giovedì 13 dicembre 2012

LA PSEUDO-QUESTIONE DEL CELIBATO ECCLESIASTICO

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anno XVII - n. 16, 30 settembre 1991 pagg. 1-5

 
 

LA PSEUDO-QUESTIONE DEL CELIBATO ECCLESIASTICO

Un lettore ci scrive:
«Molto reverendo direttore,
sono stato molto amico del compianto presbitero don Francesco Putti, il quale, quando dimorava in..., tutti i sabati e le domeniche veniva ad aiutarmi in parrocchia, specie per le confessioni ed il suo lavoro mi fu molto utile per parecchio tempo. Dopo il suo trasferimento nei pressi di Roma, continuai ad avere sempre buoni rapporti con lui e con la sua comunità religiosa. Quando fui ordinato sacerdote, ed ora sono parroco da 51 anni, mi votai liberamente e consapevolmente al celibato, e pur avendo dovuto sostenere delle immani lotte dal nemico, ho sempre propugnato a favore del celibato. Siccome spesso vado a confessare nei santuari, spesso mi sono incontrato con sacerdoti, che, pure essendo legati al loro celibato, propugnano una tesi contraria alla più bella perla sacerdotale. Conosco anch'io che è legge ecclesiastica, ma vorrei sapere a fondo le ragioni che hanno indotto la Chiesa all'obbligo del celibato».
(Lettera firmata)

Volentieri rispondiamo al nostro amico e lettore. Tanto più volentieri quanto più incalzante si fa oggi nella teoria e nella prassi l'offensiva contro il celibato ecclesiastico. Abbastanza recentemente (novembre e dicembre u. s.) Vita Pastorale, inviata dai paolini ai parroci italiani per demolirne la fede, ha ospitato un dibattito tra il gesuita Galot da una parte, il quale ha ripreso la tesi che fu già di san Girolamo e secondo la quale nessuno degli Apostoli avrebbe avuto moglie al momento della chiamata di Gesù, e il tedesco Vogels dall'altra, il quale su Concilium, la famigerata rivista di cui fu confondatore e a lungo collaboratore l'attuale Prefetto della Congregazione per la Fede, il card. Ratzinger (o tempora!), sostenne già che l'obbligo del celibato è in contraddizione con il diritto divino e che perciò la relativa legge ecclesiastica «dev'essere ritenuta nulla». «Il divieto ecclesiastico di contrarre matrimonio - egli giunge a scrivere - non viene dallo Spirito Santo, ma è suggerito dai demoni».

Diremo subito che la tesi del Vogels ha avuto sempre dei seguaci tra i novatori, gli eretici, gli spretati e i preti rilassati di ogni tempo, ma nessun seguace nella Chiesa cattolica. Nella Chiesa cattolica, invece, fin dal Concilio di Trento, si sono fronteggiate due correnti: la prima corrente, che ha avuto in passato diversi sostenitori, vorrebbe il celibato ecclesiastico di diritto divino; l'altra corrente, che appare storicamente meglio fondata e che oggi è seguita dalla maggioranza dei teologi e dei canonisti, sostiene che la legge sul celibato sacerdotale è una legge ecclesiastica (cfr. Roberti-Palazzini Dizionario di Teologia morale voce celibato e Naz Dictionnaire de Droit canonique voce Celibat des clercs).
Dal che, però, sarebbe quanto meno affrettato e semplicistico dedurre che, stando così le cose, la Chiesa possa disfare ciò che ha fatto, mantenuto ed invariabilmente e tenacemente difeso nel corso dei secoli, anche nei momenti più bui della sua storia.
Un breve cenno alla storia del celibato ecclesiastico gioverà ad intendere bene la questione.

