venerdì 11 gennaio 2013

IL CRISTIANESIMO LA RIVOLUZIONE ITALIANA E LA POLITICA EUROPEA MEMORIE STORICHE - POLITICHE DEL CAV. MAURO MUSCI (2)

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IL CRISTIANESIMO
LA RIVOLUZIONE ITALIANA
E
LA POLITICA EUROPEA
MEMORIE STORICHE-POLITICHE
DEL
CAV. MAURO MUSCI

BRUXELLES
a spese dell'autore-editore
1861
 
(se vuoi, puoi scaricare il testo in formato ODTPDF)
 
 
VIII. - Solferino, Villafranca, Zurigo, e l'Italia degl'Italiani.............................................. » 194
IX. - La Confederazione, il non intervento, Garibaldi, il grido di dolore, e l'Italia Piemontese ..............................................................» 210
X. - Il Regno delle Due Sicilie, tra la politica conservatrice e le concessioni ..................» 231
XI. - La diplomazia, Castelfidardo, Gaeta, il colloquio di Varsavia, i Sovrani di Europa ...» 246
CONCLUSIONE.....................................» 289




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VIII.
SOLFERINO, VILLAFRANCA, ZURIGO E L'ITALIA DEGL'ITALIANI
Il tentativo di Orsini contro la vita di Napoleone III, non è un tentativo personale, bensì europeo; non è solamente rivoluzionario, politico ancora; ed è italiano nella formola, cosmopolito nella sostanza.
Chi non valuta quest'assieme di calamità, dissolventi F ordine e la pace di Europa? ogni intelligente, meno l'Europa politica.
Non basta che la guerra di Crimea, ha paralizzale le forze armate ed ha lacerale a brani le alleanze e la volontà dei gabinetti. Non basta all'influenza inglese di aver costretto il vindice della rivoluzione, Bonaparte, a sorridere alla medesima, grazie alla bandiera italiana apparsa su i colli della Cernaja, e all'intervento piemontese (futura Italia) nel congresso di Parigi. La Francia non puol'essere rivoluzionaria, ed è troppo felice. I sinistri fati italiani sono ancora larve, grazie alla morale cattolica ed alla prosperità civile che difendono la penisola. L'Europa Sovrana è scissa, ma scissa com'è, è più facile che i rispettivi suoi rancori si guariscano con le acque della Senna che con quelle del Tamigi. Infatti, francesi e inglesi bombardarono Sebastopoli, e dopo, la Russia si rende intima della Francia, e serba il broncio con l'Inghilterra; e Austria, Germania, Spagna, Italia (meno il Piemonte inglese) appalesano le loro gradazioni barometriche nelle speciali politiche, più alle nell'atmosfera di Parigi e più basse in quella di Londra.
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La rivoluzione vuol progredire, pria che la discordia europea si addormentasse; e la politica inglese, benché in quel giro di tempo serbi una breve parentesi conservatrice- inutile più, dopo la morte di Roberto Peel e di Wellington, e dopo la dittatura perpetua di Palmerston e di Russel, contemporanei Cromwell, che riducono le potenti camere britanniche ad un mito,-fu sotto gli auspicii della parentesi conservatrice, che i vascelli inglesi accorsero a Napoli col pretesto de' due macchinisti, onde assegnare una vittoria morale alla rivoluzione italiana nella disfatta di Sapri e nel processo di Salerno; fu allora che il club regicida spedi da Londra a Parigi i suoi emissarii; fu in quell'epoca che mentre le officine inglesi consegnavano le commissionate armi ai volontarii di Garibaldi ed ai comitali dell'intera penisola, lord Cowley si recò a Vienna oracolo di pace, e avvenne la guerra; e lord Derby stimò cadere col suo ministero, e cadde per chiudere la parentesi conservatrice, onde il periodo della politica palmerstoniana non perdesse il senso ed il concetto fino al punto finale, che non e giunto ancora, e non giungerà si presto per corona della famosa opera.
Dunque, o Orsini riesce nel sanguinoso cimento, e Parigi con le sue fiamme ribelli riescirà ad incendiare l'Europa divisa dai rancori; o Napoleone si rende schiavo della rivoluzione, e la medesima acquisterà una gran volontà per le sue battaglie; o costui scende in Italia, e la guerra europea è dichiarata; o si affaccia sul Reno, e si otterrà una seconda Waterloo; o abbandona il Papato preda dell'ambizione piemontese e della demagogia, e lo scisma religioso d'Italia, sarà esca di anarchia e di cimento fra i popoli, e la guerra delle coscienze addiverrà trionfo al protestantismo e lotta fra i Troni; e, comunque vada, Orsini non è che la mano dell'Italia,
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la volontà è tutta d'interesse rivoluzionario, e, attraverso a tanti drammi spaventevoli, l'Inghilterra si toglierà dal suo pernicioso isolamento, comprerà simpatie, venderà alleanze, acquisterà predominii, conquisterà popoli e regioni, e dall'alga e dallo scoglio comanderà all'Europa, la quale fino a che risorgerà dai suoi mortali conflitti, rimarrà miserabile mercato di sostanze e di vita della superba Albione: che spesso per la sua politica, compromette la grandiosa stima che gode nel mondo quella gran nazione e quei gran popolo.
Ecco in succinto la trepidante filosofia che racchiudevi nel projettile di Orsini; e i malanni che oggi si schierano nella rivista crudele d'Italia; e le trepidale spasmodiche in cui giace l'Europa tutta, non sono ancora che dei brani d'un volume, che, senza il pronto intervento della Provvidenza, unica forza capace al recidere con la spada della sua giustizia il filo dell'argomento; i popoli contemporanei, non avranno tempo di leggere tutte le luttuose pagini di questo volume, e rimetteranno ai posteri, la sanguinosa eredità di esaurirne la materia.
I Sovrani dell'Europa» con la famiglia diplomatica, qual peso assegnarono alla bomba di Orsini? meditarono la scienza che racchiudeva il testamento di Orsini, con gli altri sanguinosi campioni che venivano dopo la sua morte? la minaccia di vita di Napoleone, fosse il prologo della tragedia, di cui or ora Becker ha rappresentato il primo atto sulla esistenza del Re di Prussia? era solenne dovere de' Sovrani di rinunziare da quel dì ad ogni loro disappunto, e congregarsi là sul teatro della sfida, a Parigi, fuori etichetta, spogli di preminenze e di liturgia, onde intendersi per scongiurare il demoniaco oracolo, e pei loro Troni, e per tanti milioni di esseri, che hanno diritto di chieder ragione ai loro governi sul presente e sull'avvenire della società,
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mentre serbano il dovere di sottomettersi alle loro leggi? L'Europa Sovrana e diplomatica, continuò niente più niente meno sulle orme primiere, ad aspettare la burrasca, a scindersi più di pria, ad attendere che pria il fuoco divampi in casa propria, e, e il fuoco è giunto, e attendesi ancora!..... che? lo sa Iddio, non essendo più dell'umana scienza saper trarre una spiega, logica almeno, dall'incantesimo della politica europea.
E che si ebbe Napoleone III, dalle primarie potenze di Europa, dopo l'attentato di Orsini? eh! i diplomatici e gli ajutanti generali de' governi delle cinque parli del mondo, si assieparono negli appartamenti delle Tuglierie prodigando un diluvio di congratulazioni e partecipando ai pranzi imperiali, e, dopo, ogni governo se ne stiede a casa sua, e Napoleone rimase ad attendere gli ulteriori frulli d'oltre Manica, e ad oltre Manica chiese riparazioni legali almeno come uomo, e, non ne ottenne né diplomatiche, né giuridiche; e, appena Rudio, compagno di Orsini, giudicò e spedi a Cajenna, da dove mano lo trasse e lo recò in America, e, oggi sento eh' è ritornalo a Londra, forse (il Ciel noi voglia), qual di novelli, eh! l'ospitalità sul Tamigi é sacra, e perisca il mondo....
Ma, senno umano, rispondiamo noi: questa società europea puoi vivere cosi? ov'è più l'equilibrio morale e politico, da cui l'Europa ottiene il nome da secoli, di cristiana e di civile? ov'è più la maestà de' troni, ove Io splendore delle leggi? che valgono più gli eserciti permanenti, i trattati internazionali, il progresso di sorprendenti ritrovati, il lusso magico della vita sociale, se i Re ed i popoli sono già vassalli dei pugnali e di una ciurma di cannibali, e, l'Europa stima più facile prostrare sé stessa in rovine, che liberare sé stessa dal servaggio
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del comitato ribelle che si tutela sul Tamigi, col disprezzo di tutti e di tutto?
Ripeto: - non vogliamo con queste riflessioni giustificare la politica francese, e neanche la politica di tutti i governi dell'Europa, ma solamente storiografare gli avvenimenti, per lo scandaglio della funestissima posizione in cui il mondo morale, politico e sociale si è situalo da sé, e da sé discende nell'abisso delle barbarie, e, concludiamo:
La società non vive senza religione, e la religione cattolica eh' è la vera, si oltraggia con la doppia guerra dello scisma e dell'indifferentismo.
La società non esiste senza il patrocinio de' governi, e questi palpabilmente rinunziano la loro missione che vien da Dio, in braccio di una nuovissima potenza, ch'è la rivoluzione.
La società si estingue, come cessa il vigore dei codici e la fiducia civile, e questi codici e questa fiducia, or ora si vedranno bruciare, qual prima prova, co' rovesci de' governi d'Italia e con la guerra civile e le fucilazioni in massa delle Sicilie.
Europa, dove si và?..
E la Francia (fino a quando la luce non sarà fatta), isolala nel duello, cerca con non mai più viste strategiche, rompere il quadralo della formidabile lega, e cosi aprirsi un varco tra la politica inglese e la rivoluzione europea (che pel momento dicesi italiana, onde non spaventare), e la Francia conservando ancora la fisonomia del 2 dicembre, si orna d i qualche monile patriottico, e si apparecchia a scendere in Italia, per localizzare la belva, e circoscriverla in mezzo ai nostri popoli ed a spese nostre, onde la quistione italianail di più al tempo: e, salva Roma, come un Oasi nel deserto. Ma non riescirà, qualunque saranno i suoi ed i nostri sacrifici!!
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La Francia viene in visibilmente, ed invisibilmente la persegue l'Inghilterra. La Francia si ferma sul Mincio, e l'Inghilterra, non chiamata, si scaglia sul contratto di Zurigo, e covre trattati solenni col polverino del non intervento. La Francia regola ed imbriglia il Piemonte, l'Inghilterra divide dal Piemonte la rivoluzione italiana, e la unisce a sé e la predomina; ed il già si dilata nella penisola, e Mazzini ordina e comanda in Italia; e Garibaldi (spoglio di aureola da quel Piemonte che glie la creò artificiale fino al compimento del bisogno), oggi è addivenuto l'incubo dell'ambizione piemontese, e la stella della repubblica italiana, una ed indivisibile.
Cosi ragionando, son certo di affrontare molti pregiudizi, già elevali a pubblica opinione. Ma non imporla. Il carnefice odierno dell'Italia e dell'Europa è la politica francese: errore. Il carnefice, è la politica inglese, e i malanni attuali che appajono co' lineamenti napoleonici, malanni sono, ma sono nel tempo stesso evoluzioni strategiche, onde sperperare il connubio delle forze ribelli e nemiche, per vincerle un giorno alla spicciolala. Forse questo giorno se si affretta, avrà a sé la stanchezza di tutte le opinioni oneste, e la Francia trionferà: forse questo giorno non verrà, se l'Inghilterra modificando i suoi piani di battaglia, potrà riuscire con le sue ricchezze, non con le sue simpatie, a coalizzare l'Europa ammiserita, contro il Bonaparte, vittimando questo e la rivoluzione ancora (com'è suo costume); ma in quel giorno l'Europa sarà felice? mai, mai. Riordinerà tutti gl'interessi materiali, ma non è più della nostra generazione, ricostruire l'edificio morale, eh' è il palladio de' governi e de' popoli, e che ora la rivoluzione riduce in frantumi.
Proseguiamo la cronaca.
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E il Piemonte (Italia) pacificamente cospira in Toscana, detronizza il Gran Duca, e per della circostanza, eleva il suo rappresentante presso Leopoldo II a capo del governo in Firenze: misfatti nuovissimi, che suicidano ogni gloria italiana.
Dopo questo prologo, noi assistendo a successive battaglie, non avremo fatto altro che assistere ad un banchetto che l'Europa politica, offre alla rivoluzione, mercé un colluvio scipito di note diplomatiche: e l'Austria istessa, che ha brama di cacciarla d'Italia, passa il Ticino pel trionfo della medesima.
Garibaldi, leone che da anni dorme alla catena in Caprera, vien desto, e crealo generale da Cavour ministro dell'interno, pel rifiuto di Della Marmora, nobile reliquia che ricorda i tempi onorali della fu milizia di Casa Savoja. Garibaldi suona la tromba al patriottismo italiano, e dai quattro venti de' comitali ribelli accorrono i volontarii, e le madri italiane già vedono sollevarsi il sipario per nuova strage de' loro innocenti figliuoli, vittime de' projettili e del libertinaggio, e, i volontarii già manomettono l'ordine pubblico nel modenese, nel parmigiano e a' confini lombardi sul Varese, con periodiche scorrerie, e, l'armata piemontese chiama i suoi contingenti e guarda con sorriso gli sbocchi delle Alpi e i lidi della Liguria, onde aquistar coraggio, ed attende a far l'Italia, scacciando uno straniero ed introitandone un altro: costume antico!
Il giovane Imperatore d'Austria si muove a virtuoso sdegno, si anima a compiere un opera rimasta sventuratamente a metà dalle vittorie di Radetzky, e s'incorona dell'estremo serto contemporaneo de' Sovrani di Europa, battagliando a bandiera spiegala la rivoluzione: e, dopo non ci rimane, per chiudersi la scena, che la gloria augusta di Francesco II sullo scoglio di Gaeta.





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Ma! Francesco Giuseppe, l'eroe del diritto pubblico del mondo civile, ha il cuore della giustizia, è questo che lo muove co' generosi affetti ad affrontare la belva, eh! disgraziatamente la spada che imbrandisce possiede due invisibili tagli temprati nel mistero, e, l'uno è il taglio del tradimento, l'altro è il taglio della rivoluzione...
E l'ultimatum austriaco, che giunge a Torino, è uno dei contemporanei documenti degno dei Re; gli altri che seguono sono capziosi ritrovati, inutili, infingardi, e che esprimono il contrario di quanto si pensa.
L'armata austriaca passa il Ticino, e i prossimi eroi di Castelfidardo e di Gaeta, indietreggiano fino a quando i Francesi non giungano a far la guerra: gloria italiana!
Avremo dunque la guerra? Benedetta sia la guerra, dissi fra me stesso, quando la guerra è necessaria a scuotere l'Europa dalla sua mortale apatia, quando la guerra allontanerà l'infausto isolamento della politica, sperderà i rancori dei gabinetti; e la nuova unione dei Sovrani, schiaccerà la rivoluzione, manomettendo chi la regge e guida, e finalmente segnerà alle incerte e cadenti orme della vita sociale, la via da percorrere, degna di questo povero secol nostro straricco di lumi, e con sua meraviglia, già quasi cieco.
L'armala austriaca vuole impossessarsi di Torino e di Genova, e da quivi attaccar la guerra co' francesi. Lunghe pioggie, vasta terra irrigata dalla Lomellina e una quasi lentezza del generale Giulay, permettono che i francesi giungano prima dalle Alpi; altri francesi sbarcano immantinenti a Genova; ed altro corpo d'armata sbarca a Livorno ed occupa la Toscana. Gli austriaci che presiedevano Bologna, Ferrara con lesta sul Po, i Ducati ed Ancona, temendo di essere circuiti o isolali, sventuratamente si ritirano.
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L'esercito francese, oltre il suo notissimo valore, possiede il movimento popolare, le legioni di Garibaldi che accendono il fuoco sociale in Lombardia, le molte ferrovie piemontesi che gli austriaci non giunsero o non pensarono a manomettere, e tutti i mezzi cibarii e sanitarii di regione amica. Gli austriaci eccetto il valore, mancano quasi interamente di questi speciali suffraggi. La prima battaglia che s'ingaggia, non è per l'Austria se non una coraggiosa ritirata che effettua combattendo, dopo l'imprevisto fallimento del suo piano primiero; e in quei luoghi, che oggi danno il nome a grandiose battaglie, non si combatterono nella pretta e tecnologica scienza delle armi, se non grandiosi duelli fra due armale che serbavano scambievoli rancori per vittorie d'un tempo che fu: non perciò, ne risultarono colossali massacri per una linea, per un pónte, per un non nulla da ritenersi un giorno, per ore. E quando realmente si stanno per impegnarsi formali battaglie, al di là della linea del Mincio; sventuratamente per l'Italia, per la Francia, per l'Austria, per l'Europa, le battaglie svaniscono, e dico sventuratamente, perché nulla si decide; e l'Europa ritorna alle sue spasmodiche incertezze, la Francia sale sulla corda ognor più lesa d'una compromissione universale, e la sola rivoluzione può dirsi vittoriosa per gl'isolati trionfi a cui già la mena l'anglicana politica su tutta Italia, che abbandonerà carnefice e vittima di sé stessa, al crudele suicidio del non intervento; e solo John Bull passeggia dalle Alpi a Scilla con gli addobbi questuanti di un vero Ebreo errante.
E in questa nostra età, dedita alle esistenze precarie, la ristaurazione dopo la rivoluzione nulla risolve per l'avvenire di Europa: a Sebastopoli si sacrificarono innumere vittime ed incalcolabili ricchezze e nulla si decise.
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I Sovrani stanno perplessi, la virtuosa famiglia diplomatica o non sa più intendersi o formula strepitosi fiaschi, e, i congressi stessi, ( si sono resi parallelli alla quadratura del circolo, o almeno sono due linee rette che passeggiano fino ai poli senza incontrarsi. Di grazia, che si ottenne dia Magenta a Solferino, che possa dirsi degno del gigantesco duello di vile umane e di pubbliche finanze? meraviglia! si nuotò nel sangue, per preparare o una rivoluzione europea o una guerra europea: la prima si fa innanzi al rispettabile pubblico, la seconda indietregia ancora...
Perciò non mi fermo a tener discorso dello slancio francese, della costanza austriaca e dell'ardire italiano (degno di miglior causa), sol perché medito e medito, e, non raccolgo in mezzo a vasta campagna di morti e di morenti, che vanità di vanità, e sventure pronube di sventure; invece mi faccio a ragionare cosi:
L'Austria nel suo cavalleresco impegno di accorrere al di là del Ticino, ebbe in mente che la Francia scendeva le Alpi contro di lei? previde che avrebbe dovuto affrontare, oltre la impassibile volontà di Napoleone, F impelo notissimo della milizia francese, che a ragione o a torto vuol primeggiare nel mondo? riconobbe che la rivoluzione cosmopolita, con maschera italiana l'ostegiava in ogni verso? era già con lei la Germania armata? Se non era, dovea bivaccarsi sulla frontiera politica, farsi aggredire e battagliare sulla difensiva; e allora la Francia, se accorreva in Italia, avrebbe attirata l'Europa politica e militare su di sé, e l'Austria costretta a prendere l'offensiva, sarebbe stata giustificata, e non perdeva la Lombardia. 0 se la Germania era con l'Austria, e l'Austria si era spinta in Piemonte nella doppia ipotesi, o di sottometter questo se la Francia non interveniva, o se interveniva di attirarla
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dà combattimento in combattimento nel quadrilatero e sul terreno della confederazione; e allora non dovea accogliere le proposte di pace che il vincitore largiva a lei come vinta, perché l'Austria in questo caso vinta non era, e vincitrice non poteasi chiamare la Francia, se la ritirata della prima sul Mincio era una strategica per guidare la seconda in un aguato e forse nel completo precipizio. Ma l'ulteriore sviluppo degli avvenimenti, l'enigma della esistente o non esistente nota Prussiana, i processi austriaci intorno a parecchi detestabili individui militari e il suicidio del ministro delle finanze, palesano bastantemente che quella tale invisibile dietroguardia, della quale abbiam discorso nell'altro capitolo, spinse alla difficile guerra ed alla disastrosa pace il virtuosissimo Imperatore Francesco Giuseppe, onde perdesse la Lombardia, e la temuta unione Germanica introitasse novelli attriti per scindersi, e la rivoluzione (nuovissima potenza fra tutti i governi del mondo civile) dilatasse i suoi padiglioni in Italia. Ed è cosi, perché oggi i Re ed i popoli sono dominati dai tradimenti, ed i speciali traditori non tradiscono sempre per volontà, ma per comando simpatico di misteriosi comitati: che sono i Dei penati delle vitali cifre aritmetiche, essenza del secolo.
Un altra dimanda indirizzo all'Austria, ed è: perché abbandonare Bologna, Ferrara ed Ancona? per quel corpo d'armata francese scaglionato in Toscana, e che polea isolare o girare quelle guarnigioni, mentre Ancona era troppo lontana dalle linee di combattimento. E, queste città appartenevano alla Lombardia o al Papa? se al Papa, questi non era in guerra con la Francia, anzi Napoleone nello scendere in Italia, fra tante promesse, disse e fece dire dai suoi organi ufficiali, che il dominio temporale della Santa Sede era sacro. Dunque le armi francesi che stanno a Roma, in forza di quel diritto per cui l'Austria occupava
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altre città pontificie, non si sarebbero permesse di recar molestia alla difesa militare del Santo Padre, senza gittarsi in una quistione che allora recisamente evitatasi da Napoleone: o se le sorti della guerra avessero impegnala la Francia a togliersi un corpo nemico dalle spalle o dai fianchi, non mai avrebbe operalo militarmente contro provincie della Santa Sede, ma, o otteneva dal Papa di presidiare essa stessa, per fasi di guerra le città invece dell'Austria, o per bonaria capitolazione co' rispettivi comandanti austriaci, che potevano stabilire speciali vincoli in difesa dell'autorità pontificia, avrebbe occupata quelle piazze; e, possiamo giurare col dovuto permesso dell', che tuttodì la Francia e per della quistione italiana, e per rispetto alla Santa Sede, non commetterebbe neanche un peccalo veniale, pensando a ritirare il suo piede dall'Adriatico o da una riva del Po: benché si fosse E in questo caso, i presidii austriaci stessi, uscendo dalle città Papaline, in qualunque modo non sarebbero stati prigionieri di guerra, senza macchiarsi l'onore francese e senza manomettere i riguardi dovuti al Pontefice di cui custodivano il territorio. E ne' preliminari di pace, Napoleone se v'era dentro non avrebbe parlato di uscirne, e se gli austriaci vi sarebbero rimasti, Francesco Giuseppe avrebbe ottenuto altri espedienti; e, in qualunque modo, il Papa non perdeva allora quelle chi sa a quale altra fisonomia si sarebbe atteggiala la vertenza. Certo non avrebbe avuto l'infausto sviluppo di oggi, e la Francia Imperiale in diritto non potrebbe giustificare oggi sé stessa, ripetendo il motto: fu l'Austria che allontanandosi, fece perdere quelle città alla Santa Sede, e, senza di ciò, forse la ferrea e micidiale circonvallazione del brittanico non intervento in Italia, quante linee minori non serberebbe?
