lunedì 7 maggio 2012

Le verità sulle vicende "Risorgimentali" nel Regno delle Due Sicilie(1860-1861):(Parte 32°): Battaglia del Volturno


Voglio ricordare che tale documento e stato scritto da un testimone dei fatti,quindi data la preziosa importanza del testo ne consiglio un attenta lettura.

Meckel che dovea assalire Maddaloni e Caserta, e prendere di rovescio i garibaldini di S. Maria e di S. Angelo, senza avvertire il comandante in capo, cambiò il suo disegno di guerra.
Invece di procedere con la colonna intiera di seimila uomini, la divise. Tremila li diede a Ruiz quello di Calabria! ed egli fiducioso nel valore dei suoi, rimase co' tre battaglioni esteri che formavano una brigata, con artiglieria e cavalleria corrispondente. Ordinò a Ruiz che lo precedesse dirigendolo a Caserta vecchia per la via di Morrone, e designandogli l'ora che dovea assalire quella posizione, e trovarsi in Caserta nuova, ch'è più giù, contemporaneamente ch'egli avesse assaliti i garibaldini sopra Maddaloni, e propriamente a' Ponti detti della Valle. Ruiz partì prima di Meckel, e passò il Volturno ad Amoroso: invece di affrettare la marcia per giungere sopra Caserta vecchia, fece un doloso alto per due ore a Ducenta! Meckel lo raggiunse, e si contentò solamente di sgridarlo per la lentezza della sua marcia, mentre avrebbe dovuto levargli il comando, perché in momenti supremi un ritardo simile, equivale non a colpa gravissima, ma a defezione.
Bixio già aspettava la colonna Meckel ed avea fortificato il sito strategico de' Ponti della Valle con cannoni, e con uno de' migliori suoi battaglioni, la maggior parte soldati piemontesi in congedo temporaneo. La brigata Eberardt la collocò sul monte Lugano a diritta, l'altra di Spinazzi al centro, a sinistra sul monte Caro piazzò quella di Drezza, ed in riserva lasciò Fabrizi con la sua brigata, situandola all'Eremo del Salvatore ch'è sulla via che mena a Maddaloni.
Meckel giunse alle sei del mattino a' Ponti della Valle, e divise la sua gente in tre colonne, delle quali una per combattere sul monte Caro, un'altra contro Eberardt sul monte Lugano, ed egli per investire i Ponti della Valle.
La brigata Meckel era composta di soldati esteri. Erano costoro boemi, tirolesi ed alemanni; formavano tre battaglioni volgarmente detti svizzeri, e vi erano varii ascritti a sêtte rivoluzionarie, e mandati a bella posta nelle file borboniche, come altri se ne mandarono nelle file dell'esercito pontificio, perché fossero pronti nel momento del bisogno. In vero, non pochi di quelli stranieri settarii furono fedeli a chi l'aveva mandati.
Prima che cominciasse il fuoco, que' soldati settarii si buttarono a terra, e non valsero le preghiere e le minacce degli uffiziali e sott'uffiziali svizzeri degli antichi e fedeli reggimenti. Meckel adunò quegli uomini che potè, e marciò contro il suo nemico.
Eberardt, con la sua brigata, si difese strenuamente, però i suoi cadeano a centinaia fulminati dalla nostra artiglieria comandata dall'intrepido capitano Fevôt: e su quel monte Lugano cadde l'uffiziale Meckel figlio del Generale, colpito in fronte da una palla nemica, mentre era ito con la sua compagnia a soccorrere un plotone di cacciatori condotti dal tenente Sauter, il quale si era audacemente cacciato tra' nemici.
Il padre quando vide il cadavere del figlio versò una lagrima, ma non gli venne meno il cuore, rivolse altrove i suoi sguardi, si tolse il kepì, guardò il cielo, e gridò: Vive le roi! Esempio eroico che mette in seconda linea tutti quelli di simil genere! Meckel non avea altri figli..! Questo Generale prese i Ponti della Valle, fugò i garibaldini e tolse loro due cannoni.
Sul monte Caro, a sinistra della linea garibaldina, accadevano fatti sanguinosi; i garibaldini fuggivano in disordine, ma erano decimati dall'artiglieria regia. Bixio fu costretto a riparare a Villa Gualtieri lasciando la sua artiglieria.
Maddaloni restava aperta alla truppa regia; però Meckel non seppe profittare della vittoria. Rustow racconta nelle sue rimembranze d'Italia che, i garibaldini siciliani e napoletani gettavano le armi e fuggivano verso Napoli!
