mercoledì 6 giugno 2012

L’oscura luce di Napoleone

Il rivoluzionario amato da Hitler
 

(Da Il Domenicale dell’1 novembre 2003)
 
Su la Repubblica del primo ottobre è apparso, a firma di Jenner Meletti, un bell’articolo che documenta uno strano quanto fortunoso ritrovamento: decine di faldoni legati con lo spago rinvenuti in una intercapedine di palazzo Pampari, a Montecchio di Reggio Emilia. I faldoni contengono una minuziosa descrizione della gioventù del luogo, coscienziosamente redatta dai funzionari imperiali per adempiere alle pratiche previste dalla legge del 13 opoagosto 1802. Quello il giorno in cui Napoleone aveva prescritto la coscrizione obbligatoria. Chi non era sposato doveva presentarsi agli uffici circoscrizionali per essere schedato; i funzionari avrebbero deciso della sua attitudine alla leva (che durava venti anni). “Un fratello all’armata”, recitava il verdetto positivo.
Il “fratello” Napoleone -come tutti i massoni- agisce (così crede fermamente) con scientificità. L’imperatore si ripropone di diffondere la luce della ragione e della scienza (da lui incarnate) in tutta Europa. Per farlo deve combattere, e per combattere ha bisogno di uomini: 100.000 all’anno. La posta in gioco vale la candela: si tratta di liberare il continente dall’oscurantismo e dalla superstizione che, come noto, abbondano in tutte le chiese, specialmetne in quella cattolica. Il fine, non ci sono dubbi, giustifica i mezzi: "Eccitai tutte le emulazioni, premiai tutti i meriti ed allargai i limiti della gloria" (scriverà prigioniero a Sant'Elena). Le sofferenze e le ingiustizie patite per combattere sotto un vessilo che non è il proprio e per un fine che, spesso, è aborrito, vengono pomposamente definite: "allargare i limiti della gloria".
Napoleone vuole un'Europa unita in un impero di tipo nuovo: impero giusto, perché illuminato, retto con guida sicura da chi ritiene di essere prescelto dal destino, in quanto genio, a diventare guida morale e materiale dell’Umanità. La nuova capitale, Parigi, avrebbe dovuto soppiantare definitivamente Roma, simbolo di una vecchia e logora concezione di universalità (tanto Parigi avrebbe dovuto sostituire Roma, che a Parigi viene trasferito l’intero Archivio Vaticano, vale a dire la memoria storica dell’Occidente).
Napoleone non mette mai in dubbio di avere una familiarità tutta particolare con la ragione e con la verità. E’ così che, per conseguire il fine prefisso (la liberazione dei popoli), li porta letteralmente ed in fretta alla fine: li consegna alla morte dopo averli obbligati a seguirlo in guerra. Nasce con la Rivoluzione Francese e col suo geniale continuatore, quella leva obbligatoria fino ad allora sconosciuta. Pedaggio di sangue, verrà definita.
Illegalità ammantata di legalità, rapina vestita da scienza, smodata volontà di potenza perseguita in nome del progresso e della giustizia: l’imperatore non fa nulla senza documentare nel modo più scupoloso le proprie azioni di governo. Del provvedimento di strappare gli uomini alle loro famiglie per portarli a combattere sotto la bandiera francese nelle varie contrade di Europa, deve restare traccia. Ogni cosa deve avvenire alla luce del sole ed essere improntata a quello spirito di buona amministrazione che contraddistingue la passione per la scienza, compresa quella di governo, che caratterizza Napoleone.
L’aspetto che davvero differenzia l’invasione napoleonica da ogni altro tipo di occupazione militare è proprio questo: la scientifica metodicità con cui viene realizzata. E questo vale per la gestione degli uomini come per quella degli oggetti d'arte. Ad occuparsi del furto e del trasferimento a Parigi (capitale delle capitali) dei più splendidi capolavori d'Italia, accuratamente selezionati, è il matematico Gaspard Monge che, coadiuvato da pittori, scultori e musicisti, presiede la “Commissione per la ricerca degli oggetti delle Scienze e delle Arti”. Passate accuratamente al setaccio tutte le opere d'arte di chiese, palazzi, biblioteche e archivi, i pezzi di maggior valore vengono "scientificamente" imballati e prendono la strada di Parigi in carovana interminabile. Incedono imponenti, spettacolarmente collocati su cammelli e bufali maremmani per “conferire al convoglio un aspetto singolare e maestoso”.
La coscienziosa meticolosità prescritta per il trasporto degli oggetti di valore, caratterizza anche la condotta tenuta verso gli uomini. Sono usati come carne da macello, ma come carne da macello scelta e preparatata con cura. E così i faldoni riportano migliaia di minuziose descrizioni di tutti i candidati alla leva: nome, patronimico, statura, capelli, ciglia, occhi, naso, bocca, mento, segni particolari. Tutto deve restare a futura memoria.
A giudizio del direttore dell'archivio storico di Montecchio, Mario Bernabei, consultato da Meletti, "Con la Restaurazione podestà e prefetti al servizio del duca Francesco IV, fecero di tutto per nascondere la collaborazione col precedente Regno d'Italia dell'Imperatore. Per questo motivo qualcuno entrò nei Comuni e negli archivi della prefettura e raccolse i registri e le schede dei coscritti… e li ha murati a palazzo Pampari". Il discorso, a mio modo di vedere, convince solo in parte: se davvero i funzionari che avevano servito Napoleone avevano paura che restasse traccia del proprio zelo filoimperiale, perché non distruggere i faldoni invece di perder tempo e soldi per murarli? La risposta, penso, vada trovata nella speranza di quei funzionari di poter, in un futuro non troppo lontano, ritrovare le tracce di un governo tanto glorioso e tanto scrupoloso negli adempimenti amministrativi.
Se questa ipotesi è esatta, i prudenti collaborazionisti hanno avuto ragione: Napoleone ha effettivamente avuto degli emuli in Italia. I Savoia ed i governi liberali non hanno fatto altro che continaure (con maggiore e più dutatura fortuna) l'opera iniziata dal grade corso, a cominciare dalla persecuzione anticattolica per continaure con la coscrizione obbligatoria, sconosciuta ai governi preunitari. Solo che l'annessione del ducato di Modena e Reggio al Regno di Sardegna è avvenuta ben quarantaquattro anni dopo la caduta di Napoleone: un tempo forse troppo lungo per le aspettative di vita di allora. E i faldoni sono rimasti nascosti fino ad oggi.