«Virtualmente raccomandato dalla Sacra Scrittura». Una deduzione spontanea

Nei primi tre secoli della Chiesa tanto in Occidente quanto in Oriente, benché dai documenti non risulti nessuna legge ecclesiastica che obblighi i chierici al celibato, il costume di rimanere celibi o, se già sposati, di osservare la continenza perfetta si propaga tra il clero a tal segno da preparare la legge scritta e renderne possibile l'accettazione (cfr. Naz Dictionnaire de Droit canonique voce Celibat des clercs).
Che cosa c'è all'origine di questo costume che va sempre più generalizzandosi? Il Concilio di Cartagine (390), dirà del celibato ecclesiastico: «Anche noi osserviamo quello che gli Apostoli hanno insegnato e la stessa antichità ha osservato»: «quod Apostoli docuerunt et ipsa servavit antiquitas» (can. 2 v. Mansi Collect. Conc. t. III col. 191) e in Oriente Sant'Epifanio, a sua volta, parlerà, come vedremo meglio, di «regola del sacerdozio», che «gli Apostoli saggiamente e santamente hanno formulato» (v. Dictionnaire de théologie catholique voce celibat ecclesiastique). Ed in realtà all'origine del costume celibatario diffusosi fin dalle origini tra larga parte, se non tra la maggior parte del clero vi è la dottrina e l'esempio di Cristo e degli Apostoli.
Gesù Nostro Signore aveva esaltato al di sopra del matrimonio la castità perfetta «propter regnum coelorum», «per amore del regno di Dio» (Mt. 19, 12) e ne aveva dato personalmente l'esempio nascendo da uni Madre Vergine, affidandosi alle cure di un padre putativo vergine e vivendo egli stesso nella piiù illibata verginità. Gli Apostoli, a loro volta, o furono vergini o vedovi (come sembra fosse di San Pietro) o, comunque, lasciarono «tutto», incluse le proprie famiglie, per seguire Gesù (Mt. 19, 27),
Chiosatore fedele, come sempre, dell'insegnamento del suo divin Maestro, San Paolo, che non ebbe moglie, aveva insistito sulla sublimità della verginità consacrata:
«Volo enim omnes vos esse sicut meipsum»: «vorrei che tutti foste come me» (1 Cor. 7, 7); «Volo vos sine sollicitudine esse: qui sine uxore est, sollicitus est quae Domini sunt, quomodo placeat Deo... »: «Voglio che voi siate senza sollecitudini: chi non ha moglie, è sollecito delle cose del Signore, di come possa piacere a Dio... » (l Cor. 7, 32-34) e continua: «invece colui che è sposato è sollecito delle cose del mondo, di come piacere alla sposa ed eccolo diviso».
San Paolo, inoltre, aveva proibito di consacrare Vescovo chi, rimasto vedovo, fosse passato a seconde nozze (1 Tm. 3,.2; Tit 1, 6), cosa che, invece, aveva permesso ai fedeli, dichiarandola, però; meno perfetta (1 Cor. 7, 39 ; Rom. 7; 2; 1 Tim. 5, 14). Così, scegliendo per il Vescovo, che ha la pienezza del sacerdozio, il più perfetto, lo stesso San Paolo aveva cominciato ad esplicitare il binomio sacerdozio-celibato e a gettare le fondamenta della futura disciplina ecclesiastica (v. mons. Spadafora, 1 Cor. 7, 32-38 e il celibato ecclesiastico in Temi di esegesi, Istituto Padano Arti Grafiche; cfr. Pio XI Ad catholici sacendotii 1935).
In conseguenza di ciò, non fu difficile e non si tardò a comprendere che il consiglio della castità perfetta si addiceva prima e più che ad ogni altro a coloro che erano chiamati da Dio ad offrire il Sacrificio eucaristico, ad amministrare i Sacramenti; a lavorare all'estensione del regno dei Cieli. Fu così che i presbiteri dei primi tre secoli, pur non essendovi tenuti da nessuna legge, presero a praticare il consiglio evangelico della castità: «per amore del regno dei Cieli»: «Prima che i monaci e i cenobiti elevassero questa virtù [la continenza assoluta] a istituzione sociale, l'élite del clero cattolico aveva avuto già a cuore di praticarla» come attestano concordemente gli scrittori ecclesiastici dei primi secoli tanto in Oriente che in Occidente: Tertulliano, Origene, San Giovanni Crisostomo, San Cirillo di Gerusalemme, Clemente Alessandrino, San Girolamo, Sant'Efrem, Eusebio, Socrate, Sozomene ecc. (Dictionnaire de Droit canonique voce celibat des clercs col. 2070; cfr. Dictionnaire de théologie catholique voce celibat eccl, col. 2069 ed Enciclopedia Cattolica voce celibato).

«Quanti ne vediamo negli ordini sacri - scriveva già Tertulliano (160 ca.-240) - che hanno abbracciato la continenza, che hanno preferito sposarsi  a Dio, che hanno restaurato l'onore della loro carne e, figli del secolo, si sono consacrati per l'eternità, mortificando in se stessi la concupiscenza e tutto ciò che è escluso dal paradiso» (De exhortatione castitatis c. XIII P. L. t. II col. 930).

