'uomo, in quanto è in relazione cogli altri suoi simili, e sol si volge all'interna in quanto questa è presupposta come condizione a render l'altra ragionevole ed umana, e rispettasi come fine a cui vuol essere indiritto tutto l'ordine esteriore e terreno.
Questa considerazione, mentre dall'un lato ti scopre la superiorità della Chiesa sullo Stato, ti manifesta dall'altro quanto maggiore esigenza si avveri dell'azione ecclesiastica nel sistema dei liberali, che non in quello dei loro contrarii. Se io dovessi scusare i liberali o gli assolutisti in ordine al danno che producono all'umana società col sottrarla dall'influenza della Chiesa, vorrei assolvere piuttosto i secondi. Questi vedovando l'interna persona umana dei poderosi conforti, che le vengono dalla religione, assiepano almeno l'esterna di molti presidii, e dappertutto le oppongono dighe, sicchè non possa a talento sbrigliarsi e correre dove che sia. Laonde possono somigliarsi a coloro, i quali permettono che un tale impazzisca ma tel tengono chiuso nell'ospedale, ovver poco si curano che tale altro aspiri al delitto, ma te ne assicurano stringendolo fra ceppi.
Non così i liberali. Essi avversando l'azione della Chiesa, e rendendola spregevole e nulla al cospetto dei popoli, si studiano ad un'ora attesamente a redimere l'esterna personalità dell'uomo da ogni laccio che lo rattenga, da ogni ostacolo che se gli opponga, da ogni limitazione che lo raffreni. Quindi essi dall'una parte spogliano l'uomo interno di quegli aiuti divini che la sola Chiesa può apprestare; dall'altra aprono libero il varco all'uomo esterno, sicchè possa operare senza ritegno. Essi dunque son somiglianti a chi concorresse a dementare un cervello lasciandolo in balìa di sè medesimo, e volentieri comportasse l'altrui corruzione, senza brigarsi di cautele che ne impediscano i tristi effetti.
Quanto più si rimuovono gli esterni freni, quanto più si lascia libero l'operare, quanto più insomma si affranca l'organismo dell'uomo; tanto più fa d'uopo che l'interno principio operativo sia buono, sia retto, sia lontano da passioni, sia informato di verità, ami il giusto, l'onesto, sia incapace di ledere le altrui ragioni. Dunque se la Chiesa è l'unica colonna incrollabile di verità, e la suprema maestra della moralità e della giustizia; tanto è più indispensabile la sua influenza, quanto più per l'affrancamento dell'uomo esterno divien necessaria la bontà e la rettitudine dell'uomo interno. Dunque nel sistema liberale tanto è lungi che possa ricusarsi l'influenza ecclesiastica, che anzi la necessità del suo intervento cresce a dismisura. Altrimenti non si farà altro che mettere le armi in mano altrui, senza impedirne l'abuso, aprire il serraglio senza assicurarsi che le fiere sieno bene ammansate, smantellare la cittadella senza esser certo che i vicini sieno amici. In tal caso torna cento volte più conto tener la società infrenata, costretta da lacci, assiepata d'ogn'intorno da ripari, guardata con gelosia, compressa da timore. Il mal volere troverà almeno un argine che lo trattenga, un occhio che il sopravvegli, una mano che lo soffermi, e si schiferà sovente per timor della pena ciò che altrimenti non si abborre per orrore della colpa.
In altra ipotesi se pervertito l'uomo interno, si scatena l'esterno, la libertà è già trasformata in licenza, si è conversa in oppressione di tutti, la società giuridicamente è annientata; e se pur continua alcun altro poco nel fatto, la sua esistenza è simile alle dolorose agonie di un moribondo, non alla vita di un uomo sano. Ed ecco la crudelissima pietà dei liberali nel voler promossa la libertà civile e politica dei popoli, indebolendo e dispettando la Chiesa. Essi, a dire il vero, snaturano cotesta libertà convertendola in istrumento di licenza, e rendono, nonchè grave, intollerabile l'umano consorzio. Cotesta non è pietà ma fierezza; non è amore ma odio mortale degli uomini; non è sapienza ma stupidità senza pari.
Voi calunniate turpemente, odo qui ripigliare più d'uno. Calunnio, sì? E perchè? Perchè dite che i liberali, promovendo la libertà dell'uomo esteriore, niente si brigano della moralità dell'uomo interiore. Or nulla ci ha di più falso. E non li udiste voi mille volte trombettare: moralità, virtù, disinteresse? Si ricordi ciascuno della propria dignità, del vincolo di fratelli che tutti ci stringe, dell'eroismo, del sacrifizio?
Lasciate di grazia siffatte ciance. Si sa benissimo che i liberali c'intronano del continuo gli orecchi con queste sonanti ed ampollose parenetiche. Ma credete voi che la virtù possa prodursi nell'animo a forza di paroloni? Che giova esortar colla voce, quando col fatto s'inaridisce la sorgente onde in noi scaturisce il vero e l'onesto? quando ci si tolgono i più validi e sicuri conforti? quando si rifiuta l'impero e la tutela di quella madre, che sola può schermirci dagli assalti della seduzione e dell'errore?
Dirassi: e non ci ha altra sorgente di virtù nell'uomo? La ragione umana, questa scintilla divina ordinata al vero ed al bene, dove n'è ita? Si è spenta forse? Si è ecclissata? O non è essa capace di scoprirci il vero ed allettarci al bene? A lei dunque facciamo appello; ella supplirà al difetto dell'azion religiosa, quando per non avere un emulo, o un potere che ci assoggetti, cerchiamo di allontanarla. Sì? Ma voi non declinate con tal risposta l'argomento ond'io vi assaliva, cioè che nel maggior uopo di conforti interni che assicurino la moralità del principio operativo dell'uomo, voi ne rinnegate o almen grandemente infievolite la cagion massima e potentissima a produrla e mantenerla in vigore. Abbia pure la ragione umana tra i limiti della natura la sua potenza di condur l'uomo alla scoperta del vero e all'amore del bene. Contuttociò non negate nè potete negare che questa potenza crescerebbe oltre ogni credere, se fosse fortificata e sorretta dal lume della fede e dai conforti della grazia.
Se siete cattolici, voi certamente ammettete che solo la Chiesa non può fallire ne' suoi dettati, che la grazia corrobora la natura e la solleva ad un ordine superiore, che questa grazia ci è comunicata per mezzo dei Sacramenti, che di questi Sacramenti dispensatori ne siano i sacerdoti, che la fede ci entra nell'animo per mezzo della divina parola, che di questa divina parola banditori ne siano i ministri da Dio ordinati, che per legittimamente bandirla essi abbiano uopo di missione, che tal missione non può darsi se non dai Vescovi subordinati al Pontefice. Dunque la Chiesa non pure è un sostegno potentissimo alla moralità dell'uomo, ma è la sola guarentigia indefettibile che l'assicura.
Ma senza ciò. Voi fate sì grande assegnamento sull'efficacia della ragione. Avete dunque dimenticato sì presto ciò, che la pura ragione seppe produrre nel paganesimo? E non avete occhi in fronte per mirare ciò, che sta riproducendo tra noi? Non si dee ragionar sull'astratto, ma sul concreto; e l'uomo, qual è al presente, eccitato da sensi e sospinto da passioni, antipone l'utile all'onesto, il presente all'avvenire, il soggettivo all'obbiettivo, dove non venga confortato da supernaturali aiuti, e rischiarato dal celeste lume della fede.
Nè varrebbe il dire col Montesquieu che la virtù, base e principio dei governi popolari, non è propriamente che la civile, riposta nel disinteresse privato, nell'amore alle leggi. Questa virtù civile non può essere stabile nè sincera, se non è fondata sulla virtù morale. Le leggi civili dei popoli non sono a vero dire se non deduzioni ed applicazioni particolari d'una legge anteriore, di quella cioè che scolpitaci nella mente dal dito stesso di Dio universalmente e immutabilmente lega tutti gli uomini e tutti i popoli.
Or l'interpretazione e la tutela di questa legge universale e divina, principio e fondamento d'ogni altra legge, a chi è stata confidata quaggiù per salvarla dagli sviamenti e dai sofismi della ragione individuale dell'uomo? Ad altri forse, che alla Chiesa? Come dunque potete pretendere giustizia e moralità nelle leggi, rispetto ed obbedienza alle medesime per parte dei sudditi, senza proclamare a' governanti e governati rispetto ed obbedienza a chi di quella legge suprema è banditrice e maestra? Se voi foste pagani, non conoscenti altra norma del retto ed ordinato vivere che la natura, saprei compatirvi. Al certo non sareste in contraddizione con voi medesimi, allorchè sconoscendo l'autorità della Chiesa richiedete obbedienza alle vostre leggi in forza dell'obbligazion naturale. Ma ammettendo come cattolici che l'intera morale è affidata alla tutela della Chiesa, che la Chiesa decide in tutto ciò che riguarda coscienza e costumi, che essa sola è guida infallibile nella via della salute; come potete emanciparvi dalla sua soggezione, senza apportare una ferita mortale all'obbedienza stessa civile da voi pretesa? Come vi affidate a rizzare il vostro edifizio legislativo, rimovendone la pietra fondamentale?
Sapete voi allora che accade? Il ritorno al despotismo per fuggire il servaggio o la dissoluzione sociale; perocchè la società va a cadere necessariamente sotto l'impero della forza, e non di qualunque forza, ma della forza spogliata del principio morale.
Avvertì sapientemente il Guizot averci dei tempi, in cui il solo potere monarchico può ritardare lo scioglimento della società [1]. E la ragione l'avea recata più innanzi, perchè non altri che un solo imperante è capace di contenere una società, cui l'egoismo tende a distruggere. L'istinto della conservazione opera in tal frangente, e la società cerca di sopravvivere come che sia. Perduta la moralità, le forze individuali si spiegano con divergenza e capriccio, senza uno scopo fisso e comune che predomini l'interesse dei singoli. La società soffre allora un terribile parossismo, sotto il combattimento e la lotta delle tendenze personali ed egoistiche. Solo una mano di ferro può allora salvarla, imbrigliando efficacemente gli scapestrati appetiti dei singoli e costringendoli a cedere e coordinarsi in uno scopo generale. «La società (così il citato pubblicista [2]) abbandonata allora al combattimento delle volontà personali, e non potendo elevarsi pel loro libero concorso a una volontà comune e generale, che le rannodi e le assoggetti, aspira con passione verso un sovrano al quale tutti gl'individui sieno obbligati di sottostare. Ondechè appena si presenta qualche istituzione, che porta alcuni dei caratteri del sovrano di diritto, e promette alla società il suo impero, la società ci si lega con avido trasporto, come i proscritti rifugiansi nell'asilo di una Chiesa.»
La storia conferma ciò che la ragione c'inculca, e tu vedi la corrotta repubblica romana cadere naturalmente sotto il potere imperiale, e sotto il poter imperiale cadere eziandio due volte la sfrenata repubblica francese, sul principio e nel mezzo del corrente secolo.
Ma quello, che io voglio osservare principalmente si è non tanto la necessità, a che si mette la comunanza di ritornare sotto il potere assoluto, quanto la necessità di ritornare a questo potere, adorno di sola forza, non informato dalla morale. In un popolo corrotto un tal potere non sorge, che dall'esigenza di comprimere gl'istinti individuali, che traripando oppostamente col loro impeto dilaceravano il civile consorzio. Esso non esprime per conseguenza, che reazione e contrasto; non altro cerca, che riprendere il predominio e la prevalenza su i singoli elementi sociali. La persona, che di tal potere viene investita, sorge di mezzo a una moltitudine di corrotti, respira l'aria di un'atmosfera ammorbata, non trova organi alla sua azione se non tralignati e perversi. Tutto dunque in lui concorre a non presentarti altro che un despota, il quale non riconosca altro movente, che la forza, altra legge che il proprio volere. Invano in tal caso vi adirate contro l'uomo che opera. Non è sua colpa un tal ordine di cose, non dipende dalla sua libertà. È necessaria conseguenza della natura, e fatale concorso di cagioni indipendenti da lui; solo il tempo e la provvidenza divina può in seguito ricondurre migliori destini.
Giusta pena dei vostri empi consigli. Voi per amore di libertà osteggiaste la Chiesa, ne rifiutaste l'azione, ne vituperaste il celeste ministero. Così facendo, voi uccideste in quella vece la libertà medesima, che caldeggiavate; rendeste indispensabile, inevitabile, oso anche dir, salutifero, il ritorno all'assolutismo e all'assolutismo della semplice forza. Dissi salutifero, perchè è meglio assai che la società sopravviva; e perchè, cessato il momento di violenta reazione, il potere assoluto può facilmente rientrare, rientrerà senza fallo, nelle vie della mitezza e dell'ordine; laddove durando più a lungo lo stato anteriore della libertà disfrenata, la società o periva o cadeva nello stato di vero servaggio.
Io invito i pensatori a far qui una riflessione, che mi sembra giustissima. La società propriamente non può essere schiava sotto il dominio di un solo, ma unicamente sotto il dominio di molti. Il dominio di un solo può degenerare in despotismo, ma non mai in signoria propriamente detta. Egli è impossibile che un solo uomo riferisca a sè unicamente tutto l'utile, che si ritrae dai beni sociali, e maneggi tutti gl'individui come semplici strumenti animati del suo ben essere. La stessa limitazione della capacità individuale in ordine al godimento rende impossibile siffatta ipotesi, la quale d'altra parte trova una tendenza contraria per parte dei soggetti, a cui l'uomo individuo non è idoneo ad opporre valevole resistenza. Anzi il dominio di un solo è il mezzo più naturale, che si presenta per affrancare una società precedentemente caduta nella schiavitudine.
Non così quando trattasi di molti dominatori. Questi possono benissimo tenere il resto della società in qualità di servi, quando l'egoismo di ciascheduno siasi collegato con quello di molti altri, facendo tra loro una specie di compromesso in danno e in onta di tutti gli altri. Ciò accadeva nelle antiche repubbliche pagane, le quali in sostanza non erano che oligarchie, o a dir meglio vaste signorie d'una moltitudine, più o meno ampia, sopra una turba sterminata di schiavi. Quello che ora chiamiamo popolo, gli artisti, i commercianti, i lavoratori della campagna, quasi in tutte le società pagane gemevano nella condizione di veri servi, ordinati a ben del padrone; cittadini non erano che il numero, assai scarso in paragone, di coloro che partecipavano al maneggio politico dello Stato. A questa ingiustissima condizione di cose avea menato le genti la corruzione pagana, e i costumi sottratti al lume della fede, e solamente affidati alla natura.
La sola Chiesa di Cristo restaurando il concetto della umana fratellanza, e rendendolo non una morta parola, come fanno i liberali, ma un elemento attivo ed operoso, indusse la società a spezzare quelle indecorose catene, e trasformò in classi utili e dignitose quelle mandre di feroci belve. La sola Chiesa è potente abbastanza per conservarli nel grado, lor conquistato, ed impedir che trasmodino nelle pretese. Rimovendo l'azion della Chiesa, o l'antico ordine ritorna, e la società ricade nel servaggio sotto la signoria d'una classe privilegiata; o le classi emancipate disorbitano, e cercando agguagliarsi in tutto a tutti inducono il comunismo, ossia la negazione della società.
Da questo bivio non s'esce. La schiavitù pagana fu un mezzo necessario alla società d'allora, per conservarsi. Essa non avendo altri amminicoli, dai naturali in fuori, e questi essendo insufficienti a contener coll'idea del dovere e dell'amore in giusto accordo le disuguaglianze sociali, dovette mantenersi in vita per mezzo della degradazione e dello schiacciamento di un infinito numero di persone. Quest'atroce necessità è cessata per l'azion della Chiesa. Acciocchè non ritorni, uopo è che la Chiesa continui nell'opera salutare ed influisca nella società con piena efficacia. Altrimenti, essa sarà in un popolo come se non vi fosse, e l'esigenza della schiavitù riproducesi, ovvero la società si discioglie.
Ed ecco a quanto dure strette i liberali mettono i popoli colla funestissima opera di astiare e rimuovere l'azione della Chiesa! Se i falsi regalisti così adoperando non conseguirono altro che dispregio e indebolimento dell'autorità sovrana; cotesti sciocchi piaggiatori delle moltitudini per lo stesso cammino riescono alla totale rovina di quella medesima libertà cui millantansi di caldeggiare. Per la qual cosa come i primi furono i veri nemici dei troni, così i secondi sono i più fieri odiatori dei popoli.

NOTE:

[1] Il y a des temps où la royauté peut seule rétarder la dissolution de la société. Hist. de la Civilis. en Europe, leçon IX.
[2] Alors la société, livrée au combat des volontés personnelles et ne pouvant s'éléver par leur libre concours à une volonté commune générale, qui les rallie et les soumette, aspire avec passion vers un souverain, au quel tous les individus soient obligés de se soumettre; et dès qu'il se présente quelque institution, qui porte quelquesuns des caractères du souverain de droit et promet à la société son empire, la société s'y rallie avec un avide empressement, comme des proscrits se refugient dans l'asile d'une église. Guizot nel luogo sopraccitato.