venerdì 5 ottobre 2012

La Civiltà Cattolica anno I, vol. II, Napoli 1850 pag. 33-51. R.P. Luigi Taparelli D'Azeglio D.C.D.G. IL SUFFRAGIO UNIVERSALE(1)

«Il y a un article de la Constitution qui défend d'attaquer le suffrage universel. Cet article n'est pas, à mon avis, ce que l'on pouvait faire de plus logique.» (Veuillot les libres penseurs)

SOMMARIO

1. Occasione di questo articolo. –– 2. II suffragio universale ripugna canonicamente. –– 3. Ripugna alla natura della Chiesa. –– 4. Non può derivarsi dalla natura della società civile. –– 5. Importanza della quistione non politica, –– 6. ma filosofica. –– 7. Il suffragio universale figlio del protestantesimo: –– 8. pel suo principio, –– 9. essenzialmente repubblicano: –– 10. pel suo scopo, –– 11. essenzialmente epicureo. –– 12. Base razionale. –– 13. Sistema Ateo. –– 14. Sistema Cattolico. –– 15. Suo abbaglio –– Confonde il concreto con l'astratto. –– 16. Gli uomini in concreto sono disuguali. –– 17. La società non è essenzialmente repubblica: –– 18. Nè l'eleggere è governare. –– 19. Del possesso d'autorità diremo altrove. –– 20. Il dritto a suffragio non richiesto è felicità. –– 21. Non è giustizia nè uguaglianza, –– 22. anzi ingiustizia ridicola; –– 23. come insegna il fatto.


1. Circoscritti dal nostro programma in quelle materie che riguardano la Civiltà cattolica, non entreremmo nella discussione di questa forma politica introdotta novellamente nelle elezioni di Francia dopo la caduta della monarchia costituzionale, se non ne vedessimo la teoria più o meno strettamente connessa colle dottrine che riguardano la Chiesa: connessione resa ai nostri occhi lampante da parecchi scritti pubblicati su questo argomento, e talora con ottime intenzioni. In essi si assume che la Chiesa ha in certi casi limitato o sospeso il diritto che abbiamo da natura di eleggere i nostri governanti; che la nazione ha naturalmente il diritto di eleggere i proprî pastori, niente meno che i proprî governanti nell'ordine politico; e via discorrendo. Queste frasi abbiamo noi estratte dal ragionamento altra volta lodato del ch. Avvocato Orlando Garbarini coll'intento, come ivi si disse, non già di prendere a confutarlo, ma solo di recarne un esempio qualunque, il primo che ci si presentò allo sguardo. Un simile ne troviamo nell'Observateur de Genève 8 juin 1850 n.° 46 «Nous, voudrions faire comprendre à ceux qui rêvent pour l'Église une mise en harmonie avec les gouvernements issus des révolutions, que de pareilles idées trahissent de leur part une complète ignorance de la question.» –– Lo scoppiar contemporaneamente in tanti punti d'Europa il medesimo errore confutato dal Theiner, è valida conferma dell'affinità che passa tra la dottrina politica del suffragio universale e l'error democratico introdotto in Canonica.
2. Nè deve parervi strana codesta sentenza, mentre anzi ella è conseguenza naturale di quelle dottrine politiche che passano oggidì come innocenti e quasi infallibili anche presso molti cattolici. Addomesticati colla libertà costituzionale di tutto biasimar nei governi, essi trasportano codesta libertà decembrina [1] ancor nella Chiesa, riserbandosi il dritto di esaminarne le leggi, determinarsi ad obbedirle quando saran ragionevoli: e così appunto si sono condotte riguardo ai Vescovi al Papa e all'Ecumenico Tridentino le autorità politiche del governo Piemontese. Procedendo con questi principî, è naturalissimo secondo la bella osservazione del ch. Kersten [2], che vogliasi sottoporre, come lo Stato, così la Chiesa al reggimento costituzionale trattando per deputati gli affari spirituali, e decidendoli alla pluralità; applicando alla nomina dei Vescovi e Curati il sistema elettivo ecc. Ciò non ostante siam ben persuasi che codesta dottrina non sia dal dotto Garbarini tenacemente abbracciata, e che solo per inavvertenza ella sia caduta dalla sua dotta e cattolica penna, e certamente l'avrebbe egli meglio ponderata se l'avesse scritta in quell'anno medesimo in cui l'ha pubblicata, dopochè la condanna delle Cinque Piaghe diede ad uno dei più illustri filosofi d'Italia l'occasione di associare il proprio nome alla gloria di Fénélon, tanto superiore alla laurea filosofica, quanto l'umiltà cristiana alla scienza, quanto il cielo alla terra. La bella confutazione scrittane dal P. Agostino Theiner, la dissertazione ivi citata di Natale Alessandro e gli altri documenti innumerevoli con cui il dotto sacerdote combatte il dritto divino del popolo nelle elezioni potranno suggerire a chi volesse occuparsi eruditamente di questa quistione abbondante materia di riflessioni. Gli spaventevoli abusi che tanto diedero da piangere ai Basili ai Nazianzeni agli Eusebî sull'elezione popolare fin dai primi secoli della Chiesa, secoli di semplicità e di fede, ben fan comprendere quali rischi correrebbe oggidì la Chiesa rinnovando codeste forme di elezione, in un tempo specialmente in cui l'arte demagogica giunta all'apice della sua raffinatezza, ottiene ciò che vuole dalla credula docilità dei popoli. L'Aut. suppone [3] che i turbamenti cagionati dalle elezioni popolari fossero in parte effetto delle nuove dottrine che già incominciavano ad agitare la Chiesa e la società. Ma chi riflette che i turbamenti accompagnarono in tutti i secoli l'elezione popolare comprenderà che essi sono natural conseguenza di codesta forma di eleggere, la quale non può dunque essere per sè natural diritto del popolo; non essendo conforme alla natura il produrre costantemente conseguenze contrarie al naturale intento, il quale per la società è pace ossia quiete nell'ordine.