Fu, dunque, lo stesso clero cattolico a comprendere che il celibato ecclesiastico è «virtualmente raccomandato dalla Sacra Scrittura» (Roberti-Palazzini Dizionario di teologia morale ed. Studium voce celibato ecclesiastico) e a cogliere il nesso tra sacerdozio e celibato: Gesù e gli Apostoli insegnano con la dottrina e con l'esempio che la castità perfetta è un mezzo eccellente per favorire la vita spirituale e consacrarsi esclusivamente al servizio di Dio e perciò «è facile dedurre da tale insegnamento che coloro i quali, per propria missione, ricevono da Dio quella del sacerdozio, hanno nel celibato il mezzo più valido per compierla come tutti [Dio anzitutto] ci si attende da loro quanto ad efficacia e quanto a rispondenza adeguata. È una deduzione facile, già implicita» (prof. Francesco Spadafora, 1 Cor. 7, 32-38 e il celibato ecclesiastico in Temi di esegesi IPAG, Rovigo). Il clero spontaneamente celibatario dei primi secoli cristiani non fece che esplicitare questa deduzione. E con il clero anche il popolo cattolico, che colse fin dai primi secoli l'alta convenienza tra lo stato sacerdotale e la castità perfetta, a segno che il Concilio di Gangra (350 ca.)  dovrà interessarsi dei fedeli che, disprezzando i sacerdoti sposati, si rifiutavano di assistere alla loro Messa.

Mezzo al fine

La Chiesa con la sua legislazione non solo ha approvato autorevolmente, codificandola, la deduzione spontanea del clero e del popolo fedele, ma ha ulteriormente esplicitato quanto «virtualmente contenuto nelle Sacre Scritture»: se la castità perfetta conviene eminentemente al sacerdozio, il sacerdozio conviene a coloro che intendono e sperano, con la grazia di Cristo, di osservare la castità perfetta.

