domenica 3 giugno 2012

L'altro risorgimento

Di Angela Pellicciari ( Il Tempo, 11 agosto 2010)
Cantami, o Diva, l’ira funesta del Pelìde Achille”: gli aedi del nostro Risorgimento non si limitano a cantare le gesta “funeste” dei padri della patria. Cantano e basta. Ma cosa cantano? Libertà, indipendenza, democrazia, progresso e via continuando. Va avanti così da centocinquanta anni. E non ci siamo ancora stancati. Eppure, a forza di canti, l’ode si è fatta stucchevole. E molto ripetitiva. Soprattutto quando, anche grazie a chi scrive, sono ormai ben conosciute le vere gesta degli eroi risorgimentali.

Ieri ricorreva il bicentenario della nascita di Cavour, il vero artefice dell’Italia sabauda, ed Ernesto Galli della Loggia ha scritto un editoriale sul Corriere della Sera. Trasformatosi da più di un anno nel massimo cantore della nostra unificazione politica, Galli ha dato al suo pezzo il carattere, efficace, della lamentazione: ahi serva Italia! Tu che dimentichi i tuoi padri. Tu che hai scordato Cavour. Tu che da più di trenta anni non insegni più nulla ai tuoi ragazzi, più nulla che riguardi la storia del Risorgimento. Tu che nemmeno giri “un film serio su quel periodo”!

Forse Geremia aveva qualche motivo in più di lamentarsi. Purtroppo di filmati, rivisitazioni quotidiane sui tg, interi paginoni dei maggiori quotidiani italiani –per non parlare delle innumerevoli celebrazioni ufficiali-, abbondiamo. Sono poco seri? Bisogna ammettere che sì. Lo sono perché fanno retorica e non storia. Lo sono perché adulterano sistematicamente la verità dei fatti.

“Con quei frizzi, con quella festività onde egli sa abbellire i suoi discorsi”: così descrive l’allegra leggerezza del conte di Cavour il senatore Federico Scopis. Cavour era un maestro nell’arte dello scivolo: su tutto, su qualsiasi principio, su qualsiasi contraddizione, su qualsiasi fatto. Mirava al sodo: mirava all’obiettivo –all’apparentemente irraggiungibile obiettivo- che si era proposto. Difendeva a spada tratta la splendida eticità del Piemonte liberale e costituzionale. C’era, finalmente, anche in Italia uno stato degno dell’Inghilterra! Il primo articolo dello Statuto del costituzionale Piemonte definiva la religione cattolica “unica religione di stato”? E con questo? Agli occhi del conte il primo articolo non poteva certo mettere al riparo dalla soppressione l’esistenza degli ordini religiosi della chiesa di stato! Che infatti, nel 1855, iniziarono ad essere soppressi. Con quale motivazione? Con la semplice constatazione –così Cavour- che ostacolavano il progresso sociale, economico, artistico, agricolo, e perfino religioso della nazione. Alle elezioni de 1857 viene eletta in Parlamento una pattuglia di preti combattivi che avrebbero dato filo da torcere alla politica anticattolica? Basta annullare l’elezione. Perché? Semplice: per abuso di armi spirituali. Io voglio “che da queste accuse il clero sia purgato”: è con queste parole altisonanti che Cavour elimina dalla Camera avverasi pericolosi.

Il papa ed il clero denunciano la sistematica irrisione della sbandierata costituzione? Il codice di diritto penale varato nel 1859 impedisce loro di parlare, pena il carcere e la multa. E così l’articolo 268 punisce severamente i sacerdoti per colpe di “parole, di opere e di omissioni”. Per ogni infrazione 2.000 lire di multa e due anni di carcere.

In chiusa al suo pezzo, Galli ammette di “sentire fino in fondo una disperata nostalgia [di Cavour] e ripeterne con gratitudine il nome per trasmetterlo a chi in futuro si dirà ancora italiano”. Senza mettere minimamente in dubbio l’unità d’Italia, devo ammettere che anch’io ho una nostalgia: quella dell’Italia cattolica disprezzata dal grande Cavour, quella del santo ed eroico papa Pio IX, calunniato e vilipeso più di ogni altro, perché non si è piegato all’uso della forza ed ha denunciato fino alla fine i misfatti con cui si pretendeva di liberare e moralizzare l’Italia.