3. Ma lasciamo pure in disparte gli argomenti teologici ed eruditi, e riguardiamo il dritto d'elezione nella natura stessa della Chiesa, società istituita da un Dio, propagata dai suoi inviati per mezzo della parola di verità apportatrice di salvezza: bastano le quattro condizioni qui espresse per farci comprendere che la natura delle cose non solo non dimostra nel popolo il dritto di eleggere, ma dimostra positivamente l'impossibilità di codesto diritto, mercecchè se l'elezione deve essere un dritto per chicchessia, è mestieri che l'elettor naturale preceda l'eletto, non potendo essere elettore chi prima non è. Or, le condizioni sovraccennate come naturali proprietà della Chiesa cattolica, mostrano che in tutti i principî il popolo non è quando già sono i Pastori: dunque l'elezion dei pastori non può per natura nella Chiesa appartenere al popolo.
Infatti se i primi Pastori furono eletti dal medesimo Redentor nostro per formare la Chiesa, dovettero precedere l'esistenza dei fedeli che da essi furono iniziati col battesimo: se ai fedeli veniva imposto, pena l'eterna sventura, di obbedire agl'inviati celesti che parlavano loro con pienezza di autorità, non potevano essi sospendere l'assenso o condizionarlo alla propria elezione: se il parlare autorevolmente la verità dipendea dalla imposizion delle mani apostoliche, l'elezioni di cui dovessero imporsi dipendeano necessariamente dagli Apostoli medesimi, e susseguentemente dai Vescovi già per essa ordinati: se tutto il lor ministero mirava a compartire ai fedeli l'unico ben necessario, non era libero a questi ricusarne l'insegnamento. Meditate le grandi parole della missione data agli Apostoli dal Redentore nell'atto d'inviarli, e vedrete che nella Chiesa ogni potere scende ineluttabilmente ab alto: nè qui è ammissibile quella sentenza che altrove abbiamo indicata abbracciata riguardo al poter laicale da dotti ed eminenti Cattolici, secondo cui l'autorità sovrana scende da Dio immediatamente nella Società, da cui vien trasferita nel governante. Spiegherem frappoco in che consista secondo noi l'errore di questa dottrina filosofica anche nell'ordine politico, ma non possiamo accusare come manchevoli d'ortodossia coloro che nella società civile volessero pur difenderla. Non così nella società religiosa; ove grave errore sarebbe il sostenerla dopo la condanna del Richerio e successivamente della democrazia giansenistica. E viene infatti condannata dal ch. Garbarini nella clausola già da noi citata: «comechè la potestà religiosa non venga trasmessa negli eletti dalla società ma da Dio stesso nella successione apostolica.» Queste parole che salvano l'ortodossia dell'A. sembrano a noi combattere filosoficamente la sua dottrina; non potendosi filosoficamente dire natural diritto del popolo l'eleggere ad una autorità istituita e conferita da Dio medesimo per istruire e correggere gl'erranti e i traviati; i quali sono naturalmente incapaci di conoscere chi abbia sufficienza di dottrina ed alieni dall'accettare il giogo cui le loro passioni ripugnano. Le leggi naturali si manifestano necessariamente per mezzo delle naturali attitudini; altro non essendo la legge naturale se non ciò che conviene secondo la natural disposizione degli esseri. Quando dunque la natura degl'esseri chiamati alla società ecclesiastica è tale che li rende incapaci di ben eleggere e impotenti a mantener l'elezione fatta; più non può dirsi natural diritto per essi l'eleggere i propri Superiori; ancorchè possa talvolta essere giovevole il compartir loro una qualche influenza nelle elezioni. Perlocchè saviamente il dotto Prior di Nonantula Placido [4] attribuisce natural dritto di elezione ai soli ecclesiastici, permettendo soltanto ai laici anche principi petere et acclamare, chiedere ed acclamare i Pastori eletti dal Clero.
E questo appunto fu il provvedimento con cui l'Ecumenico Tridentino intese riformare secondo lo spirito della Chiesa l'assunzione dei Pastori all'Episcopato, restringendo nei soli Capitoli delle Cattedrali le elezioni dei Vescovi, senza introdurvi il menomo influsso dell'elemento democratico, del quale anzi quei sapientissimi Padri dimostrarono con lunghe discussioni i gravissimi inconvenienti, che possono vedersi brevemente narrati nella storia del Pallavicini [5]. Chi ben li pondera sarà sempre più convinto non potersi dedurre dalla natura della Chiesa cattolica una istituzione che conduce naturalmente la Chiesa stessa a sì certa rovina.
4. Ma questa dottrina riguardo ai diritti del popolo nella elezione de' suoi pastori vien derivata dal ch. Garbarini nel testo citato dal dritto analogo che natura, dicesi, accorda alle moltitudini di eleggere i politici loro governanti. Confesso che non veggo la legittimità di codesta inferenza: suppongasi pure che codesto diritto esista nell'ordine di natura, qual'è quel mezzo termine con cui potrà introdursi anche nell'ordine della grazia? Questa, dice l'autore non volea certo limitare il nostro dritto naturale d'eleggere i superiori. Ma di quali superiori si parla? dei politici? Sia pure; ma questo nulla prova per gli ecclesiastici. Degli ecclesiastici? Ma non è dritto naturale nè può essere, giacchè l'ordine di grazia non è ordine di natura: o per lo meno essendo questo ciò che si ha da dimostrare, non può assumersi qual mezzo termine per la dimostrazione. Perlocchè fosse puranche verissimo il natural diritto di elezione popolare nel conferire l'autorità politica, non potrebbe inferirsene diritto analogo nella elezione dei superiori ecclesiastici.