Le imprese di Napoleone sono sempre dettate da ideali sublimi: l'imperatore agisce in nome della scienza, della diffusione dell'istruzione pubblica, dell'unificazione d'Europa, della realizzazione di un nuovo ordine, più razionale. A dire la verità, Napoleone agisce anche (ma questo non lo dice, lo afferma solo con i fatti e con i simboli) in nome di satana: sullo stemma del Regno d'Italia da lui fondato nel 1805 spicca un pentalfa (una stella massonica a cinque punte) con due punte rivolte verso l’alto e una sola verso il basso. Un’insegna satanica.
Qualcun altro seguirà quasi alla lettera le orme di Napoleone: Adolf Hitler. Ciò che Napoleone intende per "gloria", e cioè la perdita della vita per avere l'onore di servirlo e, quindi, contribuire alla diffusione del Progresso, ha molti punti di contatto con ciò che per gloria intende Hitler. Emulo e grande estimatore di Napoleone, anche il Fürer vuole unificare l'Europa: "Le generazioni che ci succederanno -afferma- considereranno indubbiamente con indifferenza l'unificazione dell'Europa che noi ci accingiamo a realizzare" e cadrà presto nell'oblio "tutta la fatica che faremo" (da Idee sul destino del mondo). Convinto che Napoleone rappresenti "la personificazione del rinnovamento morale" iniziato dalla Rivoluzione Francese, Hitler condivide con l'imperatore la certezza di stare dalla parte della scienza (“Un movimento come il nostro non deve lasciarsi trascinare in digressioni di ordine metafisico. Deve attenersi allo spirito della scienza esatta”; “La scienza non può mentire”) e la preoccupazione che lo stato gestisca in prima persona l’educazione dei giovani (e dei meno giovani): “Abbiamo intrapreso a educare questo popolo in modo da dargli un’educazione che inizi con la giovinezza per non finire mai. In avvenire, il giovane uomo passerà da una scuola a all’altra. Ciò comincerà col bambino per finire col vecchio combattente. Nessuno deve poter dire che ci sarà per lui un momento in cui sarà lasciato a sé stesso”.
Fra il rivoluzionario Napoleone ed il rivoluzionario Hitler le somiglianze non sono poche. Stranamente la storiografia non se ne è accorta e, mentre ha giudicato con straordinaria benevolenza le eroiche gesta napoleoniche, ha detestato quelle hitleriane. Vano cercare un barlume di coerenza.
E' capitato così (tanto per restare all'Italia) che solo dei ricercatori di nicchia abbiano messo in risalto l'epopea controrivoluzionaria delle insorgenze popolari contro le armate napoleoniche, mentre la corrente storiografica dominante le ha sistematicamente ignorate. Le ragioni del "progressista" Napoleone andavano preferite a quelle, cattoliche ed oscurantiste per definizione, degli italiani che le hanno combattute. La storiografia illuminata si è schierata compatta dalla parte dell'imperatore invasore magnificandone il genio militare ed amministrativo.
Bisogna dirlo: i funzionari imperiali hanno fatto bene a nascondere, a futura memoria, la mesta serie dei faldoni dei coscritti.

di Angela Pellicciari