mercoledì 6 giugno 2012

La mattanza dei cattolici

l'odio anticattolico nella Spagna rivoluzionaria
 
 

(Da Fondazione Liberal n. 44, 2007)
Nel pieno della carestia provocata dalla rivoluzione d’ottobre, nel 1922, quando tutto il mondo si mobilita per soccorrere la popolazione affamata, il partito comunista pretende la requisizione del patrimonio ortodosso russo –icone ed oggetti di culto compresi- nell’intento dichiarato di aiutare la popolazione povera. La spoliazione della chiesa persegue un obiettivo premeditato, del tutto indipendente dalla carestia: la cancellazione del cristianesimo. Il 19 marzo di quell’anno Lenin così scrive al Politburo: “Dobbiamo assolutamente mettere in atto la requisizione degli oggetti preziosi della chiesa nel modo più rapido e radicale […] Dobbiamo prendere in mano a qualunque costo questo fondo di alcune centinaia di milioni (e forse miliardi) di rubli oro. Possiamo farlo con successo solo ora. Tutti i calcoli ci dimostrano che in seguito non ne avremo più la possibilità, perché non c’è occasione più favorevole di questa disperata carestia per giocare sugli stati d’animo di vaste masse contadine”(1).
Sul versante politico opposto, quello nazista, uguale è l’odio anticristiano: “Se non ci fosse stato il rischio che il pericolo rosso potesse sommergere l’Europa, non avrei ostacolato la rivoluzione in Ispagna. Il clero sarebbe stato sterminato”. Così Adolf Hitler nel febbraio 1942(2).
Nel Novecento comunismo e nazismo condividono, anche se in modo diverso perché diverse sono le prospettive, un odio radicato e profondo per il cristianesimo. Odio coltivato nei secoli precedenti dal pensiero illuminato sfociato nella Rivoluzione Francese e proseguito nell’ecatombe europea seguita alle gesta imperiali di Napoleone.
Cosa motiva l’odio anticristiano? L’asserito amore per la scienza, il progresso, la tolleranza, la libertà. Amore condiviso –all’apparenza- da tutti: giacobini, liberali, comunisti e nazisti.
Poche sono le nazioni rimaste integralmente cattoliche dopo la Riforma luterana: Italia, Spagna, Irlanda, Polonia e Austria. Di queste la Polonia è smembrata dagli stati confinanti nella seconda metà del XVIII secolo, l’Irlanda è letteralmente ridotta alla fame nell’Ottocento dall’Inghilterra, l’impero Austriaco (Austria delenda est) è fatto esplodere alla fine della prima guerra mondiale, Spagna e Italia sono teatro di ricorrenti rivolte liberali. Mentre in Italia il liberalismo trionfa unificando la penisola durante il Risorgimento (e facendolo contro la chiesa -e la popolazione italiana tutta cattolica- inseguendo il sogno di ‘rifare’ gli italiani), in Spagna, che unificata lo era da secoli, il liberalismo dà luogo a periodici sussulti di violenza che si ripromettono in un primo momento di condizionare la monarchia spingendola verso la modernità anticristiana, in un secondo tempo di istaurare la repubblica.
L’espressione matanza de los frailes, relativa alla soppressione dei conventi nel 1834 e all’uccisione di frati e religiosi, connota bene la pratica liberale nei confronti della chiesa durante l’Ottocento spagnolo. La mattanza prosegue col nuovo sussulto di violenza precedente e successivo all’abdicazione di Isabella II (1868) e la proclamata I Repubblica (1873) caratterizzata dal motto Guerra a Diòs. Nel 1909 è la volta di Barcellona e della sua semana tràgica. Nell’aprile del 1931 è proclamata la II Repubblica e pochi mesi dopo, in ottobre, il capo del governo Manuel Azaña proclama: España ha dejado de ser católica. La Spagna che non è più monarchica deve anche cessare di essere cattolica.
L’11, il 12 ed il 13 maggio sono incendiate e devastate un centinaio fra chiese e conventi, col tacito benestare del governo che lascia fare. A Malaga è lo stesso governatore Gonzales Caminero ad ordinare il ritiro della forza pubblica che tenta di impedire l’incendio del vescovado e della casa dei gesuiti. Il vescovo di Vitoria e il primate di Spagna, cardinal Segura, arcivescovo di Toledo, vengono esiliati.
