domenica 20 gennaio 2013

Crisi dell’ideologia sionista. Finita era dei kibbutz: nessun rappresentante in parlamento

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Degania è stato il primo villaggio agricolo a essere fondato, non è stato l’ultimo a venire privatizzato.La crisi economica dei kibbutz si è trasformata in recessione degli ideali: nel prossimo parlamento potrebbero non esserci rappresentanti del movimento che ha creato lo Stato d’Israele. «Nella prima Knesset sedevano 26 membri di kibbutz — ricorda con malinconia Yossi Sarid sul quotidiano Haaretz — tre volte la loro quota percentuale nella popolazione del tempo. Cinque erano diventati ministri. Tutto è finito nel 1977, quando Menachem Begin (leader del Likud, ndr) li descrisse come edonisti. Non si sono mai più ripresi, malgrado il loro contributo incomparabile alla fondazione e alla difesa del Paese».
Nelle 34 liste presentate per il voto di martedì prossimo i kibbutznik sono in posizioni troppo difficili, tutti fuori dal numero di seggi previsti dai sondaggi. Perfino i laburisti hanno scelto di dare il posto garantito per il settore agricolo a Danny Atar, che non abita in un kibbutz. La leader Shelly Yachimovich vuole tagliare con il passato socialista, le interessano i voti dei giovani borghesi che vivono a Tel Aviv o scelgono la campagna solo perché è più sana per i figli. L’ex giornalista televisiva è consapevole che dai villaggi collettivi non arriva più il sostegno che una volta garantiva la vittoria del suo partito. Alle elezioni di tre anni fa, il 31,1 per cento dei membri dei kibbutz ha votato per Kadima, il 30,6 per il Labour, il 17,7 per Meretz e il 5,8 addirittura per il Likud.
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L’unico kibbutznik ad avere qualche possibilità di entrare in parlamento sta ancora più a destra, con Naftali Bennett: Zvulun Kalfa era tra i coloni evacuati dalla Striscia di Gaza nel 2005 ed è diventato il responsabile della comunità di Shomriya nel deserto del Negev. «Un’era è finita — scrive Yossi Beilin, tra gli artefici degli accordi di Oslo, su Israel Hayom —. D’ora in avanti se il movimento vorrà contare e influenzare le decisioni politiche dovrà affidarsi alle pressioni dei lobbisti».
 
Fonte:corriere.it, Frattini D., sottolineature e grassetti nostri.