sabato 4 agosto 2012

Le verità sulle vicende "Risorgimentali" nel Regno delle Due Sicilie(1860-1861):(Parte 40°): I soldati napoletani nello Stato Pontificio

Soldati Napoletani


Voglio ricordare che tale documento e stato scritto da un testimone dei fatti,quindi data la preziosa importanza del testo ne consiglio un attenta lettura.




La notte del 4 novembre, Persano molestò i borbonici accampati sotto Gaeta: profittando del buio della notte si mettea sotto Castellone, a tremila e cinquecento metri di distanza, e facea trar cannonate, che recavano lievi danni.
Dal mattino del 5 novembre, il generale Cialdini cominciò a mandar messi per indurre i Borbonici a capitolare e cedergli Gaeta. Sulle prime ebbe negativa assoluta, ma come dirò tra non guari, si discusse se fosse stato utile di far capitolare soltanto le truppe accampate in Montesecco.
Il tenentegenerale Casella, ministro della guerra, era allarmato per tanti soldati fuori Gaeta, i quali viveano con le provviste della Piazza; e quindi venne nella determinazione di dare il congedo a tutti coloro che avessero voluto ritornare alle loro famiglie. I soldati furono all'uopo interrogati, e pochissimi furono quelli che dichiararono voler lasciare il servizio del Re. Questa misura però scosse la morale disciplina,
perché il soldato si convinse che il battersi non sarebbe stato più utile alla causa che difendeva.
Varii influenti e distinti uffiziali si adoperarono a risollevare lo spirito della truppa e vi riuscirono.
Il Cialdini si negò recisamente di far passare i soldati per ritornare alle loro famiglie.
Intanto il solerte generale Bertolini, capo dello Stato Maggiore, si avvalse del capitano de' Torrenteros pel collocamento di più battaglioni in avamposti. Al Torrenteros si unirono il 1° tenente Rammacca e l'alfiere Fiore dello stesso Stato Maggiore.
Lo stesso giorno 5, il Re chiamò dentro Gaeta tutti i capi di corpo; ed appena costoro si erano riuniti in una sala del Palazzo reale, corse voce che i Piemontesi si avanzassero contro Gaeta. Tutti si affrettarono a raggiungere i loro soldati; e il generale in capo Salzano corse pure col suo Stato Maggiore per dare gli ordini opportuni.
I piemontesi però non si erano mossi da Mola. Dallo stesso Salzano fu incontra to un parlamentare piemontese, il quale gli domandò, a nome di Cialdini, se fosse vero che i Borbonici volessero capitolare; nel caso affermativo, dicea, avrebbero con dizioni vantaggiose, invece se fossero stati costretti a rendersi, Cialdini non avrebbe accettato alcun patto. Salzano si mostrò sorpreso a questa domanda che si accompagnava con una minaccia; purtuttavia scrisse a Cialdini, e gli disse che gli abbisognavano 24 ore di tempo per valutare le sue forze ed i suoi mezzi, ma che non avea alcun potere sopra Gaeta.
Siccome il ministro della guerra insisteva sempre di liberare la Piazza da tante bocche, le quali consumavano le provviste bisognevoli pel futuro assedio, si pensò di far capitolare le sole truppe che si trovavano fuori Gaeta.
II6 novembre, un altro messo arrecò un'altra lettera del generale Fanti, il quale scriveva in qualità di capo dello Stato Maggiore del Re, V. Emmanuele. Quella lettera era diretta a Salzano, e lo avvertiva che il generale de Sonnaz si sarebbe recato a Montesecco per trattare la capitolazione secondo le basi dichiarate dal generale Cialdini. I generali belligeranti si riunirono conducendo secoloro alcuni individui del rispettivo Stato Maggiore, ma nulla conchiusero.
I Piemontesi pretendeano una capitolazione generale inclusa Gaeta; i Napoletani voleano capitolare, come ho detto, per que' soldati solamente che si trovassero in Montesecco. Fa maraviglia come i Piemontesi avesse potuto mandare de Sonnaz per trattare della capitolazione, dopo tutte quelle imprudenze che avea commesse in Terracina!
Ad onta del desiderio del ministro Casella e delle sue giuste osservazioni, i battaglioni fuori la Piazza rimasero al servizio del Re: Salzano fece conoscere a quel ministro la convenienza di ordinare che tutti i soldati entrassero in Gaeta. La proposta di Salzano non ebbe momentaneo effetto.