Per avere un saggio dell’odio anticattolico che caratterizza la stampa della II Repubblica, comunista o socialista, anarchica o massonica che fosse, ecco cosa scrive il giornale El Socialista il 20 agosto 1931, a proposito degli atti vandalici del maggio: “allora furono gli inoffensivi conventi l’oggetto della furia del popolo; siano adesso i lor inquilini le vittime del suo furore”. Sulla falsariga di quanto avviene in Russia, il programma politico è chiaro: la chiesa va annientata. Dal 1931 al 1939 i giornali (Vicente Càrcel Ortì, uno dei maggiori studiosi della guerra civile, ne calcola 146), il parlamento, la stampa tutta, case editrici appositamente sorte all’uopo, si esercitano in un tiro al bersaglio contro la chiesa che avrà effetti raccapriccianti. Le accuse? le stesse ripetute da due secoli: i preti sono ricchissimi e immorali (a Madrid nel 1934 alcune suore salesiane vengono accusate di aver distribuito ai bambini caramelle avvelenate; suore e frati avrebbero ucciso e seppellito nei conventi i propri figli), la religione è l’oppio dei poveri (che, come noto, non hanno soldi per procurarsi l’oppio…).
Nel 1932 sono espulsi più di tremila gesuiti, mentre la Ley de Confesiones y Congregaciones del 1933 proibisce agli ordini religiosi l’insegnamento e qualsiasi altro tipo di attività, decretando possibile l’esproprio dei loro beni. E’ questo il contesto in cui Pio XI rivolge al clero e al popolo spagnolo l’enciclica Dilectissima nobis (3 giugno 1933). Il pontefice ricorda come la legge anticattolica appena approvata rappresenti “una nuova e più grave offesa non solo alla religione e alla Chiesa, ma anche a quegli asseriti principi di libertà civile sui quali dichiara basarsi il nuovo Regime Spagnolo” e confida che gli spagnoli, “compresi della ingiustizia e del danno di tali provvedimenti, si varranno di tutti i mezzi legittimi che per diritto di natura e per disposizione di legge restano in loro potere, in modo da indurre gli stessi legislatori a riformare disposizioni così contrarie ai diritti di ogni cittadino e così ostili alla Chiesa”.
La realtà è ben diversa da quella auspicata dal pontefice. Nel 1933 le elezioni sono vinte dalla destra, ma la sinistra radicale (come sempre, al di là delle parole, davvero poco fedele alla “legalità repubblicana”) non ci sta e tenta la rivoluzione. E’ l’ottobre rosso delle Asturie. E’ l’inizio della persecuzione violenta, da tempo preparata. In dieci giorni sono uccisi 12 sacerdoti, 7 seminaristi e 18 religiosi. 58 le chiese incendiate.
Questo il quadro tragico e disumano del prevalere dell’odio. In questo contesto disperato nascono i martiri. Coloro che, al di fuori di qualsiasi lotta politica, sono immolati e torturati nei modi più ripugnanti perché colpevoli del crimine di essere cattolici. Uccisi in odium fidei: un grande “errore storico commetterebbe chi giudicasse la guerra di Spagna in base ai soli aspetti sociale e politico: in essa fu invece essenziale anche l’elemento religioso”(3), scrive Càrcel Ortì.
La persecuzione aumenta in modo esponenziale dopo la vittoria del fronte popolare nel 1936 e, soprattutto, dopo l’alzamiento di Franco del 18 luglio. Ma, scrive sull’Osservatore Romano dello scorso 2 novembre Jesùs-Graciliano Gonzàles, “è un errore affermare che il martirio di sacerdoti, religiosi e altri membri della chiesa sia collegato alle vicissitudini della guerra civile […] E’ vero invece che la sollevazione franchista ha offerto una magnifica occasione per intensificare la campagna di annientamento già programmata”. La stesa cosa sostiene Pìo Moa (Los mitos de la guerra civil, Madrid 2003), storico difficilmente sospettabile di simpatie franchiste perché proveniente dalle fila della sinistra estrema, quando scrive: “Le carte dimostrano che il PSOE voleva la guerra civile: la desiderava, la preparava ed era sicuro che l’avrebbe vinta”.
Dal 1931 al 1939 vengono uccisi 4.840 sacerdoti, 2.365 religiosi, 283 suore: il 13% dei sacerdoti diocesani e il 23% dei religiosi. Questa percentuale non è però indicativa perché si riferisce ad una sola metà del territorio spagnolo (quella socialista-anarchico-comunista). In alcune regioni infatti l’annientamento del clero raggiunge punte estreme: a Barbastro, per esempio, è sterminato l’87% dei preti, con il vescovo Fiorentino Barroso fucilato dopo essere stato evirato in pubblico, i suoi testicoli avvolti in una pagina del giornale Solidaridad obrera e portati in trionfo nei caffè cittadini. Per descrivere la realtà rivoluzionaria Jesùs-Graciliano Gonzalez cita una relazione al governo del ministro Manuel de Irujo. De Irujo così descrive la situazione: “A. Tutti gli altari, immagini e oggetti di culto, salvo casi eccezionali, sono stati distrutti […] B. Tutte le chiese sono state chiuse al culto, che è stato universalmente soppresso […] E. Le chiese sono state convertite in magazzini di ogni tipo, mercati, garages […] G. Sacerdoti e religiosi sono stati incarcerati e fucilati a migliaia senza la formalizzazione dell’accusa, senza altro motivo conosciuto che la caratteristica di essere sacerdoti o religiosi”.
La distruzione del patrimonio artistico spagnolo si accompagna alla profanazione delle tombe: i cadaveri dei religiosi disseppelliti sono esposti in bella mostra al pubblico ludibrio mentre i rivoluzionari si esercitano al tiro al bersaglio contro crocifissi ed immagini sacre.
Quanti i laici massacrati? Un numero incalcolabile e non calcolato. Valga per tutti l’esempio del primo zingaro beatificato da Giovanni Paolo II il 4 maggio 1997, Zeffirino Gimenez Malla, colpevole di aver difeso un sacerdote al momento dell’arresto e fucilato mentre stringeva un rosario in mano da cui non aveva voluto separarsi.
Il 28 ottobre a piazza San Pietro si è appena conclusa la più grande beatificazione della storia della chiesa: 498 martiri dell’odio anticristiano nella Spagna rivoluzionaria che, se aggiunti agli altri 468 portati agli onori degli altari dal 1987 ad oggi, fanno poco meno di un migliaio di persone morte eroicamente perdonando i propri carnefici. Gli unici che possono gloriarsi del titolo di martiri sono infatti coloro che muoiono come Cristo, immolandosi senza alcuna ribellione e pregando per i propri persecutori.
La conferenza episcopale spagnola ha appena editato il libro Chi sono e da dove vengono in cui sono tratteggiate le figure dei 498 beati. Valga per tutti l’esempio di Bartolomé Blanco, operaio di 21 anni, che così scrive ai familiari in punto di morte: “Conosco tutti i miei accusatori; arriverà il momento in cui anche voi li conoscerete; dovete comportarvi come io mi sono comportato, non perché valga qualcosa il mio esempio, ma perché vicinissimo alla morte mi sento anche vicinissimo a Dio nostro Signore, e il mio comportamento nei confronti di chi mi accusa è di misericordia e perdono. Sia questa la mia ultima volontà: perdono, perdono, perdono”.
“Voi siete la luce del mondo”, ricorda nel suo messaggio dell’aprile 2007 la conferenza episcopale spagnola. Davvero la luce e la forza che emanano dalla testimonianza dei martiri spagnoli illumina il mondo perché vince l’odio. Ha ragione Giovanni Paolo II che così scrive nell’esortazione apostolica Ecclesia in Europa del 28 giugno 2003, riferendosi alla schiera di martiri europei del XX secolo: questi testimoni “sono un segno eloquente e grandioso, che ci è chiesto di contemplare e imitare. Essi ci attestano la vitalità della Chiesa; ci appaiono come una luce per la Chiesa e per l’umanità, perché hanno fatto risplendere nelle tenebre la luce di Cristo”.
Spes contra spem. Visti i precedenti storici, la politica socialista del governo Zapatero qualche interrogativo lo suscita. L’abolizione per legge della differenza fra padre e madre, diventati progenitore A e progenitore B (e chi sarebbe il progenitore di secondo rango?), la ridicolizzazione del diritto naturale, l’equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio, le liceità delle pratiche più fantasiose per la procreazione assistita, l’imposizione per legge di una Educazione alla Cittadinanza che impone a tutti i ragazzi spagnoli la condivisione del relativismo socialista e massonico, la recente Legge sulla Memoria che riapre ferite profonde e rende giustizia a socialisti, anarchici, radicali e comunisti, nel senso che li rende vincitori morali della guerra civile, l’estensione ad una famiglia composta da tre persone (una madre o un padre con due figli) delle agevolazioni previste per le famiglie numerose, tutta questa ansia di riprogettare l’uomo secondo criteri “scientifici” e moderni, qualche spettro lo fa intravedere.
Spes contra spem: per il momento perlomeno il contesto internazionale è diverso da quello della guerra civile.

note
(1) Cfr. O. Vasil’eva, Russia martire, ed. La Casa di Matriona, 1999, p. 75
(2) Cfr. A. Hitler, Idee sul destino del mondo, ed. di Ar, 1980, II, p. 280
(3) Cfr. V. Càrcel Ortì, Buio sull’altare, Roma 1999, p. 9