Intanto i due Imperatori si sono incontrali sul terreno
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di Villafranca, e, Napoleone invita alla pace coi sacri titoli dell'umanità, e Francesco Giuseppe l'accetta sull'ara sanguinosa d'un vasto campo disseminalo di cadaveri. Qualsifossero le ragioni politiche di entrambi, noi che ci addoloriamo pei fati di Villafranca, all'idea di numerose calaste di vittime, preludii di altre innumeri da sagrifìcarsi, giustifichiamo nella storia col titolo di virtuosi quei preliminari, e, non imporla che per quei preliminari siamo giunti all'esilio e i nostri fratelli cadano ad ogni ora sotto la bipenne piemontese, che di Robespierre.
Tutto è festa, tutto è gioja per l'Europa politica, la quale pur ch'eviti una guerra generale, non importa che fissi I'spigionasi a tutte le Reggie, e il socialismo saccheggi il mondo: e sia cosi, non potendo noi fare che cosi non sia.
Allegramente dunque, perché finalmente l'Italia degl'italiani è fatta ed è fuori lo straniero, e non imporla che nei baccanali patriottici di Torino, novellamente si metta in vendita il ritratto di Orsini. Baje! è quell'ebreo errante di John Bull, che geloso di veder la Francia in Piemonte, si carica sulle spalle la democrazia italiana come mobile (e tale è), e brontolando alla marinaresca, cambia alloggio dal suo annoso domicilio in Piazza Castello. Baje! non si curi lo stollo, e piede avanti piede, corriamo sulle virtuose orme della moderna stimabilissima diplomazia che si raccoglie a Zurigo: viva l'Italia, viva la diplomazia...
Eccoci in Zurigo, l'Italia non si vede e non si può vedere, pel gran motivo che si fa, si confeziona, capite, e siccome l'Italia che si lavora è prettamente italiana, i maestri della grand'opera sono stranieri (fuori lo straniero!) francesi, ed austriaci; cosi il Piemonte Italia, ha mandalo per Galleggiare i lineamenti della diva un suo italiano, onde i fabri non sbagliasse anco alla fisonomia, se sbagliano alle vestimenta co' figurini di Parigi e di Vienna. Bene sta.
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Ma, e chi èitaliano diplomatico? Des Ambrois: misericordia! questi è savojardo, che dopo Zurigo può addivenire francese. Sventura! l'Italia si confeziona nella Svizzera, e finché non recasi a Torino ignorerà anco il sillabare italiano, giacché Des Ambrois é senatore italiano, fu ministro italiano, come é ora plenipotenziario italiano, ma non parla italiano. Povera Italia! procreata in Svizzera, vestita con moda austrofrancese, con fisonomia savojarda, deve apprendere (qual neonata) da Gianduja.... Me ne appello anticipatamente al dizionario della Crusca, alle tariffe doganali del regno futuro, a Mariano d'Ayala, ed al municipio napoletano!
Vada come si voglia, ammiriamo la nuova Italia degl'italiani, e mentre John Bull (che fu il primo a giungere in Zurigo) con livrea di anticamera, origlia sulla soglia del congresso, noi che non possediamo (per grazia di Dio) la scienza della moderna diplomazia, con un pò di senso comune ragioniamo, su quel che dentro delta il cuore.
Spettacolo! nel 1848, l'Italia che poteva co' suoi Stati emanciparsi e nazionalizzarsi, vide rovesciata ogni sua speranza ed ogni trionfo per l'ambizione piemontese, che disprezzò la mano leale de' principi e de' popoli italiani; nel 1859, l'Italia non si muove, ma vien mossa dal connubio ambizioso del Piemonte e della demagogia italo-europea, e attraversando insieme e per molti anni la via più scabrosa d'ogni sacrilegio e d'ogni delitto, si ripromettono di far l'Italia degl'italiani, chiamando in Italia due padronali stranieri ed un armala straniera, per mandar via e a metà, un altro straniero.
Quanti delitti, quali vergogne, quante catene...
La politica inglese è signora da anni non nell'Italia, ma sull'Italia piemontese.
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La politica francese viene dopo, in Piemonte, e dopo la politica vengono le armi, e l'Austria indietreggia sul suolo italiano, non pel coraggio e per la volontà de' nostri popoli, ma pel valore francese, straniero contro straniero in casa nostra e l'Italia degl'italiani è fatta; e una colonna piemontese isolata appare nella gagliarda tenzone, non più né meno che una misera legione al comando, agli ordini e al servizio della Francia già padrona de' nostri destini, e noi sommessi ai pieni voleri di si alto patrocinio. E affinché poco o nulla apparissero le armi italiane, anco dietro le orme di Garibaldi, le legioni di questo costituiscono un ammasso cosmopolita d'ogni lingua e nazione; e invece di movimento italiano, rappresenta alla storia ed ai contemporanei, non altro, che l'assieme della rivoluzione europea, per far l'Italia degl'italiani: Oh! l'orgoglio, ed il prestigio nazionale....
La guerra comincia, come e quando ordina lo straniero: cessa come e quando lo straniero desidera. Si smembra il lombardo suolo a piacimento straniero, esso traccia i confini, offre le nostre fortezze al nemico, gli guarentisce la Venezia, dispone dei trattati, fissa i preliminari di Villafranca, ignoti all'Italia fino alla conclusione. L'Italia non ha occhi né orecchie per vedere e per udire quel che passa fra i due stranieri Monarchi, e, dopo gradisce e ringrazia quel che essi stimano di darle, e, tace ed acconsente come chi non ha né cuore né braccio né volontà, e, è fatta!
Non basta. - Non diss'io che gli eroi di S. Martino e di Varese raffiguravano legioni al semplice servizio francese? Infatti a Villafranca non si pronunzia né il Piemonte, né l'Italia. Bensì, l'Imperatore d'Austria cede la Lombardia all'Imperatore de' francesi, e questo dona al Piemonte la Lombardia: duplice servaggio,
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giacché i doni politici non distruggono dell'intuito i diritti, e se la Francia addiviene mobile qual fu per il passato, e come oggi è l'Italia, qual contralto lega i contraenti primi per l'avvenire, se il sangue francese solamente è legalizzalo nella guerra, e l'Austria non perdè ma cedette alla Francia una stia provincia, senza alienare i suoi diritti colla clausola di conquista francese? E, come che il Piemonte, simile a un antico castellano che cede la rocca de' suoi illustri antenati per andar ad abitare altrove un palazzo, del quale buoni amici stanno per gii- lare le fondamenta, come che, dicea, il Piemonte regala l'italiana Nizza e la Savoja culla dinastica, alla Francia; la Francia ha il potere ed ha il senno di non vincolare il suo ingrandimento con quei gracili lacci, che uniscono la Lombardia al Piemonte, ma la Lombardia rimane mobile, Nizza e Savoja immobile nelle leggi de' scambievoli donativi tra il protettore ed il protetto. Meraviglia ancora! il Piemonte ha ceduto il suo alla Francia, e l'Europa politica ne ha preso valido registro nel diritto pubblico, meno i vezzi dell'Inghilterra; il Piemonte si prese in quell'anno la Toscana il Ducato di Modena, quello di Parma, Bologna e le Legazioni, e non solo l'Europa politica non volle riconoscere le conquiste piemontesi, ma a Parigi il suo potente alleato mantenne e mantiene i rappresentanti de' Duchi spodestati, ed accoglie al ministero degli esteri i diritti e le proteste del Papa e dei Principi, eh! questa famosa rubrica continua...
Ed ecco, o popoli dell'Italia, il primo getto dell'Italia degl'italiani, che vi offre il signor vostro, il belligero e glorioso Piemonte! popoli italiani, siatene superbi... è fuori lo straniero!
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IX.
LA CONFEDERAZIONE, IL NON INTERVENTO, GARIBALDI, IL GRIDO DI DOLORE E L'ITALIA PIEMONTESE
Risorge la poesia politica in Italia, all'ombra dei suoi magici stendardi, splendidi di cristianesimo, di nazionalità, d'indipendenza, e, novellamente il grido della gioja, pari a scintilla elettrica, slancia ai più nobili pensieri la non contaminata gioventù italiana, i molti dottrinarii, i moltissimi ottimisti, e gli innumeri coscritti delle pubbliche novità, che costituiscono l'eco sociale: ripetitori famelici di quanto ascoltano dagli oracoli. '
Il fumo dei cannoni di Solferino reca la grandiosa idea di una prossima Confederazione Italiana, per volontà di Napoleone III, per consenso dell'Imperator d'Austria, per simpatia della politica e della civiltà europea. Il Sommo Pontefice e il capo supremo della Confederazione, e fino la Venezia parteciperà al gran patto, senza ledere gì' interessi austriaci: benedetta la Confederazione Italiana!
Che mancava, e che manca oggi alla bella Italia? Non il coraggio militare, di cui serba i più gloriosi annali; non il desio d'indipendenza, ripetuto in mille prove; non l'eloquenza della mente e del cuore, de' suoi oratori; non primarii poeti, insigni filosofi, profondi giureconsulti, distinti economisti; quivi la sede del genio, il palladio delle artibelle, l'aula dell'armonia, e, l'azzurro del cielo, i fiori ed i frutti de' campi, i maestosi fiumi, le incantevoli riviere, la voce, il gesto, lo sguardo, costituiscono una lirica sublime costante, unica nel mondo, inarrivabile fra tutti gli altri popoli.
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Ma! all'Italia de' secoli decorsi mancava l'unione di sè, all'Italia di oggi manca, oltre l'unione, manca Dio; sol perché nell'ergere i contemporanei edificii politici e sociali, la medesima rifugge dal collocare nelle loro fondamenta e sul loro vertice, il Vangelo di Cristo. Che anzi, ha costume di voler smantellare il centro stesso dell'opera divina (Roma Cattolica), e dai rottami di questa rocca mondiale, che, non cadde ai colpi violenti de' Cesari latini, delle persecuzioni, dei tiranni, de' conquistatori, delle barbarie, dello scisma, dell'eresia e dell'atea filosofia, e che sfidò imperturbabile tante generazioni umane, che vide diciannove secoli or quieti or turbolenti defilare in rassegna al suo cospetto, che soffrì molti cimenti e battaglie, ma eterna fenice, enumerò le sue costanti vittorie, col numero de' suoi nemici; e dai rollami, ripeto, di questa rocca eternale, spera crearsi uno sgabello sovrano, la contemporanea Italia. Perciò, rialza superbi edificii, ma i suoi sforzi supremi non ottengono la consagrazione dal tempo; e, l'Italia del secol nostro e de' nostri anni, appena stima che. i suoi edificii di nazionalità, d'indipendenza, di patriottismo, di libertà, sieno giunti al colossale compimento, soffia improvviso turbine sulle sue opere, e queste crollano ognora, pari alle mura di Gerico rovinate al suono delle trombe fatidiche, e, e i nostri disinganni percorrono il mondo stupefallo e scandalizzalo dagl'italiani.
Oggi nò. Oggi gli augusti di Villafranca e i diplomatici di Zurigo, fra cui accorre il Piemonte «fra cotanto senno» vogliono e bramano che la nazionalità italiana unisca i propri destini con le glorie di Roma Papale, e che la Cattedra del Sommo Piero, si elevi a scudo primario della patria indipendenza, e che Pio IX concorra qual Principe fra i Principi italiani, al patto federale.
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E si, l'Italia confederata politicamente co' suoi popoli, colle sue armi, co' suoi annali tutti gloriosi ma distinti ne' speciali fasti; affiderà al tempo il confederarsi nelle sue formule governative, confederarsi ne' codici più perfetti di civiltà e di progresso, e confederando man mano le varie tradizioni de' popoli, i diversi costumi, le speciali tendenze, i suoi sparli interessi privati e pubblici, e, dal tempo medesimo otterrà quel nobile cemento sociale che sperda, fra popoli che non si conobbero perché non si videro mai assieme, quei futili livori che registraronsi nelle rispettive storie. Cosi la gran famiglia italiana si fonderà da sé in una volontà, in un solo potere, e senza che l'un popolo sforzi l'altro ad addivenire sé stesso, senza che un governo divori il suo vicino, senza violenze, che separano invece di unire le abitudini, senza agglomerazioni coartate dal momentaneo slancio febbrile, senza veruna pressione di forza che produca il servaggio, o cospirazione, seduzione e tumulto che confonde, ammassa ma non lega, non armonizza una gran nazione. Invece l'Italia si unirà do sé con Principi che rechino allo splendore della patria comune, i fasti delle loro Corone;-con le diverse armi,che offrendo all'ombra di eguali colori, diversi storici stendardi, costituiscano un valoroso esercito nelle circostanze, armonizzato dalla gagliarda emulazione di legioni coraggiose tutte, ma ognuna conservando la propria tradizione, onde il virtuoso attrito della gloria divampi gagliardo dall'impegno di distinguersi, o per accrescere fasti antichi o per superarsi a vicenda o per crearsi de' nuovissimi allori; - con i varii governi, che offrendo al comune interesse i varii bisogni, le speciali leggi, senza che una legislatura assorbisca l'altra, senza che un organico amministrativo rovesci un altro,
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senza che una regione si elevi a maestra delle consorelle parli confederale, distinte rimanendo l'una dall'altra ma recando ciascuna i proprii lumi, le peculiari conoscenze, gli annali dell'esperienza, della prattica, delle consuetudini, e, stabilire così, una distinta conformità di viver comune, una civiltà eguale per tutti ma egualmente distribuita fra membra che debbano toccarsi senza manomettersi; e così formulare una politica unanime intelligente rispettabile, che dicasi, per la prima volta fra i secoli e fra i governi di Europa, politica italiana, e politica italiana che sia baluardo e gloria dell'Italia, de' Principi italiani e degl'italiani popoli. - Così organizzate le cose, ogni talento recherà all'edificio della patria il proprio tributo, ogni cuore offrirà i suoi affetti, ogni persona sé stessa, i suoi mezzi all'Italia, che per la nobilissima varietà de' suoi popoli, per le rispettive tradizioni storiche, per le secolari autonomie tutte gloriose, ma incapaci di cedersi l'un l'altra, e per la sua specialissima configurazione geografica, puole col tempo affezionarsi ad un palio federale, ma!... non sarà unitaria senza la guerra di molti secoli, e guerra atroce che violentemente calpesti tutte le glorie de' popoli e le loro tradizioni, e così spegnendo la virtù delle origini, non avrete più l'Italia ma una penisola che si assoggetterà qual colonia ad ogni potente di Europa, senza volontà e priva di forze. E la Venezia istessa che entra a far parte della confederazione, senza togliersi dall'Austria, verrà un tempo e l'Italia l'avrà a sé, senza rivoluzioni e tumulti, ma col consenso istesso dell'Austria, alla prima occasione legittima in cui la Confederazione ottenga una preponderanza su i destini delle movenze politiche in Europa.
Offre poi la Confederazione per sé stessa un altro prezioso beneficio, cioè, che slaccia dal primo istante ogni Stato italiano da qualunque bisogno o influenza straniera,
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perché i piccoli governi non sentiranno più timore di trovarsi manomessi dal vicino, ed ogni governo poggiandosi su tutte le forze della penisola, non si procura il patrocinio francese o il sostegno tedesco o l'influenza russa o il monopolio brittanico, perché l'Italia qual nazione politica esigge rispetto ed è forte a sé stessa, senza attendere ulteriori tutele: e nel magico golfo partenopeo, non si vedranno più le squadre navali dell'Inghilterra, sfida perpetua dell'ordine pubblico, e con la miccia accesa su i cannoni, violentando codici, trattati e decoro di Stato, onde raccomandare i suoi sudditi che sul Tamigi son guardati come animali, e, in Italia non solo debbono farsi ricchi, ma godere guarentigie superiori alle leggi ed alla morale.
Vi ha un altra gemma da valutarsi, a grandioso profitto della Confederazione italiana, e questa gemma d'incalcolabile valore, è il Papato Romano che la presiede. Quante nazioni e vasti centri sociali, sono gelosi di questo unico tesoro mondiale, ch'è cuore dell'Italia; di quella Roma Sacerdotale, che da secoli dispose di tutte le Corone del mondo, senza mai inchinarsi a queste; di quell'eterno Valicano, che ha diritto di sindacare tutti i Re cristiani, tutti gli stati, ogni politica, senza che vada a sottomettere sé stessa a qualsivoglia arbitrio di potenza umana, sol perché il suo Regno è anima di tutti i troni e di tutti i popoli cristiani, e mentre si circonda di una limitala regione,, questa non è che un necessario terreno indipendente, da dove governa, regge e sorveglia l'orbe cattolico. Sicché il Papato, partecipando pel suo potere temporale alla confederazione italiana, largisce per conseguenza all'Italia ogni sua potenza morale. Il supremo regitore delle coscienze del mondo, addiviene il fondatore d'una politica nazionale in Italia, di tipo cattolico per eccellenza,
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e perciò d'una civiltà eminentemente morale, concorrendo ognora la verità e la giustizia nella forza di questo nuovo impero. I Principi italiani ed i loro governi, non potranno fra loro irritarsi, senza rimettere le rispettive querele ad un tribunale inappellabile, perché non transigibile con l'oro, co' guadagni, cogli umani riguardi e con l'esca seduttrice dell'ambizione; e perciò gli Stati italiani non soffriranno sventurate scissure, non si cozzeranno l'un l'altro, non provocheranno l'Europa per ingiuste cause, non emaneranno leggi rovinatrici de' popoli, in equità, in interessi, in morale, sol perché Roma confederata non accettando quel eh' è contro i carissimi dettami evangelici, il suo rifiuto addiviene un freno, un voto di censura ed una garentia per il benessere sociale; ed i popoli avranno la premura di guardar sempre l'oracolo del Vaticano, onde sapere quel ch'è giusto, quel ch'è utile ad essi stessi, e perciò all'Italia.
La politica europea, acquista una vasta soggezione rapporto alla indipendenza italiana, non per l'Italia, ma perché in Italia vi ha il Sommo Sacerdote del mondo cristiano, e questo è il capo della nazionalità italiana, e perciò i grandiosi riguardi che porge doverosamente al Papa, si rifletterebbero sulla confederazione intera; e, nelle facili perturbazioni dei gabinetti di Europa, ogni potenza si guarderebbe bene di recare offesa all'Italia, senza perturbare l'animo del Pontefice, che nelle sue dispiacenze trascina a suo favore le simpatie dell'universo dei credenti, e, basterebbe un secolo di confederazione così stabilita, onde mirare l'Italia qual primaria nazione nel mondo. E chi sà, una qualche potenza anco eretica o scismatica, ardisse violentare l'Italia con guerra ingiusta, l'Italia confederata non solamente accorrerebbe a combattere con l'aureola delle sue bandiere,
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ma ogni soldato ornerebbesi il petto di una croce, le benedizioni del Valicano presiederebbero alle battaglie, ogni soldato italiano vincendo o morendo, vince e muore oltre per la patria, per Roma eh' è già parte intrinseca della patria sua; ed il mondo politico e sociale, e quant'è la cristianità tutta, accompagnerebbero de' loro voti e delle loro preghiere i nostri trionfi, e, l'Italia istessa, per Roma, si avrebbe molti alleati armali, onde i rovesci d'Italia non compromettessero l'indipendenza del Papato, e innumeri legioni di volontarii pregherebbero di pugnare al nostro fianco, non per noi, ma perché nella nostra causa vi ha quella della Santa Sede. E, se anco un rovescio di fortuna prostrasse le nostre armi, in un caso simile, l'Italia per sé stessa inchinerebbe la forza del suo diritto al diritto della forza altrui, ma non è del Sovrano Pontefice inchinarsi a chicchesia, e, unico Sire al mondo che ognor trionfa per la sua stessa debolezza, per sé, largirebbe all'Italia confederala quelle vittorie di cui Roma possiede annali senza lacuna, la onnipotenza morale che covrirebbe con le sue ali le nostre debolezze, ravviverebbe le patrie disfatte ad inseparabili glorie novelle. E, anco l'universo politico, concitalo contro l'Italia, saprebbe ben valutare che il Valicano torreggia sull'Italia, e che gli eserciti dell'universo morale, trionfano sugli eserciti dell'universo politico; e che se questi si coalizzano contro l'Italia confederata, quelli si coalizzano in favore di Roma ch'è l'anima dell'Italia: quando l'Italia non è l'Italia d'un partito monetalo dall'ambizione, ma l'Italia nazione cattolica fra le nazioni di Europa.
Basta cosi, e queste nostre fugaci riflessioni il lettore benigno le potrà studiare
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su d'altro sviluppo di ragionamenti nel libro (1) che pubblichiamo dopo questo, tutto dedito alle glorie non periture di Roma Cattolica.
Iniziai questo capitolo con le parole - risorge la poesia politica in Italia - per esprimere che le oneste speranze d'una confederazione italiana, benché sono sostenute dalle vittorie francesi in Lombardia, dai preliminari del convegno de' due Imperatori a Villafranca, dai trattali solenni stipulali in Zurigo e dal concorso della politica di Europa; pur tuttavia ogni uomo versato nello studio de' contemporanei avvenimenti, spoglio l'animo suo di prevenzioni politiche o di esagerazioni di partiti, volendo da sé procacciarsi un concetto, deve conchiudere che la confederazione italiana, sorrisa da molti come un tesoro, approvala dai moltissimi come una transazione che scioglieva molte quistioni in Italia, era per sé stessa (grazie a talune cause primarie) una chimera, una vana idea, una virtuosa poesia. Enumeriamo di volo queste cause prime.
La causa primaria delle primarie sventure d'ogni possibile e ragionevole nazionalità ed indipendenza italiana, grazie ai voti unanimi delle oneste maggioranze di Europa, grazie ai documenti storici-contemporanei, grazie alle prove diffuse palpabilmente in questo libro, e grazie ai molti giudizj emanati quotidianamente fin da Mazzini, unico e grande nemico che cospira sollo la cappa del sole e stampa senza orpelli le proprie tendenze, grazie allo sciagurato Pisacane ucciso a Sapri per (2), e grazie finalmente (per non citarne cento e cento) alla lettera testé pubblicata dal Cernuschi,
(1)
(2) Nel testamento politico di Pisacane è scritto, che di Savoia è più letale all'Italia che l'Austria stessa, ecc. ecc. Atti del Processo di Genova nel 1857.
