martedì 5 febbraio 2013

Unità d'Italia, 150° anniversario all'insegna di tre R: (Risorgimento + Resistenza= Revisionismo)



E c'è continuità tra le battaglie del Risorgimento e le altre che hanno garantito lo sviluppo dello Stato nazionale, unitario e democratico" Giorgio Napolitano, Roma, 8 settembre (sic) 2009


Introduzione.

Il 17 marzo 1861 si realizzava l'unità d'Italia. Quel giorno Vittorio Emanuele II Re di Sardegna assumeva, per sè e per i suoi successori, il titolo di Re d'Italia col nome di... Vittorio Emanuele II ! Ciò può solo apparentemente sembrare un aspetto irrilevanete nel contesto dell' epopea risorgimentale. Smentendo una prassi consolidataii, il gesto del Savoia riassume infatti il senso dell'intero risorgimento, inteso come azione di conquista promossa dai piemontesi con l'aiuto di alcune potenze straniere. Quest'anno, com'è noto, ricorre il 150° anniversario di tale ricorrenza. In questi mesi si è rafforzata la tradizionale crasi tra i due eventi storici alla base dell'Italia "repubblica, laica, democratica": risorgimento (1815-1870iii), e resistenza (1943-45). Nei discorsi di Napolitano (tutti uguali e tutti banali) come negli editoriali dei grandi giornali (con davvero poche eccezioni), nelle iniziative scolastiche come in quelle promosse dagli enti pubblici, la parola d'ordine è rinverdire i fasti e le glorie dei due momenti storici, inevitabilmente accumunati. Lasciando perdere facili ironie e sillogismi da filosofi della domenica, stile "la prima repubblica deriva dalla resistenza, la prima repubblica era una schifezza, ergo la resistenza era una schifezza", riteniamo ormai opportuno denunciare le laiche liturgie con le quali sono stati divinizzati i suddetti eventi. Anche perchè negli ultimi anni la "moda revisionista" si è fatta più forte e incalzante, e di conseguenza anche i gendarmi della memoria hanno alzato il tiro, cercando, quando si sono trovati privi degli argomenti adeguati per controbattere le tesi revisioniste, di ridicolizzare le tesi stesse e i loro esponenti, difendendo le impostazioni storiografiche classiche in chiave tautologica. I valori del risorgimento, ad esempio, coinciderebbero col risorgimento stesso.

Il revisionismo in termini generali

Occorre, in primo luogo, sgombrare il campo da un imbarazzante equivoco lessicale e concettuale, legato al termine "revisionismo". Questo è un aspetto intrinseco allo studio e alla conseguente esposizione degli eventi storici, e pertanto la demonizzazione a priori operata da certi settori della cultura italiota nei confronti del "demone revisionista" è del tutto inopportuna e addirittura grottesca. E' normale infatti che, in merito a determinati eventi, vengano scoperti documenti nuovi, che si scopra che altri erano falsi o non affidabili, e che col tempo muti l'interpretazione di quegli stessi documenti, alla luce di nuove sensibilità culturali (la storia è sempre storia contemporanea, diceva Benedetto Croce). Quindi è logico che le teorie storiografiche vengano superate, evolvano, mutino. La storia, inoltre, è di certo una scienza per il rigore dei procedimenti coi quali viene studiata; ma non è una scienza esatta: non presenta, al pari delle scienze naturali, leggi generali da verificare in modo sperimentale. Di fatto, per quanto non è esclusa la possibilità di giungere a livelli anche significativi di conoscenza, i risultati di ogni ricerca sono sempre instabili e parziali. Ma non solo: la disciplina storiografica presenta mille altri elementi di soggettività, che non possiamo analizzare in questa sede. Accenniamo solamente, a titolo di esempio, a quanto ha spiegato a proposito degli archivi il prof. Canfora, in un recente saggio storiografico: "le due questioni che restano aperte e fanno dello scrivere la storia una disciplina mai del tutto equiparabile alle scienze esatte sono le seguenti: 1) (...) i rapporti di forza che condizionano la possibilità di accesso alla documentazione (...) E implica altresì che assai meno, se non quasi per nulla, possiamo scrivere la storia dei vincitori, i cui archivi sono saldamente in mano al potere, perdurante nella sua continuità"iv
Una volta operata la ri-legittimazione del revisionismo storico, entriamo nel vivo dell'argomento.

