lunedì 11 giugno 2012

Omaggio al gen. Hermann Kanzler




Il 6 gennaio ricorre l’anniversario della morte del gen. Hermann Kanzler (1822-1888), che fu comandante supremo dell’esercito pontificio dal 1865 al 1870. Fedelissimo di Pio IX, consacrò la propria vita alla difesa e al servizio della Roma papale, anche dopo il 20 settembre. Il figlio Rodolfo (1861-1924) fu un importante archeologo e studioso di musica sacra, amico di Lorenzo Perosi.
Per i 150 anni della rivoluzione italiana, Benedetto XVI e Tarcisio Bertone non hanno speso una parola per ricordare il gen. Kanzler e i soldati di Pio IX. Solo l’Osservatore Romano, a firma del direttore Gian Maria Vian, ha citato Kanzler, ma per denigrarlo.
Tutta la famiglia Kanzler (il generale, la moglie Laura dei conti Vannutelli, il figlio Rodolfo, la sua la nuora Giulia dei marchesi Vitelleschi e il nipotino Ermanno) è sepolta al Verano, accanto alla tomba di alcuni zuavi, in una cappella che si trova da decenni in uno stato di completo degrado e abbandono.
Il Centro studi Federici, in occasione del 15° anniversario della sua fondazione (6 gennaio 1997), vuole ricordare la splendida figura del gen. Hermann Kanzler pubblicando la voce dell’Enciclopedia Cattolica a lui dedicata.
Kanzler Hermann – Generale pontificio e pro-ministro delle armi, nato a Weingarten presso Bruchsal (Baden) il 28 marzo 1822, morto a Roma il 6 gennaio 1888.
Cristiano esemplare ed ottimo soldato, intelligente e colto, fu una delle più nobili e cavalleresche figure della vecchia Roma papale. Superati gli liceali a Mannheim, entrò nel collegio militare di Karlsruhe rivelando attitudini ed amore per il mestiere. Portabandiera e tenente (25 maggio 1814), per non battersi in duello rinunziò alla carriera e si diede allo studio delle lingue ed ai viaggi, facendo mostra in diverse occasioni di raro sprezzo del pericolo.
Il 1 settembre 1845 potè finalmente essere ammesso in Bologna al servizio della S. Sede come cadetto. Preparatissimo nelle scienze militari e valente organizzatore, divenne sottotenente nella fanteria estera, combattè a Monte Berico (Vicenza) il 24 maggio 1848, ed unico ufficiale superstite, benché ferito, comandò sino all’ultimo la sua compagnia, meritandosi dal gen. Durando una menzione particolare.
Promosso tenente il 15 aprile 1849 e capitano il 21 giugno, funse da aiutante del gen. Zucchi, accorse tra fortunose vicende presso l’esule Pio IX in Gaeta e condusse a termine delicati incarichi segreti nelle provincie dello Stato pontificio in subbuglio.
Il 26 luglio 1850 fu scelto del gen. Kalbermatten come ufficiale d’ordinanza, e raggiunse ben presto il grado di colonnello (1 maggio 1859) di fanteria indigena. Lasciato in un primo tempo in disparte dal gen. De Lamoricière, che gli antepose il De Pimodan, sopportò anche questa prova con modestia e serenità.
Durante la campagna del 1860 nelle Marche e nell’Umbria seppe nettamente distinguersi fra tutti i suoi colleghi: presso S. Angelo /13 settembre) pervenire ad aprirsi il passo con una smilza colonna attraverso un’intera divisione avversaria, guadagnandosi la nomina a brigadiere generale (22 settembre); alla difesa di Ancona apparve dotato di esperienza, di valore e d’impavido sangue freddo, e fu partigiano fattivo della resistenza ad oltranza.
Di ritorno dalla prigionia in Genova, ebbe il comando d’una brigata, per divenire poi, giovanissimo, tenente generale e pro-ministro (27 ottobre 1865) al posto di mons. De Merode. Attaccatissimo a Pio IX e tanto profondamente benvoluto, stimato dagli stessi avversari del governo pontificio, generoso, calmo e riflessivo, godeva la piena confidenza dei sottoposti italiani ed esteri, anche per il temperamento militare e per la sua mentalità volta alla fredda e tenace offensiva.
Era, quindi, il più indicato per procedere a quelle radicali riforme dell’esercito ed studio di quei problemi di difesa che, imposti dai dettami della Convenzione di settembre, fecero dei volontari cattolici una rispettabile ed efficiente compagine bellica.
E lo si vide alla prova dei fatti: la definitiva repressione del brigantaggio nel Lazio meridionale (1864-66), fu seguita dalla valida resistenza opposta alle bande garibaldine nell’autunno1867, nonché dalla vittoriosa azione di Mentana (3 novembre). Venne poi la crisi finale del 1870: essa rappresentò per Kanzler e per i suoi, a giusta detta del Vigevano, un vero e proprio “dramma di psicologia militare”, fra spontaneo spirito di combattività sino al supremo sacrificio e disciplinata ottemperanza alle sovrane disposizioni, volte a ridurre lo scontro al minimo necessario per far constatare l’uso della forza.
Anche in quella strema occasione, le milizie pontifice condotte da Kanzler seppero imporsi al rispetto degli onesti combattendo ed obbedendo come un “buon esercito”, tanto da ottenere gli onori delle armi da parte degli assedianti.
Terminate le dolorose ed ardue trattative di capitolazione, e salutate le truppe partenti per la prigionia, il Kanzler non volle discostarsi dal fianco di Pio IX, che ebbe la ventura di assistere sino all’ultima agonia. Creato barone da Leone XIII, trascorse il resto dell’esistenza discorrendo e beneficando i suoi ex-soldati, e dedicandosi con successo a studi di carattere militare e di astronomia.
Gli si deve, fra l’altro, un obbiettivo “Rapporto alla Santità di N. S. papa Pio IX sulla invasione dello Stato pontificio nell’autunno 1867” (Roma 1868), nonché una importante raccolta di documenti personali e governativi assicurati all’Archivio Vaticano da mons. A. Mercanti nel 1932.
(Paolo Della Torre)

Fonte:

Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
(Fonte: Enciclopedia Cattolica, Vol. VII, col. 653, voce Kanzler)