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tutti e tre che il primario nemico dell'Italia, è il Piemonte colla sua smodata ambizione; ambizione che, dopo la disfalla di Novara, il Piemonte trasfuse nello statuto costituzionale, statuto che ritenne, non per francare i suoi popoli ma ad esca cospiratrice del rimanente d'Italia, ed il lombardo Cernuschi nolo nella repubblica Romana, e perciò niente sospetto a citarlo, cosi definisce il Piemonte. -» Triste sviluppo della politica piemontese, che si svolge dal quarantotto in poi! Essa nomavasi allora, politica delle fusioni. Coi parlar di nazione, d'indipendenza, n essa mira ad uno scopo solo. Pigliarsi territorii il più possibile, il più in fretta possibile, con tutti i mezzi possibili, giocar l'Italia, e, checché avvenga, farsene gioco, e salvar la posta: ecco il Piemonte.» Dunque le più accanite ostilità alla nascitura Confederazione d'Italia, emanano dalla politica piemontese. Ma siccome non ha voto per rifiutarsi, perché non ha volontà deliberativa al cospetto dell'Europa e della Francia medesima; così al solo annunzio dei preliminari di Villafranca, commuove e sovverte tutti i partiti esagerati, il vasto servitorame de' suoi satelliti, e inizia col terrore e co' pugnali, con gì' impieghi e con l'oro, la ridicola apoteosi del plebiscito nell'Italia centrale; e la Toscana assorbita dalla famelica ambizione dittatoriale di Ricasoli, brucia, sul fuoco di passioni violente e di colpe nuovissime per quel popolo sì gentile, i secoli gloriosi della più spartana autonomia de' Stati Italiani, e barcolando tra i mazziniani, i murattisti ed il piemontismo, spaventalo da un legale ritorno dei Lorena, si slancia alla farsa del volo popolare. Ed il Piemonte è contento che il suo Regno d'Italia, Regno da scena e da tragedia, duri qualche anno, purché la confederazione non avvenga, purché la sua sete di dominio si estingua.
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Si accusa oggi la Corte Romana di non aver aderito alla Confederazione. Benedetto il cielo! primieramente, Roma era ammaestrata, che fino a quando l'Europa non sottopone a dovere la politica piemontese, non solo è impossibile ogni patto politico fra gli Stati italiani, non solo non è possibile che i Principi d'Italia si leghino col Piemonte, senza manomettere ogni onesta dignità cattolica, civile e dinastica, ma non è fattibile l'ordine e la pace in tutta Italia. E poi, a qual tribunale si ammette la legge, che il ladro essendosi per pirateria impossessato d'una quota altrui, chiama il derubato, senza restituire il furto, non solo a legalizzare la preda, ma a unirsi in lungo negozio col medesimo? guardale Francesco II, che un anno dopo volle offrirsi in lega politica al Piemonte: il Piemonte, senza Dio e senza rimorsi... lo ha costretto all'esilio!. «
E la Francia, che appalesava ed appalesa tutto dì il solenne impegno per la confederazione italiana; fin dai primordii della sua grande idea, mi convinse che, o non la voleva o non la stimava fattibile, o pe' suoi interessi politici o per la febbre piemontese, che infermava i loquaci partiti della penisola.
Infatti, la generosità francese spargendo tanto sangue in Italia, liberava la Lombardia dagli austriaci, per la indipendenza italiana, non per lo ingrandimento piemontese; ma ¿glie la diede onde appagarlo per renderlo prudente.
Infatti, se una confederazione dovea stabilirsi, e perché non creare un nuovo regno, una splendida corona, una stimabile dinastia, una tradizionale autonomia pei lombardi, che son degni di veder sorgere un Trono nella monumentale Milano? E la Lombardia sarebbe rimasta degna di sé, non addivenendo né provincia austriaca e né piemontese.
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Le sue forze, il suo patriottismo, suoi interessi, avrebbero dato uno sviluppo maggiore alla confederazione, ed uno stimolo virtuoso di poter un tempo riprendere le sue frontiere naturali; e la rivoluzione non si sarebbe laureala d'una vittoria che fu francese e non sua, e l'Austria non si starebbe minacciosa sul Mincio contro le piraterie piemontesi, ma userebbe i riguardi dovuti ad una giovane dinastia, che nella sua debolezza riconosce la sua forza ed i suoi doveri. Invece, quel cassare dalla geografia politica di Europa il titolo di Regno Lombardo, per aggiungervi quello di nuova provincia piemontese; quel degradare Milano dal governo degli Arciduchi, onde offrirla al regime degli avvocati e de' legulej torinesi; quel violentare le tradizioni, i codici, i costumi, l'autonomia e gì' interessi lombardi, non per rimanere lombardi, ma neppur più austro-lombardi, sibbene piemontesi; quel dire al Piemonte, tu sei rivoluzionario ed italiano non per la rivoluzione e per l'Italia, ma per ingrandire te stesso, ed io compio i tuoi ambiziosi desiderii; quel trionfo reciso che si accorda al Piemonte, non per utile dell'Italia ma del Piemonte, sfumarono i prestigiosi raggi della confederazione italiana; la Lombardia piemontese si rese esca dei bottini ulteriori, ed invece di elevarsi l'Italia a quella indipendenza reale e compatibile all'Europa, si badò a manometterla con gli eccessi d'un libertinaggio che servisse di esercito conquistatore di tutti i popoli italiani e al servaggio della centralizzazione piemontese. E il Piemonte che un tempo era gagliardo sulla difensiva delle Alpi e del Ticino, ora non ha più le Alpi, e sul Mincio è un fanciullo al cospetto d'un gigante; e mentre prima possedea un armala che bastava a sé, or si vanta d'un esercito di renitenti e disertori, composto dalla violenza e dalla ribellione, che privo di cuore e di disciplina, non basta all'ordine interno
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ed è inefficace ed alla difensiva, se la Francia non accorre ad ogni chiamala: eh! l'Italia piemontese rassomiglia òggi a quel cortegiano baldanzoso e virulento, per la ricca livrea che indossa, ma se muore il padrone o il padrone Io licenzia dal suo ufficio, non solo addiviene spoglio dell'aurata divisa, ma non sa se puole almeno indossare i modesti abili di sua origine... E cosi l'Italia di Torino che con voce di Rodomonte grida, Roma, Roma!... poggia la sua albagia divoratrice e provocatrice, su Napoleone III, e se questo morisse, (essendo nato), o se ritira il suo appoggio polente, se l'Europa si commuove a guerra, se Mazzini riesce nelle sue propagande democratiche, se le reazioni continuano, 1 Italia piemontese svanisce, col precipitare la penisola già misera, lacera e sanguinosa, o alla catena di nuovi padroni, o al servaggio del socialismo, o sotto una pioggia d'innumeri repubbliche, quante sono le nostre città: ed allora tutti i partiti grideranno, a Torino, a Torino! alla superba, alla pirata, alla tiranna!... in compenso al Piemonte che ora grida, a Roma, a Roma!
Dunque la generosità di Napoleone III e il valore del sangue francese, non valsero a nazionalizzare l'Italia, perché il Piemonte nel suo egoismo volle che l'Italia non fosse; e la Francia e Napoleone, persuasi che i loro sagrificii non producevano gli effetti della idea prefissa, oltre che l'Italia realmente confederala addiveniva col tempo una sfida pacifica e una minaccia agli interessi della gran nazione, Napoleone e la Francia dissero: la nostra generosità non si volle, vada come desia il Piemonte, e il contratto di Zurigo è rimasto in carta, ad utile giustificazione della Francia e dell'Imperatore nel dì della catastrofe. E quei voli diplomatici di Napoleone III, che quotidianamente spaventano moltissimi e lusingano moltissimi, non sono al mio sguardo,
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se non farmachi che il medico non giudica di apprestare all'inferma, ma che l'inferma pretende di avere, e l'indulgente dottore disperando di più guarirla, non l'irrita ma la seconda, senza però soffrirsi alcun rimprovero; e, ogni qualvolta la malattia si aggrava, il medico nel suo diritto risponde, Zurigo, Zurigo, ecco il metodo che stabili per la tua guarigione. -Ma io... - e, il medico continua a piegarsi ai desiderii della delirante che non sente più degna di guarigione, ma in dose frazzionata somministra le richieste medele, evitandole ognora un desiato pasto (col giungere a Roma), e anco strozzandola se ardisse farlo. E l'inferma labescente Italia piemontese, morirà da sé, morirà per mano del suo medico ordinario, o dietro un consulto di molti professori? non azzardo elevar vaticini!, perché io sono lo storico e non il profeta degli avvenimenti italiani; ma se l'orizzonte visibile dell'astronomia napoleonica non è nebuloso alla visuale delle mie meditazioni, azzarderei travedere che, l'oroscopo di Orsini può un di (non lontano) trasformarsi nelle conseguenze, e, invece dirsi che la rivoluzione italiana ha spinto innanzi a sé Napoleone, Napoleone spinge innanzi a sé la rivoluzione italiana, fino a quando piomba nell'abisso che ignora qualsivoglia resurrezione.
L'Austria che sagrificava l'orgoglio del suo impero per virtù filantropica della pace, credette seriamente a una confederazione italiana, e sviluppò ogni suo impegno nell'interesse della Santa Sede, de Principi spodestali, e delle autonomie delle diverse regioni, dando lo spettacolo, che la politica edi quello straniero che non si volea in Italia, si occupava de' veri interessi d'una possibile indipendenza italiana, al paragone della politica piemontese,, ecc. che ha rovescialo il possibile italiano sull'impossibile.
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L'Austria però persuasa e convinta che il Piemonte gitta l'Italia a spaventevoli sventure» trattenuta dalla Francia a non accorrere armala per sanzionare il trattato di Zurigo, senza il cui compimento la Lombardia non intende ceduta, né conchiusa la pace; ed a spese d'immensi ed insopportabili sagrificii, bivacca sul Po e sul Micio con giganteschi apparati guerrieri, che svilupperà (benché molto lardi...) o al dì della catastrofe piemontese o al di d'una guerra europea: due problemi che si cozzano fra loro, in etichetta di preminenza. Si, la, mira con dolore il diluvio morale e sociale, che l' Piemonte scarica senza posa sulle ricchezze e sulla civiltà di quella Lombardia, gemma preziosa del vasto impero, e, la guarda come a una bella e ricca primogenita che si diede a capricciosi sponsali, e aspetta l'ora, che nuda scarmigliata e derelitta, apra gli occhi della ragione paragonando il suo passalo e il suo presente.... e l'
Ed è tanto fatta l'Italia, che in mezzo ai paradossi politici-diplomatici del giorno, si ammira la ministeriale Inghilterra, la quale non partecipò al passaggio austriaco sul Ticino, alla discesa de' francesi in Piemonte, né in armi né in diplomazia si vide alla guerra italiana, fu lontana da Villafranca e lontanissima (almeno visibilmente) a Zurigo, e, poi stimò primeggiare su tutto e su tutti, e spasimando per alzò la voce per sciogliere la quistione, facendo l'Italia col non intervento, e, la Francia acconsentì, valutando che il solo non intervento può. l'Austria maravigliò sulle prime, ma poi vide che il non intervento le darà nell'avvenire la perduta Lombardia, e rimase coll'arma al braccio e con molto sangue freddo a prender gusto come l'. E siccome il tipo ideale dell'ambizioso è la completa cecità, così il Piemonte co' suoi complici, messa la benda sull'anima e sul cuore,
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non vede che il Regno d'Italia libera, nazionale, indipendente, non si vuole dalla politica europea, e perché non si vuole si è abbandonalo, come rejetto, al sanguinoso suicidio del non intervento; e che la Francia si rimette a Zurigo, perché la confederazione non è più fattibile, l'Austria attende che non si compisse Zurigo per aver diritto ad intervenire ne' suoi dominii, gli altri stati di Europa aspettano che la quistione italiana, con la tisichezza di tutte le sue forze; e la umanissima Inghilterra, vestila alla garibaldina e col suo John Bull adorno de' tre colori italiani, non aspira col suo patriottismo, alle cinque parti del mondo, né all'Italia indipendente né schiava, né a regno o a confederazione, ma a quanto sia possibile che duri una rivoluzione italiana, e, chiamo a giuramento solenne, tutte le officine industriali e metallurgiche della Gran Brettagna, e, se queste non bastano invito a comparire in tribunale tutti gli armieri inglesi... e questi probi operai vi diranno a coro: quando non avremo più bisogno di lavori, può dirsi che l'
Ed a sfoggio di generosità, attenderemo che dopo , si faccia un famoso debito italiano, ed allora il patriottismo inglese riconoscerà l' e non riconoscerà il debito... sol perché l'Inghilterra più d'ogni altra potenza, conosce ladel Regno d'Italia!
E «nel mezzo del cammin» del non intervento, appare Giuseppe Garibaldi, questo nizzardo che nacque vittima del Piemonte e morirà (se vive ancora nell'attodi Caprera), morirà vittima del Piemonte che lo serba
volte nella polvere,
volte sugli altar,
onde servirsene di eroe e di vittima sulla scena del suo teatro politico.
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E Garibaldi ottiene, mercé de' nuovi debiti milionarii del Piemonte per far l'Italia, un'aureola sì lucida di monete, sì copiosa di banconote tra false e buone, e si folla di menzogne giornalistiche e telegrafiche-elettriche, che non sò bene come egli stesso non sia uscito pazzo per la meraviglia, o morto sotto al diluvio di tante corbellerie. Non intendo dire che Garibaldi non avesse un certo merito a sè, anzi fra i miei nemici politici del Piemonte, ho stima per La Marmora ch'è l'unico generale sardo che ha valore ed onore: ho stima per Garibaldi che non si fece ricco, non addivenne conte, mostrò una generosità ignota alla milizia piemontese, ed è il solo che ha combattuto nel Regno delle Due Sicilie per far l'dei poveri, de' e democratici e degli di guerra che sanno incendiare le città, fucilare gl'inermi, e bombardare le abitazioni e non le fortezze di Gaeta. Ma se ammetto queste doti in Garibaldi, valuto anche nel medesimo una prudenza senza limiti.
Infatti, come e quando alla politica di Cavour necessitò un più palese connubio colla rivoluzione democratica, e non convenendo mostrare all'Italia ed all'Europa Mazzini in persona, onde non scandalizzarle, e nel tempo stesso temendo che Mazzini non addivenisse il Saturno, del gran Regno, come addiverrà se i Sovrani non badano ai casi loro ed ai nostri; così convenne meglio servirsi di Garibaldi che è il vessillifero della democrazia, a cui fu facile dar a credere: - facciamo l'Italia con un solo Re, e quando l'avremo fatta, basteranno cinque minuti a disfarcene, e la repubblica una ed indivisibile, s'insedierà sul regno uno ed indivisibile -. E siccome vi sono moltissimi credenti a questa metempsicosi, così Garibaldi non aderì a Cavour ma ai suoi amici che lo scongiurarono, dicendo: và colla croce savojarda, e dopo crucifigeremo chi si burla di noi.
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E Garibaldi s'imbarca coi eroi e con mille di mille tradimenti cavouriani, e il conte Camillo se la rise da matto, e, se soccombe lo rinego e lascio il ed i credenti alla forca delle Sicilie, e quel che si spende lo paga l'Italia: se riesce, mi prendo il bottino, mi sbarazzo del prestigiatore denudandolo d'ogni prestigio, e mi divoro due regni, due vulcani, e i contribuenti pagano le spese, e chi vuol gridare che gridi pure.
Garibaldi con la sua prudenza si avvicina a Marsala, perché conosce che i legni inglesi lo aspettano, gli uffiziali di questi legni hanno preparato al lido ogni faccenda, la squadra napoletana giunge lardi, perché tardi deve giungere, e via via. Miracolo! Garibaldi con pochi eroi (non si dissero mille allora) ha sbarcalo in Sicilia, ha sbaraglialo i borbonici, le popolazioni l'acclamano... - e gl'italiani e i moschiglioni di Europa, rimangono a bocca aperta.
Garibaldi s'innoltra, con prudenza, perché John Bull lo precede, spargendo armi e menzogne, e, vien inseguito e battuto, ma non si perde d'animo, fa la guerra delle bande come può, poi accorre ove i segnali convenuti lo chiamano, e mentre in Palermo si organizza l'insurrezione, si comprano i vili e gl'infami e si paga con oro anglo-piemontese il prezzo del sangue, Garibaldi battuto sempre e sempre vincitore, s'inerpica sulle alture di Calatafimi, e mentre poche compagnie di soldati napoletani sconfiggono il nuove abito sociale e politico d'Italia, detto della Garibaldi sa bene che abbasso al piano egli sfida co' suoi agenti un generale napoletano, e questo cade sotto il cimento delle banconote.... in buona parte false! e, e John Bull e Gianduja infilzano il loro magnetismo su tutti i fili elettrici, spargendo ai quattro venti dei popoli:
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«Salutate l'Eroe di Calatafimi - passeggia trionfando - doma eserciti - viva l'Italia» Ma è un insulto chiamare eroe di Calatafimi, uno che fu battuto - perdè sul colle, vinse sul piano, ed ecco fatto.
E Garibaldi si avvicina a Palermo come une i palermitani fantastici per eccellenza, sono si persuasi de' suoi prodigi, che si fanno ammazzare dae Garibaldi seguendo la tattica di Fabio Massimo, non entra in Palermo per mezzo del suo coraggio, ma vien condotto a mano dai precursori. A porta S. Antonino la truppa è andata a riposare (superiori pietosi!) e all'eroe di Calatafimi non mancarono entrando in città, molte fucilale di coscritti che sono le peggiori, ma non fu colpito perché in riguardo. Quivi il fu per naufragarsi con tutti i milioni spesi, mercé quei tali battaglioni cacciatori che sopraggiunsero con quel tale suo, e, la Fieravecchia è occupata, le barricate disfatte, Garibaldi ha poca terra che lo sostiene, vuol morire combattendo co' suoi, ma gridasi pace! pace! dai ribelli e dagli eroi; e gridandosi pace! pace! volaron molti altri sacchetti di monete d'oro, ai piedi di pochi Iscarioti, e questi indomabili cannoni rigati del secol nostro, mutarono i vinti in vincitori. Il di più spetta all'angelica e non umana clemenza di Francesco II, e, Garibaldi sale da stella in stella, e se avesse pugnato in Cina come ha vinto nelle Sicilie, molte Pagode si sarebbero eretto, e se in Europa non esistesse la stampa, smascheratrice dei taumaturghi del tipo di Garibaldi, l'Europa ai dispacci italiani, terrebbe Garibaldi per un angiolo o per un demone; mentre non è poi (meno la prudenza che spiegò invece del coraggio), che il Fabio Massimo d'un'èra aritmetica.
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Non parlo dei nostri vantaggiosi combattimenti, di Catania, di Milazzo, e delle capitolazioni da discutersi dalla storia, sol perché sono una continuazione del tema di Marsala e di Palermo, ed il prudente e coraggioso, sa quel che fa e fa quel che sa, e perde sempre ma sempre guadagna, avendo a sua disposizione la tregua quando questa gli giova, la pace se questa è pronuba di tradimenti, le capitolazioni se dietro queste si mascherano i violentati disarmi.
E, il gran campione, passa il Faro di Messina, col dovuto permesso della flotta italica-napoletana, che nel momento del suo sbarco si allontana molte miglia per ricevere. E, giunge in Calabria, preceduto da' suoi forieri, che regalano un napoleone d'oro per ogni bicchier d'acqua, onde si dica che Garibaldi è la California de' popoli. E, le vaste proviande cibarie e militari dell'armata napoletana, giudiziosamente si collocano ne' siti che occuperà l'eroe, onde la soldatesca rimanga digiuna e priva di munizioni. E, un generale napoletano dice fuori Reggio ai suoi battaglioni «riposate tranquilli, siamo in pace, perché Garibaldi mi ha pregato di permettere che ritorni in Sicilia, giacché teme e trema» - e i battaglioni bivaccano e bivaccando sono fatti prigionieri. E, Garibaldi (nelle Calabrie) è circuito, ha una brigata alle spalle, un'altra brigata a dritta ed una a sinistra; il parlamentario dello stato maggiore napoletano, dopo energico combattimento sostenuto dai nostri, dice a Garibaldi, Signore, voi siete circuito, datevi prigioniero coi vostri: e ilsorridendo da matto, risponde, come sono circuito? siete voi circuito dai miei, e, con valore, consegna il suo cannocchiale all'uffiziale napoletano, e, guardate, le vostre brigate se ne vanno pe' fatti loro, e siete voi e non io il prigioniero...e, ecc. ecc.-e, ecc. ecc.- e, ecc. ecc.
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onde non dispiacere a quei miei carissimi compatriotti che pretendono clemente la storia, com'è clemente Francesco II, e, vorrei che il mio angelico Sovrano addivenisse tiranno per due ore e non più, a salvezza del suo trono e de' suoi fedeli popoli, e, che un tribunale europeo introitasse il giudizio de' nostri traditori, che già già si consacrano al dio Giano!... E Liborio Romano, l'Iscariota per eccellenza, al cui paragone Giuda è un infante innocente, rende il rimettendogli ad ogni ora, sul telegrafo elettrico, i segreti del consiglio di stato, e ad apice dell'atlantico coraggio di Garibaldi, il nostro cattolico e civile Francesco II abbandona Napoli onde risparmiare la sua capitale da ogni sventura, e Garibaldi, , si riposa in Salerno dopo lee attende il Sindaco di Napoli che lo conduca in città, e giunge con ogni riserva, in cocchio, circuito da giannizzeri fedeli, situato in mezzo a due custodie, e, viva l'Italia, è fatta l'Italia de' prodigi, i che piovono su Garibaldi sono quanto le stelle del firmamento, e molti parare le palle de' cannoni nemici (meraviglia!!!) con la mano!.. -Ma giunse a Capua, e benché degl' Io attendessero e lo ajutassero a, tuttavia quella sua destra non fu più capace a parare le palle, e, ed ebbe la sua Velletri sotto Capua, ed i sopraggiunti piemontesi, col formidabile terribile invincibile Cialdini del, avrebbero ottenuto un'altra Novara benanche, SE.... - se per esprimer bene questo monosillabo, bastasse un volume?!! E l'Europa maravigliata, diede ben due volle dell'imbecille a sé stessa, e quando accreditò i miracoli e quando gli rinnegò.