La sublimità e la santità della funzione sacerdotale esige dal sacerdote la tensione ad un sublime grado di santità:. «Siate santi, perché anch'Io sono santo» comandava già il Signore ai sacerdoti e ai leviti del Vecchio Testamento. Questo, a maggior ragione e per molti più titoli, deve applicarsi ai sacerdoti del Nuovo Testamento: «il sacrificio eucaristico, in cui s'immola la Vittima Immacolata che toglie i peccati del mondo, in modo particolare esige che il sacerdote con una vita santa ed intemerata si renda il meno indegno possibile di Dio, a cui ogni giorno offre quella Vittima adorabile» (Pio XI Ad catholici sacerdotii cit.). «Imitate quel che trattate» dice loro la Chiesa nel giorno dell'Ordinazione e perciò «ad esercitare convenientemente i Sacri Ordini non basta una bontà qualunque, ma si richiede una bontà eccellente» (S. Th. Suppl. q. 35 a. I ad 3). Costituito mediatore tra Dio e il popolo (S. Th. III q. 23 a. 4) «in rappresentanza e per mandato di Colui che è l'unico Mediatore tra Dio e gli uomini» (Pio XI Ad catholici sacerdotii 1935), il sacerdote offre a Dio non solo il sacrificio, ma anche la preghiera pubblica ed ufficiale della Chiesa: Egli è l'uomo di Dio e, come tale, incombe su di lui il dovere di un'altissima perfezione e quindi di un grandissimo amore di Dio. Ora, Gesù Cristo stesso e, poi, San Paolo indicano nella castità perfetta del celibato il mezzo per eccellenza per elevarsi all'amore totale di Dio e, dunque, benché non rivolto espressamente al sacerdote, al sacerdote prima e più che ad ogni altro si addice l'invito a scartare tutto ciò che, seppure legittimato dal matrimonio, ingombra ed offusca la mente e divide ed appesantisce il cuore. Tra castità e carità, infatti, vi è una causalità reciproca: la purezza sgombra la via alla carità e l'amor di Dio, a sua volta, spinge a sacrificare generosamente le gioie sensuali e le affezioni troppo naturali (cfr. S. Th. II II q. 186 a. 4). Dunque chi vuole veramente il fine vorrà necessariamente il mezzo che la Chiesa gli offre con gli Ordini Sacri e che gli consentirà di consacrarsi esclusivamente ed interamente all'amore e al servizio di Dio e delle anime.
Il sacerdote, infatti, oltre che uomo di Dio, è anche padre delle anime, che potrà generare soprannaturalmente solo imitando la verginità del Sommo ed eterno Sacerdote e della sua Santissima Madre. Come potrebbe infatti votarsi interamente alla salvezza delle anime, sacrificar loro il suo tempo, le sue forze, i suoi gusti, la sua salute e, occorrendo, anche la sua stessa vita, se fosse legato dai doveri ed assorbito dalle preoccupazioni di una famiglia propria? Come gli sarebbe possibile esercitare, com'è suo dovere, disinteressatamente il proprio sacro ministero quando una famiglia da nutrire ed allevare moltiplicasse i suoi bisogni finanziari? «Senza la castità il sacerdote non può essere pienamente ciò che deve essere» scriveva Auffroy S. J., che cita il seguente passo di un autore francese: «Il sacerdote cattolico è sempre prete, in qualunque momento delle 24 ore in cui lo si incontri o ci si rivolga a lui... Egli non ha una parte della sua vita per le sue funzioni ed un'altra parte per sé e dove non bisogna andare a mettere gli occhi. Non ha una vita ufficiale ed una privata. Non si deve distinguere in lui il prete e l'uomo ed egli non ha un tempo per essere prete ed uno per essere uomo. Egli è prete sempre, in ogni momento e in ogni luogo... Ecco ciò che si è ottenuto decretando che egli non avrebbe avuto moglie» (E. Faguet, prefazione a Un vieux celibataire citato in Dictionnaire Apologetique de la foi catholique voce sacerdoce catholique).
E che dire, poi, dell'esempio con il quale il sacerdote ha il dovere di edificare le anime? Con la sua continenza perfetta egli dimostra a tutti che, con la grazia divina, la virtù non è impossibile ed incoraggia con il suo esempio le anime di buona volontà perché gli uomini prestano fede a ciò che vedono più che a ciò che odono e si persuadono che è fattibile ciò che vedono mettere in pratica da un altro (cfr. Benedetto XV allocuzione concistorariale del 16 dicembre 1920).
Costituito in virtù del suo Ordine al di sopra del popolo, il sacerdote è tenuto ad essere superiore al popolo anche per santità (S. Th. suppl. q. 35 a 1 ad 3).
Sacerdos alter Christus insegna la Chiesa: il sacerdote continua Cristo nell'opera del suo Sacerdozio, nell'opera sua redentrice (Pio XI enc. cit.) e, dunque, come Cristo dev'essere vergine e vittima per amore di Dio e delle anime. Nessuna meraviglia, dunque, che la Chiesa fin dai primi secoli abbia chiesto ai suoi sacerdoti di amare Dio più della massa dei fedeli e d'imboccare il sentiero della castità che porta dritto all'amore di Dio; nessuna meraviglia che chieda alla loro generosità di immolare - essi che collaborano col Salvatore alla consumazione del suo Sacrificio totale - non solo i piaceri colpevoli, ma anche alcuni, tra i meno nobili, dei piaceri leciti (cfr. H. Auffroy S. J. op. cit.). La castità è, in realtà, soltanto il primo sforzo dell'ascetismo, al quale il sacerdote, per il suo ufficio, è tenuto più che ogni altro; è la pietra angolare della perfezione sacerdotale, come sta ad attestare la fioritura di sacerdoti santi nella Chiesa latina.

L'autorevole sanzione della Chiesa


Quando papa Siricio, dopo il Concilio romano del 386, si applicò ad estendere a tutta la Chiesa la disciplina celibataria già in vigore nel clero romano, trovò il terreno già arato e coltivato. I Padri e gli scrittori ecclesiastici dei primi tre secoli, tanto in Oriente quanto in Occidente, avevano con mirabile consonanza ampiamente illustrato il nesso tra celibato e sacerdozio. In Occidente, già da tempo l'Africa, la Spagna e la Gallia con vari Concili locali si erano risolutamente impegnate nella via del celibato ecclesiastico. Lo sforzo dei Romani Pontefici fu coadiuvato dai più eminenti Padri della Chiesa latina, quali Ambrogio ed Agostino, che difesero il celibato sacerdotale contro Elvidio, Gioviniano, Vigilanzio, che finirono col cadere nell'eresia. Nel V secolo l'essenziale della legge ecclesiastica sul celibato è già messo a punto; da allora la Chiesa non farà che difenderla contro i trasgressori e gli eretici, puntualmente anche anticelibatari. Fu così che Callisto II (Concilio I Lateranense 1123) e Innocenzo II (Concilio III Lateranense 1139) completarono la disciplina celibataria con l'impedimento canonico che rende nullo il matrimonio dei preti e dei diaconi, dando il colpo decisivo «irrevocabilmente e per sempre» al «matrimonio degli ecclesiastici fulminato da Gregorio VII, condannato dall'opinione pubblica» (L. Todesco Storia della Chiesa III ed. p. 329; cfr. al riguardo Conc. di Trento, sess. XXIV c. 9; Benedetto XV, lettera al card. Csernoch del 12 marzo 1919 A. A. S. XI p. 122; lettere all'arcivescovo Kordac 3 e 29 gennaio 1920 A. A. S. pp. 33 e 57).

Consonanza al di là della diversità

A questo punto giova un breve cenno anche alla Chiesa in Oriente, dove la disciplina celibataria è notoriamente diversa dalla disciplina della Chiesa latina. Origene, Eusebio di Cesarea, San Cirillo di Gerusalemme, San Girolamo, che a motivo dei suoi viaggi, ebbe modo di ben conoscere la Chiesa in Oriente, Sant'Epifanio stanno ad attestare che nei primi secoli anche in Oriente come in Occidente andò diffondendosi il celibato sacerdotale.
Origene rileva la differenza tra i sacerdoti del Nuovo Testamento e quelli dell'Antico, che erano tenuti a praticare la castità soltanto durante il loro servizio al tempio e continua: «Anche nella Chiesa i sacerdoti possono avere dei figli, ma alla maniera di colui [San Paolo] che ha detto "Figli miei, io soffro per voi i dolori del parto finché Cristo non sia formato in voi"» (In Leviticum hom. VI c. VI P. G. t. XII col. 474).
Contro Vigilanzio, avversario della verginità e poi eretico, San Girolamo oppone il costume comune al clero orientale come al clero latino: «Che diventerebbero [se le tue tesi fossero accettate] le Chiese d'Oriente? Che diventerebbero le Chiese d'Egitto e di Roma, che accettano solo chierici vergini o continenti o esigono, quando si tratti di chierici sposati, che questi rinuncino ad ogni rapporto con le loro mogli?» (Adv. Vigil. c. II P. L. t. XXIII col. 341).
Ancora più deciso e circostanziato Sant'Epifanio: «In verità, dopo che Nostro Signore è venuto in questo mondo, la santissima disciplina di Dio rigetta tutti coloro che, dopo la morte della prima sposa, convolano a seconde nozze, senza aver riguardo all'onore e alla dignità del loro sacerdozio. Questa disciplina è custodita con molta sollecitudine; essa, inoltre, non ammette al diaconato, al presbiterato, all'episcopato e neppure al suddiaconato colui che vive ancora nel matrimonio e genera dei figli, benché monogamo. Essa ammette solo colui che, sposato, si astiene dalla moglie o colui che l'ha perduta, soprattutto in quei paesi in cui i canoni ecclesiastici sono conformi alla regola. Tu mi dirai, però, che in certi luoghi i preti, i diaconi e i suddiaconi continuano ad avere figli. Rispondo che questo non è conforme alla regola. Questo è una conseguenza della fiacchezza umana..., e della difficoltà di trovare chierici che si consacrino soltanto alle loro funzioni. Quanto alla Chiesa che è ben diretta dallo Spirito Santo, essa mira sempre a ciò che è meglio e giudica più conveniente che coloro che si votano al sacro servizio non ne siano distratti, per quanto è possibile, da niente» (Adv. Haereses LIX c. IV P. G. t. XLI col. 1024). Questi testi dimostrano «che vi è stata allora [nei primi secoli], nei luoghi dove la disciplina era più severa, consonanza anche su questo punto [del celibato sacerdotale], tra la Chiesa latina e l'orientale» (Pio XI Ad catholici sacerdotii cit.).
Sant'Epifanio scriveva: «Il Verbo di Dio... trova le sue delizie in coloro che danno un tale esempio di pietà da conservare la verginità, la castità, la eontinenza; Egli onora le nozze monogamiche, ma vuol riversare i carismi sacerdotali, come in un esemplare perfetto, in coloro che dopo un primo matrimonio hanno osservato la continenza o che hanno sempre conservato la loro verginità. E i suoi apostoli saggiamente e santamente hanno formulato questa regola del sacerdozio» (Adv. Haer. XL VIII cap. IX loc. cit. col. 868). Ed in realtà in Oriente non solo il celibato fu praticato non meno che in Occidente, ma la stessa legislazione ecclesiastica andò evolvendosi in tal senso fino al VII secolo: si stabilì l'obbligo del celibato per i Vescovi, si vietarono le seconde nozze in caso di vedovanza ai sacerdoti e ai diaconi e il matrimonio a coloro che non fossero sposati al momento dell'ordinazione (Concilio di Neocesarea); infine si impose la continenza temporanea ai chierici sposati per un periodo precedente l'esercizio delle sacre funzioni (Concilio «in Trullo»). Quest'ultimo Concilio (692), che segna l'arresto dell'evoluzione verso il celibato della Chiesa in Oriente, biasima con manifesta parzialità l'uso differente e più austero della Chiesa romana: sono le prime avvisaglie dell'antagonismo con Roma che sboccherà nello scisma e bloccherà quel processo di maturazione, che dai documenti appare chiaramente in atto anche in Oriente nei primi sette secoli (v. Dictionnaire de Droit canonique voce celibat des clercs droit oriental).
L'attuale disciplina orientale benché cristallizzata alle norme celibatarie del Concilio «in Trullo», mostra innegabilmente di aver sviluppato, sia pure in misura ridotta, il pensiero divino-apostolico attestato dalla Sacre Scritture a riguardo del celibato sacerdotale e di possedere, come la Chiesa latina, il principio dell'alta convenienza del celibato col sacerdozio, dato che dai Vescovi, che posseggono la pienezza del sacerdozio si esige il celibato, come sottolinea Pio XI: «Se poi una tale legge [della castità perfetta] non vincola nella stessa misura i ministri della Chiesa orientale, anche presso di essi il celibato ecclesiastico è in onore e in certi casi - soprattutto quando si tratta dei gradi più alti della Gerarchia - è necessariamente richiesto ed imposto» (Ad catholici sacerdotii; cfr. Paolo VI Sacerdotalis coelibatus 1967 n. 40). Dobbiamo, dunque, ritenere che anche in Oriente sarebbe stato esplicitato fino in fondo il binomio celibato-sacerdozio se le particolari vicende storiche di quelle Chiese non ne avessero interrotto o impedito i rapporti e la sintonia con Roma.
Roma, dal canto suo, non ha mai cessato di additare come ideale il celibato sacerdotale anche al clero cattolico orientale. Basti qui richiamare la celebre costituzione Etsi pastoralis promulgata per gli Italo-Greci, nella quale Benedetto XV dichiara che «è massimamente desiderabile che i Greci, i quali hanno ricevuto gli Ordini Sacri, osservino la castità non diversamente dai Latini», anche se la Chiesa «non proibisce» loro di seguire l'antica disciplina. Contemporaneamente Roma ha sempre vegliato affinché la disciplina celibataria orientale non subisca involuzioni. Così il 24 marzo 1858 un'istruzione di Propaganda Fide richiamava i suddiaconi rumeni alla legge che proibisce loro il matrimonio se non sono già sposati al momento dell'ordinazione (Collectanea S. Congreg. de Propr. Fide t. I pp. 627-630). Il risultato è che, mentre nelle Chiese orientali scismatiche l'antica disciplina celibataria è andata allargandosi, nelle Chiese orientali rimaste unite o ritornate all'unione con Roma si è avuto il fenomeno esattamente inverso: pur rimanendo in vigore l'antica disciplina, la pratica celibataria si è andata largamente diffondendo tra i membri del clero (cfr. Dictionnaire Droit canonique voce celibat des clercs-droit oriental).

