sabato 16 febbraio 2013

Il nome del nuovo Papa.

Parte finale della c.d. profezia di Malachia

I media di tutto il mondo sono ormai impegnati nei pronostici circa l'esito del prossimo conclave. Noi, anziché toto-nomine, proviamo a fare esercizio di toto-nome. Sì perché, specie negli ultimi decenni, la scelta del nome papale ha una sorta di funzione programmatica; in altri termini, definisce in qualche modo l'orientamento del neoeletto pontefice. Lo si è visto bene nei due Giovanni Paoli, che richiamandosi ai nomi dei due papi del Concilio, hanno voluto manifestare (o almeno così si è percepito) il loro attaccamento all'evento che è apparso fondativo di una nuova concezione di Chiesa. La scelta del nome di Benedetto XVI è stata colta invece proprio come una reazione a questa idea di nuova Chiesa che fa tabula rasa della precedente. Ratzinger ha ripescato con estrema sottigliezza il nome che fu non solo del santo fondatore del monachesimo, ma anche di un papa preconciliare. Preconciliare, sì, ma al tempo stesso piuttosto incolore, e anzi circondato da lontane reminiscenze di pacifismo; eppertanto non troppo controverso (Benedetto XV regnò poco meno di otto anni - guarda caso: proprio come il suo attuale successore - e si spese, invano, perché cessasse il primo conflitto mondiale; inoltre, rispetto al suo predecessore san Pio X, mitigò la persecuzione antimodernista).

Insomma: quando il protodiacono apparirà ad annunziare il nuovo papa, dal nome prescelto si potrà già intuire l'aria che tira. Certo, l'eletto potrebbe propendere per un nome mai adottato prima da un papa (che so, Andrea, o Filippo, o Giuseppe), e così sottrarsi al nostro gioco. Ma anche da quello, si potrebbe inferire qualcosa: una punta di protagonismo, se non di arroganza, per il rifiuto di inserirsi in un lignaggio onomastico ormai consolidato; o peggio ancora, se il nome scelto corrispondesse a quello di battesimo, un'attitudine iconoclasta per le tradizioni della Chiesa (quella di cambiarsi il nome è consuetudine dei papi fin dal VI secolo: da Giovanni II, al secolo Mercurio), se non addirittura una vaga intenzione dissacratoria del ruolo di pontifice: il papa che si tenesse il suo nome di famiglia sarebbe un po' come i monarchi scandinavi che girano in bicicletta.

Quanto ai nomi già utilizzati in passato, alcuni sarebbero davvero ridicoli, segno per chi li scegliesse di un'eccenticità assai inquietante (vi immaginate un nuovo Eleuterio? un Sotero? un Conone? un Dono? uno Zosimo?). Altri nomi di antica tradizione sono invece più orecchiabili (come Stefano, Niccolò, Martino, Alessandro) e al tempo stesso, non evocando ricordi precisi, rappresentano una scelta piuttosto anodina. Salvo forse nel caso di Alessandro, che fa subito venire in mente il papa Borgia.

Ma alla fine le scelte più probabili si riducono ai pochi nomi dei papi degli ultimi secoli. E in questo caso, ogni nome esprime qualcosa di preciso.

Benedetto XVII. Adottare il nome del pontefice cui si succede è prassi assai frequente; pensiamo solo alla litania dei Pii e dei Giovanni Paoli. Se poi il predecessore è ancora vivo e ti abita pure in una dépendance nel giardino di casa, la pressione ad onorarlo prendendone il nome è ancora più forte. Ma oltre a queste considerazioni 'di cortesia', certo la scelta del nome di Benedetto esprimerebbe un qualche intento di continuità con l'attuale pontefice. Anche se, per un pontefice italiano, si porrebbe il problema che il numero 17 è considerato portasfiga dai connazionali.

Giovanni Paolo III. La scelta di questo nome significherebbe sostanzialmente: business as usual. Si va avanti con un modello di Chiesa 'centrista', non carne né pesce: salamelecchi al Concilio e  idee poco chiare sul da farsi. La crisi della Chiesa? Certo è grave, ma con qualche viaggio, qualche messa da stadio e qualche slogan si può continuare a nasconderla ancora per un po' ("meno messe, più Messa; fedeli meno numerosi ma più adulti; Chiesa più spirituale e meno costantiniana"; e via strologando). Un nome, questo, che avrebbe potuto scegliere un Tettamanzi, tanto per intenderci: facciamo i simpaticoni e poi qualche santo provvederà.

Paolo VII. Una scelta improbabile. Papa Montini (Paolo VI) è un pontefice che gode di cattiva stampa. Triste, introverso, insicuro di carattere, e per giunta intellettuale, è deprecato sia dai tradizionalisti (et pour cause!) sia, ancor più, dai modernisti: i primi perché gli imputano l'applicazione delle riforme, specie liturgiche, andando perfino oltre quanto indicato nei documenti conciliari; i secondi perché, seguendo la progressista Scuola di Bologna, interprete semiufficiale del Concilio, ritengono che Montini abbia frenato i maggiori ardimenti postconciliari. Non gli si perdona inoltre di avere condannato la contraccezione. Insomma: un neopapa che scegliesse questo nome inviso praticamente a tutti, mostrerebbe, quanto meno, di avere fegato.

Giovanni XXIV. E' il sogno di ogni prelato progressista quello di farsi incoronare (pardon: inaugurare) con questo nome. Il Papa del Concilio, il Papa buono, quello che diceva di dare una carezza ai nostri bambini, ecc. ecc. Papa Roncalli era tutt'altro che progressista, ma i modernisti si sono costruiti un santino a loro uso ritenendo che, se fosse vissuto ancora, avrebbe portato il Concilio a pronunce ancora più dirompenti e riformatrici. Per la citata scuola di Bologna, Giovanni XXIII è il buono che fa saltare la Curia romana e destruttura la Chiesa, mentre Paolo VI è il cattivo, o almeno il pavido, che frena. Il cardinale Danneels, l'ultraprogressista ex arcivescovo di Bruxelles (e che, ahinoi, parteciperà al prossimo conclave, mancandogli appena tre mesi prima di perdere quel diritto) ha riferito che, se fosse stato eletto nel precedente conclave, avrebbe scelto proprio questo nome.

Pio XIII. E' la scelta preferita dal tradizionalista mainstream. Il nome evoca papi di un'epoca in cui la Chiesa non si vergognava di essere quello che era e non utilizzava il massimo delle sue energie a scusarsi per il suo passato, a pensare come riformarsi e aprirsi al mondo, e a distruggere se stessa in una continua mutazione. Semmai, concentrava le sue forze nell'opera missionaria, visto che ancora non si era diffusa l'idea che convertire l'infedele è un delitto antiecumenico. Certamente un nome che avrebbe un significato programmatico molto forte, richiamando immediatamente alla mente quel Pio XII, rispetto al quale l'epoca postconciliare è vista come antitetica, se non addirittura il san Pio X della crociata antimodernista (e quindi lefebvriano ante litteram), o il Pio IX dell'infallibilità papale e della difesa del potere temporale; per non parlare del san Pio V di Lepanto e del messale tridentino. Insomma: un altro nome da coraggiosi, e non solo per via della triscaidecafobia.

Leone XIV. Ve lo dico subito: s'io fossi papa, sceglierei 'sto nome (sì, io sono un laico, ma in definitiva i due requisiti canonici per essere eletto ce li ho anch'io: sono vir, e baptizatus; resta solo da stabilire dove alloggerei madama la papessa, mia moglie). Il nome di Leone evoca il coraggio e la forza che si richiede ad un ufficio così sfiancante (come ci insegna papa Ratzinger); inoltre richiama alla mente l'impavido Leone Magno che, inerme, fermò Attila sulla via di Roma. Ma soprattutto, fa pensare a Leone XIII, che fu al tempo stesso un papa preconciliare e antimassonico (l'autore della preghiera, appunto, leonina a S. Michele Arcangelo), ma non è troppo sgradito ad orecchi più riformisti, grazie all'enciclica sociale Rerum Novarum. Insomma: un nome che esprime una scelta discreta ma chiara per la Tradizione, senza suscitare troppe controversie e opposizioni spiacevoli.

Gregorio XVII. Se Pio XIII è la scelta preferita dal tradizionalista medio, Gregorio XVII è piuttosto da ultra, o da sedevacantista tout court, di quelli che sognano il ritorno agli stati preunitari. Gregorio XVI è passato alla storia come papa reazionario, contrario ad ogni riforma dello stato pontificio e addirittura avverso alla ferrovia (le chemin de fer est le chemin d'enfer, avrebbe detto). Persino il primo ministro austriaco Metternich ebbe a lamentarsi degli eccessi reazionari della sua politica: è tutto dire! Il neopapa che assumesse questo nome farebbe bene a spiegare subito di volersi rifare, piuttosto, agli esempi di Gregorio Magno o di Gregorio VII, due grandi papi e due grandi santi.

Clemente XV o Innocenzo XIV. Due nomi non particolarmente evocativi di singole personalità, ma comunque piacevolmente démodés ed espressivi di un chiaro intento di continuità con la Chiesa dei secoli passati. Come dire (ed è già dire molto): la Chiesa esisteva anche prima del Concilio Vaticano II, per chi se lo volesse dimenticare.

Pietro II. Il nome più improbabile di tutti, anzi un vero e proprio tabù. Non solo perché irriguardoso verso l'apostolo, che è bene rimanga nella sua unicità onomastica; ma ancor più perché la profezia dello Pseudomalachia prevede proprio che il prossimo papa si chiamerà Petrus Romanus, e che sarà l'ultimo. Di che alimentare tutti i millenarismi, insomma; altro che maya! Recita la profezia: "Nell'estrema persecuzione della chiesa romana, siederà Pietro Romano, che pascerà le sue pecorelle tra molte tribolazioni. Indi la città dei sette colli sarà distrutta e il tremendo Giudice giudicherà il suo popolo. Finis".
Enrico



Fonte:

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