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E la politica piemontese s'introitò il Regno delle Due Sicilie, rifiutò i di Garibaldi che si operarono co' suoi milioni di franchi, si disfece del , gittò alla fame ed alle archibugiate i garibaldini, ed intese cosi quel tale dei popoli italiani, che la invocavano qual manna nel deserto; e, dopo d'aver sedotta l'Italia, sostiene che l'Italia supplicò per addivenir piemontese; e, indi la deride la impreca, l'incatena al servaggio de' suoi codici e de' suoi debiti; la imprigiona a tutti i vizj umani, che seppe procacciare a sé stessa da molti anni; la investe di tutte le colpe politiche e d'ogni lordura sociale, di cui fu maestra, per satisfare la sua ambizione; la inabissa al cospetto della società cattolica del mondo, con immani sacrilegi ed empietà; crea una morale, che calpesta tutti i diritti e tutti i doveri; sublima la sua sete di dominio (che chiama Italia) al disopra del cristianesimo; pretende che Cristo, la fede, i dogmi, la Chiesa, i Santi, il Papa, il sacerdozio, i credenti s' inchinassero valletti ai suoi smodati voleri; spoglia l'Italia delle sue glorie, de' suoi costumi, delle tradizioni, delle ricchezze, con mano violenta; moltiplica le carceri, incendia le città, passa per le armi una gente che per derisione chiama libera; guai, guai, ai vinti, che non si prostrano riverenti ai suoi cenni, e, quando non ha più che togliere all'Italia di divino e di umano, dispone e comanda, che la lingua italiana, la vaga armonia del SI, assoggettisi al più barbaro dialetto ch'è il piemontese, miscuglio bizzarro di francese e d'italiano, eh! guai ai popoli italiani, se dimenticando le atroci storie de' Goti, de' Vandali, degli Unni, de' Saraceni, non apprendono con plauso e con gioja, gli annali dei Drusi d'Italia, di quei che de' popoli nostri, per accorrere a noi: evviva l'Italia!!?
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X.
IL REGNO DELLE DUE SICILIE
TRA LA POLITICA CONSERVATRICE E LE CONCESSIONI
Ci onoriamo d'illustrare questo capitolo, con dei speciali periodi, tratti da un opuscolo (1), che distinto esule napoletano or ora ha dato alle stampe, e che pei suoi speciali talenti e per le primarie cariche di Stato sostenute decorosamente per anni, è alla portata di saper meglio di noi e di altri, esprimere un concetto critico sul governo degli augusti Borboni delle Due Sicilie: e siam dolenti di non corroborare il suo dire col suo nome, dovendo noi rispettare il suo anonimo.
» La storia di sei lustri di Re Ferdinando e quella del primo anno dell'augusto suo figlio Francesco II, vuoi la più passionatamene ostile a quei due monarchi, non potrà a meno di ricordar sovente a questo secolo, e di rivelare a quei che verranno, come i popoli dell'una e dell'altra Sicilia non si avessero mai avuto per l'innanzi, dopo i tempi in gran parte favolosi dell'antica Grecia e dell'antica Roma, tanta floridezza di vita sociale; e come non avessero posseduto mai dovizia tale di beni morali e materiali, quanta e quale ne procurò loro l'azione benefica della politica conservatrice di que' Sovrani. Contenti di segnalar questo fenomeno, noi non vorremo scomporre il meccanismo di quella politica per ¡studiarne a parte a parte l'ordito, e la dinamica del suo rotaggio. Cotesta opera di grande portata è di lunga Iena noi la lascieremo
(1) La Politica Conservatrice, e le concessioni nel Reame delle Sicilie.





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condurre dalla storia, quando che sia. Laonde non toccheremo della legislazione civile e penale, non della forma dell'interna amministrazione. Egli è ormai aperto appo L' universale, che i codici del diritto pubblico e privalo delle Sicilie, non solo non rifuggono il paragone con quelli delle ali re nazioni di Europa le più adulte nella civiltà, ma in molti argomenti vanno a gran pezza innanti; e ci è incontralo soventi volle di leggere come presso lo straniero uomini assai competenti e molto imparziali confessassero la prevalenza del senno civile, e della bontà relativa di parecchie e rilevanti branche della legislazione delle Sicilie in confronto delle migliori codificazioni estere. II rispetto il più profondo alla Religione Cattolica ed alla morale; la più salda tutela della libertà individuale; la guarentigia la più inconcussa delle proprietà intellettuali e materiali; le successioni guidale dai voli della natura, senza privilegio di sessi o di natali, senza preferenza di agnazione o di caste, senza vincoli di conservazione e di trasmessione capaci a sottrarre una massa di possessioni al commercio ed all'industria: il dominio delle cose libere dall'inviluppo delle formole; rapida e senza gravezza o ingerenza del fisco la circolazióne de' beni: la fede privala, le transazioni civili e commerciali sostenuto e protette: e, per dir tutto in poco, le persone, le cose, le azioni, questo triplice argomento di ogni legislazione, trattalo sotto i più benintesi rapporti privali e pubblici, economici e governativi. I reali repressi con severa giustizia, ma la calunniala innocenza difesa sotto l'usbergo dell'inviolabilità di un rito solenne, sotto la guarentigia di una discussione pubblica delle pruove. Le prigioni, i luoghi di custodia e di espiazione coordinali al vero scopo delle pene: l'immegliamento cioè del reo e dell'accusato sotto la duplice influenza della Religione e del lavoro.
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L'amministrazione pubblica presieduta da un sistema ragionevole d'incentramento accomodalo all'educazione de' popoli, il quale senza assorbire, o affievolire l'elemento municipale, senza offendere la vitalità e lo sviluppo degl'interessi provinciali o distrettuali governati da rappresentanze elettive, guardasse l'alta tutela della grande unità dello Stato, perché i movimenti liberi delle parti non dismagassero dall'armonia del tutto, perché non si sgranasse la grande associazione politica, e le tendenze egoiste de' municipj non venissero ad urlarsi col benessere della famiglia complessa della nazione: a quel modo medesimo che nell'uomo la mente incentra in sé la sorveglianza alla conservazione del piccolo senza impedire con ciò l'incremento e Io sviluppo delle parti, che lo compongono. Ecco i codici che reggevano i destini delle Sicilie sollo gli auspici della politica conservatrice.
» Noi non intendiamo di aver fatta qui l'apologia di quella legislazione: non è questo il nostro compilo, e siamo ben lontani dal mantenere che dessi sileno stati esenti da' vizi ed incapaci di grandi riforme. Chi non conosce che le leggi debbono progredir di conserva collo sviluppo de' fatti morali, politici, ed economici delle popolazioni, subendone l'influenza; e che rimaste stazionarie, non è possibile che dopo un numero di anni non trovinsi in qualche disaccordo coi bisogni in parie cangiati della civil comunanza? Noi intendiamo solo di raccorre i risultali di quei codici dalla testimonianza dei giorni posteriori alla loro applicazione, ed intendiamo accennare ai prodotti di quella felice armonia che esisteva tra le diverse branche del governo, e la quale forma l'argomento della sua bontà relativa ai bisogni de' popoli. Frutto adunque di quel sistema legislativo e di pubblica amministrazione fu il grande incremento e progressivo della popolazione,
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lo scemamento del pauperismo, lo svolgimento giudizioso della entità industriale della nazione: l'agricoltura estesa, i capitali fìssi e circolanti aumentati in grandi proporzioni, il commercio florido, ed animato sotto l'impulso delle sagge riforme daziarie, e de trattati di commercio e di navigazione colla maggior parte de' governi stranieri: la marina mercantile operosa ed estesa coll'ajuto delle scuole e degl'istituti di nautica, e mercé la costruzione di novelli porli, di nuove cale, e di novelli fari, e colla riparazione degli antichi: i municipj prosperi, le grandi opere pubbliche accresciute, le terre paludose ritolte alle lagune e restituite all'industria agricola, creandosi cosi de' novelli valori, coll'immegliamento a un tempo delle condizioni atmosferiche: le vaste estensioni di terre, che quali ruderi della caduta feudalità, giacevano incolte, divise tra le classi sofferenti e proletarie, come mezzo onde moralizzarle: stabilite nuove colonie agricole e nuovi centri di popolazioni. Fruito di quel sistema legislativo e di pubblica amministrazione fu lo scemarsi progressivamente il numero e la gravezza de' reali, vero indizio di cresciuta civiltà: l'elevarsi della ricchezza pubblica e privata ad una potenza non mai altrove sperata; basterà solo accennare il meraviglioso movimento ascensionale de' fondi pubblici sino al centoventi! tanta fiducia inspirava all'Europa la sapienza del governo, la floridezza dello stato! Questi felici risultamene che ci presentano gli annali statistici, cioè la testimonianza dei giorni posteriori, furono altresì il pro dolio dell'incessante azione e dell'intelligente operosità del governo nel favorire le intraprese della speculazione; nell'aumentare le interne comunicazioni; nel creare e nel perfezionare gli istituti di arti; nel fondare i grandi opifici, le scuole tecniche ed agricole, le casse di soccorsi e di prestanze, i monti frumentari, e pecuniari;
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nell'abbattere l'usura divoratrice dell'industria colle casse di pegnorazione e di sconto, di risparmio e di assicurazione, non che colle istituzioni svariatissime di credito pubblico: nel tener bassissime le imposte da non trovarsi in Europa, e fuori, altro stato che potesse sostenerne il paragone; nel giudizioso ed onesto impiego delle entrale pubbliche, e colla temperanza de' bilanci. Eppure con rendite assai modeste un' armala era in piedi di centomila uomini, o a quel torno; una flotta che primeggiava sopra ogni altra che uscisse dai porli dell'Italia del Nord: un pubblico debito si avea assai limitato al confronto degli altri stati governati a forme libere: cinque milioni di ducati (20 milioni di franchi) a un bel circa eran collocati in ogni anno alle opere di pubblica utilità; e ciò non di meno con impiego cosi esteso del danajo pubblico, un serbo di più milioni era nel portafoglio della finanza quando la politica conservatrice condannata dalla rivoluzione cedeva il posto alla rigenerazione delle Sicilie sotto le novelle influenze delle concessioni!»
Cosi e non altrimenti rinvenne il Regno Francesco II alla morte di suo padre, e meno un tal quale bisogno di qualche modifica sul personale delle cariche, e che il giovane Sire attuò con premura, non vi era da fare altro. Eppure non era possibile che dopo la morie di un tanto Sovrano qual fu Ferdinando II, il suo figlio potesse salire al Trono elevandosi a un sì difficile paragone. Eppure Francesco venne a Re, come un' alba brillante di moltissime speranze patrie. La prosperità del paese gli era di scudo, l'influenza morale qual figlio di Maria Cristina, era a lui potentissima aureola, avea nella gioventù del reame un esercito fiducioso; e, appena usciva in sulla via, i giovani si schieravano plaudenti intorno al giovanissimo Sire, e, l'insurrezione piemontese romoreggiava su tutta Italia,
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mentre le Sicilie, nella calura la più nobile, sembravano due virtuose regioni sociali lungamente distanti dal suolo politico ove si tramava tanto.
La Francia immantinenti riprese le sue relazioni diplomatiche col Regno, onde non trovarsi isolala d'influenza politica presso il nuovo Re, e Brennier ritornò ambasciatore, e fino a quando non fu raggirato nella sua buona fede, e fino a quando il partito piemontese di Napoli, non volle far credere Napoleone un oracolo dei nostri guai, è duopo dire che la Francia fu la meno ostile alle Sicilie.
L'Inghilterra ministeriale, come intese Ferdinando infermo (mi venne assicurato ed ho ragione a crederlo), scelse il suo nuovo ministro per le Sicilie e lo spedi in uno stato vicino al Regno. A Napoli intanto giunse una intelligente Miledy che più volte al giorno lo informava su filo elettrico della infermità del Re, eh! dimando io, tanta e tanta premura?.. e si era certo della morte di Ferdinando?.. - Ma la conseguenza fu, che appena il gran Re esalò l'ultimo respiro, la flotta inglese era già a Napoli, si parò a lutto, esegui con i cannoni delle salve funebri, (era lutto o gioja?...) il nuovo ministro giunse rapido, starei per dire che le nuove credenziali si presentarono quasi sul feretro di Ferdinando, piuttosto che appo il Trono di Francesco, e l'egregio ministro si diede con classica eloquenza a spiegare il dell'Italia nelle conferenze col giovane Re: ma Francesco sedendo da anni ne' consigli di Stato di suo padre, era più dotto del plenipotenziario istesso nell'interpretazione de' buoni consigli che si regalano dal Tamigi, e, fu sordo laudabilmente. Son certo, che le mie grandi verità espresse sulla contemporanea politica inglese (non oggi la prima fiata), renderanno idrofobi contro di me, taluni puritani di mia speciale conoscenza
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che l'esilio fra non pochi guai, ha laureati di senno politico.-Calmatevi, calmatevi, e lasciate istruire chi spetta - temete che le mie pagini sdegnino i candidi ed umanissimi di Torre S. Giacomo? affatto - il gran merito che ha quel paese, consiste nel permettere al pensiero altrui una libertà senza sponde - e il gran demerito che possiede si è quello, che quando fa bisogno di ligarsi in amicizia con chicchesia, ed essendo l'amicizia una necessità o un guadagno, l'amicizia ve l'offre ve la guarentisce senza antecedenti o scrupoli, fosse anco con Satana, se Satana possedesse terra: calmatevi, e un cambiamento di ministero acconcia tutto, quanto il tutto fruttifica.
E con questi nuovi diplomatici si vide apparire in Napoli anco un ministro piemontese. Se uno mi dimandasse: vi era legazione sarda a Napoli? in mio onore non saprei come rispondere, o dovrei paragonarla alla luna con le sue fasi continue. Ora vi era un ministro, ora non più, ora un incaricato, or un segretario, or un addetto, ora relazioni, ora nò; e Ferdinando II si curava tanto del, quando d'un vero granello d'arena, e (dal 1848) a Torino la politica ferdinandea fu per molti anni un potentissimo emetico per gli eccellentissimi di Piazza Castello. In qualunque modo noi avemmo per nuovo ministro sardo presso Francesco II, un nome storico in doppio senso; Villamarina ricordava al figlio di una Principessa Sabauda un casato intimo presso la Corte di Vittorio Emanuele I e di Maria Teresa, e ricordava un nome altamente pronubo di maleficii, ligandosi molto alla gran causa di piemontizzare l'Italia. Le Sicilie di quell'anno, non poteano sofferire, senza fastidio e scandalo d'avere un ministro piemontese, o dovendolo subire non bisognava accettarlo nella persona di Villamarina. E invece si gradi un ministro e un Villamarina.
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Ma sulle prime non si badò allo spirito pubblico, meno che agli uccelli senza nido (italiani senza impiego), i quali volavangli intorno per esser tenuti presenti. Ed è tanto vero il mio concetto, che registro due fatti.
Villamarina trascelto da Cavour per grandiosi propositi nelle Sicilie, si smarrì e si persuase di far fiasco da se, col solo suo e presso il Re e presso il Regno; e fu necessità appoggiarsi a un nume tutelare, e rinvenire un Acale per il suo pellegrinaggio. Il suo nume fu il ministro inglese, il suo Acate (son dolente a dirlo) fu il Conte di Siracusa; e mercé questi poté questuare nel nostro pacifico e dinastico reame, e mercé quello giunse a lavorare la breccia per lo Statuto Costituzionale, giacché le ottennero la maggioranza de' voti dalla volontà piemontese...
Villamarina, ministro della prossima Italia, stimò una miseria quell'abitazione modesta della legazione sarda, ove dimorarono tanti insigni diplomatici piemontesi, e, a grandi tempi grandi uomini, e a grandi uomini grandi palazzi; e Villamarina si diede a dimandare in locazione un magnifico ostello, emulo delle primarie ambasciate, ne' sili più cospicui di Napoli. Ebbene? ogni ricco padron di casa, si negò reciso e non volle aver che fare con un ministro piemontese! Villamarina si contentò di elevar la sua bandiera in via Toledo, molto fragorosa per una sede diplomatica, e molto adatta (diciamo noi) per un diplomatico rivoluzionario. Ebbene? i proprietarii si fecero il segno della croce e si rifiutarono! Dimandai ad un di questi, celiando, perché negato si era a si alto onore, e, costui (mi rispose) non è uccello di buon augurio per la casa mia, costui viene a Napoli per tutt'altro, e se si fanno le barricate, m'incendiano il palazzo: che opinione vantaggiosa!
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e, i particolari ebbero più visuale del governo nostro........
E Villamarina, furibondo per tanti rifiuti indegni di un ministro italiano, recò la sua dimora in campagna, in una villa che giace nelle vicinanze di Capodimonte, chiusa da giardini, come in un ridente romitorio, ove Io sguardo della polizia napoletana non potea penetrare, per scorgere il gran comitato ribelle, che tra frasche e fiori si creava dal rinomato eccellentissimo. E se sua eccellenza stima per questo poco e per altro molto che paleserò sul suo conto, a edificazione del mondo diplomatico, affibbiarmi un processo, attenda pure che Francesco II ritorni alla sua Napoli, ed io l'accetto da oggi e mi tenga in parola da cavaliere.
Torno intanto a pressanti rimembranze.
La morte di Ferdinando, che apparve come un prologo funesto del gran dramma che spaventevolmente ora si sviluppa, e che fu una calamità per la sua dinastia, pel Regno delle Due Sicilie e per l'Italia, e che acquista il carattere di mistero, dallo sviluppo istesso degli avvenimenti, ci rimena al pensiero un fatto che spiega molte circostanze.
Ferdinando apparecchiandosi alla gioja de' sponsali pel suo primogenito, aprir volle le sorgenti delle onorificenze, de' beneficii e della clemenza. Adempì a tutte tre queste rubriche, ma riguardo ai doni della clemenza vi era un intoppo. Carlo Poerio co' suoi complici, astri minori e stelle cadenti, avrebbe o nò accettato una grazia, avrebbero o nò ottenuto il permesso dall'oracolo anglo-piemontese? sembra oggi una pochezza quel che dico, ma avea un gran valore nell'epoca in cui la stampa rivoluzionaria non serbava altro punto di bersaglio che Ferdinando II. Fu allora che mano, potentissima ed ignota, fé travedere un progetto che salvava la dignità del Re
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nella sua munificenza, e questo progetto era nientemeno di colónizzare Poerio e compagnia con speciale trattato presso il governo dell'Argentina in America.
Più scaltro proponimento non potea idearsi da chi cosi volea, e sciaguratamente i consiglieri lo accolsero e un ministro che poco dopo mori lo sostenne, e fa meraviglia come la gran mente di Ferdinando lo gradì. Detto fatto; dall'ergastolo e dal carcere si presero i detenuti e si condussero in Napoli. Si spediranno almeno su d'un legno dello Stato? affatto - anzi su d'un legno inglese: a meraviglia! Si scelse un colonnello di gendarmeria, fidatissimo, fedelissimo, e che poi fu il primo ad inchinarsi a Garibaldi. E costui si recò dai futuri compagni di Washington, e disse: » S. M. il Re Augusto Signore e Padrone vi rende liberi, a condizione che ve ne andiate in America protetti dai Real Governo, e mercé altra grazia sovrana. Il Re vi paga il viaggio, vi da pranzo ed una certa somma fino a che vi occuperete. Siete contenti? volete accettare la grazia del Re?»
I detenuti zittirono e volsero gli occhi sul patriarca Poerio. Costui ch'era avvisato da molto della farsa, rispose con molta unzione, che ringraziava il Re per sì alla grazia, e gli altri soggiunsero, viva il Re. Il fedelissimo colonnello, superbo di questa, fu alla Reggia del gran risultato: ed io ed un generale napoletano, oggi commendatore de' disgraziati SS. Maurizio e Lazzaro, dicemmo fra noi, oh! che tranello, che sbaglio...
Infatti era miglior misura amnistiarli, localizzandoli uno per città nel Regno e sotto gli occhi delle rispettive autorità, tanto più che su quel centinajo, eran poche le persone di riguardo, gli altri non avevano importanza, e son certo che una volta sgabbiati, non avrebbero mostralo voglia di ritornare alla catena, meno Poerio che vedea ingiallire
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il suo lauro di martire: ed era una grazia pe' rei, una dignità per lo Stato e una salvaguardia per gli avvenimenti.
Intanto buon viaggio, e Poerio lo sentiremo presidente della più virtuosa repubblica che avrà visto il mondo prima e dopo Platone. Ma una tempesta di mare ed un subbuglio sul cassero,il capo del bordo dall'Oceano a gittarsi (ritenendosi il danaro) su i lidi dell'isola di Circe, detta Inghilterra. Immaginatevi! Nelson e Wellington non commossero tanto quel governo e quel popolo, dopo Trafalgar e Waterloo, quanto l'arrivo dei naufraghi. John Bull li predicò tutti quanti per ministri, e Palmerston si ringiovanì, e se trovavasi primo lord in quei giorni, i nostri martiri avrebbero dato udienza da sul Foreign Office; ma non per questo il li covrì di gentilezze, si fece veder in cocchio con parecchi, e le miledi accorrevano a veder le cicatrici per lacuffia del silenzio (?!?) e poco imporla che i martiri non avean segni di martirio e che anzi si mostravan ben pasciuti. Insomma la stampa inglese intenerì l'universo e la rivoluzione italiana giunse alla terza stella: ed io appena seppi per notizia ufficiale che lord Palmerston per isbaglio un giorno recò in suo. cocchio un povero giovane di parrucchiere, che a Londra funzionò per primario giureconsulto, piansi di tenerezza per l'alto onore dell'Italia futura, ed esclamai: viva l'equivoco!...
E ritornando al serio, i nostri eroi da Londra se ne vennero a Torino, moltissimi ottennero cittadinanza, molti si ebbero impieghi, taluni, benché ignoti agli elettori, furono deputati, grazie al costituzionalissimo di don Camillo (senza una legale intelligenza internazionale) e si giurarono tutti a coro, o il Regno d'Italia o la morte... ed il patto anglo-piemontese del Moncenisio, acquista sempre più luce!
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Premesso questo avvenimento antipolitico, dimando, ragionano coloro che dicono, perché Francesco II non amnistiò anco questi, salendo al Trono? diede un amnistia politica, ma la prudenza lo ritenne su molte persone, le quali da quel che fecero un anno dopo, si vide di ch'erano capaci, se ritornavano in Regno un anno prima.
Vi ha un altra riflessione, che rimetto alla saviezza ed ai talenti di taluni miei nemici, benché tutt'ora persistano in un utopia, che se fossi malignatore appellerei o trivialità o proselitismo. - Perché Francesco, domandano essi, non diede la costituzione salendo al Trono? oggi starebbe a Napoli -. Nò, rispondo io - starebbe invece da un anno, da due anni in esilio.-Forse è il popolo napoletano che non vuole Francesco? forse è il Regno che ha fatto la rivoluzione? Lettori, bisogna essere dei grandi innocenti ottimisti, per mettere in disamina una simile quistione. Io non formo giudizio sul governo costituzionale-non dico è buono è cattivo, conviene non conviene alle Sicilie, non ardisco consigliare al Re quel che deve fare, nella restaurazione, sol perché il da farsi spella al Re ed all'Europa Sovrana-ma sostengo, che lo statuto fu la breccia piemontese per minare i Borboni di Napoli - che senza questo, ogni trionfo dinastico ci era possibile.
