giovedì 14 febbraio 2013

Da La mia difesa scritta in condizione di prigionia nella fortezza di Olmütz, di Ferdinand von Zichy

 
 
Non avrei potuto comportarmi altrimenti da come mi sono comportato. Dio è testimone della verità di ciò che qui affermo.

Durante i sei anni e mezzo da me trascorsi a Venezia la situazione di questa città straordinaria, la profondità e la condizioni di navigabilità delle sue lagune e le sua capacità di difesa mi sono sempre state perfettamente note.

Conoscevo molto bene anche la nostra Marina cosiddetta «Austriaca» e i suoi sentimenti.

Già sei mesi dopo il mio arrivo a Venezia in qualità di Comandante di Fortezza nel 1842 e fino agli ultimi mesi prima dello scoppio della rivoluzione, avevo fatto ufficialmente presente che quella che di cui disponevano era una Marina non Austriaca – altamente inaffidabile. Affermavo infatti che era – e si sarebbe fatto meglio a chiamarla – una «Marina Italiana».

[…] Sennonché gli alti comandi a Vienna mi condannarono sulla base dell’addebito «di aver consegnato la fortezza di Venezia senza ricorrere alle armi».

Con questa formulazione questi signori mostravano di non tener conto del fatto che Venezia di per sé non è una fortezza: è una città accessibile solo via acqua, circondata dalle lagune, tagliata da molti canali e da centinaia di ponti strettissimi, e popolata da 129.000 abitanti. È considerata un «porto fortificato» solo in ragione dei forti situati su alcune isole molto distanti dalla città. Anche le polveriere sono situate fuori città, sulle isole. Forti e polveriere possono dunque essere annoverati come parte integrante di Venezia – e Venezia considerata a tutti gli effetti una «piazza fortificata» – solo ove si abbia il controllo della Marina, poiché in mancanza di quest’ultima è impossibile comunicare con quelli. Tutte le vettovaglie e ogni altro genere di necessità possono arrivarvi solo via acqua.

Escluso l’Arsenale, che non era sotto il mio controllo, non c’è punto di Venezia che sia idoneo alla difesa.

Qualora vi scoppi una rivoluzione, Venezia può essere tenuta a bada soltanto per mezzo della Marina, e cioè circondando la città con tutte le imbarcazioni da guerra a disposizione adeguatamente armate in modo tale da isolarla. Atteso che si abbia la forza necessaria a ridurre la città a un cumulo di macerie o ad affamare in pochi giorni la sua popolazione tanto da costringerla all’obbedienza, qualsiasi rivoluzione sarà immancabilmente sedata.

Se i ribelli non avessero potuto contare sull’appoggio della Marina, è chiaro che non sarebbe scoppiata nessuna rivoluzione.

A quell’epoca la Marina aveva a disposizione duecento cannoni, cento dei quali potevano essere immediatamente dislocati. Anche cinquanta sarebbero stati sufficienti. Erano inoltre disponibili tre barconi a vapore, che in pochissimo tempo potevano essere condotti in qualsiasi punto.

Quale sarebbe stato il risultato di una siffatto dislocamento delle truppe? Che, trovandosi il passo sbarrato dalle barricate erette in quelle vie larghe 5-8 piedi, quelle si sarebbero ritrovate intrappolate nei punti loro affidati e, non potendo procurarsi vettovaglie e munizioni, si sarebbero trovate costrette o a morir di fame o a capitolare.

E sarebbe stata una capitolazione infamante, giacché, visto il suo atteggiamento ostile, di certo non c’era da aspettarsi che la Marina intervenisse per liberarli dallo scacco.

Trovandosi a dover resistere in una situazione in cui anche le prove di più alto valore erano destinate a insuccesso, col passare dei giorni i ribelli avrebbero imposto la supremazia che derivava loro dalla situazione geografica, con il risultato che tre ampi ed eccellenti battaglioni di fanteria formati da seicento artiglieri (calcolando anche gli artiglieri di guarnigione) nonché molti ottimi officiali delle file dell’armata del Feldmaresciallo sarebbero andati perduti o perché prostrati dalla fame, o perché rinchiusi come prigionieri di guerra nei forti sulle isole (dove una gran parte di loro sarebbe morta a causa della malaria) o, infine, perché rilasciati in cambio della parola d’onore di non prestare mai più servizio in Italia.

Questo il triste futuro che mi si parava davanti agli occhi: per questo motivo accolsi la proposta di partire.

La Resa da parte del Governatore Asburgico ai rivoluzionari di Venezia



Estratto da:

“Rivolta e tradimento. Sudditi fedeli all’imperatore raccontano il Quarantotto veneziano”