5. Ciò non ostante mi piace il vedere nel chiarissimo autore tale inferenza, perchè essa dimostra l'importanza religiosa di codesta teoria democratica; la quale se venga innalzata all'ordine filosofico ed astratto passerà naturalmente in tutte le istituzioni e sacre e profane, secondo la nota proprietà dei principî universali, che foggiano a lor somiglianza tutte le applicazioni particolari. È dunque di somma importanza l'esaminarla filosoficamente, ma prima di procedere in tal disamina avvertasi di grazia all'immenso divario fra il doppio aspetto o politico o filosofico, sotto cui può presentarsi codesto medesimo teorema: se un pubblicista professandomisi recisamente democratico e repubblicano mi dicesse lui tenere come ottimo ed utilissimo fra tutti il governo delle moltitudini, ben potrei dissentirne coll'interno mio giudizio; ma questa penna, consecrata a difendere la Civiltà cattolica, non vorrebbe scendere alla tenzone politica. Ma se, non pago del giudizio intorno all'utilità, egli entra nei campi del diritto; se egli asserisce ogni altro governo non solo men vantaggioso, ma anche positivamente illegittimo, allora la teoria passando dal concreto all'astratto, dal particolare all'universale, dalla politica alla filosofia, entra nell'ordine di quelle idee supreme, dove si chiude ogni seme di verità e di giustizia, e dove per conseguenza la Chiesa parla infallibilmente e la dottrina cattolica così speculativa come pratica, potrebbe da qualche errore venir compromessa.
6. In fatti non solo al chiarissimo autore parve legittima conseguenza della democrazia civile la democrazia canonica, ma dal medesimo principio venne dedotta a tempi nostri la caducità naturale d'ogni re terreno incominciando dallo stesso supremo Gerarca in quanto è principe nell'ordine temporale. La quistione è dunque interamente d'ordine filosofico, strettamente attenentesi al pubblico dritto, ed alla civiltà cattolica: onde non credo possa dispiacere al sincero amator del vero ch'io tolga ad esaminare anche la parte filosofica delle citate asserzioni, sì strettamente connesse colle dottrine del suffragio universale divenute oggidì non pur controversia ardente, ma pratico sperimento nella società europea.
7.Qual'è l'origine di questo gran tentativo promosso con tanta costanza per anni ed anni dalla gazzetta di Francia, intrapreso dall'assemblea costituente con tanto ardire, ed oggimai quasi soffocato sul nascere dalle nuove leggi sulle elezioni? La genealogia ne è facile essendo notissimi i suoi progenitori: la repubblica del 1848 nacque dalla convenzione, la convenzione fu figlia per Mirabeau di Gian-Giacomo, Gian-Giacomo di Calvino, e costui di Lutero. Così la storia; così consentanea alla storia la filosofia: imperocchè ammesso il principio dello spirito privato luterano, ogni stato diviene repubblica, ogni principe elettivo, per legge inesorabile di logica e di natura, tanto se si riguardi il primo principio efficiente della società, quanto se si miri al termine a cui ella aspira. A sviluppare questa dimostrazione mi saria mestieri entrare in lunghissima dissertazione sul principio di autorità e sul termine di felicità sociale che troppo mi dilungherebbero dal mio oggetto. Mi permetterà dunque il lettore che io restringa in pochi periodi ciò che abbiam dimostrato o dimostrerem lungamente in altri articoli.
8. Qual è il principio per cui formasi la società? Evidentemente a formar la società vale a dire la congiunzione d'individui umani intelligenti e liberi ci vuole un qualche legame; il quale per congiungere gli intelletti debbe essere una verità, per congiungere le volontà un dritto ossia principio d'obbligazione. Niuno cred'io dei miei lettori muoverà dubbio su tal proposizione; ma se alcuno esitasse lo pregherò di accettarla per ora spontaneamente, sicuro di dimostrarla in altri articoli. Or l'unità del vero è interamente perduta, ammesso una volta il principio luterano: lo ha dimostrato il fatto così nel religioso come nell'ordine politico; e migliaia di sette han brulicato nella Chiesa, migliaia di ribellioni e costituzioni nei popoli; tostochè fu abbracciata come dritto universale l'indipendenza degl'intelletti. Nè altro poteva aspettarsi quando ciascuno ebbe dritto dall'eresiarca di creder solo ciò che gli parve evidente. E dove mai troverete voi un'evidenza atta ad ottener dalle moltitudini sterminate delle nazioni quell'arduo sacrifizio dell'individuale interesse senza cui la società non si forma? Permettete al volgo di negare ogni vero che egli non vegga, e non dubitate che egli mai non vedrà se non ciò che giova a dissetarlo di piacere e ad empirgli la borsa. Ogni altra verità, e più ancora le più universali più astratte, più necessarie diverrà per lui problematica se non anche incredibile. Ma cessando la verità, cessa il legame degl'intelletti, cessa l'idea del dritto, come altrove abbiam dimostrato. Eppure senza verità, senza dritto, senz'autorità la società sarebbe impossibile se non si trova altro principio che congiunga le intelligenze e le volontà. Or questo principio qual può essere? Non conoscendosi una verità obbiettiva universalmente consentita per dritto convien ricorrere alla verità soggettiva. Ma questa non può mai esser comune per dritto, giacchè qual autorità ho io d'imporre ad altri i miei giudizî, la mia certezza? Cesserebbe dunque in tal società ogni vincolo obbligatorio degl'intelletti. Frattanto senza tal vincolo di dritto la società perirebbe. Qual può essere il rimedio? Sostituire all'unita d'idea obbligatoria per dritto quella unità d'idea accidentale che risulta dal fatto: vediamo quali sono le idee più comunemente ricevute, o come suol dirsi l'opinion pubblica: questa serva di vincolo sociale, governi la società da Regina. Ma donde risulta l'opinion pubblica? Lo sapete, dal numero o reale o supposto degli opinanti: i quali affrancati per Lutero da ogni tribunale esterno, e però tutti pareggiati in quanto all'intrinseco valore dei lor giudizî non possono avere altro motivo di preferenza, se non la moltitudine degli opinanti; la quale per fortuna congiungendo colla moltitudine delle teste la moltitudine delle braccia, saprà ottener colla forza l'assenso da chi non gliel'accordasse per dritto. Governo della opinione, governo della moltitudine, governo della forza materiale, governo essenzialmente repubblicano e dispotico, ove comanda non la verità che ne avrebbe il dritto, ma la moltitudine che ne ha la forza; ecco la conseguenza del dogma luterano nella società, come svilupperemo più ampiamente altra volta.
