venerdì 12 ottobre 2012

La Civiltà Cattolica anno XXV, serie IX, vol I (fasc. 570, 9 marzo 1874) Firenze 1874 pag. 641-650. R.P. Matteo Liberatore S.J. LA DOTTRINA DI S. TOMMASO DEBELLATRICE DEL LIBERALISMO MODERNO

 

I.

Per comune testimonianza, confermata altresì dall'oracolo dei sommi Pontefici, la dottrina di S. Tommaso ha questo di proprio, di aver non solamente abbattuti gli errori del suo tempo, ma di essere acconcissima ad abbattere anche quelli dei tempi posteriori. Ed è questo il carattere delle verità, di dissipare qualunque sia l'errore, contro cui si presenti, come proprietà della luce è di sgombrare le tenebre, dove che sieno e quando che sieno.
Ora l'errore più pestilenziale dell'età nostra e che mena sì gran guasto nell'ordine pubblico dell'umana società, è il liberalismo. Insinuatosi da prima come pura forma politica, per ingannare più facilmente gl'incauti, si manifestò ben presto qual principio morale, indifferente a qualsivoglia forma politica. Esso vuole l'indipendenza dell'uomo da qualsiasi autorità, che non procede dall'uomo stesso. E poichè l'uom sociale si assomma nello Stato; lo Stato è considerato da lui come il potere supremo, fonte unico di moralità e di giustizia. e non costretto da limiti nè tenuto da legge superiore. Ognun vede le orribili conseguenze che seguirebbero, se questa sozzura durasse a lungo nel mondo.
Ottimo consiglio adunque ci è sembrato quello dell'egregio Abbate, Sig. Costantino Schaezler, di dettar un libro, in cui dimostra la virtù della dottrina di S. Tommaso per confondere e prostrare cotesto liberalismo. Egli lo ha intitolato: Divus Thomas, Doctor Angelicus, contra liberalismum invictus veritatis catholicae assertor [1]; e lo ha pubblicato come omaggio al santo Dottore, in occasione del sesto Centenario del suo trionfale ingresso nel cielo. Due sono i punti capitali di questo acellente lavoro. Prima si dimostra come le teoriche di S. Tommaso atterrano i dommi del moderno liberalismo. E perciocchè cotesti dommi traggono origine, massimamente in Germania ed in Italia, dal pervertimento ideale, prodotto dalla filosofia Kantiana; egli passa in secondo luogo a dimostrare, come cotesta stolta sapienza resta vinta e conquisa dalla filosofia appunto di questo eccelso Dottore. Noi prenderemo a svolgere questo secondo punto, per combattere il male nella sua radice; ma ci è sembrato di non dover tralasciare il primo, senza farne almen qualche piccolo cenno; e ciò sarà argomento di questo breve articolo.

II.