Casella persisteva a voler dare i congedi a' soldati, ad onta che fosse a di lui conoscenza che i Piemontesi non avrebbero fatto passare alcun congedato, perché era nel loro interesse affamare Gaeta.
Divenuta necessità che la truppa di Montesecco dovesse rimanere al servizio del Re, fu divisa provvisoriamente nel seguente modo. Al Borgo fu destinato il 15° cacciatori comandato dal colonnello Pianelli; a' Cappuccini e sul colle Lombone il 14° e il 3°; quattro compagnie leggiere svizzere, comandate dal capitano Hess, giunte la notte precedente passate quasi in mezzo a' nemici, essendo state tagliate fuori, furono destinate a Torre Viola. Il 4° fu destinato al Camposanto all'altura di colle Atratina. Il 2°, 7°, 8°, 9° e 10°, erano accampati sul piano di Montesecco. I cacciatori a cavallo erano divisi in diversi luoghi, e la maggior parte sperperati nel Borgo. Comandava queste truppe il brigadiere di cavalleria Sanchez de Luna. Le batterie n°11, e 13 entrarono in Gaeta: nel campo rimasero quattro cannoni della batteria n°10, collocandoli due sul colle de' Cappuccini e due nel Borgo.
Tutti i capi di corpo fecero sentire al Generale in capo, che non poteano guarentire se i soldati si fossero battuti come per lo innanzi, perché, in ragione del promesso e poi negato congedo, perduta essi aveano la fiducia della possibile vittoria.
I Piemontesi, con un cannone di grosso calibro rigato, dalla cappella Conca, trae vano colpi contro la truppa accampata in Montesecco. La Piazza non rispose, perchè i proiettili de' suoi cannoni non giungeano sino alla batteria nemica.
Spesso la notte, qualche nave sarda senza fanali si avvicinava al nostro campo per trarre de' colpi contro i soldati, e poi fuggiva a tutta macchina. Più di una volta la truppa fu obbligata a riparare su gli spalti della Piazza, e non pochi soldati sotto il cammino coperto. Però tutta quella inutile pompa di cannonate per parte del nemico, altro danno non arrecava che qualche soldato morto e pochi feriti. Un soldato fu ucciso perché ebbe l'ardire gittarsi su di una granata pronta a scoppiare per ismorzarne la miccia accesa.
Era stato destinato al comando del 14° cacciatori il maggiore Celio; costui trovandosi ammalato, avealo surrogato il capitano aiutante maggiore Antonini, il quale difendeva la posizione interessante di colle Lombone. Nelle ore vespertine dell'11 novembre, molti battaglioni sardi assalirono i Napoletani, e fecero tutti gli sforzi possibili per impadronirsi delle posizioni occupate da costoro; furono però respinti con perdite sensibilissime.
Verso sera il 14° cacciatori ebbe l'ordine di abbandonare la posizione di colle Lombone e scendere a Montesecco. L'aiutante maggiore Antonini benchè facesse delle osservazioni, come militare ubbidì senza aspettare che andasse altro Battaglione a surrogarlo. Rimasta abbandonata quella interessante posizione, che dominava le altre occupate da' Napoletani, i Piemontesi corsero ad impossessarsene.
Ne seguì un combattimento che ebbe tregua per l'ora già tarda, e fu differito per la dimani onde riprendere quella importante posizione.
Il Re, sempre tradito nelle informazioni, quando seppe la perdita di colle Lombone, destituì Antonini e il Capo dello Stato Maggiore Bertolini; informato meglio della condotta di costoro, clementemente annullò le destituzioni.
Quello stesso giorno 11, il generale in capo Salzano, scrisse al ministro della guerra e si dichiarò ammalato;
dichiarò pure che i generali Meckel, Barbalonga e Polizzy erano ugualmente infermi. Il Comando in capo di tutte le forze fuori Gaeta fu dato al brigadiere Sanchez de Luna, creando capo dello Stato Maggiore il maggiore Migy: tutti gli altri uffiziali di Stato Maggiore e di grado superiore erano stati chiamati dentro Gaeta.
Igenerali Colonna e Barbalonga erano corrucciati perché il ministro della guerra non volle farli entrare nella Piazza co' loro dipendenti, mentre la guardia reale, mal grado la condotta serbata il 1° ottobre, diceano essi, godea tanto favore.