Una faciloneria modernistica

Da quanto sopra è facile concludere che il celibato ecclesiastico è, sì, «una disciplina ecclesiastica, ma spiritualmente evangelico-apostolica» (F. Spadafora op. cit. ). La sua convenienza con il sacerdozio, infatti, «riposa su verità dommatiche tanto certe che sublimi», essendo la superiorità del celibato sullo stato coniugale «un dogma insinuato nel Vangelo (Mt. 19, 10 ss.) chiaramente insegnato da San Paolo (1 Cor. 7), creduto da tutta la tradizione cattolica» (H. Auffroy S. J. in Dictionnaire Apologetique de la foi catholique voce sacerdoce catholique col. 1042).
È, dunque, un'interessata faciloneria modernistica asserire che la Chiesa può abolire il celibato sacerdotale per il fatto che essa stessa lo ha introdotto nella sua legislazione. Non si tratta, infatti, di una semplice disposizione amministrativa, la cui opportunità potrebbe cessare col cessare delle circostanze passeggere che l'hanno dettata, ma di una disciplina fondata sull'insegnamento immutabile di Cristo e degli Apostoli, sulla somma convenienza del celibato «propter regnum coelorum» con lo stato sacerdotale, e «siccome il motivo soprannaturale di tale legge è al di sopra di ogni contingenza,... rimane e rimarrà immutabile la legge che impone ai ministri della Chiesa cattolica il celibato». Ecco perché Benedetto XV, di fronte alla defezione di un buon numero di sacerdoti cecoslovacchi che avevano reclamato il diritto di sposarsi, non temeva di dichiarare nell'allocuzione concistoriale del 16 dicembre 1920:
«Venerabili fratelli, ciò che abbiamo già più volte professato a riguardo, noi l'attestiamo ora solennemente e categoricamente: giammai questa Sede apostolica attenuerà o mitigherà questa legge santissima e salutarissima del celibato ecclesiastico e tanto meno l'abolirà» (A. A. S. t. XII 1920 p. 585).