Di fronte alle turpi e tiranniche aspirazioni del liberalismo, sorge, come unico ed inespugnabile baluardo della verace libertà e moralità umana, la Chiesa cattolica. Essa frena il potere dell'uomo colla legge divina, nell'atto stesso che proclama suggezione ad ogni autorità che deriva da Dio. Contro di lei adunque il liberalismo rivolge i suoi furori, e cerca di abbatterla ad ogni costo. A tal fine la spoglia de' suoi possessi, la priva de' suoi diritti, ne imprigiona ed esilia i più zelanti ministri, ne impedisce la libera parola, ne sconvolge l'interna costituzione, ne perverte l'insegnamento, e con iniquissime leggi si studia d'introdurvi a viva forza l'eresia e lo scisma. Trovando poi ne' cattolici e massimamente nel Clero un'insuperabile resistenza; in quanto cotesti invitti campioni della fede si contentano di soffrire i processi, le multe, la prigionia, l'esilio, ogni pena, piuttosto che venir meno alla fedeltà dovuta a Dio ed alla Chiesa; il liberalismo si fa ad accusarli di ribellione alla legittima potestà civile, e alla maestà delle leggi.
A distruggere la perfida imputazione, torna acconcissima la dottrina di S. Tommaso; là dove dimostra che come la legge naturale, così la legge positiva divina, procedendo direttamente dall'autorità di Dio, non può esser mutata se non dalla sola autorità del medesimo. Il perchè qualunque ordinamento umano contro di essa non ha valore. Lex naturalis et divina procedit a voluntate divina. Unde non potest mutari per consuetudinem procedentem a voluntate hominis; sed solum per auctoritatem divinam mutari posset; et inde est quod nulla consuetudo vim legis obtinere potest contra legem divinam vel legem naturalem [2].
Cercando poi se la legge umana obblighi i sudditi nel foro della coscienza, distingue le leggi in leggi giuste e leggi ingiuste. E quanto alle prime risponde di sì, ricordando quel detto di Dio ne' Proverbii: Per me reges regnant, et legum conditores iusta decernunt [3]. Quanto poi alle seconde dice che esse possono esser tali o perchè si oppongono al bene umano o perchè si oppongono al bene divino. Si oppongono al bene umano, o per ragione del fine, quando non tendono al bene comune ma al vantaggio privato dell'imperante; o per ragione del loro autore, quando esse eccedono la competenza della sua potestà; o per ragion della forma, quando i pesi imposti dalla legge non sono eguabilmente compartiti. Siffatte leggi son piuttosto violenze che leggi, magis sunt violentiae quam leges; e però non possono obbligare nel foro della coscienza, se non fosse a motivo di evitare scandali e perturbazioni; nel qual caso la persona dee cedere al proprio diritto privato in vista del pubblico bene. Non così quando le leggi sono ingiuste per opposizione al bene divino, come le leggi dei tiranni, imponenti l'idolatria o qualsivoglia altra cosa opposta alle leggi di Dio. In tal caso non è lecito in nessun modo obbedire alla legge umana: giacchè stà scritto: Dee obbedirsi piuttosto a Dio, che agli uomini. Alio modo leges possunt esse iniustae per contrarietatem ad bonum divinum, sicut leges tyrannorum inducentes ad idolalatriam vel ad quodcumque aliud, quod sit contra legem divinam; et tales leges nullo modo licet observare, quia, sicut dicitur (Act. IV), Obedire oportet magis Deo quam hominibus [4].
Da ciò segue che la disobbedienza a siffatte leggi non è atto di ribellione; siccome non è atto di ribellione se un suddito trasgredisce le prescrizioni di un Prefetto di provincia, le quali contraddicessero ai comandi del Principe.
E qui S. Tommaso avvertisce; come può benissimo l'uomo riputarsi assolutamente soggetto alla giurisdizione di un governante umano, e nondimeno rispetto ad alcune cose essere e non esser obbligato dalle sue leggi, perchè diretto in ordine a quelle da un'autorità superiore. Imperocchè cercando come può alcuno non soggiacere all'altrui potestà, osserva che cio può avvenire in doppio modo. L'uno è, se sia del tutto libero dalla sua giurisdizione; e così quelli che appartengono ad uno Stato non son soggetti alle leggi ed al potere del sovrano di un altro Stato. Il secondo è, se sia governato da legge di un'autorità superiore. Per esempio, se alcuno sta sotto il reggimento d'un Proconsolo, deve regolarsi secondo i suoi comandi, non però in quelle cose, secondo le quali è regolato dal Principe supremo; giacchè rispetto a questo non è stretto dal comando dell'autorità subalterna, essendo retto dal comando dell'autorità superiore. Ed in questo modo avviene che alcuno, soggetto assolutamente alla legge civile, non siaad essa soggetto riguardo ad alcune cose, a quelle cioè nelle quali è governato dall'autorità della Chiesa. Quod aliquis potestati non subdatur, potest contingere simpliciter. Uno modo, quia simpliciter absolutus ab eius subiectione; unde illi qui sunt de una civitate vel regno non subduntur legibus principis alterius civitatis vel regni, sicut nec eius dominio. Alio modo, secundum quod regitur superiori lege; puta si aliquis subiectus sit proconsuli, regulari debet eius mandato, non tamen in his quae dispensantur ei ab imperatore, quantum enim ad illa non adstringuntur mandato inferioris, cum superiori mandato dirigantur. Et secundum hoc contingit quod aliquis simpliciter subiectus legi, secundum aliqua legi non adstringitur, secundum quae regitur superiori lege [5].

III.