9. Quando dunque Gian-Giacomo nel libro 2° del patto sociale cap.6 stabiliva il principio che «ogni governo legittimo è repubblicano, che tutti debbono aver dritto di suffragio, che ogni esclusione formale ne rompe l'universalità» altro non facea che ricevere con pienezza di assenso l'assioma luterano, trasformandolo in catechismo politico pel futuro comunismo francese: E legittimo erede del Rosseau e della Riforma, il Mazzini ribadisce la stessa dottrina: «Dichiariamo spenta per sempre, così egli, la vecchia autorità. Non ammettiamo che il governo... possa collocarsi per caso, privilegio, o trasmissione ereditaria, in uno o più individui: vogliamo... che il voto popolare gli accetti capi. La repubblica è la forma logica della democrazia [6]».
10. Ed ecco il principio di codesta teoria sociale: passiamo adesso a considerarne il termine, insistendo sempre all'idea luterana. Qual è il fine per cui opera la società? Niuno vive in società se non per esser felice, ed è questo lo scopo a cui la società dee condurre il cittadino. Or in che mai fate voi consistere la felicità? Nella vita avvenire? Ma la vita avvenire se voi la spogliate di quelli splendori di cui la circonda una rivelazione infallibile, se l'abbandonate alla ragione, alla rozza ragione di un popolo incolto ed abbrutito, diverrà ben presto non dico un dubbio, ma un oggetto di beffa. Nell'ordine presente? Ma che cosa è l'ordine se non accertate una verità che gli serva di base. Quando voi dite ordinata secondo le materie una biblioteca, voi presupponete una serie accertata di verità intorno alle materie scientifiche e letterarie; quando dite ordinata una società, presupponete delle leggi secondo cui certi atti sono ordinati, e i contrarî disordinati; ma se togliete ogni verità, divien impossibile perfin l'idea dell'ordine. Inoltre che cosa è l'ordine presente se non si conosce il futuro? È appunto quel medesimo che l'ordine delle cause disgiunte dagli effetti (giacchè il presente è causa del futuro). Or voi ben sapete che quando la nostra mente non congiunge gli effetti alle cause, l'andamento del mondo divien per lei quel tal disordine, o pazzia, che noi sogliamo indicare col nome di caso o fortuna, divinità cieca come voi ben sapete che va svolazzando a caso senza sapere dove il vento la porta. Ecco che cosa è l'ordine presente se lo separate dalla verità e dal futuro. Ridotto dunque il volgo al principio protestante nel credere, e spogliato per conseguenza delle idee di vita avvenire e di ordine morale, voi lo riducete necessariamente ad agognar solo i godimenti della vita presente all'interesse utilitario: e come nulla più crede alle verità spirituali, così nulla più può bramare se non interessi e voluttà materiali. Voi conoscete a fondo la feccia di quelle società sciagurate ove il comunismo freme e minaccia, dite voi se questo quadro del volgo incredulo possa dirsi esagerato!
11. Ma quando lo scopo delle tendenze umane è concentrato nel fango di questa terra, e a questo fango la ragione abbrutita chiede mendica la sua felicità, egli è evidente che ogni legge dell'individuo dee derivarsi dall'individuo medesimo che sente il piacere, e terminare nel procacciarglielo. E come mai potreste voi senza un elemento di piacere persuaderlo ad operare, dopo avergli inculcato che naturalmente egli non opera, nè deve operare se non per ottener godimento?
È questa, come voi ben sapete, la teoria degli utilitarî, professata apertamente dall'empietà di quei razionalisti che sotto la guida dell'Elvezio, del Bentham, del Gioja, svilupparono nell'ordine morale il principio luterano. Or chi non vede che data l'utilità per base alla morale, il dritto universale di suffragio ne è legittima conseguenza? «Chi altri fuor di me può conoscere ciò che mi riesce di godimento o di pena? Non tocca a voi il dirmi se io son più felice quando m'inebbrio di vino o di voluttà, di gloria o di potenza: a voi parrà più felice un grande sul trono, ubbriaco d'incensi, a me un Anacreonte alla bettola che rallegra la canizie col vino: e se ho dritto come voi ad esser felice posso procacciarmi il vino a qualunque costo, come voi a qualunque costo vi procacciate il comando: e posso distruggere la forza che mi chiude la bottiglia, come voi quella che vuole spezzarvi lo scettro. E siccome i dritti di natura sono uguali in tutti; siccome tanto ho dritto io alla mia felicità, come voi alla vostra; qualunque governo ove questo dritto non sia rappresentato, è governo contro natura, è oppressione, è tirannia.»
12. Come vedete il dritto universale di suffragio decorre fil filo dalla dottrina protestante, sia perchè distrugge negl'intelletti ogni comunanza di verità e di dritto, sia perchè incarna nel godimento materiale tutto individuale e concreto la grande idea motrice dell'uom morale, la felicità. Basterebbe per me la sola considerazione di questa genealogia per render sospetto, sia pur blandito da molti, il famigerato sistema del suffragio universale. Ciò non ostante siccome quelle sentenze che invadono tutta una generazione sogliono avere or da sofismi ingannevoli, or da apparenze di fatto il salvocondotto; così non vi sarà discaro che esaminiamo d'onde muova a' dì nostri la riputazione di giustizia e verità con cui si fa innanzi codesto fantasma germe mascherato del comunismo.