Il ministro della guerra era anche corrucciato contro que' due generali, Colonna e Barbalonga, perché costoro si negarono ad eseguire il progettato diversivo negli Abruzzi, e che contro la volontà del ministero aveano condotte le loro brigate sotto Gaeta. Si asserisce che Colonna e Barbalonga, non avendo ottenuto di entrare nella Piazza, prorompessero in poco misurate parole presenti i soldati. Il certo si è che que' due Generali, che in tutta la campagna si erano ben condotti, vollero essere sciolti da' vincoli militari, ed avendolo ottenuto, abbandonarono il campo e ritornarono alle loro case.
Il Re, dolente della perdita dell'interessante posizione di colle Lombone, la sera dell'11 fece chiamare dentro Gaeta il distinto Capitano, sig. Sinibaldo Orlando, comandante la 3a compagnia del 14° Battaglione Cacciatori, e gli diede l'incarico di riprendere quel Colle. Nello stesso tempo chiamò anche il de Torrenteros, che situati avea gli avamposti, onde spiegato avesse i punti più interessanti e dimostrato i più lontani. Il Re lasciato avea in Napoli ogni cosa, e non avea seco una carta geografica di Gaeta ed adiacenza; avea però una copia in fotografia. Osservò con accorgimento ogni particolarità, e nell'imporre al de Torrenteros quell'attacco, gli ordinò specialmente recarsi a Torre Viola, estrema sinistra verso Terracina, ov'era il Capitano Hess comandante le quattro compagnie svizzere, e nel bisogno, disporre che ripiegassero sotto la protezione della Piazza. In breve dirò della bravura e della fine di quelle quattro compagnie e della morte del loro comandante.
Il Capitano Sinibaldo Orlando dopo di aver tutto disposto per riprendere la posizione lasciata dall'aiutante maggiore Antonini, pregò costui di far parte dell'attacco onde nominarlo tra i distinti, e così farlo reintegrare dal Re nel grado perduto. Antonini giudicando arrischiata e difficile la ripresa di colle Lombone volle andarsene sotto la Piazza in Montesecco.
Il Capitano Orlando alla testa della metà del 14° cacciatori, assalì con uno slancio ammirevole i Piemontesi sul colle Lombone, e dopo un sanguinoso combattimento, la mattina del 12, s'impossessò nuovamente di quella importante posizione, mettendo in fuga i nemici, e facendo 15 prigionieri piemontesi.
Quel Capitano in premio di tanto valore fu ringraziato dal Re e fatto Maggiore.
Si distinsero più di tutti in quell'attacco il Capitano Maresca che assalì i nemici senza esitare, ed i cacciatori Pitocco, Fagnano e Brandolino. Furono decorati 8 uffiziali e 600 soldati.
È troppo tristo rammentare che le reliquie di un prode e tradito esercito, nel giorno
che questo dovea per l'ultima volta difendersi in pieno campo e combattere a solo scopo di salvar l'onor della bandiera, e cogliere gli ultimi allori contro un nemico potente e fortunato, non si trovassero più duci, ma pochi giovani uffiziali; mente in quell'avanzo di prodi, l'Europa potè ammirare parecchi generosi che provarono mille volte il valor loro, e l'invalutabile loro attaccamento al giovin Re!
Ed osservate la solita contradizione de' rivoluzionarii. Costoro dissero tanto male contro que' valorosi che furono prodighi del loro sangue per difendere l'onore della armi napoletane, appellandoli co' più volgari ed odiosi nomi; quando però fece capolino il municipalismo tra gli stessi rivoluzionarii napoletani e piemontesi, quelli per abbassare la burbanza di questi, ricorsero a mettere innanzi i nomi de' loro compatriotti che gloriosamente aveano combattuto contro i Piemontesi, e che essi l'aveano dichiarati satelliti della tirannide e nemici della patria.