Eh! carissimi lettori, non è quistione di governo che si agita dai due enti collettivi in Italia, dal 1848 fin'oggi, è quistione lucida riverberante come il sole, che il piemontismo aspira al Regno d'Italia, ed i mazziniani ad una vasta democrazia italiana: e la rappresentanza nazionale fu ed è l'esca all'amo che si scambiano i due partiti, contro i quali oggi non ba siano per una vittoria le più valide armate.
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Esprimendomi così, non aspiro né a vendette, né a riscosse, né a cariche, ne ad onori, né a ricchezze e ricompense che non invidio ai possessori ed agli aspiranti: ma a pronunziare una grande verità - neanche fra i dolori dell'esilio, ci si permette la verità? Ma Francesco II si ebbe poi de' grandi traditori prima dello statuto? rispondo se li ebbe da che ascese al Trono. E siccome in, abbiamo dato un indice de' varii traditori, così in questo libro ne spiegheremo taluni di quelle categorie, ma non tutti; purché non mi si offrino novelli censori che vorrebbero possedere la scienza prevedibile de' tradimenti: quanti eredi di Salomone, sono oggi con me in esilio...
La prima classe de' traditori non serba colore politico, ed è ostile ad ogni piemontismo, e questi tradirono non per favorire l'Italia di Torino, ma perché travidero in Torino dei giganti che spalleggiavano gli avvenimenti e non si stimarono capaci di affrontare quei colossi, e si persuasero che a forza Francesco dovea soccombere: e di questi magnanimi Francesco ne possedé dal dì che venne a Re fino alle battaglie del Volturno e del Garigliano, non sò se in Gaeta, ma credo di no.
La seconda classe de' traditori appartiene alla categoria degli arricchiti dai Borboni, e questi erano e sono tanto, che se dimani l'Austria potesse impiccare tutti i piemontisti, si offrirebbero loro per carnefici. Ma temendo di compromettersi, di vedersi spogli dalla rivoluzione, tradirono, sperando così di conservarsi immuni, ma così non avvenne. L'opinione di tutti i partiti li flagella, il governo piemontese è sfiduciato di loro, e a Torino o a Napoli, o in carica o in bealo ozio, rappresentano il supplizio di Dedalo. Ecco qual vantaggiosa opinione pubblica ha costituita l'Italia una: ecco i campioni del gran Regno, della gran nazione, della gran patria nostra.
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Come avvenne la rivoluzione nelle Due Sicilie? per sentimento pubblico, per desio di statuto, per la brama del Regno d'Italia?
Anzi, quando l'interesse anglo-piemontese, vide che ogni astuzia e qualsivoglia seduzione non comprometteva la dinastia e l'ordine fra quei due felicissimi popoli, e che il movimento della Gangia a Palermo fu una larva, spedi Garibaldi preceduto da mille tranelli e da moltissime armi. Si perde la Sicilia momentaneamente, ma il continente invece d'indebolirsi si rese più forte perché disponeva dell'intero esercito. Se fosse desìo generale di, perché comprare dei generali? Ma i tradimenti stessi non valsero per l'attesa riscossa, sì perché l'intero napoletano era con la dinastia, sì perché le masse ed i primarii proprietarii (i di cui nomi registrerà la storia) esprimevano al Re:-resistete e noi siamo con voi.-
Fu allora che la rivoluzione cosmopolita disse «con lo statuto manderemo via Francesco» e quel carissimo, felicissimo, invidiabilissimo statuto riuscì alla colossale impresa di e per averlo si scatenarono sulla terra tutte le infamie d'abisso, si menti fino al delitto, si tradì fino all'empietà, e i popoli per la sorpresa e per la meraviglia, colli all'impensata, si abbassarono nelle primitive forze, si scissero in fazioni, per la paura dell'impiego si fu costituzionale, per la spallina d'uffiziale civico (che nel regno è fanatismo) nacquero degli italianissimi come i funghi, per tema delle sostanze e della vita si ammirarono de' strenui liberali, e l' dal voto universale. E lo statuto istesso non era anco capace di eccessi, e per ottenerli, Liborio Romano istallò in Napoli il governo dei, quel tale governo della putredine delle carceri e de' bagordi, degno alleato di Garibaldi, di Farina, di Nigra e di Cialdini,
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e bisognò l'eloquenza del pugnale nelle mani di costoro per le bandiere, leluminarie, e i gridatori di!... e, bisognò che Dumas (1) andasse spargendo armi su i nostri lidi; e, fu necessità assiepare Napoli di moltissimi demagoghi di Europa (a spese di Cavour) per organizzare il; e, quando giunse Garibaldi in Napoli, il si compose di camorristi, di vaganti prostitute e di tutti i timidi di essere stilettati; e, a Garibaldi sul Volturno, bisognarono ungaresi, polacchi, americani, volontarii inglesi e i cannonieri della flotta inglese: vero ed assoluto tipo del per far l'Italia; e, la stampa piemontese con acre livore ci assicurò per mesi, che mentre morivano all'espugnazione di Gaeta, non si vide un napoletano nel... per sempre più definirsi dalla storia, se Francesco II non si vuole, ma si vuole in sua vece l'Italia una!
(1) Fra le patrie meraviglie della nostra rigenerazione ed indipendenza (e fuori lo straniero) Dumas è francese e fa l'Italia, non parla l'italiano ed italianizza un popolo che non l'intende, è democratico ed abita una reggia, è romanziere e scrive la storia!.. Quale storia? - la storia di un paese che non conosce, d'una dinastia che coadiuvò a rovesciare, che insulta, che calunnia, pranzando e dormendo a spese dell'augusta proprietaria. Fu visto al inondo, che il carnefice s'insedia in casa della vittima? finora no, ma oggi si, onde l'Italia sia fatta - e quasi che fossero pochi i bestemmiatori cittadini, ce ne procuriamo un forestiere che abbia della celebrità - vorrei vedere se a Parigi un napoletano andasse ad eseguire la mascherata odierna di Dumas, contro un governo rovesciato, che direbbero i francesi? Viva l'Italia di Dumas!
Ma sul bello vi ha il bellissimo, ed è - che mentre Dumas si occupa a scrivere la storia dei Borboni di Napoli, un napoletano s'interessa a scriver le gesta di Dumas nelle due Sicilie: strepitoso duello...
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XI.
LA DIPLOMAZIA, CASTELFIDARDO, GAETA IL COLLOQUIO DI VARSAVIA I SOVRANI DI EUROPA
Il fiotto de' sleali ed indefinibili avvenimenti contemporanei, mena per necessità il mio ragionamento sulle onde della politica europea, e attraversando questa «morta gora» sarà mia necessità avvicinare
una gente dipinta
Che assai con lenti passi,
Fuor della queta, nell'aura che trema,
E vengo in parte ove non è che luca!
E questo potentissimo impero politico de' secolari fasti europei, la diplomazia, sembra partecipare alla decadenza sociale de' giorni nostri, rappresentarne il complesso delle attuali infermità morali, o di soggiacere umile e negletta ai colpi mortali della rivoluzione; e, il suo ordine del giorno, ripetuto col fanatismo delle più superbe vittorie, è quello di saper localizzare la guerra, di evitare all'Europa una guerra generale: grazie. E non è lo stesso, come in una sfida fra due, in cui prudenti amici trattengono le braccia d'un galantuomo per non comprometterlo, e lo compromettono alle busche del suo rivale? cosi la diplomazia odierna, si vanta di moderare nei rispettivi governi, l'impelo giusto e virtuoso della guerra, mentre permette
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che la rivoluzione nei modi più ruinosi, provochi il Cristianesimo e ingiuri i Troni, e suicida le coscienze, le ricchezze, la virtù e l'avvenire della società...
E noi non abbiamo ben detto, con il linguaggio di Dante, che le onde dell'attuale diplomazia sono una morta gora? che taluni diplomatici odierni, sono una gente dipinta che ci governa assai con lenti passi, mentre l'Europa è sull'orlo di un abisso? e che l'orizzonte della politica attuale, è fuori da ogni quiete e nell'aria che trema per gli avvenimenti che si succedono, e che parlando dell'attuale situazione, siamo spinti ove non si scorge luce nel presente di tanti governi e di tanti popoli?
E questa contemporanea diplomazia (salvo nobilissime eccezioni) è quella che non voile, o forse non seppe riunire la politica internazionale dell'Europa in un necessario accordo, dopo il 1848 ed il 2 dicembre, che abbandonò al bivacco dell'incertezza la rivoluzione e la restaurazione, che isolò i troni dai popoli ed i popoli dai troni, e ch'è giunta a far temere un congresso politico, mille volte più d'ogni funesta e letale pestilenza.
Fu strano lavoro diplomatico la guerra d'Oriente, ove nulla si conchiuse; e dopo altri anni quella disputa apparirà alla storia un drappo nero che covre innumeri ossami ed incalcolabili sprecati tesori. Fu delfico lavoro diplomatico la pace di Parigi, ove sistemando la vertenza orientale, senza prevenzione ai congregali si agitò la quistione italiana, e senza intesa de' Principi italiani si accusarono i loro governi, e senza necessità (meno gli ossequj alla rivoluzione) si volle in un congresso delle primarie potenze far sedere uno Stato di terz'ordine, onde elevare l'Europa a partili ed assicurare alle fazioni ribelli un prossimo trionfo. E che si ottenne e che si ottiene l'impero ottomano dalla tutela diplomatica? uno sfacelo più violento,
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una minaccia quotidiana a sé stesso e agli interessi europei, ed un acceleramento dell'augusto ammalalo a morire molti anni prima che non stimasse lo Czar Nicolò. E i Principati Danubiani, si prosperi e tranquilli per lunghe stagioni, appena caddero sotto il patrocinio diplomatico, soffrono con la loro unione ed indipendenza, quanto non soffrivano con la loro separazione. E il Montenegro, vero granello di arena fra i governi dell'Oriente, dato in enfiteusi politico alla diplomazia, è il perturbatore di sé e de' circonvicini, e si stà qual corpo d'avanguardia d'una nuovissima rivoluzione su pacifiche regioni.
Potrei occupare moltissime pagini, enumerando altri molti diplomatici, e se volessi allontanarmi fino alla Cina, o gittarmi Ira le guerre civili delle regioni americane, dovrei conchiudere, che la diplomazia di Europa, come seppe per lunghe età civilizzare l'Occidente, frenare la barbarie dell'Oriente, domare l'Asia e conquistare l'America; ora si occupa a veder sconvolger tutto, rovinar tutto, e mirar sommergere la civiltà e la società, la religione ed i governi nel baratro d'ogni rovina: e se ne gloria, e se ne vanta.
E localizzando (termine diplomatico) le nostre questioni, ammiriamo l'indifferentismo politico dell'attuale diplomazia, appo i Troni di Francesco II e di Pio IX; quei due governi condannati da Lord Satana, dopo Novara, ed offerti al Piemonte qual prezzo di sangue, perbibblica-britannica.
Francesco, giovane di anni, sale al Trono degli avi suoi, bene amalo dai suoi popoli. L'Europa politica ammira la massima tranquillità delle Sicilie, e benché si combatta a Magenta, si trionfi a Solferino, ed il Piemonte si annetta la Lombardia qual dono della Francia, e si annetta tre Ducali e le legazioni pontificie mercé della rivoluzione,
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il Reame di Napoli se ne sia contento di sé all'ombra della sua prosperità e della sua dinastia. Il Piemonte accende la scintilla del disordine nel Reame, con lo sbarco di Garibaldi, e la diplomazia che poteva far impallidire e la politica piemontese e la rivoluzione, si accontenta con semplici spiegazioni, use fra le genti nell'era antidiluviana. Taluni gabinetti, o consigliano, o insistono presso Francesco che si adatti al movimento italiano, concedendo uno statuto costituzionale, e si combini in lega col Piemonte, e, non vi fu gabinetto amico che rispose invece:-sostenetevi, qui siamo noi a difendervi-; sicché l'attuale diplomazia, interviene consigliera ostile quando un Sovrano si vuol salvare con la resistenza, e non interviene quando è forzato a perdersi con le concessioni: vero equilibrio europeo.
E Francesco diede la costituzione ed offrì la lega. L'intero corpo diplomatico accreditalo, riconobbe il nuovo regime, e siccome nella rada di Napoli (mai come allora) si trovavano la flotta francese, inglese, russa, austriaca, spagnola, e legni prussiani, brasiliani e di altre regioni; immantinenti fecero acquisto della nuova bandiera, e i colori, cosi detti italiani, ornando lo stemma borbonico, ripetutamente vennero salutali dai legni, issandoli su i pennoni, con salve di gioja. Dunque la politica europea é contenta di veder Francesco, Re costituzionale, e cosi ogni apprensione é svanita. Ma invece Garibaldi si avvicina, la lega col Piemonte é visibilmente un trastullo, il ministero che assedia la Reggia napoletana é palpabilmente giudaico ne' suoi alti pubblici, il ministro piemontese Villamarina su più ampia scala esegue a Napoli quanto il ministro piemontese (BonCompagni) (1) esegui
(1) Lord Stratford di Redcliffe disse nel Parlamento inglese, che BonCompagni, ministro sardo a Firenze, era meritevole di essere impiccato alle inferriate del Palazzo Pitti.
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in Firenze contro il governo del Granduca, i legni sardi sbarcano il disordine e l'allarme in mezzo alla vasta città, e man mano giunge un esercito d'incogniti d'ogni nazione come a un pianto di riunione prestabilita, e allo sguardo dell'universale riesce visibile il danaro cavouriano che si dispensa quotidianamente alla plebe. l'assieme di queste scene, non è un mistero pe' diplomatici, e questi virtuosi rappresentanti di tanti governi amici, che vollero la costituzione napoletana, e di cui taluni serbano vincoli di sangue e di alleanze e di antecedenti pel figlio di Ferdinando II, non ¡scorgono che questo Re innocente, che questo Regno felicissimo, sono minali ad ogni ora da una rivoluzione, né napoletana, né italiana, ma piemontese? e nulla possono per ¡scongiurare i letali avvenimenti, mentre il Piemonte è un pigmeo, l'Inghilterra esigge il non intervento e la Francia officialmenmente si richiama al solo trattato di Villafranca? Serbavano istruzioni dai loro governi, istruivano i medesimi degli avvenimenti? e dov'era il nemico tanto formidabile che a Napoli, spiegando le sue forze, metteva in un pernicioso e disonorevole incantesimo le primarie potenze di Europa? Non bastava una semplice protestativa coalizione diplomatica contro il Piemonte, per fermare Garibaldi e Cialdini? Non bastava una minaccia d'intervento per salvare il Re e il Regno delle Due Sicilie? E l'Inghilterra che sanzionava il non intervento, potea rispondere all'Europa politica, - il solo Piemonte può intervenire in Italia -, se i popoli e non i governi italiani, ritenendosi anco il paradosso in politica ed in morale di lord Russel? Ed era la Francia nel caso (in quei dì) di rispondere a un energico richiamo delle potenze del Nord, - io voglio che in Napoli s'incendi il diritto pubblico internazionale, ogni alleanza, e la religione de' trattati?-Napoleone non l'avrebbe detto,
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e se anco stimasse gittare la rivoluzione italiana agli eccessi per conquiderla, non poteva se non ripetere quanto ripete tutt'ora per deridere le scissure mortali della politica di Europa: io mi stò ai trattati di Villafranca: sol perché l'Europa diplomatica non si è ancora unita per dire in un sol di a Russel ed a Thouvenel- «via, si compia il trattato di Villafranca.»
Invece Francesco II dal di che concesse lo statuto al di che usci volenteroso da Napoli, sembra un nocchiero abbandonalo a sé col proprio naviglio, in mezzo alle voragini di mare sconvolto. Privalo dei molti suoi fidi, amalo e compianto dai suoi popoli, forte per fedelissimo e valoroso esercito, padrone d'una squadra navale, ricco di sostanze domestiche, prospero per pubbliche finanze; Francesco, Sovrano amico di tutti i Sovrani di Europa, si appiglia nel suo isolamento virtuosissimo ad abbandonare la Reggia de' suoi dominii, onde non macchiare di sangue cittadino le vie della sua capitale, e, e perché? perché la diplomazia europea che lo circonda, non sa dire ai comitali piemontesi che chiassano nella metropoli: via di qua Drusi antisociali! perché non fa sapere a Garibaldi, ad un uomo che non camminava verso Napoli, ma era spinto dai tradimenti a venire, che, malamente sarebbe capitalo a violare quanto l'Europa Sovrana riconosceva e sosteneva! Niente affatto Eloquenti proteste in iscritto, negli anni de' cannoni rigali, consigli a ritirarsi nella Spagna o in Germania, c finalmente molti rappresentanti seguono il Re in Gaeta ed, ecco il gran lavoro della politica spiegala a difesa dei diritto delle genti, e, l'Europa diplomatica che esce da Napoli dietro le orme di Francesco II, mi dà l'idea dolentissima, come da Napoli s'iniziasse l'abdicazione di tutti i governi costituiti, fuggenti; allo scalpore fragoroso dei socialismo mondiale, e,
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quella vasta selva di vascelli ancorati su i lidi napoletani, che potevano far impallidire cento rivoluzioni, si allontanano onde i popoli cristiani e civili delle Sicilie, gittati all'anarchia ed alla rappresaglia dei Drusi della rivoluzione, nuotassero nel sangue e nella miseria, per l'abbandono internazionale di tutte le potenze civili e cristiane, e: Addio Regno di Carlo III, io li saluto o sventurata patria mia col vaticinio del Profeta: la bestemmia, e la menzogna, e l'omicidio, e il furto e l'adulterio l'innonderanno, ma verrà il giorno che il sangue incalzerà il sangue; e come oggi i piemontesi trattano il nostro popolo, qual popolo, si farà la luce e i nostri superstiti dalle italiane carneficine, preceduti dai gridi degli orfani e delle vedove ripeteranno ai piemontesi il grido di Osea,... E basta fin qui, e dopo breve sosta ci avvicineremo a Gaeta, onde apprendere in quest'èra infausta, come si difende un Re al cospetto di tutti i Re, e, la politica contemporanea impari, per riferirsi a chi spelta, che non fu il solo' Francesco li bombardalo in Gaeta dalla rivoluzione, ina con Francesco tutti i Troni cristiani e tutti i governi del mondo.
E una lai quale diplomazia europea, che si onora di rappresentare governi moltissimi, presso i primarii centri della cristianità, da errore in errore o si trasporta o si fa trasportare dalla furiosa corrente del secolo aritmetico, nientedimeno riducendo, o assistendo tranquillamente che si riduca a quistione, l'indipendenza sovrana del signore e regolatore delle coscienze; a quistione, la sovranità del centro cattolico del mondo morale. E Roma eh' è la capitale di tutte le capitali, la città per antonomasia eterna, sol perché appartiene di diritto a tutte le generazioni, a tutti i popoli, ad ogni governo; Roma che è gloria dell'Italia, non perché possa assoggettarsi all'Italia
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quella che è dominatrice all'universo cristiano, si riduce dalla sapienza diplomatica ad una quistione puramente italiana. E questa metropoli ch'è la casa paterna di tutti gli uomini, il padiglione maggiore delle passate, delle presemi e delle vegnenti tribù d'Israello, che attraversano in pellegrinaggio il deserto della vita del tempo; eh' è la Reggia e il Tribunale, ove giunge la preghiera dei Sovrani, in egual modo che vi giunge la preghiera dei più poveri e miseri;e su cui né l'Austria, né la Francia, né l'Italia, né tutti i Regni possono pretendere isolatamene la proprietà, la quale spelta all'intero mondo morale, e non è soggetta per sua natura allo scrutinio della politica dei gabinetti presenti e futuri, perché gode da dieci secoli, l'unanime, costante e successivo plebiscito di tutti i credenti sparsi per l'universo.
Ma taluni gabinetti hanno protestato e protestano in favore, e taluni pochi hanno discusso e discutono contro; ma si protesta e si discute una vertenza, non un principio basato sulla volontà del cristianesimo, al cui paragone l'Italia, e i Sovrani tutti non sono che delle tapine lucerne al cospetto del Sole. Innumeri milioni di credenti, milioni di martiri, di penitenti, di vergini, di sacerdoti, di dottori, di crociali guerrieri, spirarono nel bacio del Signore con la mente rivolta al Golgota ed a Roma, cioè, ove si suggellò la Fede ed ove si regge il suo Capo e si reggerà fino all'ultimo de' giorni; e quest'Arca che è confinaria del tempo e dell'eternità, la politica del giorno l'inchina fino al basso livello d'una quistione. Ma è quistionabile il governo temporale, non lo spirituale. Non quistioniamo i possessi dei Re, e quistioniamo il patrimonio di chi siede a Vicario di Cristo? e non guardando al potere spirituale, ma sola mente al temporale, forse quello dei Papi serba minor diritto di ogni altro imperio costituito, forse manca la tradizione, la storia, l'origine?
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perché non si discutono i governi delle prime potenze di Europa, che sono giovani Stati al paragone del secolare Stato Pontificio? E giacché ora vi ha un plebiscito che legalizza l'Impero francese, ed una specie di caos politico-sociale che chiamasi plebiscito italiano, io proporrei, non il plebiscito di Roma, come si scrisse ultimamente in un libro volante, ma un plebiscito raccolto dagl'innumeri uomini dell'intero cristianesimo, onde decidere circa a quel paradosso che appellasi, ed ammirare se il potere temporale de' Pontefici, ha diritto ad essere qual fu, qual'è, e qual sarà.
E un plebiscito giornaliero, edificante, già esegue il cristianesimo, dal di che al Papa venne tolto in parte il suo potere temporale, mercé dell' S.; plebiscito per eccellenza si è questo, in guarentigia della Sovranità temporale di Roma Cattolica, ed efficacissima protesta dell'universo morale, il quale, mercé il dovere che sente di soccorrere Pio IX Papa Re spogliato de' suoi popoli, eleva il suo diritto che ha a conservarlo indipendente, indipendenza a cui concorre la maggioranza degli italiani ancora, e per maggior smentita al Piemonte, concorre con lódèvolissimo zelo la maggioranza piemontese: benché si gridi, benché il si vanti d'intronizzarsi in Campidoglio e al Quirinale.
Ma l'Italia? l'Italia è parte della cristianità, e non puole violentare un patrimonio che interessa la cattolicità intera, senza manomettere e destituire gì' interessi di molti governi, di moltissimi popoli, dell'intera Chiesa sparsa per il mondo. E poi, ancorché Roma non fosse del cristianesimo come lo è, e ancorché l'Italia di oggi fosse già una nazione mentre non è che uno Stato di violenza mazziniana e di pirateria piemontese;
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come puole un governo nascente assorbire un governo di dieci secoli? ah! non è questo o quello il motivo. Il motivo reale si è, che una porzione della odierna società, la Babele, essendosi fusa negl'interessi puramente materiali, è gelosa della testa morale del mondo ch'è Roma, c ad un corpo monetato vorrebbesi, per completarlo, aggiungervi una Roma aritmetica. Babele, Babele!...