13. Il chiarissimo avvocato Garbarini assume qual lemma innegabile il dritto comune al suffragio, senza confortarlo d'alcun argomento. Converrà dunque raccoglierne d'altronde le prove le quali possono considerarsi in due sistemi opposti, l'eterodosso e l'ortodosso. Il protestantesimo germe del Panteismo ed Ateismo moderno, volendo formare una società senza Dio immaginò quelle dottrine del patto sociale che sviluppate dall'Hobbes e dal Rosseau, condussero la società protestante al dispotismo ed all'anarchia. Secondo codesto sistema l'uomo affrancato da ogni legge trovasi affrancato ugualmente da ogni dover sociale, non essendo la società parto di natura, ma fattura arbitraria dell'uomo: il quale incontratosi con altri suoi simili, e venendo con essi liberamente a patti, si obbligò a vivere in società, ne determinò le condizioni, ne creò l'autorità, ne organizzò le forme, e finalmente ne investi a suo libito questa o quella persona: in questo sistema è evidente che l'elezione dei governanti appartiene essenzialmente ai governati. Ma parlando questo scritto a persone almeno mediocremente istruite, crederei di recare un'ingiuria al mio lettore supponendolo tuttavia irretito nelle ambagi e nelle assurdità del secolo di Gian-Giacomo, dopo che, non dico i cattolici, ma i più liberi pensatori eterodossi han cominciato a deridere codesto sogno che snatura l'uomo e la società. Dar per base al suffragio universale un patto universale, cui niuna storia registrò mai, cui la natura umana rende impossibile, non potendosi patteggiar società senza lingua comune, nè parlar lingua comune senza essere in società; dare, io dico, tal base al suffragio universale egli è fabbricare un castello in aria con opera di romanziere, tollerabile nel secolo scorso quando tutte le scienze morali erano romanzo, ma oggidì non tollerabile da uomo assennato in un secolo che tanta severità pretende negli studî sociali.
14. Non così il sistema adottato in altri tempi da molti e valorosi pubblicisti cattolici: i quali per contrastare alle tiranniche conseguenze che i pubblicisti protestanti deduceano dal dritto divino con cui governano i principi, contrapposero alle costoro esorbitanze una sentenza che molto si accosta al puro repubblicanismo, e che può ridursi in sostanza al seguente discorso.
«Se l'uomo è naturalmente sociale, volontà del Creatore dovette essere ch'egli vivesse in società. Or società senz'autorità non può darsi: volere ed opera del Creatore è dunque l'autorità come la società. Quest'autorità peraltro dovendo per legge di natura governare gli uomini è pur mestieri che sia posseduta da qualcuno: or bene qual è quell'individuo che venne investito da natura di tal dritto supremo? Trovate voi in natura un qualche elemento per cui questi comandi, quegli obbedisca? Mai no: la natura è uguale in tutti e tutti ci costituisce fratelli. Se dunque nella società esiste un'autorità reale ed operatrice, questa deve trovarsi ugualmente in tutti gl'individui associati. Vero è che non essendo possibile che una gran moltitudine realmente governi, conviene ch'essa elegga i governanti, e in loro deponga l'autorità. Il dritto di eleggere appartien dunque per natura a ciascuno individuo umano.»
15. Non mi accuserete, lettor cortese, d'aver affievolito l'argomento della sentenza opposta; nè dei molti che ne ho letti alcuno mai ne rinvenni più gagliardo di questo e più appariscente. Ciò non ostante chi ben vi mira lo trova assai più fiacco che a prima vista non sembra, e basterebbero solo quelle ultime parole da noi recate nella conchiusione di tutto il raziocinio per farne comprendere la debolezza, Vero è che etc: perocchè chi potrà mai credere essere legge e dritto di natura ciò che riesce ineseguibile in fatto? Ma di questo direm fra poco: vediamo per ora dove sta il vizio dell'argomento poc'anzi arrecato. Non sarà difficile il ravvisarlo per poco che vogliate assottigliare lo sguardo a ricercarne i difetti. Rileggete il primo argomento, e vedrete che parla della società nella sua idea astratta od universale, ed afferma con pienissima verità niuna società poter esistere senza autorità. Ma poi come seguita? L'autorità, dice, non può governare se non posseduta da qualcuno. Come vedete qui si passa dall'astratto al concreto, giacchè la società in astratto noi la consideriamo sempre governata dall'autorità in astratto, ed anzi è linguaggio ordinario di chi parla scientificamente, il prescindere dai possessori particolari, sieno monarchi o ottimati o democrati. Quando dunque si parla di chi possiede l'autorità, già siam passati dall'astratto al concreto, dall'ideale al reale.