Risorgimento & Resistenza

Ovviamente affrontare in poche righe temi ampli, complessi, ricchi di sfumature e passibili di svariate intepretazioni è impossibile. Ci limiteremo a presentare le incongruenze più gravi legate alla presentazione tradizionale dei due eventi,e a trarne le debite conseguenze.


Che il risorgimento non si sia compiuto tra sventolii di bandierine tricolori per accogliere festosamente i "liberatori" è ormai assodato. Ma bisogna andare oltre.
A) Gli italiani hanno diritto di sapere, in primo luogo, che l'unità è stata realizzata nel peggiore dei modi possibili, attraverso la creazione, all'indomani dell'unificazione, di uno stato unitario ed accentrato sul modello della Francia (la cosiddetta piemontesificazione) Modello, però, che mai avrebbe essere dovuto essere applicato in un contesto come quello della penisola, ricco delle sue tradizioni municipali e regionali. Da ciò si sono sviluppate questioni che turbano tuttora la vita civile dello stato: questione meridionale, questione romana, questione del nord...
B) Senza voler fare l'apologia o l'esaltazione del Regno borbonico, numeri alla mano risulta chiaro che la propoganda savoiarda che descrisse le Due Sicile come uno stato barbaro e retrogrado sono fuoriluogo. Il regno del sud, che possedeva la terza marina mercantile del mondo, vantava una serie di primati che nessuno altro stato nella penisola poteva eguagliarev. Quando fu invaso, senza dichiarazione di guerra, nel 1860, subì un crollo repentino anche perchè i vertici delle forze armate furono corrotti.vi A ciò seguì una gloriosa resistenza da parte dei meridionali, sprezzantemente definiti "briganti", che tennero in scacco l'esercito italiano fino al 1865. Da questo momento in poi oltre venti milioni di uomini del sud diedero vita ad un epocale fenomeno di emigrazione di massa, emigrazione che fino a quel momento era pressochè sconosciuta. Dal classico "La conquista del sud" di Alianello fino al recente "Terroni" di Pino Aprile, sono ormai molti gli autori che si sono occupati di questo tema e degli aspetti ad esso legati. Ma i sacerdoti addetti alle massoniche liturgie del 150° sembrano non essersene accorti: ce lo vedete voi l'emerito presidente Ciampi che parla ad una scolaresca a proposito della distruzione degli impianti siderurgici di Mongiana, o delle migliaia di soldati borbonici fatti morire di stenti nelle carceri piemontesi?vii Io sinceramente no. Ancora: si dice, in nome della massima di machiavellica memoria "il fine giustifica i mezzi", che è bene accettare il processo di unificazione garibaldin-savoiardo, chè alla fine dei conti ha portato all'unità, che solo essi avevano auspicato. Ma ciò è falso. Proposte di unione federaleviii tra gli stati della penisola erano state avanzate ad esempio dal Re delle Due Sicilie Ferdinando II già negli anni '30ix, ma anche dal Granduca di Toscana qualche anno dopo. Pio IX, dal canto suo, non era contrario, come punto di partenza, ad un'unione doganalex. Niente a che vedere, in ogni caso, con l'ancora decantata conquista armata operata dai torinesi.
C) I plebisciti: qui si sfiora il ridicolo. Vediamo come ho ricostruito nel mio blogxi, ad esempio, il plebiscito che avrebbe sancito "democraticamente" l'adesione dei toscani al Regno di Sardegna (da lì a poco Regno d'Italia):
Pesantissime irregolarità si sono avute sin dalla “campagna elettorale”: il nobile Ricasoli, dittatore pro-tempore e maggior responsabile della svendita dello stato toscano ai piemontesi, vietò ad esempio l’ingresso e la pubblicazione di ogni rivista che potesse spingere l’elettorato verso il rifiuto dell’annessione al Piemonte, mentre la stampa rimanente si adoperò in un' incessante propaganda anti-autonomista. Insomma, per dirla con le inquietanti parole di Matteucci,“(Ricasoli) …mise in moto tutta la macchina affinché il risultato di quelle consultazioni non presentasse alcuna sorpresa al Piemonte...” Intimidazioni ai contadini, minacce ai preti erano dunque normali, in quei giorni. Come se non bastasse, i votanti il giorno stabilito per il referendum poterono scegliere tra due opzioni: “Unione alla monarchia costituzionale di Re Vittorio Emanuele II” o un non meglio precisato “Regno separato”. La possibilità di richiedere la restaurazione della famiglia Granducale, che tanto bene aveva governato la Toscana per quasi 130 anni, non era neanche contemplata nelle schede! Inoltre, sembra quasi grottesco raccontarlo, soprattutto se non sgombriamo la mente dai luoghi comuni della retorica risorgimentale, ma il voto non fu segreto ! Nelle urne dalle quali attingere le schede era infatti ben visibile le scritte SI o NO. Da tutto questo capiamo che quando qualche storico parla di brogli e mere pressioni fisiche e psicologiche in relazione al plebiscito toscano usa solo degli eufemismi. Ma la parte peggiore di questo storia italiota deve ancora essere narrata. Grazie al memoriale di un agente di Cavour rinvenuto dallo storico Giuseppe de Lutiis negli archivi del ministero della difesa possiamo capire come il dato sulla percentuale degli astenuti, pari ad oltre un quarto degli aventi diritto, sia del tutto simbolico, e frutto dei più squallidi brogli dei savoiardi e dei loro tirapiedi. La gente che non andò a votare fu molta di più, ma venne considerato come se avesse votato per l’unione al Piemonte. Leggiamo insieme come accadde.
Noi ci eravamo fatti consegnare i registri delle parrocchie per formare le liste degli elettori, indi preparammo tutti i polizzini. Nel voto dell’annessione un piccolo numero di elettori si presentò a prendervi parte, lande noi, nel momento della chiusura delle urne, vi gettammo i polizzini (naturalmente in senso piemontese) di quelli che s’erano astenuti. E’ superfluo il dire che ne lasciammo in disparte qualche centinaio o migliaio in ragione alla popolazione del collegio. Occorreva salvare le apparenze, almeno in faccia allo straniero. In alcuni collegi l’immissione nelle urne dei polizzini degli astenuti si fece con tanta trascuratezza e si poca attenzione, che lo spoglio dello scrutinio diede un maggiore numero di votanti di quello che lo fossero gli elettori iscritti. In siffatti casi si rimediò al fatto con una rettificazione al processo verbale” E le stesse cose si potrebbero scrivere per il Venetoxii, la Lombardiaxiii, le Due Siciliexiv...D) L'influenza della massoneria nel determinare gli eventi risorgimentali è notaxv. Le loggie europee vedevano da sempre nella Chiesa il primo nemico da schiacciare, e il risorgimento italiano fu una tappa importante nella plurisecolare lotta contro questa. Altrettanto nota è l'azione politica e militare della Gran Bretagnaxvi. A unire i framassoni italici con quelli d'oltremanica una serie di obiettivi comuni, dalla volontà di indebolire l'Impero cattolico d'Austriaxvii a quello più ambizioso di distruggere lo stato della Chiesa, che a tal fine fu lungamente descritto da una propaganda mediatica strumentale e falsa come lo "stato più barbaro del mondo".xviii Inoltre la Gran Bretagna aveva tutto l'interesse a cancellare il Regno delle Due Sicilie, una potenza marittima non indifferente e col quale stava entrando in rotta di collisione per divergenti interessi economici e commercialixix. La professoressa Pellicciari è autrice di una serie di pamphlet volti a sostenere la tesi che il risorgimento sia stata una guerra civile condotta da una piccolissima minoranza liberale contro la Chiesa e i cattolici, che rappresentavano circa il 98% della popolazione. Grazie ai suoi scritti possiamo, Dio sia lodato, finalmente valutare nella loro corretta dimensione personaggi come Garibaldi, uno che si era arricchito tramite il commercio di uomini (schiavista)xx, uno stragista (l'episodio di Bronte è narrato persino nei testi scolastici), massone, mercenario e corruttore.



Passiamo ora ad una brevissima sintesi dei più conclamati errori cantati invece dagli aedi dell'epos resistenziale.

La "vulgata" sostiene pressapoco che un grosso movimento di popolo, composto di persone che si proponevano l’unico fine di liberare l’Italia dallo straniero e riportare la democrazia, combattè contro l’oppressore nazi-fascista, dando un importante contributo militare alla vittoria alleata. Tutto ciò ovviamente è falso.
A) Già il De Felice aveva spiegato che la maggior parte della popolazione italiana, nei mesi dello scontro fratricida, rimase ai margini, evitando di schierarsi: è la cosiddetta zona grigia. I partigiani, al pari dei militi fascisti, ma in misura ben numericamente minore, rappresentarono dunque una delle due minoranze in campo, e non un "movimento di popolo". B) Bisogna poi chiedersi chi e perchè ha voluto scatenare la guerra civile nella sua crudeltà, quando ne mancavano ancora i presupposti. In altri termini, chi ha sparato il primo proiettile della guerra civile italiana? Giorgio Pisanò si pose questa domanda molti anni fa, e fornì anche una risposta. Gli esponenti del partito comunista, secondo il politico e ricercatore, avevano la necessità di creare un clima di terrore e violenza, perchè solo in questo contesto avevano speranze di poter realizzare la rivoluzione comunista. Ciò, di fatto, smentisce anche il teorema dei "combattenti per la liberta", in quanto la maggior parte, per non dire l'intierezza, dei partigiani comunisti (l'80% del totalexxi) auspicavano per l'Italia la formazione di un regime comunista, satellite dell'Urss. Non si potrebbe spiegare altrimenti la condotta portata avanti soprattutto dai partigiani comunisti di città, i cosiddetti gappisti."Tra la fine ottobre del 1943 e i primi di marzo del 1944 la cronaca registra infatti una lunga e spietata serie di fascisti uccisi dalle squadre terroristiche comuniste: a queste uccisioni fanno eco (...) le rappreseglie, altrettanto spietate, compiute dai fascisti. Rappresaglie che, quasi sempre, si abbattono su innocenti ostaggi, rei soprattutto di essere antifascisti"xxii La spirale di odio è ormai aperta. Pisanò dunque sostiene che eliminando gli esponenti del fascismo più moderato, come i federali di Milano e di Ferrara, i partigiani abbiano deliberatamente provocato la reazione degli intransigenti, perchè coerente alle loro aspirazioni. "in molte città, gli esponenti antifascisti non comunisti, animati dal sincero sentimento di evitare alle popolazioni i lutti e le atrocità di una guerra civile, accolsero di buon grado (...) le proposte di tregua avanzate dagli elementi più moderati del fascismo repubblicano"xxiii
C) Ciò ci porta inevitabilmente ad affrontare il triste tema delle stragi. Senza la minima intenzione di assolvere chi ha coinvolto in infami massacri donne, bambini e innocenti vari, è necessario denunciare la responsabilità dei partigiani comunisti dietro a molte rappresaglie compiute dalle SS. E, cosa ancora più grave, che questa volontà era premeditata e deliberata: funzionale, ancora una volta, ai loro piani rivoluzionari. Rimandiamo agli studi di Pisanò e a molte altre ricerche per l'approfondimento di tristi eventi come i fatti di Marzabotto, di Sant'Anna di Stazzema, delle Fosse Ardeatinexxiv...in questa sede ci preme solo ribadire che la descrizione tradizionale dei fatti è assolutamente parziale e sostanzialmente bugiarda.
D) Potremmo anche introdurre altre questioni, taciute dalla cultura ufficiale per decenni perchè avrebbero intaccato il mito della resistenza: le faide tra partigiani (l'episodio più famoso è l'eccidio del Porzus, ma non fu l'unico caso di uccisioni perpetrate dai comunisti ai danni dei bianchi); le stragi post 25 aprile, nel quale persero la vita migliaia di persone ( fascisti, presunti tali, amici dei presunti tali, proprietari terrieri) e tutt'ora rivendicate da qualche idiotaxxv... ma per ora fermiamoci qui.

Conclusione

Non è facile criticare gli eventi alla base delle istituzioni repubblicane e dell'identità nazionale, identità spesso più presunta che tale. (Possibile che nessuno non abbia mai denunciato la brutalità dell'affermazione "fatta l'Italia facciamo gli italiani"?). Tuttavia non è per finalità nostalgiche che ci siamo permessi le presenti considerazioni, che rappresentano solo una breve e parziale sintesi riassuntiva di problematiche molto ampie. L'abbiamo fatto, bensì, guardando al futuro. In questa Italia dei campanili e delle perenni contrapposizioni idelogiche, solo rendendo onore ai vinti, solo raccontando (tutta) la storia sarà possibile raggiungere una "memoria accettata". Memoria accettata significa, appunto, riconoscere chi ha un passato diverso dal proprio, e accettare, nel 2011, di lavorare con lui in nome del bene comune della comunità. Il concetto di "memoria condivisa" è altresì da rifiutare, in quanto implicherebbe la rinuncia al proprio passato, per adeguarsi ai principi dominanti, come vorrebbero i gendarmi della memoria, i ciampi e i napolitani, le anpi varie (le quali in particolare hanno tutti gli interessi a difendere le barcate di soldi che i governi di ogni colore continuano a garantir loro). I presupposti non sono buoni, ma è nostro dovere provarci. Con questo articoletto spero di avere dato il mio piccolo contributo.




ihttp://www.repubblica.it/2009/05/sezioni/politica/napolitano-2/8-settembre/8-settembre.html
iiDopo una modifica dell'assetto costituzionale dello stato, era usuale che il Sovrano mutasse il nome, riiniziando da principio la numerazione del nome stesso. Un paio di esempi: Francesco II del Sacro Romano Impero, quando fu costretto da Napoleone a sciogliere l'antico regno e ad assumere il titolo più modesto di Imperatore d'Austria, divenne Francesco I. Ferdinando Borbone, che alla fine del XVIII secolo regnava su Napoli e Palermo grazie all'istituto dell'unione personale delle corone con i titoli di Ferdinando III e Ferdinando IV, dopo il Congresso di Vienna divenne Sovrano del Regno delle Due Sicilie col nome di Ferdinando I
iii La convenzionalità delle periodizzazioni consente interpretazioni anche molto diverse. Nel testo ho fatto riferimento al periodo compreso tra i primi moti a livello europeo volti ad attaccare l'ordine scaturito da Vienna, e la presa di Roma da parte dell'esercito italiano
ivL.Canfora, "Noi e gli antichi", Bur, 2007, pagg. 58-59
vhttp://imperoasburgico.splinder.com/post/18767853/regno-delle-due-sicilie
viA.Pellicciari, "L'altro risorgimento. Una guerra di religione dimenticata". Piemme, 2000, pag.232
viihttp://www.brigantaggio.net/Brigantaggio/Storia/Altre/VARIE/0029_Lager.PDF
viiiMa ciò d'altronde non rispecchiava gli ideali massonici: "I principali esponenti della massoneria non hanno dubbi: il federalismo, il particolarismo, il localismo, sinonimi di disordine e confusione, di Medioevo, di forza bruta e barbarie, in una parola di Chiesa cattolica, vanno assolutamente evitati e superati a favore dell'omogeneità, dell'identità, dell'unità delle ragioni ideali"A Pellicciari, op.cit. pag.91
ixA.Pellicciari, op.cit. pag.54
xIbidem
xihttp://imperoasburgico.splinder.com/post/19561454/il-granducato-di-toscana-ed-il-plebiscito-del-1860
xiiL.Zanon, "1866 Anno della vergnogna italiana", 2000, scaricabile qui : http://www.raixevenete.com/materiale/1866/vergogna_1866.pdf
xiiihttp://imperoasburgico.splinder.com/post/20543816/ecco-perche-lannessione-della-lombardia-allitalia-fu-illegittima
xivA.Pellicciari, op.cit. pagg.260 e seguenti
xvGaribaldi: massone; Mazzini: massone. Cavour: massone. I padri della patria erano tutti legati alla setta anticattolica. Vediamo cosa dice di Cavour il seguente documento: "Secondo l'Acacia Massonica del febbraio - marzo del 1949, a pag. 81 Camillo Cavour, ministro e Capo del governo Piemontese era l'ispiratore della massoneria nazionale e prendeva ordini da quella internazionale. La partecipazione savoiarda in Crimea a fianco di inglesi e francesi non era quindi un lungimirante intuito per sedere al fianco delle potenze europee, nel congresso di Parigi del 1856 per sollevare la questione romana ed italiana, come ci è stato inculcato a scuola. Questa strategia venne studiata nelle stanze segrete della Gran Loggia londinese." http://www.brigantaggio.net/Brigantaggio/Personaggi/Cavour.htm#benso

xvihttp://www.eleaml.org/e_book/martin_tesi_it.pdf. Non è un mistero che senza la presenza rassicurante della marina inglese nel mediterraneo Garibaldi e i suoi mille, da lui definiti "tutti di origine pessima e per lo più ladra; e tranne poche eccezioni con radici genealogiche nel letamaio della violenza e del delitto"A.Pellicciari, op.cit. pag.232 non avrebbero mai potuto sbarcare in Sicilia
xviiA proposito delle "barbarie asburgiche", ogni confronto tra Impero austriaco e regno d'Italia risulta a dire il vero impietoso per lo stato sabaudo. Si può fare riferimento all'alfabetizzazione (l'istruzione elementare fu resa obbligatoria da Maria Teresa nel 1774); allo stato sociale (negli anni '80 furono promosse leggi in favore dei lavoratori, quali norme sugli incidenti e assicurazioni sulle malattie, che spinsero il socialista Adler ad ammettere che l'Austria aveva la migliore legislazione nei confronti dei lavoratori, cfr "J.Berenger, "Storia dell'Impero asburgico 1700-1918", Il mulino,2003); alla % di aventi diritto al voto (nel 1867 in Austria poteva votare il 60% dei maggiorenni, in Italia poco più dell'1%). Per non parlare poi del rispetto delle minoranze (problema che lo stato italiano dovrà affrontare dopo il 1918, e lo farà nel più gretto dei modi, promuovendo un'italianizzazione forzata di slavi e tedeschi inglobati dopo il conflitto)
xviiihttp://christusveritas.altervista.org/il_risorgimento_il_buon_governo_dell_ultimo_papa.htm
xixVedi ad esempio la questione della guerra dello zolfo "http://www.storialibera.it/epoca_contemporanea/risorgimento/regno_delle_due_sicilie_e_borbone/ferdinando_II_di_borbone/articolo.php?id=3857&titolo=Il%20Regno%20di%20Ferdinando%20II%20di%20Borbone
xxA.Pellicciari, op.cit. pag.229
xxiG.Pisanò, "Sangue chiama sangue", Lo scarabeo,2005, pag.22
xxiiIbidem, pag.19
xxiiiIbidem, pag.20
xxivRiportiamo solo, a titolo esemplificativo, la ricostruzione della strage delle fosse ardeatine, causa della successiva rappresaglia, tutt'ora simbolo della barbarie nazi-fascista. Una colonna del battaglione sud-tirolese"Bozen", di stanza a Roma, percorreva tutti i giorni una strada stretta, via Rasella, per dare il cambio ad altri soldati. Questi erano territoriali (non SS) ormai anziani per combattere al fronte (cinquantenni), e avevano il compito di presidiare uffici e ministeri, armati solo di pistola. Il partigiano comunista Bentivegna, travestito da spazzino (sic), il 23 marzo '43 piazzò una bomba lungo la strada, diede fuoco alla miccia e poi se la diede a gambe. Nell'esplosione morirono 33 militari e 7 civili italiani, tra cui un bambino. "l'ordine giunto da Berlino era di procedere alla rappresaglia entro 24 ore dalla strage (...) Nello stesso tempo venne reso noto che se i terroristi si fossero consegnati alle autorità, o fossero stati comunque catturati, non si sarebbero verificate rappresaglie" G.Pisanò, op.cit. pagg.72-85. Inutile specificare che nessun partigiano, a cominciare dal futuro deputato Pci Amendola, che aveva ordinato l'azione terroristica, si consegnò ai tedeschi, che agirono, anche se è brutto ricordarlo, conformemente all'articolo 29 della convenzione internazionale dell'Aja (salvo uccidere 5 disgraziati di troppo per un errore di calcolo). Da lì a poche settimane (18 maggio), com' era nell'aria, gli alleati avrebbero sfondato la linea Gustav e occupato Roma (4 giugno): ciò rende ancora più ingiustificabile l'azione comunista, del tutto inutile militarmente, ma al tempo stesso ce la rende comprensibile ragionando nell'ottica della "guerra privata" promossa dal partigianato comunista per perseguire i suoi scopi rivoluzionari
xxvChi commise atrocità, da una parte e dall'altra, ha almeno la "scusante" generazionale di aver vissuto in anni terribili, di aver subito la storia in prima persona; chi alimenta, oggigiorno, un clima di odio verso l'altro ha di solito l'unica scusante di essersi fumato il cervello a suon di canne in qualche centro sociale

Correzione : 'articolo di Matteucci riassunto nel blog, e la citazione testuale , sono tratti dal numero di gennaio 2009 da "Nobiltà. Rivista di araldica, genealogia, ordini cavallereschi"


Fonte:

http://rivoluzionereazione.blogspot.it/