Se ne' primieri secoli del Vangelo, i Papi non ebbero un potere temporale, non bisognava, perché questi nacquero Re per l'umana volontà degli eroi che li seguivano al martirio, ed erano fin d'allora Re trionfanti, sulla tirannia de' Cesari latini. Vissero Re nelle persecuzioni, e la loro Reggia del tempo, furono le catacombe, città, altare e sepolcro d'innumeri famiglie cristiane. Furono stimati Re dei Re, quando la Chiesa assegnava per guida d'ogni codice diplomatico sociale il Vangelo, ed allora i Papi vedevano ai loro santi piedi tutti i Sovrani e tutti i popoli; e Dio che regola, prevede e provvede, appena travide che l'ambizione politica riprendeva il suo impero fra gli uomini, in offesa dell'indipendenza della cattolicità, permise che i potenti umani offrissero a tutela della Chiesa un temporale dominio, onde delle politiche frontiere circonvallassero il Valicano, come un Regno a sé e come un dominio privilegialo per la propria indipendenza e per la indipendenza dell'universo cristiano; e per moltissime età, quando i Re eran sacri agli occhi di Dio e degli uomini, senza il governo temporale non si sarebbero assoggettali a ricevere il crismale dai Papi in altra capitale, se non in Roma, perché solamente in Roma vi ha un trono ove i Re senza umiliarsi s'inchinano, e risiede un Principe non dipendente da altri Principi, ed ai piedi del quale si genuflettono tutti iPrincipi, conservandosi nella dignità di Sovrani.
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E questa dinastia de' Papi ch'è la più antica e la primaria su tutte le dinastie, vide in lunghi secoli estinguersi molti ceppi dinasti, ma essa non si estinse. E questo Regno di Roma assistè per secoli allo sconvolgimento di mólti domimi, alla nascila ed alla morte d'innumeri governi, agli ingrandimenti ed ai rovesci di tanti imperi, e, e questo Regno fu testimone cosíanle di sì lunga catena di glorie e di sventure, e rimase sempre quel eh' era e quel ch'è, e non vi ha una Corona al mondo che possa dire (oggi), esisteva prima del Triregno, un Trono che si misuri per vetustà con quello de' Pontefici, uno scettro che risponda alla storia, - vissi senza spezzarmi una volta - pari allo scettro de' Papi. E l'empietà istessa non avendo umano coraggio di rovesciare il potere spirituale del Papato, si addisse sempre a battagliare il potere temporale, onde l'opera divina si trovasse soggetta ai capricci del dominio umano, e lo scandalo ¡stesso per tanto rovescio, riescisse di benda alle moltitudini, e si scalzasse la fede cattolica. Lo scisma e l'eresia, sconfitte ne' concilii, si diedero per estrema riscossa a bersagliare il potere temporale dei Papi. Il protestantismo, primogenito del moderno libertinaggio sociale, dell'indifferentismo religioso e dell'ateismo politico, nacque e vive nemico reciso del dominio temporale del Papato, onde senza questo averlo soggetto ai suoi bersagli, elevarsi in competenza, guerreggiarlo con la politica e assoggettarlo ai loro Re e Regine, che rimarrebbero capi supremi d'una religione bugiarda, mentre il capo supremo della cattolicità scenderebbe al livello di suddito.
La volteriana od enciclopédica filosofia del secolo scorso, sperò un trionfo all'allagamento delle coscienze delle idee e dei costumi, non tanto dai suoi empi volumi, ma dal rovescio del potere temporale dei Papi,
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ché nel mare dei sofismi dilatatisi in Europa, quella tale sovranità, quell'assoluta indipendenza, innalzava la Cattedra della Verità, come a luminoso Faro che denudava i quotidiani moltissimi errori. La rivoluzione francese, al cader del secolo scorso, signora delle teste di quella gran nazione, allorquando volle ligare al sanguinoso suo carro trionfale come a servaggio, l'Italia, ebbe a meravigliare che riuscì a diroccare molti troni, e diroccando quello di Roma, scomparve sollo la porpora dell'impero, e il trono Papale risorse su i rottami della repubblica in Campidoglio. Napoleone 1, umana altezza che poté disporre di molti Troni di Europa, si credeva ognor pigmeo nelle sue conquiste, senza fondere a sé il potere reale del Valicano, e, compì degli immani sacrilegi, violentò il Papa-Re fino ai dolori della prigionia, elevò suo figlio a Re di Roma, e la Provvidenza che intervenne dopo il suo intervento, fugò il padre e il figlio, l'Imperatore ed il Re, e il triregno splendè più di prima sul Valicano. Avvenne la rivoluzione del 1848, la demagogia ed il socialismo allagarono dei loro detestabili misfatti imperi ed imperanti, e giunsero ad elevar tribuna in mezzo a Roma. Lo spirito pubblico del cristianesimo che non si scandalizzò per molti eccessi, per rovesci di dinastie e di Stati, si scandalizzò della caduta dei potere temporale dei Pontefici, coadiuvò i rispettivi governi, e risalendo Pio IX al Valicano, rinacque l'Impero in Francia e molti Sovrani si ottennero trionfi dai trionfi di Roma.
Dopo meno di dieci anni, l'ambizione piemontese si sposa empiamente alla rivoluzione italo-europea; da sì infausto connubio emanano innumeri delitti anticattolici, anti-politici, antisociali ed ant-iumani; si calpesta ogni diritto ed ogni codice, si gittano all'esilio Cardinali e Vescovi, si profanano le chiese, si carcerano i sacerdoti, si violentano i claustri, si manomettono e la fede e i dogmi
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e il vangelo e i miracoli e i Santi, e il nome preziosissimo di Gesù Cristo si regala a Garibaldi, eh!... fino il carissimo nome della Madre di Dio Maria Santissima, quel nome che ci è scudo dalla culla al sepolcro, quel nome che è ornamento delle spose, delle madri e delle figlie, che siede con le Regine su i Troni e con le povere orfani mendicando il pane in sulla via; questo nome che da dieciannove secoli fu ed è la via, la vita, la verità, la luce del cristianesimo; questo nome che è tutela ali innocenza, è guida alla giovinezza, è scudo della virilità, è santa compagnia della canizie, eh! - o Maria, e si mitigano i dolori della vita: - o Maria! e si evitano innumeri perigli: - o Maria! e cade fin il coltello omicida dalle mani più crudeli: - o Maria! è l'estrema parola dolcissima di chi muore... ebbene? il connubio di Torino ha permesso che in Italia, in mezzo a quel popolo eli! è suddito e devoto della SS. Vergine, si stampassero i più infernali libelli contro Maria, si ribellassero i figli da si pietosissima Madre, eh!.. la mano indietreggia a scriverlo, eh! la Madre del Redentore non è oggi più Maria ma è F Italia, perché Garibaldi e non Gesù è il Redentore...
E la diplomazia europea, ne' suoi aurati portafogli conserva la così della, e chimette e chi la disputa e chi la protesta, come si possa quistionare sul Montenegro che invade il territorio turco. Ed i Sovrani dell'Europa, e specialmente i Sovrani Cattolici, rendono quistionabile (e taluni discutono) il potere temporale del Papa; il potere consacralo dal tempo più d'ogni altro potere vivente; il potere che regge moltissimi poteri politici sociali ed umani, i quali rovescerebbero col suo rovescio; il potere che si regge per la volontà di tutti i popoli, mentre gli altri primarii poteri che non si discutono, non Serbano una frazione di quei voti che ressero, reggono e reggeranno
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il potere quistionabile oggi, che è l'intero plebiscito cristiano. E con si infausti e luttuosi preludii di empietà manifesta, ancorché il potere temporale del Papa quistionabile fosse mentre non lo è, si spera e si agita di consegnar Roma al possesso del connubio italiano, e per satisfare l'ambizione del Piemonte e della rivoluzione italiana, si vuole consegnare il Papa, il Vicario di. Cristo, il Padre di tutti i credenti, al servaggio di chi non ha più idea di Dio, e Dio è il Re di Sardegna, Gesù Cristo è Garibaldi, Maria SS. è l'Italia, ecc. ecc.
E sia. Rendete schiavo il padre di tutti i fedeli, anco per un giorno; togliete a tutte le nazioni del mondo la capitale dell'universo, per dare all'Italia una capitale che supera Vienna, Parigi e tutte le città imperanti; sbarrate l'ovile della Chiesa ai lupi del secolo; e appo alla tomba de' SS. Apostoli Pietro e Paolo si sollevi Io stendardo di casa Savoja, già contaminato dalla rivoluzione; Garibaldi e Mazzini, Ricasoli e Cialdini abbiano statue appo la Cattedra Eterna; Pantaleo, Gavazzi, Caputo ed altri anticristi salmeggino i saturnali del nuovo Regno nei sotterranei del Valicano, e che? Pio IX ergerà il suo Trono fin nelle carceri, ma ove saranno molti altri troni di Europa? i credenti riabiteranno le Catacombe, ma ove chiederanno asilo e le potenze infingarde e i proiettori e i protetti, dèlla quistione Romana? si compia l'Italia: e noi attendiamo che Dio compia la giustizia sua sulla quistione e su i quistionatori odierni. Il Cristianesimo rivedrà ognora e sempre il Papa-Re in Roma, perché al cristianesimo è dato di ammirare la scomparsa di Re, d'Imperi, di sapienti, di tirannidi carnefici, di empj, e, ed egli molte di queste scene vide, e - visse; vedrà molte altre scene scomparire da sul teatro di oggi, e - vivrà.
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E cosi ragionando, eccoci alla giornata di Castelfidardo, giornata che, racchiudendo l'apice del valore cattolico in difesa del diritto e della religione, racchiude l'apice dell'umano disonore nei trionfo dell'ambizione e della rivoluzione.' Non parlo di Perugia, della Rocca di Viterbo, del bombardamento di Ancona, ma solamente di Castelfidardo, perché quivi si toccarono gli estremi della miscredenza e del cristianesimo, quivi la nuova legione de' martiri sfidò l'esercito dell'idolatria, quivi si pugnò da dieci contro cento e da cento contro mille, e, fu questo il campo bagnato dal sangue generoso degli eredi de' campioni antichi di Ponte Milvio, con la differenza che le grandi legioni di Costantino (allora) trionfarono col diritto della forza su Messenzio, e le scarse legioni di Lamoricière (oggi) trionfarono con la forza del diritto. Il Labaro in quei tempi addivenne l'insegna più gloriosa degli eserciti, e ne' giorni nostri, qual fra gli eserciti possiede un nastro che più brilli di quello che posa sul petto de' superstiti di Castelfidardo? ove oggi havvi una decorazione, che possa avvicinarsi in valore morale a quella su cui trovasi una Croce rovesciala, col molto,, ornamento che nobilita il palladio di distinti romani che se l'ebbero dal coraggio de' loro figli, e che nobilita le più cospicue famiglie di Francia, del Belgio, della Svizzera, della Germania e della lontanissima Irlanda? Oh! Costantino ebbe duopo d'un visibile miracolo per combattere i nemici del Cristianesimo, e le legioni di Castelfidardo si offrirono a morire, e la loro morie volenterosa, fu il miracolo che assicura alla Chiesa, che l'era de' martiri non si estingue pe' suoi trionfi. Costantino si ebbe nelle sue giornale campali gli sguardi della perseguitata Chiesa nascente e le preghiere de' credenti in Cristo, e i combattenti di Castelfidardo si ottennero
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e nella pugna e nella morte, oltre gli sguardi e le benedizioni dell'universo cattolico, le lagrime e le benedizioni di Pio IX, genùflesso appo la tomba de' SS. Apostoli Pietro e Paolo; lagrime e benedizioni, che aprivano la via de' Cieli alle anime dei campioni estinti!
Deh! perché l'Orbe cristiano non era con me in Roma, in quei giorni febbricitanti di fede e di empietà, per dire alla storia, chi vinse a Castelfidardo?
Meravigliose scene, in luttuosi tempi! Il conte della Minerva ha consegnato al Cardinale Antonelli la nota dei nuovissimi misfatti, dello piemontese, ed ecco un corpo d'armata con le insegne della croce di Savoja s'innoltra alla rapina d'altre provincie della Santa Sede, essendo che, quell'insegna militare che un tempo fu gloria dell'Italia e del Cristianesimo, ora s'innalza a sterminio della Chiesa e del Vicario di Gesù Cristo.
E Pio IX, mentre la rivoluzione e l'esercito piemontese romoreggiavano in quei giorni, ad ogni ora nelle vicinanze di Roma, egli col mansueto sorriso che sfolgorava sul volto del Divo Emmanuello quando nell'Orto di Getsemani si avviava incontro a Giuda e alle legioni, per indi da tribunale in tribunale salire il Calvario; con eguale dolcificante sorriso Pio IX per tre dì dal palazzo del Vaticano scendeva nella Basilica di S. Pietro, onde presiedere a pubbliche orazioni, e con la voce di colui che non ha che rimproverarsi ma che ha diritto a rimproverare altrui, iniziava le fervide preci che usa la Chiesa nelle persecuzioni, e, e tutte le classi cittadine dèlla metropoli,e gl'istituti degli orfani,e le scuole infantili del popolò, e l'emigrazione de' varii Stati d'Italia, e i collegi ecclesiastici delle varie nazioni, e quello cosmopolitico di Propaganda,: e innumeri forestieri d'ogni lingua e d'ogni credenza


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(sì d'ogni credenza!), tutti genuflessi nel tempio mondiale, circondavano il Santo Padre, e con voce commossa fino al pianto.... rispondevano alle sue preci!... e Dio non intese mai un coro sì universale di voli, voti che da Roma avevano un'eco sul Cristianesimo sparso per tutti i lidi, e l'orbe cattolico accoglieva quei voti di Pio, e pregava per Roma e per Pio!
Deh! chi vinse a Castelfidardo?...
E funebri ufficii espiativi pe' morii di Castelfidardo esegue Pio IX, e con Pio IX tutte le chiese di Roma, e l'orbe cattolico ripete ed universalizza i funebri ufficii compitisi da Pio IX e da Roma, e i combattenti di Castelfidardo morii e superstiti si elevano a cittadini del mondo, appartengono con virtuoso orgoglio ad ogni nazione, ad ogni popolo, ad ogni città, ad ogni famiglia; l'intero Cristianesimo glorifica le loro gesta, le loro ferite ottengono un verace grido di dolore pel mondo, la loro morte vien pagala colle lagrime e colle preghiere di centinaja di milioni di fedeli; la sacra eloquenza e la sacra poesia s'inghirlandano di nuovi allori per encomiare gli eroi di Castelfidardo, e fra molti redivivi Fenelon, l'insigne Vescovo d'Orleans è il Rossuel dell'avvenimento; e la giovane vedova dell'immortale Pimodan, rinvenne nell'entusiasmo della gran nazione francese un compenso ai suoi dolori, e mentre innumeri firme di tutta Europa si registravano a gara nella sua magione per condoglianza e per simpatia alla compagna dell'estinto duce di Castelfidardo, ecco che l'Augustissimo Pio IX con illustre e raro chirografo asciuga le lagrime della derelitta, e su i neri veli degli orfani di Pimodan discende la santa paternità largitagli dal Sommo Pontefice. Ed il generale Lamoricicre, momentaneo prigioniero di guerra, e di una guerra combattuta da uno su dieci, da dieci su cento,
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da cento su mille, ecc. ecc. come registrerà la storia, rinfiora il suo nome illustre per famose battaglie, mercé la nuova gloria guerriera raccolta da Castelfidardo ad Ancona; le sue gesta vengono registrate negli annali meravigliosi del Papato, il suo nome eroico non è più una gloria francese ma è una eredità del cristianesimo, e come giunge nella sua patria, la Francia è commossa dal suo arrivo, - ritorna senza spada in Roma, e Roma e Pio IX lo salutano qual distinto Cittadino Romano, qual figlio prediletto delta Chiesa, e dopo Roma ovunque egli posa il piede, promuove ogni civica e cristiana simpatia, e di repente: egli è Lamoricière, fu pel Papa a Castelfidardo e ad Ancona...
Deh! chi vinse a Castelfidardo?...
E, e voglio libare quant'è la lazza del nettare della gloria cristiana, mentre il cristianesimo si combatte in Italia, per
Pimodan col suo duce supremo e con altri illustri combattenti, pria della tenzone, pari alle antiche legioni di Maurizio e ai guerrieri di Goffredo, si fortificano del pane degli Angioli nel Santuario di Loreto, si perché da Dio viene il coraggio cristiano e la gloria cattolica, si perché vanno a combattere non per vincere, ma per morire onde additare alla politica del secolo, che la Chiesa ancorché colla all'impensata e da non credibile provocazione, non assolda mercenarii, ma possiede figli che sentono il dovere di immolare la loro vita per la Madre comune.
E Pimodan ritornò nel fervore della mischia più volle a combattere, mentr'era più volle ferito, e mori come muojono i martiri guerrieri di Cristo. Il suo gelido corpo venne raccolto intriso di sangue, e chiuso in apposita cassa giunse a Roma. Oh! avessi i colori della più classica eloquenza bibblica, per pingere il senso morale che offrirono i funerali eseguiti in Roma all'illustre vittima.
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La Basilica di S. Maria in Trastevere si covri nella sua vetusta severità di neri drappi, l'urna dell'eroe umile di sé si adaggiava con nobile contrasto nel mezzo del tempio ricco di gramaglie e di tutto; e i compagni della guerra alternavano una guardia silente, appo colui che giaceva per sempre immobile. Le uffizialità romane cordialmente confuse alle francesi si schieravano lungo la chiesa. Un Cardinale officiò l'incruento sacrificio di requie. La Corte palatina rappresentava Pio IX alla funzione. L'alto clero, e le gerarchie chiesastiche di tutto il mondo e che solamente possiede Roma, diedero le rispettive rappresentanze; le cospicue cariche diplomatiche, civili e militari, la nobiltà cittadina ed estera, offrirono in corrotto dame e cavalieri; ogni devoto che ebbe luogo ad entrare, fece parte del pio desiderio universale, e flebili canti guidali da flebili armonie, e la tetraggine di cielo piovoso, coronò il gran tutto del giorno; e quel funerale, e per sé stesso e per la circostanza, e per i devoti che assistevano, poté dirsi un funerale non della cattolica città eterna, ma del' mondo cristiano.
Deh! chi vinse a Castelfidardo?...
E non è tutto.
La sera si volle con splendido tutto pubblico, processionalmente condurre il cadavere da S. Maria in Trastevere alla chiesa nazionale di S. Luigi de' Francesi, e per delineare quest'altra scena per sé stessa sublime e degna dell'era de' crociali, necessiterebbe non la prosa, ma l'epica cristiana più nobile ch'esiste nella storia.
Era già molte, ed io fra i crucii dell'esilio, dividendo i miei affetti tra i combattimenti sul Volturno clic mi aprivano il varco alla speranza di riedire in patria, ed il progredire de' piemontesi nelle Marche e nell'Umbria che più allontanavano il desio di presto rivedere,
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il luogo nativo; in mesta compagnia de' miei pensieri, da su un vano occidentale dello storico palazzo Farnese (ove allora abitava), percorreva con le idee della sventura, che si succedevano rapide nella mia mente, il rapidissimo corso del sottoposto fiume, il padre Tevere. Considerava, come questo fiume bagna da remotissimi secoli due sponde su cui ogni intelligente legge la vasta storia dell'impero latino e dell'impero cristiano, due civiltà mondiali, due distinti volumi in cui si scorrono gli annali di tutti i popoli, due conquiste dell'universo sociale, e, innumeri glorie e innumeri uomini, passeggiarono su queste sponde, che non basterebbero le stille delle sue acque per enumerarli. E, dicea a me stesso,-»ed oggi?.. questa città che fu centro del mondo per ventisette secoli senza interruzione, dovrà addivenire non altro che città di un Regno, città secondaria ad altre città di Europa... - ma elevando gli occhi in fondo dello stellalo orizzonte sulla dritta mano, ecco la cupola di S. Pietro che torreggiando gigante come il genio del cristianesimo, mi calmava lo spirito, eh! ciò non è possibile, non avverrà. Iddio, provvidenzialmente non permetterà, che per aversi la capitale d'un regno, si smarrisca il prestigio della capitale del mondo, che regna e governa sulla società da ventisette secoli,
E la mia meditazione fu interrotta dal bagliore che si dilatava sulla non lontana piazza di S. Calisto, e che si rifletteva sul campanile di S. Maria in Trastevere: è l'ora del transito del cadavere di Pimodan che si conduce a S. Luigi de' Francesi. Che storia, che poesia!
Oli innumeri cerei si dilatavano sempre più, spargendo un torrente di luce per le vie transteverine abitate da un popolo, reliquia del gran popolo, signore dei Re e delle nazioni. Ed ecco che flebili melodie si sposano con le tenebre, interrotte dagl'inni sacerdotali,
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e, quando il funebre corteo si prolungò sul Ponte Sisto, e i lumi riverberaronsi lungo il Tevere e sugli estesi colli del Gianicolo, le lagrime offuscarono la mia vista, eh! l'immaginazione rapida qual lampo mi schierò alla mente i ventisette secoli di questa Città, e, su i colli giannicolensi si rassegnarono i trionfi de' conquistatori, le feste del gran popolo, le nazioni prigioniere di guerra coi loro monarchi alla lesta, la folla dei martiri del cristianesimo, i barbari che si accamparono su tante glorie e vittorie, i Papi che riedificavano sulle rovine della signora delle genti una seconda città cento volte più sovrana della prima; e man mano quel riverbero funerario, da storia in storia, mi schierò i prodi compatrioti di Pimodan che morirono (nel 1849) per il conquisto degli eterni Sette Colli, e,transitalo il mesto corteo, i lumi salutarono con fugace bagliore la quercia ove riposavasi nei mesti giorni il nostro Torquato Tasso nel suo romitorio di S. Onofrio, e quell'estremo raggio mi chiamò sulle labbra t Canto l'armi pietose e 'I capitano» e più adattabile circostanza per ripetere sul feretro di Pimodan, dell'estinto crocialo moderno, i sublimi versi, sacri ai crociali antichi, non la saprei rinvenire, e affido la mia commozione a tutti i cuori affettuosamente italiani.
E animato da si eccelsa suscettibilità, mi precipitai per le scale del palazzo, e sulla Piazza Farnese vidi defilare il lunghissimo corteo, numerai quegli avanzi gloriosi della contemporanea battaglia cristiana, ammirai il lusso che la Chiesa, lo Stato e l'aristocrazia romana sfoggiavano in quella sera per onorare l'estrema pompa dell'estinto, e, come mi giunse innanzi l'arca mortuaria, sostenuta dai strenui Zuavi pontificii, mi tolsi il cappello ed a capo scoperto mi confusi tra la folla dei pietosi e seguii il feretro fino alla Piazza di S. Luigi.