16. Ma nell'ordine reale, nel concreto può egli proseguirsi ad ammettere ciò che affermasi nella continuazione del raziocinio riferito? decidetelo voi stesso, lettor filosofo: «Niun elemento dice può trovarsi in natura per cui questi comandi, quegli obbedisca.» Davvero? Nella natura dell'uom concreto voi non trovate ragione alcuna per cui questi comandi, quegli obbedisca? Ma in tal caso a che proposito tanto si è scritto e tanto si scrive in favor di questo o di quel governo? Sulla legittimità di questo o di quel Principe? sulle doti necessarie a ben governare? se niuna ragione presentano gl'individui concreti per cui questi comandi, quegli obbedisca, converrà dire che o la natura non ci suggerisca alcun motivo per mettere al governo i più sapienti, ovvero non si trovi naturalmente in certi individui una sapienza maggiore che in altri [7]. Qual delle due proposizioni avrete voi il coraggio di sostenere? la prima? Oh sarebbe curioso davvero che in questo secolo in cui tanto si parla di riforme civili e di dritti dei popoli illuminati a governar sè medesimi, si negasse che la natura vuol che governino i più sapienti. Non potendo abbracciare la prima proposizione dovrete sostener la seconda: che tutti gli uomini posseggono una egual sapienza civile, che tutti siamo altrettanti Licurghi, altrettanti Numa, altrettanti Carlimagni, altrettanti Napoleoni. Se così la pensasse taluno, deponga pur questo scritto che non fa per lui. Ma se ogni lettore prudente riconosce qual legge costante di natura la disuguaglianza fra gli uomini nell'ordine della realtà, egli comprenderà ad evidenza quanto sia erronea l'argomentazione che stiam confutando. Verissimo, che se io considero l'idea universale di società composta della idea universale d'uomo (natura umana astratta) replicata milioni di volte, non troverò mai in questa idea, benchè replicata, altri elementi che i caratteri essenziali della umanità; non troverò che milioni di animali ragionevoli tutti uguali, vale a dire tutti ugualmente uomini. E in questa società così astratta ben può comandare l'autorità astratta; onde io dico con tutta proprietà di linguaggio; «l'autorità governa la società.» Ma quando io cesso di contemplar l'idea astratta, e mi volgo ad una moltitudine d'uomini, ben veggo che l'autorità per governarli dee personificarsi in qualche intelligenza reale: ma veggo nel tempo stesso una immensa disparità, fra le intelligenze associate, per cui quanto potrà essere ragionevole che l'autorità venga posseduta da un Ulisse, tanto sarebbe ridicolo l'affidarla ad un Tersite. Se dunque è naturale fra gli uomini l'esservi dei Tersiti e degli Ulissi, è contro natura nell'ordine concreto che tutti indistintamente governino.
17. La qual conclusione, come è conformissima alle leggi di buona logica, così difende la madre natura da un'accusa che nel sistema contrario intentar le si potrebbe ragionevolmente: «e come mai, direi io alla madre natura, avete voi commesso l'enorme farfallone di porre l'autorità sociale in mano di tutti, mentre non solo è riconosciuto ab antico che il governo delle moltitudini è più imperfetto di ogni altro (lo asserivano Anacarsi ed Aristotele, e ne avean d'onde), ma si confessa dai moderni che nelle grandi nazioni egli è impossibile quanto alle sue funzioni ed attribuzioni naturali?» Vero è che i sofisti politici, lo fanno possibile, scambiettando a loro solito, e dicendo ai popoli: con questa pallottolina in mano voi siete sovrano: ma se governare significa far le leggi, ed esigerne l'esecuzione, confessate, lettor mio caro, esservi gran differenza fra governare, ed eleggere chi governa. Non niego già che col dritto di elezione possa esercitarsi una qualche influenza sugli andamenti sociali, ma se tutto ciò che influisce in tal guisa dee chiamarsi governo, chi è più che non governi in questo mondo? Chi è che non influisca sulla società in qualche modo? Quando si abusano sì stranamente i vocaboli, non vi è più ordine d'idee in questo mondo che non possa venire alterato e pervertito.
18. Permettetemi dunque lettor cortese che io mi rimanga col vocabolario antico distinguendo l'eleggere dal governare: del primo parlerem fra poco: in quanto al governare credo aver dimostrato abbastanza non esser funzione assegnata dalla natura a tutti gl'individui umani, anzi doversi dire di questa come d'ogni altra funzione sociale, immenso divario correre fra gl'individui, e per conseguenza fra le condizioni umane, dalla cui armonica distribuzione tutta dipende la perfezion sociale.
19. Ma se tutti non sono naturalmente sovrani, a chi toccherà dunque naturalmente la sovranità?
Capisco che questa diffìcoltà dee spontaneamente affacciarsi ad ogni lettore intelligente, ma appunto perchè intelligente egli vedrà quante altre idee sussidiarie dovrei chiarire per distrigar questa matassa con quella aggiustatezza che piace agli assennati. Ben potrei schiccherarvi con quattro frasi da gazzettiere venti o trenta idee equivoche che nulla concluderebbero. Ma amo assai meglio riserbarne ad altra volta una posata trattazione, contentandomi per ora d'avere dimostrato impossibile il governo di tutti, dal quale si vorrebbe dedurre il gran diritto di suffragio universale. Essendo falso che questo dritto universale al governo venga prescritto dalla natura, la conseguenza che si vorrebbe dedurne in favore del dritto universale dei popoli nell'elezione dei propri governanti cade e vien meno.
20. Veggo per altro che il dritto universale d'eleggere i propri reggitori potrebbe forse ripetersi da qualche altro principio «sia pure, potrebbe dirmi taluno, tutti non son capaci di governo. Ma tutti son capaci ed hanno dritto di esser felici. Se ognuno ha questo dritto, ognuno ha pure il dritto ai mezzi conducenti a tal fine.» Or chi non vede qual mezzo efficacissimo di pubblica felicità venga offerto alla società, quando ciascuno degli associati non solo può rimostrare i proprî bisogni, ma può costringere col suffragio alla mano i suoi governanti a venir seco ai patti e rendergli conto dell'operato? Anche questo argomento suole avere gran forza sugli animi leggieri ed incauti; anzi anche persone assennate pongono in questo la guarentigia inestimabile della libertà costituzionale [8]: nè per quanto sia finora restio il fatto a comprovare codesta teoria, si depone la preoccupazione e la speranza di successo. Persuaso come è l'uomo naturalmente di quel dominio ch'egli ebbe nell'universo per investitura del Creatore, si dà a credere agevolmente essere a lui così facile l'ottenere come il volere: e poichè egli vuole esser felice, s'immagina che giungerà all'intento tosto ch'egli possegga una qualche influenza su gli andamenti sociali. Perlochè il governo in mano dei più sapienti vien da lui riguardato non qual mezzo, ma quale ostacolo alla propria felicita. «Vorrei sapere, dice egli, vorrei sapere perchè l'essere marchese o magistrato, avvocato o capitalista, professore o negoziante darà dritto a voi di ottenere per mezzo di un rappresentante la vostra felicità; ed io, povero proletario dovrò starmene alla vostra porta a raccoglierne le poche briciole cadute dalla mensa legislativa. Anche a me, anche a me una pallina in quell'urna, e vi farò veder io come cangiano le sorti del mondo: questo è giustizia, questo è uguaglianza avanti la legge.»