In effetti nel giornale Roma del 3 giugno 1868 leggo le seguenti parole nell'Appendice col titolo Italina, memorie postume di una giovanetta: «Restarono di gloria al vecchio esercito oltre i fatti interni di Gaeta: 1° lo spontaneo movimento pel quale i soldati, mal guidati dai generali, si raggranellarono dietro il Volturno, laceri ed affamati, ma pur chiedendo armi per combattere; 2°, il 26 ottobre, quanto l'avanguardia piemontese fu sopra la retroguardia dei napoletani, e questi la respinsero con gagliardia. Il 29 ottobre quando l'oste sabauda tentò il passaggio del Garigliano, e fu costretta con gravi perdite a ritirarsi; il 12 novembre, quando la stessa oste tentò prendere gli avamposti innanzi Gaeta, dal maggiore Sinibaldo Orlando fu ricacciata indietro valorosamente.»Intanto il governo riparatore, neppure volle riconoscere il grado di maggiore ad Orlando, ed altri gradi ad altri che acquistato aveano gloriosamente!
Il colonnello Enrico Pianelli, fratello del generale ministro della guerra, di avamposto all'estremità del Borgo, dopo di essersi recato nel campo piemontese col permesso dei suoi superiori per ottenere un passaggio, vi si era poi recato di nascosto; e la mattina del 12 novembre trovavasi in un caffè del suddetto Borgo assieme ad alcuni uffiziali piemontesi. Quel giorno dovea esservi tregua, perché si facea lo scambio de' prigionieri. L'oste sarda alle 9 del mattino assalì proditoriamente le posizioni occupate da' napoletani, facendo impeto contro il centro e contro la sinistra. Il Sanchez, che, come ho detto, comandava la truppa fuori Gaeta, corse con le forze che avea in Montesecco. Già il 4° cacciatori era alle mani col nemico, e soccorso dal 2° della stessa arma, gagliardamente lottava contro i nemici di gran lunga superiori in numero.
Pianelli, profittando della circostanza, ordinò che il 15° cacciatori, da lui comandato, scendesse dalle alture; lo schierò in battaglia col fronte al mare e col fianco sinistro al nemico, sicchè costui potè accerchiarlo. Pianelli, dopo di aver confabulato con un duce piemontese, dichiarò a' suoi dipendenti che deponessero le armi per compagnia, essendo già prigionieri di guerra. Soli otto uffiziali e 78 soldati, che si trovavano alla diritta, si salvarono dal tradimento del proprio comandante, fuggendo verso Gaeta.
Il tradimento del colonnello Enrico Pianelli arrecò maraviglia e tristezza; costui si era ben distinto in tutta la campagna militare del Volturno, e gli furono prodigati più volte meritati elogi de' superiori: volle suggellare la sua vita militare con la più turpe perfidia, e col più vile tradimento alla propria bandiera. Egli però nulla ottenne da' novelli padroni! Di lui potrebbe dirsi: un mal finir la vita disonora!Dopo il turpe tradimento di Pianelli, il campo napoletano rimase scoperto dalla parte occupata dal 15° cacciatori; quindi i Piemontesi facilmente assalirono il 3° Battaglione cacciatori sul colle de' Cappuccini; e questo non potendo far fronte a forze di gran lunga maggiori, ripiegò combattendo verso Montesecco. Sanchez ordinò di riprendersi la posizione del colle de' Cappuccini, e quel Battaglione ubbidì riprendendola con grandi sacrifizii, ove si mantenne fermo fino che non fu nuovamente oppresso dalla gran piena de' nemici; e sebbene accerchiato da per ogni dove, si aprì un varco con la forza, e si ritirò sotto la protezione della Piazza. Solamente tre compagnie, comandate dal maggiore Santacroce, retrocessero e vollero darsi prigioniere!
A Torre Viola, gli svizzeri combattevano con un accanimento eroico contro tre Battaglioni Piemontesi, ed arrecavano a costoro serii danni: ma erano decimati dalla fucileria nemica e dalla mitraglia. La mancanza dell'artiglieria borbonica, che il generale Rodrigo Afan de Rivera non volle mandare al Capitano Hess, contribuì ad un eccidio veramente crudele. Era una disgrazia! Non pochi de' Generali napoletani doveano sempre contribuire ad agevolare i nemici, ed i loro ordini essere sempre fatali a' Borbonici.