Dallo Spirito Santo, non «dai demoni»

La storia del celibato ecclesiastico tanto in Occidente che in Oriente sta a dimostrare che la legge del celibato ecclesiastico è stata ispirata alla Chiesa dallo Spirito Santo e non «dai demoni», come scrive, bestemmiando, il Vogels. Non può, infatti, spiegarsi se non con l'azione dello Spirito Santo, che infallibilmente guida la Chiesa nel corso dei secoli, l'affermarsi spontaneo del celibato, così contrario alla natura umana decaduta, tra il clero tanto in Oriente che in Occidente, e poi l'atteggiamento fermo, costante col quale la Chiesa, dopo aver codificato il celibato, lo ha invariabilmente difeso contro tutti i ritorni offensivi e ne ha ripristinato l'osservanza nella Chiesa latina con energia calma e fiduciosa anche quando le circostanze storiche erano le meno favorevoli a motivo del decadimento morale del clero, stimolando nella medesima direzione anche il clero orientale.
Solo coloro che, come i modernisti, non credono nello Spirito Santo che guida e santifica la Chiesa cattolica, possono negare che qui siamo chiaramente dinanzi all'«interpretazione esatta di un pensiero divino contenuto nella Sacra Scrittura» (F. Spadafora op. cit. ).
Non a caso il celibato ecclesiastico ha trovato i suoi avversari tra gli eretici di ogni tempo, da Gioviniano, Elvidio, Vigilanzio ecc. fino a Lutero, ai vecchi-cattolici, ai modernisti (v. San Pio X Pascendi) e non a caso è puntualmente impugnato nei periodi di crisi e di decadimento ecclesiale. Ed infatti bisogna aver perduto la nozione del sacerdozio cattolico per non avvedersi che «il prete sposato è l'ideale decaduto, è la vita sacerdotale ridotta al livello di un burocraticismo banale, è il prestigio del padre delle anime distrutto agli occhi del suo popolo, è il sentimento del proprio carattere sacro offuscato nella coscienza stessa del sacerdote, è l'intimità dei suoi rapporti con Dio compromessa, è la fiamma apostolica soffocata nel suo cuore dagli affanni del menage familiare» (H. Auffroy S. J. op. cit.). E bisogna aver perduto lo spirito della Chiesa cattolica, che è spirito soprannaturale di fiducia nella potenza della grazia di Cristo, di fede nel suo divino insegnamento, di amore alla sua divina Persona e alla Croce, per asserire che il celibato è un fardello, ed un fardello insostenibile.
Se la storia, del celibato ecclesiastico dimostra a sufficienza lo Spirito soprannaturale che ha animato la Chiesa nell'istituirlo, la storia delle opposizioni mosse contro questa legge ecclesiastica sta ad attestare a sufficienza da quale spirito siano, invece, animati i suoi avversari, i quali, sotto i vari sofismi, non hanno da opporre nient'altro se non le ragioni «della carne e del sangue».
Agli avversari del celibato ecclesiastico la Chiesa da duemila anni ripete: «Impossibile all'uomo, ma a Dio tutto è possibile» (cfr. Mc. 10, 27): i sacerdoti «per l'impegno assunto nello stato di celibato» ricevono «da Dio una grazia sufficiente per poter mantenere la loro promessa» (Pio XII Sacra Virginitas). Di qui l'anatema del Concilio di Trento contro i protestanti:
«Se qualcuno sostiene che... possono contrarre matrimonio tutti coloro che non sentono il dono della castità, pur avendone fatto il voto, sia scomunicato; Dio, infatti, non ricusa questo dono a coloro che lo pregano come si deve, e non permette che siamo tentati al di sopra delle nostre forze» (DB. 979-980). Oggi sono i modernisti, che «obbedendo molto volentieri ai cenni dei loro maestri protestanti, desiderano soppresso nel sacerdozio lo stesso sacro celibato» (San Pio X Pascendi DB. 2104), ma la mente della Chiesa non muta, anche se possono esserci delle deficienze temporanee da parte degli uomini di Chiesa.
Certo, il sacerdote, che conta sulle proprie forze, che non prende i mezzi soprannaturali necessari (preghiera, Sacramenti, devozione alla B. V. M.), che è imprudente, che non si cura di «castigare il proprio corpo per ridurlo in servitù», dimenticando che anche i semplici fedeli, se vogliono essere di Cristo, «devono crocifiggere la propria carne con le sue passioni e concupiscenze», non può che miseramente naufragare e non soltanto nel celibato, ma nel suo stesso sacerdozio.