21. Giustizia!! Uguaglianza!! .... Lettor mio cortese, sognereste voi mai con costoro? Se così la pensate permettetemi che io vi preghi di cangiar meco gli abiti; il vostro sia per me, il mio per voi: giacchè se siamo uguali il cambio non può disconvenire: questo è giustizia. Voi avete figli e moglie e lavorate per mantenere e questa e quelli: ma qual giustizia che voi lavoriate per loro? lavorino anche essi colle loro braccia come mangiano colla loro bocca. E quegli infermi negli spedali perchè non si curano da sè medesimi? E quei ragazzi negli orfanotrofi e nei collegî, perchè non si educano e non s'istruiscon da sè?
Che ve ne pare lettor mio caro? Se tutti abbiam dritto a procacciare la nostra felicità ugualmente, chi può negare che abbiam tutti il dritto a vivere colle nostre fatiche a medicarci coll'arte nostra, ad educarci ed istruirci colla nostra intelligenza? –– «Facezie, facezie, direte voi in cuor vostro: altro è aver dritto, altro saperne usare: altro è aver mezzi, altro averli adatti al fine. Si sa bene che gli abiti debbono proporzionarsi alla statura, la fatiche alle forze, i sussidî ai bisogni, gl'impieghi alle capacità: e come potrebbe il fanciullo educarsi da sè, da sè curarsi l'infermo, da sè nutrirsi la famiglia? Qual figura farà il mio paletot sopra un nano o i pantaloni del nano su queste due pertiche che natura mi diede per gambe?» –– Qui dunque la giustizia non ha più luogo, a quanto pare; e il dritto di esser felice non porta il dritto di far da sè e di pareggiare gli altri: qui si ammette che l'uguaglianza di destino alla felicita non conduce all'identità di mezzi per conseguirla. Il paralogismo, non so perchè, vuol confinarsi solo negli ordinamenti politici: Oh qui sì, tutti han dritto ugualmente a comandare, perchè tutti l'hanno ugualmente ad esser felici: come se l'abilità politica, la grand'arte di conoscere e maneggiare gli uomini e le cose fosse così universale nel genere umano, come la brama e il dritto di esser felice: come se fosse più facile governare una società senza civil sapienza, che curare un infermo senza arte medica, o imparare una scienza senza maestro. E chi non vede che in tali materie la perfetta uguaglianza è l'apice della ingiustizia? Che l'attribuire a tutti gli stessi stromenti può riuscire ad impedimento del fine quando tutti non hanno le stesse forze? Se codesta curiosa norma di giustizia entrasse nel commercio, o nelle arti, sapete che ne vedremmo delle curiose?
Il falegname, il fabbro invidierebbero tosto i delicati stromenti del cembalaio e dell'orologiaro: «Siamo uguali; perchè non dovrò io usare quelle seghe sì gentili, quelle mollette sì delicate invece dei badiali stromenti a cui mi si incallisce la mano. Siam fratelli, soggiugnerebbe lo spaccapietre allo scultore; imprestatomi i vostri scalpelli per cavar macigni nel monte. Siam fratelli ripiglierebbe l'imbianchino e chiederebbe al miniatore i suoi pennelli per riquadrar le camere.» Voi stesso lettor cortese verreste alla nostra tipografia con una piastra per comprarvi un libro: «oibò oibò vi risponderei io, l'uguaglianza dei contratti non lo permette: se volete un libro datemi un libro simile, ma se mi date una piastra, ve ne restituirò un'altra simile:» indarno strabiliereste voi nel persuadermi che chi vuol legger abbisogna di libri, chi vende di quattrini: «giustizia giustizia, continuerei io a gridare, uguaglianza, uguaglianza.»
22. Il che se vi parrebbe sempliciaggine piuttosto da stupido che da idiota, come potrete voi giustificare l'asserzione di coloro che credono aver pareggiati i sudditi avanti la legge, quando a tutti hanno accordato una ugual pallottola da gittar nell'urna? Oh sì, m'avete fatto un bel regalo! quanto a me povero babbeo, il più gran dabben uomo che mai portasse stivali o cappello, a me che me ne sto chiuso in camera ignaro ed ignorato senza conoscere nè elettori nè eligibili mettete in mano quella pallottola con cui un intrigante farebbe miracoli come il giuocator di bussolotti, ma io non saprò far che spropositi, dando forse il voto a chi è disposto a vender me, la mia famiglia, la mia parentela, la mia città, la mia provincia, forse tutta la mia nazione per ottenere un portafoglio o una borsa d'oro! E quel che accadrebbe a me, notatelo bene, accadrebbe a mill'altri, giacchè la semenza di baccelli, lo sapete, è fecondissima.
Eh intendiamolo una volta: la giustizia sociale sta nelle proporzioni e non nell'uguaglianza numerica; e come il sommo della Giustizia divina spicca nella disuguaglianza delle condizioni umane, così il distruggere codesta disuguaglianza senza aver prima distrutta la disuguaglianza degli esseri è il sommo dell'ingiustizia umana. Parificate prima gl'ingegni nei cervelli, le forze nelle braccia, il numero nelle famiglie, le ramificazioni nei casati, le influenze nelle professioni, l'ampiezza nelle relazioni, e poi venite a parlarmi della giustizia nel suffragio universale. Lo so che nel popolo che misura la giustizia colla spanna o colla stadera, materiali al par di lui, questa parità di dritti politici colla quale egli ha il bel diritto di farsi menar pel naso dal primo chiacchierone di club che gli prometta l'eldorado e la cuccagna, sembra un trovato ugualmente nuovo e beatifico: nè può andare altrimenti, non essendovi bipede così gonzo, che non si creda nato fatto per governar l'impero anco di Carlo Magno. Ma voi, lettor prudente, che avete altra misura morale che la stadera o la spanna, consentitemi che l'accordare a tutti ugualmente il suffragio gridando «ecco pareggiate le sorti» egli è proprio come dare a tutti scarpe ed abiti uguali, gridando: «eccovi tutti ugualmente ben calzati e ben vestiti!»
23. Dal che capirete per qual motivo l'esito degli sperimenti finor tentati riuscì sempre ritroso; e più si crebbe l'universalità del suffragio più si pianse dalla società. Dalla monade colossale del gran Re fino al comunismo di Proudhon la società non ha fatto altro che allargare continuamente la bocca dell'urna elettorale, e codesta urna scoperchiata ha rovesciato sulla società un torrente da disgradarne l'urna di Pandora: dall'unico re la società passò al predominio dei parlamenti monarchici; «troppa monarchia!» gridò dal basso l'orgoglio, e si adunaron gli Stati: «troppa aristocrazia!» replicò un orgoglio inferiore e i tre Stati si unirono: «troppo privilegio!» continuò un altro orgoglio dopo la parentesi dell'impero, e nacque sulle barricate il Re cittadino: «abbasso l'aristocrazia finanziera» tornò a gridarsi, e s'ampliò a sei milioni l'urna elettorale: «governi anche la donna!» predicò S. Simon, e si tentò di dare il comando anche al sesso più debole: «non più governo!» sclama oggi il Proudhon, [9] giacchè ognuno è sovrano. Che altro vi rimane? Una sola ampliazione ci manca e, non dubitate, giungeremo anche a questa: «non più fanciulli, non più bambini, non più pazzi, non più cretini: tutti siamo uomini, tutti abbiam dritto alla felicità, tutti abbiamo un modo particolare di sentirla e possederla; tutti dunque abbiamo ugual dritto al comando.» Ecco l'ultimo termine a cui mira la teoria del suffragio universale: dissoluzione universale della società, abbandono dei miseri alle frodi dei raggiratori, abbandono dell'ordine alla violenza dei forti. Vedendo che talun di costoro trova il modo di abusare in danno dei meschini la potenza sociale che dovrebbe aiutarli, si è trovato il bello spediente d'abolire codesta potenza, riducendo ciascuno alle sole forze individuali della sua ragione e del suo corpo. Così al dabbenuomo che resta oppresso, il furbo, il prepotente ha potuto imporre il giogo tirannico dei suoi soprusi, aggiungendovi per soprassello l'amara derisione: «sei libero: mi eleggesti tu stesso a tuo rappresentante: debbo procacciare il tuo bene, e proteggere i tuoi interessi.» Ecco ciò che si chiama la giustizia sociale del suffragio universale.









I libri Delle Cinque piaghe... e La costituzione... di Antonio Rosmini furono condannati dalla Sacra Congregazione dell'Indice con Decreto 30 maggio 1849: Rosmini si sottomise, ammettendo così almeno pubblicamente i propri errori.




Il frontespizio della traduzione francese dell'opera in due volumi del Padre oratoriano Augustin Theiner; i partigiani del Rosmini, per difendere una teoria condannata dalla Chiesa, si sforzano di screditare sia quest'opera sia il suo autore, ma a noi basta il giudizio positivo che ne dà il dotto e pio Padre Taparelli.


Gian-Giacomo Rousseau fu l'autore del Contratto (o Patto) sociale.








NOTE:

[1] Age libertate decembri: Horat.
[2] On voudroit soumettre l'Église au régime constitutionnel comme l'État. Les affaires spirituelles devroient se traiter par députés en assemblées générales, et se décider à la majorité des voix. Le système électif s'appliqueroit à la nomination des évêques, des curés, ecc: (Giornale istorico di Liegi tom. XVII lib. 1, pag. 28, primo maggio 1850.)
[3] pag. 182.
[4] Citato dal Theiner pag. 151
[5] Il dottissimo Filippino ci dà speranza di pubblicare in copie fedeli tutti i voti dei Padri tridentini in tal materia; la pubblicazione non potrebbe essere più opportuna massime ai giorni nostri.
[6] Santa Alleanza dei popoli § VI.
[7] Egregiamente il Rosmini: «La democrazia pura, la quale chiama ciascuno ad influire egualmente col suo voto nelle deliberazioni pubbliche, in parte è fondata sul preteso principio, che tutte le intelligenze sono uguali. Or questa è una supposizione evidentemente falsa, smentita dalla natura universale delle cose: ed un governo che si fonda sopra un errore di fatto ha pure in sè un vizio radicale; perocchè egli è impossibile all'uomo di oppugnare artificiosamente la natura, o di fingersi essa natura diversa da quello che ella è. Di qui avviene che il governo democratico puro, che sembra in apparenza il governo di tutti, non è mai nel fatto altro che il governo d'un partito; cioè del partito de' meno intelligenti, essendo certo che i meno intelligenti in qualsivoglia nazione formano la maggioranza. E tutto ciò è pienamente vero, senza contare l'altro inconveniente della democrazia, che la maggioranza de' meno intelligenti che governa, vien facilmente maneggiata a proprio particolar profitto da pochi demagoghi più intelligenti, e più avveduti di essa» –– (Rosmini opere. Napoli 1842. Filosofia della Politica –– Libro II cap. XVII. Come il cristianesimo salvò le società umane rivolgendosi agl'individui e non alle masse. Nota 2.a pag. 193 e seg.)
[8] Vedi lo Statuto di Firenze 20 aprile.
[9] Voix du peuple 22 e 28 gennaio 1850.