Questa teorica serve mirabilmente a sciogliere la stolida imputazione del liberalismo; imperocchè mostra come il cristiano è tenuto a negare obbedienza alle leggi dello Stato, contrarie alle leggi di Dio; ed è esente dal seguir quelle, che lo Stato emanasse in affari di religione, senza cessare per questo d'esser suddito fedelissimo del medesimo. Imperocchè egli ricusa quell'obbedienza, non perchè non si reputa assolutamente soggetto al suo sovrano; ma perchè in ordine a quelle cose è governato da un'autorità superiore, cioè dall'autorità di Dio stesso mediante la Chiesa. Simpliciter subiectus legi, secundum aliqua legi non adstringitur, secundum quae regitur superiori lege.
E nel trattato De regimine principum spiega più ampiamente un tal punto, risalendo a' suoi stessi principii fondamentali. Egli dice: «Poichè l'uomo vivendo virtuosamente è ordinato ad un fine più alto, il quale consiste nella beata visione di Dio, come sopra è detto; uopo che questo stesso sia il fine della società, giacchè il fine della moltitudine associata non può differire da quello dell'uomo. Non è dunque il fine ultimo della moltitudine associata il vivere secondo virtù, ma mediante la vita virtuosa giungere alla beatitudine eterna, Or se a cotesto fine si potesse pervenire colle forze puramente naturali, apparterrebbe all'officio del principe dirigere gli uomini ad un tal fine; perocchè io suppongo che si dica principe colui, al quale è stata commessa la somma di tutti i poteri nelle cose umane... Ma poichè il fine della beatitudine eterna non si conseguisce dall'uomo per virtù umana, ma per virtù divina, secondo il detto dell'Apostolo (ad Rom. 6): È grazia di Dio la vita eterna; ne segue che il dirigere ad un tal fine non appartiene al potere umano, ma al potere divino. A quel Re adunque un tal reggimento appartiene, il quale non è solamente uomo ma ancora Dio; e questi è il Nostro Signor Gesù Cristo: il quale sollevando gli uomini alla figliuolanza di Dio, li introduca alla patria celeste. È questo dunque il regio potere, a lui dato, e che non sarà mai distrutto, pel quale è nominato, non solo Sacerdote, ma Re nelle divine Scritture, dicendosi in Geremia (cap. 23): Regnerà da Re e sarà sapiente. Onde da lui si deriva il Sacerdozio regale; e, ciò che è più, tutti i suoi fedeli, in quanto sono suoi membri, son nomati re e sacerdoti. Il ministero pertanto di questo regno, acciocchè le cose spirituali fossero distinte dalle terrene, è stato commesso non ai Re terreni, ma ai Sacerdoti; e principalmente al Sommo Sacerdote, successore di Pietro e Vicario di Cristo, il Romano Pontefice, a cui tutti i Re del popolo cristiano debbono essere sudditi, come allo stesso nostro Signor Gesù Cristo. Quia homo vivendo secundum virtutem ad ulteriorem finem ordinatur, qui consistit in fruitione divina, ut supra iam diximus; oportet eundem finem esse multitudinis humanae, qui est hominis unius. Non est ergo ultimus finis multitudinis congregatae vivere secundum virtutem, sed per virtuosam vitam pervenire ad fruitionem divinam. Si quidam autem ad hunc finem pervenire posset virtute humanae naturae, necesse esset ut ad officium regis pertineret dirigere homines in hunc finem. Hunc enim dici regem supponimus, cui summa regiminis in rebus humanis committitur... Sed quia finem fruitionis divinae non consequitur homo per virtutem humanam, sed virtute divina, iuxta illud Apostoli (Rom. 6, 23). Gratia Dei vita aeterna; perducere ad illum finem non humani erit sed divini regiminis. Ad illum igitur regem huiusmodi regimen pertinet, qui non est solum homo sed etiam Deus, scilicet ad Dominum nostrum Jesum Christum, qui homines filios Dei faciens in caelestem gloriam introduxit. Hoc igitur est regimen ei traditum, quod non corrumpetur, propter quod non solum Sacerdos sed Rex in Scripturis sacris nominatur, dicente Jeremia (23, 5): Regnabit Rex et sapiens erit. Unde ab eo regale Sacerdotium derivatur: et quod est amplius, omnes Christi fideles, in quantum sunt membra eius, reges et Sacerdotes dicuntur. Huius ergo regni ministerium, ut a terrenis essent spiritualia distincta, non terrenis regibus sed sacerdotibus est commissum, et praecipue Summo Sacerdoti, successori Petri, Christi Vicario, Romano Pontifici, cui omnes reges populi christiani oportet esse subditos, sicut ipsi Domino Jesu Christo [6].
Il fondamento di tutta questa teorica è l'elevazione dell'uomo allo stato soprannaturale, alla grazia, alla figliuolanza di Dio, all'eredità celeste. Di qui nasce che i mezzi per giungere a questo supremo fine son fuori l'ordine della natura, son di ordine al tutto divino; e di ordine al tutto divino è l'amministrazione di questi mezzi, ed il potere, onde l'uomo tanto se individualmente, quanto se socialmente considerato, dev'essere retto e governato nell'uso dei medesimi, e nel modo di ben ordinarsi coerentemente a quel fine. Una tal amministrazione e un tal potere oltrepassa quindi necessariamente ed eccede la cerchia de' poteri umani, che sorgono dalla pura natura; non fa parte nè può di per sè più farla del regio potere, intendendo anche per regio potere la somma di tutti i poteri, necessarii al governo dell'uomo, secondo tutti gli aspetti della sua natura sociale. L'anzidetta amministrazione e il corrispondente potere appartiene esclusivamente all'Uomo Dio; il quale, pel reggimento visibile dell'uomo quaggiù, poteva conferirlo, in vicaria potestà, a chi meglio gli aggradasse. Or egli per serbar intatta la distinzione delle cose sacre dalle profane, delle spirituali dalle temporali, non ha voluto conferirlo ai principi e governanti terreni, ma al ceto dei sacerdoti da lui stabiliti, e precipuamente al Capo di essi, il romano Pontefice. Non a Tiberio, ma a Pietro consegnò le chiavi di questo suo regno; e non a Tiberio ma a Pietro disse: Sii in mia vece Pastore del mio ovile. Huius regni ministerium, ut a terrenis essent spiritualia distincta, non terrenis regibus, sed Sacerdotibus est commissum, et praecipue summo Sacerdoti, Romano Pontifici. Se dunque i principi e i governanti terreni si mescolano in questa amministrazione e in questo governo, essi entrano in un ordine che loro non appartiene, usurpano un potere, che lor non compete, sovvertono l'ordinamento di Cristo, violano le ragioni di esso Cristo, delle quali i sacerdoti sono depositarii, rovesciano da capo a fondo la Chiesa. In fatto di religione e di amministrazione religiosa e di tutto ciò che alla religione si attiene i Principi, al par dei semplici fedeli, sono sudditi del Sacerdozio, e massimamente di chi del sacerdozio è il rappresentante supremo. Cui omnes reges populi christiani oportet esse subditos, sicut ipsi Domino Iesu. In ciò essi non si sottopongono all'uomo ma a Cristo Signore, di cui il sacerdozio tiene sulla terra le veci.