Un'accusa ridicola

È l'accusa mossa alla Chiesa di aver tramutato un consiglio evangelico in obbligo. Quasi che il celibato non sia anzitutto un «dono» e quasi che la Chiesa non esiga il celibato se non da chi lo ha liberamente scelto. Pio XI parlando dei giovani leviti, che, prima di ricevere il suddiaconato, «liberamente rinunciano alle gioie e alle soddisfazioni che potrebbero onestamente concedersi in un altro genere di vita», aggiunge: «Diciamo "liberamente", perché se dopo l'ordinazione non saranno più liberi di contrarre nozze terrene, all'ordinazione stessa però accedono non costretti da nessuna legge o persona, ma di propria e spontanea volontà (codice di Diritto canonico can. 971)» (Ad catholici sacerdotii). È perciò che la legge ecclesiastica sul celibato «non toglie il carattere di consiglio alla verginità» (F. Spadafora op. cit. ). Accusare la Chiesa di «imporre» il celibato ai suoi sacerdoti è tanto ridicolo quanto lo sarebbe l'accusarla d'imporre la castità ai suoi monaci. La Chiesa non forza nessuno al sacerdozio, come non forza nessuno alla vita religiosa. Al contrario, esige che i candidati siano liberi da qualsivoglia pressione e li costringe a ponderare lungamente gli impegni che intendono assumersi; essa stessa sceglie tra gli aspiranti al sacerdozio quelli che mostrano chiaramente di esservi chiamati da Dio, di entrarvi per motivi soprannaturali e non per basse mire terrene e che, in materia di castità, offrano fondate speranze di «poter camminare fino alla fine con sicurezza e buon esito» (Pio XII Sacra Virginitas). Dopo che tutto è stato così lungamente vagliato e deciso da entrambe le parti, chi può rimproverare la Chiesa perché esige che il sacerdote tenga fede agli impegni liberamente assunti? Soltanto gli uomini carnali e il sacerdote fedifrago, che è ritornato sulla parola data, o il sacerdote rilassato, che ha distolto gli occhi da Dio per riabassarli sul mondo e che non ama più il suo celibato perché non ama più il suo sacerdozio.

Conclusione

Da quanto sopra appare chiaro che non esistono motivi dottrinali per impugnare il celibato sacerdotale. Al contrario è il cedimento dottrinale al modernismo, e quindi alla teologia protestante, che ha offuscato la coscienza della grandezza del sacerdozio nel mondo cattolico e, purtroppo, negli stessi ministri della Redenzione. La rovinosa riforma liturgica, con la protestantizzazione del rito della Santa Messa, la profanazione sistematica dell'Eucaristia (vedi la «comunione in mano»), la riduzione del sacerdote a semplice «presidente» dell'assemblea «celebrante», nonché la svalutazione del sacramento della penitenza, il conferimento ad uomini sposati del diaconato, che, invece, già esige l'obbligo del celibato, sono stati altrettanti colpi inferti dai modernisti al Sacerdozio cattolico e quindi al celibato, la cui ragione d'essere riposa tutta sulla grandezza appunto del Sacerdozio cattolico. « I nemici della Chiesa - ricorderemo con Pio XI - ben sanno l'importanza vitale del Sacerdozio, contro cui appunto... dirigono prima di tutto i loro colpi, per toglierlo di mezzo e sgombrarsi la via alla sempre desiderata e mai ottenuta distruzione della Chiesa stessa» (Pio XI Ad catholici sacerdotii).
Paulinus