In quel massacro fu ucciso tra gli altri il prode Capitano Hess comandante di quelle quattro compagnie svizzere: soltanto 130 soldati ed un uffiziale si sottrassero alla morte ed alla prigionia. E quando la sera stessa di quell'azione guerresca, il Re chiese conto al de Torrenteros che diretto avea la difesa di Torre Viola delle quattro compagnie svizzere, costui additando i 130 individui di truppa e l'uffiziale, già in riga al largo Conca di Gaeta, ecco, gli disse, o Sire, me compreso, gli avanzi di quelle massacrate compagnie....!Il 4° e il 14° cacciatori, aiutati dal 10° e da quattro compagnie del 2° tennero fermo contro il nemico, ad onta dell'inferiorità del numero. Il 7° 8° e 9° Cacciatori combatteano dalla parte del Camposanto.
Quel giorno i Napoletani fecero sublimi sacrifizi di vero patriottismo e di bravura: ma rimasero sepolti nell'obblio, dapoichè combatteano una guerra infelice, e lottavano a solo scopo di salvar l'onor militare e quello della bandiera napoletana. Molti e molti che erano nati sotto il bel cielo delle due Sicilie, da veri Caini, deridevano e maledicevano que' generosi ed onorati figli della patria comune!
Il combattimento del 12 novembre durò circa 9 ore, i soldati napoletani erano stanchi e digiuni, e non aveano rinforzi, né attendeano alcun soccorso; mentre il nemico si presentava sempre fresco a battagliare su quel suolo difficile, e ripigliava la lotta con più vigore. Il generale Sanchez, avendo calcolato le circostanze de' suoi dipendenti e quelle de' nemici, prese gli ordini del Sovrano, e fece battere la ritirata di tutti i battaglioni che si trovavano alle mani col nemico.
I Piemontesi rimasero ne' loro posti, e non inseguirono i Napoletani che si ritiravano in bell'ordine.
Nella giornata del 12 novembre, i Borboni soffrirono molte perdite. Morirono tre uffiziali e settantuno soldati; de' primi ne furono feriti sette, de' secondi trentasei. I traditi o prigionieri furono 1020, cioè 34 uffiziali e 986 soldati.
La sera il re ordinò che i Battaglioni che si trovavano fuori Gaeta, entrassero tutti nella Piazza; e tutta quella guarnigione sommò a 19700 soldati, 1770 uffiziali, e 1080 tra muli e cavalli dell'esercito. Il giorno 13 novembre cominciò l'assedio di Gaeta.
La sera del 12 novembre, una pattuglia Napoletana arrestò nel Borgo un aiutante del 15° Cacciatori assieme ad un soldato piemontese che l'accompagnava. Sulla persona dell'aiutante fu trovata una lettera del colonnello Enrico Pianelli diretta al tenente-colonnello Antonino Nunziante, comandante l'8° Cacciatori. Il Pianelli consigliava Nunziante a disertare al nemico col Battaglione che comandava. Di questa lettera, in altri tempi ed in altre circostanze, forse non se ne sarebbe tenuto conto; conciosiachè chi può impedire ad un disertore e traditore di scrivere dal campo nemico simili lettere? L'infamia deve cader sempre sull'autore di lettere siffatte, e non già su colui al quale sono dirette. Nonpertanto, ad onta che il tenente-colonnello Antonino Nunziante si era mostrato fedele e prode in tutta la campagna, essendo fratello del famigerato Alessandro, fu sottoposto ad un consiglio di guerra, dal quale naturalmente risultò innocente. Non occorrerebbe difendere più oltre la conosciuta lealtà del tenente-colonnello Antonino Nunziante; ma mi piace accennare un fatto che nessuno scrittore ha fin'ora menzionato, per dimostrare che ove possa far meglio rilucere la verità a difesa di un innocente lo faccio volentieri e con sommo piacere. Il Nunziante perché ammalato, con regolare permesso, avea lasciato il Battaglione di suo comando all'aiutante maggiore più antico, e sin dal mattino del giorno 12 era entrato in Gaeta per curare la sua salute, e si trovava in casa del suo amico Tanchi. Se altre mancassero, questa sola ragione sarebbe stata bastante per far conoscere ch'egli non aspettava quella lettera, e che nessuno accordo vi fosse tra lui e Pianelli. Erano quelli tempi eccezionali, ed un soverchio zelo dava sovente l'opportunità a sviste e disposizioni censurabili.
Nunziante uscì dalla Piazza perché non gli si volle ridonare il comando dell'8° Cacciatori, essendo di massima che tutti coloro i quali subivano consigli di guerra, anche assoluti, non più aveano comandi di corpi.

(Estratto dal libro di Giuseppe Buttà, Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta).