lunedì 18 febbraio 2013

Cattolicesimo e americanismo a confronto (seconda parte)

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Riprendiamo la pubblicazione, in sei parti, della relazione Cattolicesimo e americanismo a confronto: il problema politico contemporaneo del prof. Miguel Ayuso (Università Comillas di Madrid), che si è tenuta presso il santuario di Madonna di Strada a Fanna (Pordenone, 23 agosto 2012) al XL convegno annuale degli “Amici di Instaurare”. Grassetti, corsivi, sottolineati e “titoletti” sono a cura della redazione di Radio Spada. La pubblicazione si era interrotta per l’annunciata abdicazione/rinuncia di Benedetto XVI ma ora riprende regolarmente.
 
Omne regnum in se ipsum divisum…
 
D’accordo con una certa presentazione frequente, i fondatori degli Stati Uniti crearono un “governo limitato” secondo i canoni dell’Illuminismo inglese. L’ispiratore, dunque, non poteva essere che John Locke, oracolo delle forze che promossero la Gloriosa Rivoluzione del 1688 a vantaggio dell’oligarchia whig e della successione dinastica protestante, contro alcuni Suart che erano visti come troppo vicini al cattolicesimo e favorevoli a rafforzare il potere reale con rischio per la libertà di gestione delle loro proprietà.
Lo stesso Locke influirà in maniera decisiva nell’istituzionalizzazione della rivoluzione americana attraverso, per esempio, framers come Madison, che accoglieranno alcune delle sue grandi concezioni come la tolleranza religiosa e la separazione dei poteri. Da Locke, però, presero qualcosa di molto importante, il metodo contrattualista congeniale – per altro – a una situazione nella quale doveva essere modellata una società politica nuova, che non poteva nascere da una tradizione concreta che si rifiutava per principio anche se non poteva comunque non operare in parte nella pratica, ma non nella mente dei fondatori.
La Costituzione, come prodotto del contratto, mescolò così elementi che derivavano dalla tradizione cristiana (soprattutto nella versione calvinista) con altri elementi che derivavano dall’Illuminismo inglese, e forgiò uno strumento per risolvere i problemi di fondo “non ponendoli davanti a un tribunale che rappresentasse la legge naturale nella sua caratteristica universale e ultima, ma mantenendo una tensione fra i diversi interessi del popolo… per evitare che una fazione potesse pretendere di rappresentare la verità della legge, l’essenza stessa del diritto, potesse sottomettere la nazione alla sua volontà e alle sue idee particolari”.
 In breve, una mescolanza di costituzionalismo e positivismo giuridico.
La sociologia viene, a questo proposito, a confermare quanto di comune accordo la filosofia e la storia ci hanno insegnato: la Repubblica americana fu concepita in odio al “dispotismo monarchico” e secondo la visione ottimistica – propria del secolo XVIII – secondo la quale, espropriata l’ambizione politica degli strumenti di incidere sui diritti dei cittadini, non restava che moltiplicare gruppi di interessi affinché la loro concorrenza naturale ostacolasse le ambizioni di uno qualsiasi di essi.
Va sottolineata la predilezione per il “sezionalismo” – o per la frammentazione nell’eguaglianza – che presiede alle realizzazioni del genio americano: la divisione di poteri, il federalismo, l’uguaglianza delle chiese separate dallo Stato e lo stimolo dei gruppi di pressione.
Dal punto di vista politico, l’equilibrio dei poteri, il regime presidenzialista, il suo “controllo” da parte del bicameralismo, l’indipendenza della magistratura e l’ingegnoso compito riservato alla Corte Suprema – una specie di monarca collegiale -, rappresentarono gli elementi di base del sistema elaborato dai fondatori e che oggi è notevolmente modificato dall’accrescimento dei poteri del presidente (con la correlativa diminuzione d’importanza del Congresso) e dalla vasta burocrazia di cui questo si circonda, che – con l’ausilio della Corte Suprema – fanno passare le libertà degli Stati sotto un rullo compressore.
A causa, però, di fattori come lo svuotamento delle associazioni volontarie e anche dei partiti politici da parte dei gruppi di pressione – incoando un patente processo di “feudalizzazione” – la massificazione omogeneizzante della vita culturale e la supremazia di alcuni mezzi di comunicazione consegnati alla “realtà-finzione”.
 
 [continua...]