IV.

Ma qui è dove il liberalismo è costretto a levarsi la maschera, e dichiarare che egli non ammette un tal ordinamento di cose. Esso vuol considerata la Chiesa non altrimenti che un umano istituto, mutabile per leggi umane. Quando poi alla creazion delle leggi, il supremo diritto risiede nello Stato, a cui per conseguenza la Chiesa stessa è soggetta. Lo Stato, secondo l'insegnamento di Hegel, ha in sè stesso il proprio fine, e questo fine è immobile ed assoluto. Ad esso tutti, nessuno eccettuato, debbono sottomettersi; imperocchè tutte le obbligazioni dell'uomo, qualunque elle sieno, si riducono a questo, come a capo e compendio, di sottostare cioè alla civil potestà. Ecco l'abbietta e svilente dottrina del Liberalismo in materia di società.
Lasciamo stare la turpitudine del servilismo, a cui ridurrebbe l'uomo, dopo averlo ingannato colle tante promesse di libertà. Ma certo, per ciò che riguarda la Chiesa, il Liberalismo si manifesta così la negazione del Cristianesimo. Cristo ha sottratto l'uomo, quanto alla sua parte spirituale, dal dominio dell'uomo. Il Liberalismo intende riporvelo.
A questa presuntuosa stoltezza del Liberalismo si contrappone magnificamente la dottrina di S.Tommaso; il quale insegna esser stata necessaria pel reggimento delle umane azioni oltre la legge naturale e la legge umana, la legge divina.
E ciò per la ragione, già addotta di sopra, dell'elevazione dell'uomo al fine soprannaturale. Cotesto fine, eccedendo ogni proporzione delle facoltà naturali, fa sì che l'uomo abbia bisogno, per pervenirvi, di una direzione di ordine superiore; e questa direzione si ha per la legge positivamente imposta da Dio. Dicendum quod praeter legem naturalem et legem humanam, necessarium fuit ad directionem humanaevitae habere legem divinam. Et hoc, quia per legem dirigitur homo ad actus proprios in ordine ad ultimum finem. Et si quidem homo ordinaretur tantum ad finem, qui non excederet proportionem naturalis facultatis hominis, non oporteret quod homo haberet aliquid directivum ex parte rationis supra legem naturalem et legem humanitus positam, quae ab ea derivatur. Sed quia homo ordinatur ad finem beatitudinis aeternae, quae excedit proportionem naturalis facultatis humanae, ideo necessarium fuit, ut supra legem naturalem et humanam, dirigeretur etiam ad suum finem lege divinitus data [7].
Di questa legge divina è depositaria, interprete e promulgatrice la Chiesa. Onde S. Tommaso dimostra essere eretico chiunque in un sol punto si discosta pertinacemente dagl'insegnamenti di lei. E la ragione si è perchè con questa sua contumace ripugnanza contrasta alla stessa ragione formale della fede, che è la verità divina, propostagli dalla Chiesa; e però perde l'abito della fede. Species cuiuslibet habitus dependet ex formali ratione obiecti, qua sublata, species habita remanere non potest. Formale autem obiectum Fidei est veritas prima secundum quod manifestatur in Scripturis sacris et in doctrina Ecclesiae quae procedit ex veritate prima. Unde quicunque non inhaeret, sicut infallibili et divinae regulae, doctrinae Ecclesiae, quae procedit ex veritate prima in Scripturis sacris manifestatae, ille non habet habitum Fidei; sed ea, quae sunt Fidei, alio modo tenet quam per fidem [8]. Di che segue che la Chiesa non può essere se non una, siccome una è la prima verità, di cui la Chiesa è manifestazione. Di qui segue altresì che norma infallibile delle azioni umane è la Chiesa. Ond'essa non può sottostare a potestà umana; nè essere regolata o corretta da leggi umane. Apostoli et eorum successores sunt Vicarii Dei, quantum ad regimen Ecclesiae [9]. La sola legge divina è infallibile; e questa legge divina non ci è comunicata se non per mezzo della Chiesa.
E qui è il punto capitale della lotta tra il Liberalismo e il Cattolicismo. Il Liberalismo stabilisce, come principio regolatore dell'operare umano, la così detta pubblica opinione, interpretata dallo Stato; il Cattolicismo per contrario stabilisce che un tal principio è la verità divina, manifestata dalla Chiesa: Veritas prima per Ecclesiam manifestata. Il primo per conseguenza vuol le leggi dello Stato, come norma suprema di giustizia e di moralità, da obbedirsi cecamente con sottomissione assoluta, qualunque sia l'ordine a cui esse si stendano; il Cattolicismo restringe la cerchia delle attribuzioni dello Stato al solo ordine materiale, e nega valore a quelle tra le sue leggi, le quali entrano in materia ecclesiastica. L'indipendenza della Chiesa pei cattolici è di diritto divino. Offendere una tale indipendenza, è offendere direttamente Cristo, di cui è regno la Chiesa, e di cui son vicarii i sacerdoti. La Chiesa perderebbe la sua origine celeste, e non sarebbe più la sposa di Cristo, ma la sinagoga di Satana. Di che si vede che la lotta tra il Liberalismo e il Cattolicismo è propriamente la lotta tra l'opinare dell'uomo e il pensiero di Dio, tra l'arbitrio umano e la volontà divina, tra il diavolo e Cristo. Se il Liberalismo riuscisse vittorioso, tutti i benefizii della Redenzione anderebbero perduti; e l'uman genere ricadrebbe nelle tenebre e nella corruzione del paganesimo. Ma ciò non sarà e non può essere; ne sta pegno la parola di Cristo, che le porte dell'inferno (e tali appunto debbon dirsi le porte del Liberalismo) non prevarranno mai contro la Chiesa.
 
 
 

NOTE:

[1] Romae ex typographia polyglotta S. C. de Propaganda Fide 1874.
[2] Summa th. 1, 2, q. 97. a. 3, ad 1.
[3] Proverb. VIII, 13.
[4] Summa th. 1, 2, q. 96, a. 4.
[5] Summa th. 1, 2, q. 96, a. V.
[6] S. Tommaso De regimine Principum, l. 1, c. 14.
[7] Summa th. 1. 2. q. 91, a. 4.
[8] Summa th. 2. 2. q. 5, a. 3.
[9] S. Tommaso, Summa th. p. 3 q. 64, a. 2.