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Quivi altra scena mi aspettava, degna solamente della gran nazione francese, e che vorrei ammirare fra gl'italiani e fra tutti i popoli e tutti i governi civili; ed e un acerbo rimprovero ai piemontesi militari, che nelle Sicilie, insultano al valore, alla fede, al coraggio di altri italiani, che non sono spergiuri o traditori.
Pimodan venne al servizio del Papa come francese, in un momento critico, nelle vertenze politiche del giorno quando la febbre della rivoluzione italiana godeva ancora qualche barlume di prestigio; e Pimodan s' era attirate molte simpatie e molte antipatie fra le opinioni del suo paese, e il ' suo governo, se non respingeva le bravure dell'illustre volontario, non le encomiava di ufficio. Ma al cospetto della morte, i francesi non guardano che il merito ed il valore, ed il valore ed il merito per quel gran popolo domina e signoreggia ogni suo governo, e le rivalità istesse s'inchinano ossequenti. Sicché la truppa francese formatasi in quadralo sulla piazza, ed avendo lo stimabile generale Gojon con Io stato maggiore nel mezzo, attesero il feretro della villi ma cristiana, e come giunse, si presentarono le armi, batterono i tamburri, i zuavi pontificii consegnarono l'estinto alle spalle de' soldati francesi, e l'estinto eroe entrò in S. Luigi come fosse entralo per le vie di Parigi; e come fu posalo nel mezzo della chiesa e si sparsero delle ghirlande di alloro sulla nera coltre, il delirio si diffuse fra tutti, soldati ed ufficiali si precipitarono per raccoglierne una fronda, fu un bisbiglio di tenerezza sacro all'onore del loro compatriotta; ed io raccolsi anco una fronda per ricordo de' miei studii, e la conservo assieme ad un altra che mi ebbi nella prima visita alla stanza del Tasso in S. Onofrio, e: vuol sentire una verità in confidenza, l'amico lettore? quella fronda del tumolo di Pimodan, mi ha fatto vegliare
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molte notti, e, ho scritto delle memorie col titolo speciale » ma siccome la materia in cui si versa, non è esaurita ancora, grazie ai tempi che si svolgono con gigantesca pigrizia, cosi il lavoro continua, e lascio alla curiosità di chi mi legge, prevedere e indovinare il racconto.
E sì - chiamatela poesia questa mia storica e monumentale meditazione, che qual sublime parentesi ho elevala fra le quistioni contemporanee che ci occupano, e, mi ci stò: e sia poesia,'oggi che la politica invadendo arti e scienze, religione e costumi, ha disseccalo anco la fonte della poesia in Italia. Ora con più lena possiamo giungere alla meta de' nostri studii.
Avendo sviluppata la parte morale di Castelfidardo, ci rivolgiamo novellamente alla contemporanea diplomazia, e dimandiamo. In Napoli si rovesciò un Trono dalla rivoluzione piemontese e non napoletana, e la diplomazia internazionale di Europa, non ebbe occhi per prevedere, non ebbe forza per sostenere, non ebbe volontà di scongiurare meschini disastri, che per l'indolenza de' governi alleati si fecero giganti, e, le diplomatiche proteste si smarrirono sotto ai rollami del diritto dinastico e del diritto delle genti. E a Roma? Al Santo Padre non si ribellarono i sudditi, ma dietro la guerra italiana del 1859, si permise che il Piemonte metà vestito alla garibaldina, metà alla diplomatica, e recando sulla sua fronte la Corona reale nascosta sotto al berretto frigio, or essendo quella, or questo, ma con questo prima, con quella dopo, fra tante sleali e vituperevoli rapine, eseguisse il sacrilego ed immorale furto di Bologna e delle Legazioni al Papa. E la diplomazia prima protestò, quasiché il Piemonte fosse ancor suscettibile di pudore, indi si divise, e chi continuò a protestare (che vuol dire ti saluto e vado via)
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e chi iniziò una specie di meravigliosa quistione politica sociale, come a dire: La proprietà rubata è del padrone o del ladro? - registra il primo quesito, storia contemporanea! -Altra quesito: in diritto il ladro è il procuratore del derubato?- Allora, incoraggiato, si presentò il ladro, e, dopo d'aver assediato Bologna e le Legazioni con cannoni, con soldati, con pugnalatori, con garibaldini e con patriotti aneli d'impieghi, e con oziosi monetali di lire e marenghi, disse ai sudditi pontificii: volete esser col Papa o col Piemonte? e simile al brigante che col fucile ad armacollo, tutto pietoso ferma i passaggieri, ed esclama: Signori, fatemi la carità, se nò... - ecco, ecco la formola del piemontese plebiscito libero-spontaneo. La politica francese (io credo) sà almeno che con questi paradossi, e l'ajuta che Ma la politica europea, che si vanta ed è conservatrice e dinastica, non fu mai capace di alzar Io sguardo sulla rivoluzione: or perché tacque, perché tace, perché difende il centro della cattolicità, con quei volanti fogli di carta (le proteste), pari e simili a quei che difesero Francesco II a Napoli? Che gli altri Stati italiani si rovescino per poi rialzarsi, è sempre una sventura, ma circoscritta. Ma se oggi permettete che una società demoralizzala come è l'attuale, alla sua febbre politica che minaccia tutti i troni, alla sua febbre sociale che sfida la proprietà e la famiglia, voi permettete o gabinetti di Europa che si unisca un contagio di scisma e di eresia co' rovesci di Roma; ché ne sarà de' governi dinastici, ché del cristianesimo sociale, ché della comunanza civile? Ogni privala intelligenza ne scandaglia il valore, e voi che sedete si in allo, non temete, non tremate?..
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E quel Piemonte che non si vide minaccialo dall'Europa, consumando al cospetto di tanti Re, di tanti codici e di tante armale, inaudite rapine di scettri e di popoli, crebbe in baldanza quasiché disponesse di due milioni di bajonette; e quel Piemonte eh' è tanto meravigliato di sé che non sà se esiste, ed è giunto al ridicolo, mercé le sue opere non sue, e che fuggirebbe d'un salto da Scilla a Susa, se un solo grido di sdegno udisse dall'Europa, o se Napoleone non rispondesse per un intero giorno ai suoi ossequenti dispacci; il Piemonte resosi alleato della politica del, mentre spedisce visibilmente Garibaldi in Sicilia, e mentre pubblicamente cospira a Napoli col suo ministro, e mentre Garibaldi sul Volturno combatte per conio piemontese un Re legittimo, mercé un'armata di polacchi, ungaresi, americani, inglesi; il Piemonte ardisce chieder conto al Romano Pontefice, ad un Re padrone indipendente, al Sovrano morale del mondo cattolico, perché abbia al suo servizio de' forestieri, perché de' figli sono accorsi a difendere il padre delle loro anime, perché degli illustri volontarii non mercenarii, e fra questi de' primogeniti, degli eredi unici di nobilissime famiglie europee, vogliono difendere un Re ne' suoi dominii, il massimo Sacerdote del cristianesimo nella sua sovrana indipendenza del mondo cattolico. E s'intima al Papa:- o via i vostri difensori, o m'impossesso delle altre che non vi ho rubalo ancora, e dopo: - mi bisogna il Quirinale, e, sono io Piemonte l'Italia, e perciò mi piace Roma, voglio Roma, sono io il Re, e voi, o vassallo mio o trovatevi chi vi alloggia, poco m' importa. E Cialdini, questo che per tanti anni non ebbe patria, e che per tanti anni fu il soldato mercenario per eccellenza, che versò il suo e l'altrui sangue nelle guerre, molto lungi dagl'italiani stendardi, giunge a chiamare, illustri francesi ed elvetici ed alemanni
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ed irlandesi, tutti nobili volontarii, e Lamoricière, cui il solo nome è una gloria, e l'eroico Pimodan, nientemeno col nome di
; ed in ultimo non avendo più oltraggi e sacrilegi e bestemmie e delitti da consumarsi dal Piemonte su Pio IX, al cospetto de' Sovrani cattolici della Europa e dell'universo cristiano, egli mise in bocca di Cavour l'empio molto «le truppe piemontesi entravano nelle Marche e nell'Umbria per elevare la MORALE di quei popoli,» e Cavour si sublimava nientemeno che, a maestro di morale sul Sommo Pontefice!!!
Eppure? se il Piemonte avesse ardito eseguire una sola di tante nequizie in altri tempi, sarebbe scomparso dal novero de' stati europei. Ebbene? oggi l'Europa non è più? sono già lacerati tutti i codici cristiani e civili? i Monarchi non hanno più diadema sulla loro fronte, non più Croce su i loro diademi? la proprietà che Prudhon defini per furto, ottenne sanzione di già come legge ne' governi cristiani? gli eserciti di Europa sono ridotti a parate di guardia non più a sostegno della religione, della morale, de' troni, dei popoli cristiani? e quando Cavour, quale oracolo della rivoluzione, ha ardito elevarsi a maestro di morale di un Re ch'è Pontefice su tutti i Re, quali insulti non si udranno per gli altri Re della terra?
La politica odierna ha sofferto e soffre pacificamente questo caos, e si vanta ancora di evitare la guerra, mentre non può vantarsi di evitare la rivoluzione, che non si localizza, ma qual lava vulcanica già domina la società, ed or si palesa rovinatrice, or s'infiltra tacita, e la sua conquista è universale. Che risponderà di sé alla storia la politica odierna? avrà forza di apparire a questo tremendo tribunale? sà ella che le manca fino la scusa del delirio, perché la pigrizia non possiede la febbre, che tante fíale giustifica i colpevoli, se condanna le colpe?
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-ma la storia esisterà più?-è vero-se più e' innoltriamo cosi, ci mancherà oltre la storia,
i fatti storici benanche - ma no, con mille pubblicisti e con un milione di franchi, (oggi) si ha una storia di cento mila colori, pari degl'italiani, storiografato sì bene a Torino. E sì è sì, ecco la miniatura perfetta d'un secolo aritmetico, e che se potesse spedire alla Zecca l'anima ed il cuore, per effetto monetario, lo farebbe.
Ah! eppure la pigra e spasmodica situazione della politica europea, si ebbe una felicissima combinazione, per ¡scuotersi e risalire al suo apogeo primiero, se l'Austria nel prestigio cattolico di Castelfidardo interveniva guerreggiando per l'incolumità manomessa delle ultime provincie della Santa Sede. Intervenendo a combattere i nuovi Drusi del Libano italiano, avrebbe potuto sotto gli auspicii nobilissimi della difesa del dominio temporale riprendere l'offensiva contro la rivoluzione; Garibaldi era già disfatto sul Volturno, e così liberalo lo. Stato Pontificio dall'occupazione piemontese e chiuso il vareo degli Abruzzi a Cialdini, Francesco trionfalmente (anco a dispetto dei pigri, degl'imbecilli, dei timidi e degli sarebbe ritornato a Napoli.
Ma la Francia?
E forse Francesco Giuseppe stipulò in Villafranca, che il Piemonte dovea usurpare lo stato Pontificio? che dovea ottener Roma per capitale? forse Napoleone sfidava il Cristianesimo e i diritti sovrani? forse aspirava a render suddita del Re Sardo la cattolicità della Francia, e l'universo cattolico? e anco il non intervento, potea riflettersi sù altre regioni d'Italia, ma poteva riconoscersi per i rovesci dell'indipendenza necessaria del Capo della Chiesa universale, senza allarmare il vasto mondo morale?
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E se anco la Francia interveniva dietro le armi belligere dell'Austria, e l'Austria protestava alla politica dell'Europa di accorrere a guarentire l'integrità territoriale della Santa Sede; si fidava Napoleone di calpestare il sentimento religioso del suo paese e dell'universo:-e dire io fò guerra all'Austria, perché l'Austria difende il terreno indipendente del Papa, -senza assoggettarsi alle conseguenze d'una immensa rivoluzione morale, in giorni che la febbre cattolica invadeva fino i protestanti, scandalizzati de' piemontesi che con corpi d'armata, combattevano pochi volontarii? Mi affido alla religione ed al senno dell'Imperator de' francesi, per non dover ammettere un tale quesito. E forse Napoleone istesso intervenendo coll' intervento austriaco in Italia, si sarebbe svincolalo dal gigantesco isolamento in cui novellamente lo ha situalo il connubio inglese e rivoluzionario, dopò Zurigo; e infranto cosi il fatale non intervento mercé due interventi, la quistione italiana avrebbe avuta una soluzione qualunque si fosse, meno l'infausto spettacolo di oggi, in cui si scorge, al cospetto de' primarii Sovrani, de' più cospicui governi, delle più valide armate, de' più civili popoli, la rivoluzione italiana che allaga di sacrilegi e di sangue l'intera penisola, manomette la religione, calpesta leggi ricchezze ed onore, rovescia troni, e finalmente con nuovissime bestemmie chiama abbasso il Dio de' cristiani; e tutto le si permette, e l'Europa assiste tranquilla e serena spettatrice, alla lolla di ventidue milioni di viventi, chiusi come gladiatori o martiri, sull'arena e nell'anfiteatro del non intervento,! eh! - fino a quando l'Altissima Giustizia scambia li spettatori in spettacolo, e le vittime in spettatori, e, e allora sarà giunto il giorno in cui com'è sarà
Oh! sì - l'Austria interviene quando l'intervento pregiudica a sé, all'Italia, all'Europa-
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e l'Austria non interviene, quando l'intervento salva sé, l'Italia e l'Europa dal dramma di oggi e dalla tragedia del domani.
Ed assistiamo brevemente a uno spettacolo unico nella storia, cioè a quello d'un Re bombardalo dalla sua flotta e da un suo allealo, senza dichiarazione di guerra; e col Re, moralmente vengono bombardali tutti i Sovrani di Europa, nella persona de' loro rappresentanti che si chiudono con Francesco II in Gaeta, onde ammirare le disonorevoli conseguenze del non intervento, e l'effetto magico che oggi passa tra le proteste diplomatiche e i cannoni Cavalli.
Francesco II ha dato un addio a Napoli, non per dare un addio al Regno, ma per risparmiare le scene di guerra in vasta metropoli, ed accorrere su punti strategici a prender la difesa della sua corona e de' suoi popoli, contro la rivoluzione italiana, la slealtà piemontese e la pigrizia politica di Europa: immortale proponimento!
Ecco Gaeta. Non è più la cattolica mondiale Gaeta di Pio IX. Non è più la politica diplomatica Gaeta di Ferdinando II, ma è Gaeta di Francesco II, cioè il nido estremo della indipendenza delle Sicilie. Quivi si raccoglie la vedova di Ferdinando, Maria Teresa Regina, con numerosa famiglia di augusti orfani che non hanno più Reggia. Quivi si ammira un solo dei zìi del Re, Francesco da Paola Conte di Trapani, con i suoi infanti e con l'augusta consorte Isabella Annunziala di Lorena, che da su i bastioni guarda la vicina Mola, asilo nel 1849 di suo padre Leopoldo di Toscana, ed asilo de' suoi amori, e da dove ritornò a Firenze fidanzala; ed ora da Gaeta, sposa e madre si avvia all'esilio. Quivi si ritirano i due giovani Principi Luigi di Trani ed Alfonso di Caserta, per iniziare la loro valorosa carriera militare, in sull'estremo lembo del Regno degli avi loro.
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Quivi Francesco, Re italiano del Regno delle Due Sicilie, consegna il suo nome alla storia, qual primario fra tutti i Re viventi; quivi la pudica e coraggiosa nostra Regina Sofia, s'innalza qual genio di valore e di eroismo tra il fischio della mitraglia ed il fumo dei cannoni, e si mostra qual angelo di pace tra i feriti ed i morenti.
Quali estremi meravigliosi s'incontrano in Gaeta per mesi, sotto una pioggia perenne di projettili. Quivi un giovane Monarca, tradito ed abbandonato, difende in mezzo agli avanzi di fido esercito, un principio su cui poggia l'Europa dinastica e politica; e l'Europa dinastica e politica, negletta e silenziosa, abbandona il fondamentale principio di sé e Francesco, in braccia alla rivoluzione ed allo scandalo, e sta.
Francesco si difende sul Volturno, e l'Europa aspetta. Sconfigge la rivoluzione, uno Stato accorre sul campo della rivoluzione medesima, Francesco si difende ancora, e f Europa aspetta. La bandiera Reale si accampa sul Garigliano, si sostiene, vien manomessa dalla slealtà, e l'Europa aspetta. Francesco si chiude in Gaeta, periglia la vita per la sua corona, ch'è simile a tutte le corone dei Re; Cialdini si pone a carnefice del più sleale duello, che ricordino gli assedii; dispone in lontano tiro i cannoni Cavalli; ottiene il dono dei cannoni Armstrong fra tante altre barbare offerte, onde si dica (oggi) che i Re si battono in breccia, si seppelliscano sotto il ferro delle bombe, e, la piazza manca fino di cannoni rigali! eppure si difende per mesi, ma........ e l'Europa aspetta. Le infermità e la slealtà, non il coraggio esaurito, fanno discendere Gaeta alla capitolazione; gli augusti si ricoverano in Roma, vera Arca che galleggia sull'infausto diluvio italiano; l'Europa sociale però mostra chiaramente le sue simpatie e appalesa
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con gloriosi doni a Francesco ed a Sofia, che i Re serbano tuttavia innumeri amici. E l'Europa politica aspetta ancora, e fra molti fogli di carta sprecali, talune potenze ritirano i loro ministri da Torino, quasiché la rivoluzione, che esilia i Re e bombarda un Re a Gaeta, curasse l'allontanamento dei rappresentami dei Re...
E cadde Capua, e parte dell'esercito tradito e spinto nello stato Romano, vien disarmalo, onoratamente mendica un pane; e il Santo Padre che vive dell'obolo della carità, spende per ventisettemila uomini onorali e digiuni, quanto può spendere un vero miracolo di cattolica carità, fino a che la Francia viene a tutela dell'avvenire di questi italiani che non hanno più patria in Italia. E finalmente questo corpo vien sciolto, guarentito da una capitolazione, ritorna da ogni parie in patria, con passaporti francesi per garanzia della vita.... e ritorna misero! e gì' insulti plebei, le carceri, l'esportazióne, la condanna, la fucilazione, compensano il valore militare: e l'Europa che ha eserciti onorali, aspetta ancora. Cialdini è a Messina: la Cittadella, che da mesi sfida la fame interna e la ribellione esterna doverosamente si difende, e Cialdini in pubblico ufficio, chiama assassino l'onorassimo castellano se non cede, e dichiara di voler consegnare in mano ai rivoluzionarii tutta la guarnigione che onoratamente si balle, onde farla massacrare, in premio della fede ai giuramenti; e dopo la resa insulta e gitta in luride prigioni gli uffiziali che più si distinsero nella resistenza della piazza; e l'Europa che possiede molte cittadelle da difendere, tace e aspetta. E finalmente Civitella del Tronto, questo fantastico Castello, che scherza con le nubi, presidiato da un pugno di valorosi gendarmi» che infilano le artiglierie nemiche, vede fin le donne, italiane eroine della nuova Scio, che scagliano pietre;
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e in mezzo a si nobile poesia di vera guerra ellenica o scozzese, una pia donna recita il rosario in mezzo ai prodi, ed un sacerdote predica al bagliore delle artiglierie, mentre la bandiera del Re sventola indipendente in meézo a nevoso cielo. Francesco spedisce un messo, onde quei strenui serbassero ad altre più prospere giornate il loro patriottismo, e i campioni nel vedere nel messo un generale, si spaventano ragionevolmente, fra tante eguali assise che tradirono; e dimandano la grazia (legge per tutti i codici militari) di permettere che due dei loro andassero a Roma a ricevere gli ordini dal Re. Qual serto non meritavano quei campioni, dagli amici e dai nemici? ed il serto fu, che il generale si offese, la zizzania divorò il valore, un antico disertore napoletano comandava i piemontesi, e, il sacerdote ed il sergente che facea da capo, dopo la resa, vennero fucilati, per dell'infamia e della vergognai e, e l'Europa politica aspetta, e Dio non voglia che aspetti fino al di in cui non avrà più occhi, più lingua, più moto!
E nella cattolica Napoli e nel cattolico regno piovono dallo sfacelo di Europa innumeri nemici di Dio e dei Re, della religione e della società; che recano il protestantismo, l'ateismo; che pubblicano codici di seduzioni e di empietà; che contaminano il sesso gentile d'ogni libertinaggio che recano sulle scene de' teatri i santi, i Sacerdoti, le monache, i vescovi in scandalose parodie; che assorbiscono le ricchezze ed istallano la miseria; che profanato le chiese, vedovano tutte le diocesi de' loro pastori, è il Cardinale Arcivescovo Riario Sforza per due volte vien cacciato in esilio coll'epiteto di capo brigante; la vita personale non ha più diritto, i tribunali non più sanzione, e le genti si uccidono ad ogni ora come uccelli alla caccia;
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ma finalmente come cade Gaeta, il grido d'indipendenza si leva al, e i piemontesi muojono ma combattuti sul terreno leale, mentre essi invece si vendicano sugli inermi.
Si crea una conquista il Piemonte, all'ombra dei pugnali e d'una plebe e d'una gioventù che non comprendono quel che fanno e quel che dicono, sol perché ubriache di sangue, di rapine e di depravazioni. Istituisce un plebiscito privo della tutela d'un governo; ed il governo del voto universale, per far l'Italia, non è che il governo dell'assassinio per chi si rifiuta di votare per chi si nega di gittare nell'urna un SI! Entra Cialdini negli Abruzzi, ed il popolo del plebiscito è regalato di un proclama che gl'Inglesi non giunsero ad emanare su i loro schiavi nell'India ribelle. Pinelli gli viene appresso, e saluta il popolo libero dell'Italia meridionale col motto «» e le nevi di quei monti già rosseggiano di sangue innocente, e si proclama la libertà italiana con le giornaliere fucilazioni in massa, e chi uccide ignora i nomi e le colpe degli uccisi, ed è delitto borbonico pel padre piangere i figli trafitti, è delitto di reazione pe' figli per le vedove versare una lagrima su' loro spenti congiunti, è delitto di morte l'esser prete o frate, i creditori vengon denunciati per realisti dai loro debitori, sono realisti i mariti che hanno mogli gióvani ed oneste, sono rei all'Italia i padri di famiglia che tutelano il pudore delle figlie, i tribunali civili o penali respingono le liti d'interesse o di accusa di quei che si denunciano per amici di Francesco II. Non è immaginabile segnare un indice di quanto operarono sulle nostre famiglie i garibaldini ungaresi, americani, inglesi: ogni passo che diedero nel regno, fu un misfatto.
