sabato 22 dicembre 2012

LE DUE SICILIE E LA GUERRA DI CRIMEA (Parte II)

 

Parte II

(tratto da NOMOS bollettino di studi e analisi dell'Ass. Millennium, 
n. IV - Luglio 2012 - http://www.millennivm.org/)
di Angelo D'Ambra
 


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Gli imbarazzi di Francesco Giuseppe si sciolsero solo il 27 dicembre del 1855, quando le sorti del conflitto, caduta Sebastopoli l'8 settembre, erano ormai decise; quella dell'imperatore austriaco fu una scelta tardiva che ruppe indecorosamente la vecchia alleanza con la Cancelleria di San Pietroburgo in difesa dell'ordine assolutistico e che, al contempo, non permetteva al governo asburgico di intervenire al tavolo delle trattative di pace in una posizione tale da circoscrivere i piani dei vincitori. La guerra sconquassò così gli assetti continentali sanciti dal Congresso di Vienna, ridimensionò di gran lunga l'influenza internazionale degli imperi delle aquile bicipiti e rovesciò l'isolamento francese in una temporanea quanto labile convergenza con Londra che rifletteva la sua ombra di inquietudini sulla penisola italiana.
Il giudizio di Cavour sul Congresso ci appare senz'altro obiettivo nel valutare quale unico risultato incassato dal governo sabaudo, alla stregua di un impegno militare drammatico, la condanna del governo delle Due Sicilie: "Il risultato della seduta di ieri è ben lungi dall'essere soddisfacente. Non abbiamo ottenuto alcun risultato pratico. Tuttavia, due fatti restano, che non sono senza importanza: 1) la condanna inferta alla condotta del re di Napoli dalla Francia e dall'Inghilterra dinnanzi all'Europa riunita; 2) la condanna inferta dall'Inghilterra al governo clericale in termini tanto precisi ed energici, che il più caldo patriota italiano non avrebbe potuto sognar di meglio. Infine, un'ultima considerazione deve diminuire i rimpianti che la sterilità della nostra azione ci costringe a provare. Noi non potevamo sperare da un Congresso, dove l'Austria ha recitato la parte di mediatrice, che sortisse qualcosa di realmente utile per l'Italia, un rimedio efficace ai mali che la affliggono". Fu un esito che avrebbe pesato molto sull'evoluzione degli assetti politici della Penisola.
Ferdinando II aveva declinato l'invito a fornire 40.000 uomini e tre navi da guerra agli Inglesi ed escluso anche l'aperta alleanza con lo Zar per timore che la Gran Bretagna potesse scatenare delle sollevazioni in Sicilia per rappresaglia; tuttavia l'unico governo che aveva continuato a tessere una fitta rete di relazioni diplomatiche e commerciali con la Russia era stato il suo. La neutralità delle Due Sicilie durante la guerra si palesò essere solo apparente, infatti il traffico di materiali strategici verso Francia e Inghilterra arenatosi col pretesto della non belligeranza, continuò, invece, immutato verso la Russia e si rafforzò con l'adesione di Napoli al Trattato di navigazione stipulato il 22 luglio del 1854 tra Washington e San Pietroburgo. La corte napoletana era consapevole del fatto che una più robusta presenza russa nel Mediterraneo avrebbe ridotto le minacce inglesi sulla Sicilia e amplificato gli affari dei porti del Regno, fondamentale viatico per il commercio del grano di Odessa. Ferdinando II finì subissato dalle note di protesta francesi e Lord Palmerston denunciò alla Camera dei Comuni che "il Regno borbonico aveva dimostrato sfrontatamente la sua ostilità alla Francia e all'Inghilterra vietando l'esportazione di merci che il suo stato di neutrale gli avrebbe consentito tranquillamente di continuare a trafficare". L'escalation di polemiche e lamentele costò il congedo, a lungo contrastato, del Direttore di Polizia Orazio Mazza, accusato di aver offeso il segretario della Legazione inglese George Fagan, e l'ostilità manifesta di Francia e Inghilterra.
Al Congresso di Parigi le due potenze tennero dunque ben conto delle scelte operate dal Regno delle Due Sicilie e, sollecitate dalla Legazione piemontese, avviarono una serrata manovra diplomatica guidata dal parigino Temple per costringere Ferdinando II a concedere una riforma dell'ordinamento assolutistico e la liberazione dei rivoluzionari quarantottini. Dal canto suo il sovrano napoletano rispose che ogni assenso "alle condizioni fatte dal Governo francese sarebbe un atto di debolezza compiuto a danno dell'indipendenza della mia corona e a vantaggio del partito rivoluzionario". Il Foreign Secretary senza mezze misure scrisse che "se il principio del non intervento negli affari degli Stati sovrani costituisce un principio degno di rispetto per l'intera comunità internazionale, tuttavia l'eccezione a questa regola, in alcuni casi determinati, rappresenta un dovere e un diritto". Il dado era tratto: la marina inglese pianificò un intervento come quello del 1836, Ferdinando II senza tirarsi indietro provvide a disporre la mobilitazione della sua flotta poi, scongiurata l'evenienza di un nuovo conflitto, l'ostilità dei vincitori si espresse col ritiro degli ambasciatori. Nel frattempo Russia e Due Sicilie ampliarono i loro rapporti commerciali con la convenzione del 3 ottobre. "Il Borbone - commenta Hubner - uscì da questa vicenda diplomatica con accresciuto prestigio. Come scrive l'Omodeo, per aver con fierezza difeso l'indipendenza del suo regno, riuscì quasi simpatico ai liberali antimurattiani".

Bibliografia

F. Valsecchi, Il problema italiano nella politica europea (1849-1859) in Atti del XXXV Congresso di storia del Risorgimento, Roma 1957
E. Di Rienzo, Il Regno delle Due Sicilie e le potenze europee 1830-1861, Catanzaro 2012
J. A. Von Hubner, Nove anni di ricordi di un ambasciatore austriaco a Parigi sotto il Secondo Impero, Milano 1944


L. Del Pozzo, Cronaca civile e militare delle Due Sicilie sotto la dinastia borbonica, Napoli 1857, ristampa Battipaglia 2011


Fonte:

http://www.eleaml.org/