Non possono narrarsi le stragi di vite e di coscienze, che eseguono i battaglioni piemontesi ovunque giungono: è delirio, è rabbia; superano le storiche funeste invasioni dei turchi. Non appartiene a linguaggio umano esprimere le scelleraggini di cui si fanno ree le legioni dei volontarii mobilizzali, i quali chiamansi uomini perché somigliano agli uomini, ma uomini più non sono. Cosi non è possibile precisare il numero de' soldati che muojono, o negli aguati, o nei combattimenti, o per molte infermità, e fra questi vi hanno innumeri vittime dell'ambizione piemontese, giacché si sagrificano alla disciplina, e non ve ne mancano de' cattolici e degli onesti; e quell'andare e venire di corpi da Genova a Napoli e da Napoli a Genova, non credete che sia aumento o permuta di guarnigioni, ma è l'assottigliarsi continuo de' battaglioni, per conseguenze de' cimenti e delle infermità, effetto di una lotta che non ha tregua, e terminerà quando non vi saranno più piemontesi o napoletani, perché il Regno non sarà mai, mai, mai del Piemonte!! e questo mare di sventure, sia per precipitare su i governi di Europa, come la spada di Damocle: e Iddio è giusto.
Questa cronaca supera quella della convenzione francese. E se volessi dare un sunto de' fatti ch'io narro nel libro, detto sarebbe duopo produrre cifre spaventevoli. Sacerdoti fucilati 97; monaci 38; case incendiate o saccheggiate 3,815; chiese spogliate o manomesse 93; paesi che rimisero col sangue e più volte il legittimo governo 511. Son più di mille i pugnalati in Napoli dall'entrata di Garibaldi fin'oggi. Oltre 60,000 carcerati, di qua e di là del Faro, d'allora fino a questo mese, e a cui s'inibisce di vedere i congiunti e perfino gli avvocati della difesa. Quindici paesi incendiati e raminghi i superstiti.
Circa 35,000 o fucilati, o uccisi nei paesi incendiati, tra infermi, pargoli, vecchie, donne, e, la statistica si lavora da mano assidua. Insomma il sangue incalza il sangue, e se un colpo di cannone tuona sul Mincio o sul Po, non vi sarà piemontese che ritorni in patria; e i lamenti degli orfani, e le grida delle vedove, e le angoscie d'immense famiglie disonorate ed ammiserite, invocheranno giustizia dai superstiti, e la giustizia si farà sulle teste de' cannibali, ai quali non chiediamo che il nostro Dio, il nostro Re, la nostra indipendenza: e, e l'Europa che accorse in difesa dei Maroniti del Libano, permette con sguardo sereno questa gigantesca ecatombe di sangue umano, e, e aspetta!!!
E aspetta, e non mira per le sue capitali l'intera aristocrazia delle Sicilie (meno compassionevoli frazioni) che segue nell'esilio le orme del proprio Sovrano, e sfida ricchezze, comodi, agi, ma non fu non è piemontese 9 perché compendiando in se la dignità patria, rifugge all'idea di soggiacere alla rapina del Regno, o testimoniare i vituperi che si eseguono in nome della infelice Italia. E questa aristocrazia è giunta ad emettere solenne protesta ai dormienti Stati di Europa, sublimandosi fino all'apice dei vero coraggio civile; e quel tale che giorni or sono credeva offendere la nostra aristocrazia, con modi degni solamente di un suo pari, non merita risposta, sol perché è un infelice che non ha più diritto ad esser nobile o cittadino o italiano, per antecedenti che gli tolgono la parola su d'ogni uomo onesto. La nostra aristocrazia nell'esilio è la più antica, la primaria, la più illustre delle Sicilie, e la sua volontaria sventura onora infinitamente gli annali patrii e le rispettive sue famiglie. E ricordando l'aristocrazia patria nell'esilio, è dolcissimo pensiero rammemorare benanche moltissimi militari d'ogni grado, che
stentano la vita fino al bisogno del pane, e unitamente a questi, quei tanti altri che si onorano sacrificarsi fino alla povertà in onoranza della fede al Principe ed alla patria. Geco t Italia degl'italiani; e, non è della mia penna illustrare l'emigrazione degli altri Stati d'Italia, ed annoverare le sventure molte di quella Toscana specialmente, che il Piemonte già riduce ad un deserto di glorie italiane.
E l'Europa aspetta, e permette che la dinastia di Carignano, per comando della rivoluzione che la signoreggia, gitti sul suo nome rispettabile da secoli, innumeri delitti, innumeri sacrilegi, bestemmie e maledizioni; sfidi cielo e terra, Dio e uomini, Cristo e sacerdozio, codici e governi; faccia passeggiare il suo stendardo su vasto campo di morti e di morenti, mentre da Gaeta all'estrema Calabria scorazzano i suoi proconsoli su vie bagnate di sangue e di lagrime. E come ché tutte queste ed altre degradanti scene la rivoluzione non sollevasse, improntando il nome e la firma di un dinasta; ad apice di scandali, la rivoluzione medesima, mena un Re senza battaglie, e senza diritto, senza provocazione e senza giustizia, senza eredità e senza tradizione, a una passeggiala trionfale per Modena, per Parma, per Firenze, per Bologna, per Napoli e per Palermo, sedendosi, egli dinasta, su i troni di dinastie saccheggiate ed esiliate in suo nome, di dinastie appo cui serba vincoli di sangue di dinastie alleate, e a cui non ancora si è dichiarata la guerra! Ed oltre che sale trionfante su troni non legittimati neanche dalla scusa della conquista, annette al suo patrimonio i patrimoni! rapinati ai congiunti Principi esiliati, e, mentre siede a lauta mensa nella Reggia di Napoli, non pensa che i Signori di quella Reggia, gli orfani figli di Re, fratelli di Re cugini di Re e di Imperatori, sono già poveri e dimorano all'ospizio paterno di Pio IX!
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e quel danaro che si sciupa per festeggiarlo a Napoli, quel danaro che i suoi ministri offrono, con decreto improntato del suo nome di Re, per dote a meretrici ed alla famiglia di un regicida, è danaro di pupilli di Re, è la dote di una Principessa di Savoja, della madre di Francesco
Oh! Europa, Europa dinastica - a che vale lo splendore del Trono e la potenza del diadema, se tu pacificamente permetti, che tanto si oltraggino i Troni in Italia, e il Re di Sardegna qual prigioniero della rivoluzione, è costretto fino a calpestare le corone, ignorando che calpesta cosi anco la sua?
Oh! disgraziato regno, infelice Piemonte! quante generazioni bisogneranno per ringiovanire i tuoi famosi annali si sfrondati e manomessi? quanti secoli passeranno per lavare si innumeri macchie?
Molti sono i tuoi sacrificii lo so;- moltissime ed annose sono le sventure che ti aggravano, o illustre regione; - sono innumeri i meriti tuoi, pari alle stélle del firmamento, in riparazione giornaliera a Pio IX ed alla Chiesa specialmente, mercé i miracoli dell'Obolo di S. Pietro; - ma chi ridonerà tanti esseri uccisi a migliaja di famiglie? chi restituirà a Gesù Cristo tante e tante innumeri anime, che si perdono, per l'ambizione che si affibbia al tuo nome? 0 Piemonte! per te l'Italia, non è più regno, popolo o nazione, ma una società in completa dissoluzione. 0 Piemonte! e se questa dissoluzione spinge l'Italia ad addivenire una seconda Polonia (meno Roma che rimarrà sempre italiana) deh! chi fu, chi è, chi sarà il carnefice del bel paese che il mar circonda e l'Alpe?... chi? chi mai?...

E finalmente, attraverso il fosco tenebrio che in volve l'Italia, tenebrio che già dilatasi su tutta Europa, appare una stella nel bujo di tanti misteri e di tante perplessità,
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mentre si combatte ancora a Gaeta; mentre il cannone dell'ordine sul disordine, tuona ancora sulla batteria di Philipsthal: è il convegno di Varsavia.
Pregherei la eccelsa cortesia di Napoleone III (se per combinazione legge questo libro) a seguire con la sua sapienza, le tracce di quel lume. Eh! i popoli italiani e molti altri popoli che nelle loro speranze e timori, dirizzavano i loro sguardi alle Tuglierie da molte stagioni, or invece si rivolgono a Varsavia. A Varsavia si avviano i pensieri sociali più nobili e virtuosi, le più oneste opinioni politiche. A Varsavia si raccomanda la proprietà europea, novellamente sfidala dal socialismo. A Varsavia si rivolgono le morigerate speranze italiane di Villafranca e di Zurigo. A Varsavia si accampano i giustissimi e pii dolori della cattolicità: ed ahi! dopo il cattolico imperante di Austria, ognuno spera ajuto e scampo dall'eretico e dallo scismatico, e non vi ha virtù cristiana che più si affidi al Sire Primogenito della Chiesa, benché l'Aquila francese è tuttora a difesa del Valicano. Sì, le cure agitale della società contemporanea, non sperano, non si affidano che al convegno delle tre potenze nordiche in Varsavia. Ivi la pace, la sicurezza, la proprietà, la famiglia, le leggi, la giustizia, preludiano il trionfo del loro avvenire. Si contano i giorni, le ore, gl'istanti, - ma aime! fino le umane speranze di questa angosciosa esistenza svaniscono: e, l'Imperatore di Russia, l'Imperatore d'Austria e il Re di Prussia si dicono addio, e più dense tenebre si spaziano sulle tenebre esistenti....
E la Russia dimentica le sue tradizioni diplomatiche che l'uniscono all'Europa, e sfugge da una potentissima influenza politica che le offre lo spirito pubblico; la Prussia non cura scongiurare la nuova tempesta che.
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puole scagliarsi sul Reno; l'Austria rinuncia al prestigio della circostanza, che la può situare in una posizione politica la più valida e la più opportuna, e per le fasi interne e per quelle che si apparecchiano in Europa. La flotta francese abbandona a prossimo naufragio il prestigio di Gaeta: ma l'ultimo colpo di cannone su quei baluardi ha un eco che solca un abisso su tutta la Europa; la rivoluzione è già in soglio; sul tenebroso colloquio di Varsavia giunge l'eco del cannone di Gaeta, e la Polonia Russa si muove a ribellione; e già Mazzini scrive da vero pubblicista moscovito e le sue immani parole su quella società, sembrano ululati di uccello funebre (1). L'Austria prima della guerra che l'attende, offre ai suoi popoli quei statuti che bisogneranno dopo la pace, e l'eco dell'ultimo colpo del cannone di Gaeta, gitta costituzionalmente l'insurrezione in Ungheria e nelle altre regioni dell'Impero. E il regicida del Re di Prussia, Becker, finalmente ha detto ai tribunali «io voleva essere il continuatore di Orsini» - né, rispondo io, senza la capitolazione di Gaeta, da Orsini non sarebbe nato Becker.
Oh! son certo che questo modesto mio libro, non giungerà nelle mani de' Monarchi di Europa, e meno in quelle di Napoleone III. Ma se fra i possibili capitasse a Parigi, ed attraversando un esercito di pubblicisti, penetrar potesse nelle Tuglierie; azzarderei esprimere con lealtà a quel Sire, un mio concetto, non essendo io né suo adulatore, né suo amico, né suo nemico:
Sire -Il coraggio de' popoli delle Due Sicilie, è giunto a quell'ebbrietà, che palesa la disperazione e il desio di vendetta sul Piemonte, saccheggiatore, pirata e carnefice; e la cosi detta reazione, è fuoco di prima riga
(1) Lettera di Mazzini, riportata dal giornale del 20 settembre corrente anno, N. 267.
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che addita una battaglia insurrezionale e fratricida su tutta Italia, siccome il movimento disperato de' popoli italiani, puote ad ogni ora addivenire una funesta avanguardia di non mai più vista rivoluzione europea. Voi, o Sire, che oggi, comunque si voglia, siete l'unico scettrato che possiede una volontà, che ordina e comanda, che fa vedere di esistere; siate sempre Imperatore, ma sia anco l'Italia, o com'era, o come la modellaste in Villafranca, ma finisca di esser piemontese. Sire -i taumaturghi del Piemonte, ignorano che Palermo Catania, Messina, Bari, Lecce, ecc. ecc. sono città migliori, più cospicue, più grandi, più monumentali, più ricche che Torino, e che noi stiamo ai nostri municipii, come l'anima al corpo e che la storia politica e sociale dell'Italia del mezzo di, si compendia in due motti: - IO VISTO NAPOLI, HO VISTO IL NOSTRO RE A NAPOLI: - e che cento anni di fucilazione, non casseranno dal cuore delle Sicilie l'immagine della rispettiva indipendenza e, - Napoli! Napoli! - e - il Re il nostro Re a Napoli! - Palermo! Palermo! - costituiranno per sempre la vita pubblica e privata dì dieci milioni di abitanti loquaci, intelligenti ed immaginosi.-Le Sicilie furono sedotte per un momento, sol perché ogni bellezza ha in sé il germe della vittima; ma se oggi si promovesse un efficace plebiscito, non rimarrebbero pel Piemonte che i soli ladri, giacché questi solamente amano di non avere altro governo, se non quello della pirateria. Sire - Eravamo ricchi, ora siam poveri-il nostro esercito è sciolto e i nostri soldati o ci si fucilano da briganti, o il beneficio della tratta dei negri, per far - la nostra flotta, i nostri cantieri, gli arsenali, gli stabilimenti militari, sono scomparsi le nostre prospere finanze, volarono in nostre rendite comprate al 120, or si
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vendono al 70, per far l'Italia aritmetica del Conte Bastogi, vero!!! - i nostri codici, che sono i vostri e della vostra Francia, or s'inchinano ai codici piemontesi, che l'anno scorso furon rifiutati dai lombardi, perché peggiori de' codici austriaci. le nostre industrie, il nostro commercio, a Torino - le dogane a Torino - i tesori delle nostre Reggie, a Torino - non più abbiamo dinastia, governo, diplomazia, ministeri, direzioni, tesoreria, e fino il dizionario italiano è andato a Torino! - i nostri fratelli fucilati, ogni onesto in carcere o in esilio, e, basta che il più vile, il più sozzo uomo si costituisca buon servo del Piemonte, per addivenire padrone dell'onore, delle sostanze e della vita d'ogni famiglia - Sire! la religion nostra, i nostri santi, le nostre credenze furon rimesse anco a Torino?..-Sire-se l'Inferno somiglia all', nessun napoletano darà più confidenza al Demonio!.. - Sire - l', perché sono già ricchi delle nostre sostanze, e perché Torino già possiede quanto possedeva Napoli; dunque il saccheggio è finito, noi ci contentiamo della patria nudità, purché se ne vadano pe' fatti loro - Sire, vadano via da noi i piemontesi, e le nostre benedizioni pioveranno su voi, sulla vostra famiglia!
Sire - Il 2 dicembre non è dimenticato dalla società italiana ed europea - la sua luce si è resa fioca dalla rivoluzione e dall'ambizione piemontese, ma basta un vostro e la luce sociale e politica, cristiana e morale, sarà fatta-voi, per molti, ora apparite assai diverso da quel di pria, perché forse non potete sollevare il sipario densissimo, che covre un arcano divisamento, non credibile contro la cattolicità e l'ordine; ed ammetto che il cristianesimo francese, che oggi si raccoglie contro di voi, all'impensata vi ritroverà in mezzo
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ad esso - come ammetto che in Francia, molte bandiere ostili a voi, si apprestano alla crociala, per aumentare le file nemiche a voi - ma avvenga la luce, noi italiani vogliamo avere un indipendenza, una nazionalità, ma vogliamo su d'ogni altro rimanere per sempre cattolici, ed avere su noi Roma pontificale, e con noi le nostre autonomie, i nostri Principi, anco i tre colori, ma co' nostri storici stendardi-la rivoluzione non è per l'indole italiana, ed oggi se ci ridale il trionfo cattolico e dinastico, oltre che la maggioranza de' popoli non è contaminala, avrete con voi la maggioranza degli illusi, dei traviali, degli onesti italiani, giacché il piemontismo, per tutte le opinioni, si è reso un incubo vandalico - il paragone è la storia domestica de' popoli, e dico che tra il patrocinio austriaco ed il francese (oggi) esiste un abisso - non avevamo nazionalità e indipendenza, ma la civiltà italiana era emula delle primarie: l'italiano benessere per comodi, lusso e ricchezze, per scienze, lettere ed arti, per religione e costumi, per leggi tutelatici della proprietà della famiglia della vita, ne' suoi diversi stati, si proponeva con emulazione alla Francia stessa-dopo Solferino, il piemontismo rovesciò tutto questo, e si a in giunti o a plaudire ai nostri pirati, o a esiliare, o a sfrenarci alla guerra civile, o morire nelle carceri, o fucilati in sulla via, e per lustro di italiana nazionalità e indipendenza, i superstiti ammiseriti, ereditano l'onore di briganti e di figli di briganti! Sire - se così continua, l'Italia al primo colpo di cannone in Europa spezzerà le catene, si darà ad un vespero siciliano da spaventare le età venture, e per principio logico ritornerà ad essere qual'era prima di Magenta, onde satollarsi di pane e di pace, e rimembrando il prospero passato al cospetto dell'orribile presente, addiverrà Austriaca, e non mentisco se vi accerto che già lo è.
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Sire! io che non mi adorno della vostra coccarda, perché appartengo ad altra bandiera, vi ho difeso alta storia fino ai limiti della giustizia, perché la giustizia vi spettava - ora dico a V. M. salvatevi, salvateci, e l'Italia è con voi, e l'Europa si riconcilierà meglio di prima con voi, perché più matura di esperienza, e perché la stanchezza è universale, e la società e la politica, come a una legge dinamica, aspirano all'antico equilibrio. È vero che V. M. oggi dispone dello spirito pubblico, con due parole sul con un dispaccio telegrafico, ma sa che la belva mansueta che rogge a vostri piedi è volubile quanto crudele. Voi avete fin oggi sfoggiato un lusso di novità per imbrigliarla - ma se l'Oriente agonizzante spira all'impensata? La politica di Occidente capitanata dalla Francia accorrerà sulla vasta eredità - ma l'Occidente in quel di, ripeterà alla storia l'andata dei Re di Grecia alla guerra di Troja, eh!' al ritorno troverà il socialismo imperante in Europa-e se non accorre in Oriente? peggio! la demagogia dell'Occidente, si legherà in connubio con la barbarie dell'Oriente, e... lo sa Iddio ché sarà de' Europa!!?...
Sire, siate con Pio IX, e 'l cristianesimo sarà il più, valido vostro esercito-reggete Roma, e Roma reggerà le Tuglierie - fate trionfar Roma di Pietro, e l'Italia sarà con voi -~e finché la bandiera francese sventolerà appo il Vaticano, io sarò nelle vostre file, sol perché dal trionfo del Triregno, emana il vostro e il nostro trionfo o Sire.
CONCLUSIONE
Siam giunti, mercé Dio, al compimento del lavoro, e benché molte altre scene di alto interesse ci si affollano sotto la penna noi sostiamo per non defraudare altri nostri volumi che fan seguito a questo, e non defraudare
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Inattenzione del lettore, già stanca a seguirci nel difficile arringo.
Promettevamo non altro che la metà di svariate verità politiche e sociali, ed abbiam fede d'aver anco superata la metà, e, quel che rimane del gran dramma contemporaneo, siam fiduciosi di esporlo al compimento della catastrofe; giacché noi siam usi a sparger fiori cortesi all'intervento umano, che si fa attendere da diverse vie ad ora ad ora; ma i nostri fiduciosi incensi li serbiamo per un prossimo intervento divino, solo capace a sciogliere il problema che ci sovrasta.
Innumeri intelligenti studiano moltissime quistioni, a cui assegnarono gran numero di elucubrale soluzioni. Per me non ne vedo che una sola, e questa è una visibile dissoluzione sociale. Io non ammetto altra soluzione se non quella di un trionfo del cristianesimo, eh' è capace ad equilibrare li disquilibrati interessi morali, e porli in armonia cogl'interessi materiali, pari al connubio dell'anima col corpo. I moderati ed i puritani si presentano con le empiriche medele delle varie forme governative, ed io rispondo: leggi vi sono, ma chi pon mano ad esse? il Vangelo é là, e perché non ricaviamo il nostro viver politico sociale da una fonte ove mille di mille popoli si dissetarono per diciannove secoli, e la fonte è intatta ancora? Voi mi parlate di diritti dell'uomo, ma non vedo alcun movimento pubblico che gridi su i doveri dell'uomo. Voi mi formulale sistemi di vita pubblica, e non scandagliale la loro inefficacia. Voi mi assicurale che con la guarigione di questa o di quella parie del corpo sociale, può guarirsi in un modo più che in un altro l'intero, ed io miro invece che la labescenza è al completo dalla testa ai piedi. Infatti, la democrazia vien rivoluzionata contemporaneamente che la monarchia, e le riforme e gli statuti liberi e le repressioni,
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si pareggiano al cospetto della rivoluzione su d'un medesimo sgabello; e quivi i popoli tumultuano per unirsi, ivi tumultuano per separarsi, di là tumultuano per isolarsi, di quà per dilatarsi in future conquiste; e la rivoluzione è generalizzala pel mondo, com'è generalizzala la infermità su quant'è la società. Non meditano questo sviluppo di scene i miei competitori? se io meditassero, vedrei loro meno superbi e più studiosi, meno liberali e più cattolici, meno austeri e più avvicinabili.
Del resto vada come si vuole, a questo mio libro fa duopo di molta cortesia, giacché quantunque grave per le materie che traila, non è però se non il giornale d'un esule, scritto rapidamente, e rapidamente stampato; e perciò fuori d'un'espansione di cuore, d'una lealtà di animo, non può essere degno volume un volume che si scrive in quarantuno giorni, e si stampa in men di due mesi. Il mio libro è indipendente, come è indipendente il suo autore. Io non mi sono scagliato con la vivacità del mio dire, contro amici o nemici infermi, ma contro le loro infermità, e, non aspirando ad addivenir ricco o ad olle nere luminose cariche, non mi spero de' competitori, meno quei stimoli di locuste sociali, che mi dilettano co' loro volanti sussurri. Vivo nell'esilio, come vivea in patria, cioè presente ai miei doveri di cristiano, di suddito, di scrittore, perciò non credo che si possa destituire la mia esistenza civile, da qualsivoglia potere umano. Amo tutti i miei compatriotti, perché niun motivo mi rende ligio a chicchesia. Bramerei che i nostri popoli si riconciliassero, perché nelle grandi sventure non vi sono rivalità, e gli odii di parte sono già purificali dai comuni dolori. Vorrei che il mio Re, com'è amabilissimo, lo facessero sempre più amare i suoi vicarii, e prego i miei concittadini, oggi, ad aver cura solamente del Re, e quando il Re riavrà il Regno,
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allora aver cura del governo del Regno: il rovescio di queste cure, sarebbe la parodia del nostro esilio. Il mio libro «I Drusi ed i Maroniti d'Italia» non è pubblicabile pel momento, e perciò m'arresto qui, e sul bianco foglio che segue, comincio il libro compagno di questo, e scrivo su di esso-ROMA
Bruxelles Ottobre 1861.


Fonte:
 
http://www.eleaml.org/