Bixio, vedendo che i regï non si avanzavano, riunì i suoi e riprese il combattimento, ma fu sempre respinto con gravi perdite: lo stesso avvenne ad Eberardt e Drezza. Meckel in certi momenti oltre di essere testardo, spesso facea il suo comodo non tenendo conto degli ordini di Ritucci. Egli non si avanzò perché attendea i risultati dell'altra colonna di Ruiz spedita sopra Caserta, e mancando di sue notizie, mandò il suo Capo di Stato Maggiore per averne. Bixio quindi ebbe tutto il tempo di riunire la sua gente, e chiamare anche la riserva per attaccare con impeto Meckel in tutti i suoi punti. Costui da principio si difese valorosamente, indi verso le 3 p.m. del 1° ottobre, cominciò a piegare perché mancavagli l'altra brigata Ruiz, e quel diversivo a nulla valse pel piano generale di quella battaglia tanto sanguinosa nei terreni vicino Capua.
Bixio si diede ad inseguire i regï, ma bastarono cento soldati del 3° Battaglione esteri, che voltaron faccia per respingerlo. La ritirata fu sostenuta dall'artiglieria, la quale fece gran danno a' nemici.
I regï nulla lasciarono sul campo di battaglia, trasportato avendo anche con loro i feriti. Solamente rimase a' garibaldini uno de' due cannoni diretti dal capitano Tabacchi, perché uccisi e feriti gli animali che lo strascinavano.
Ne' diversi fatti d'armi avvenuti a' ponti della Valle, tra uffiziali, sottuffiziali e soldati ne morirono quarantadue, ottantasei furono feriti, e novantasei si vollero dare prigionieri. I garibaldini soffersero perdite di gran lunga maggiori, come appresso dirò.
Ruiz in cambio di affrettare il passo dopo i rimproveri di Meckel, marciava sempre con lentezza. Pria che giungesse a Limatola, vi mandò il 6° Reggimento di Linea, comandato dal Maggiore Nicoletti ad impadronirsene, il quale marciava per la via di Morrone sopra Caserta Vecchia; mentre egli col resto della brigata s'avviò per l'Annunziata, onde poi congiungersi allo stesso 6° Reggimento. Questo corpo unito ad altre frazioni di Reggimenti con valore fugò i garibaldini da Limatola, e si avanzò verso Morrone, ove incontrò assai forza nemica, la quale trascuratamente attaccata una parte di essa ebbe il tempo di chiudersi in un eremitaggio sulla vetta del monte. Ad onta delle difficoltà del luogo, i regï se ne impadronirono, salendo carponi, mentre erano fulminati dalla fucileria nemica. De' garibaldini tre furono uccisi, cinque feriti, e duecentoventi rimasero prigionieri che furono consegnati al 14° di linea andato a bella posta da Caiazzo. Tutta questa gente era comandata da un tale Bronzetti; e costui avea fatto saccheggiare chiese, stoccheggiar Santi, depredare la casa di un farmacista in odore di borbonicismo, e disperdere persino i farmachi del negozio di costui.
In quel fatto d'armi tanto onorevole pe' napoletani, si distinsero principalmente il Maggiore Giovanbattista Anguissola che dirigeva l'assalto, il Capitano Leopoldo Monteleone, comandante una compagnia di soldati, ed il 1° Tenente Giovanni Mevi, della 2° cacciatori del 4° di linea, comandante un altro plotone della stessa Compagnia; quest'ultimo fu particolarmente elogiato dallo stesso Anguissola, per essersi dimostrato in quell'assalto prode ed intelligente. Si distinse l'alfiere Giuseppe Letizia della frazione del 12° di linea.
Si distinse pure il capitano Borrelli alla testa di un plotone di Carabinieri a piedi. Della bassa forza molti si distinsero in quel fatto d'armi, ma più di tutti il Caporale Sabino Caggiano, faciente parte il Plotone comandato da Mevi. Quel fedele e prode caporale fu di esempio a' suoi compagni d'armi, spingendosi il primo carponi, verso l'eremitaggio trasformato in fortezza. Il Caggiano si era sempre distinto; e poi, in una sortita da Capua, eseguita il 31 Ottobre contro la truppa piemontese, riportò una onorevole ferita, cioè ebbe sfracellata la bocca con un proiettile nemico.
Dopo il fatto d'armi di Morrone, quella truppa proseguì la marcia verso Caserta, secondo gli ordini ricevuti da Ruiz. Nelle vicinanze di S. Leucio sbaragliò pure i garibaldini che vi erano appostati, e si fermò a Caserta Vecchia per attendere il resto della brigata.
Ruiz, senza alcuna fretta proseguì la sua marcia: marciando la sua gente scambiò qualche fucilata con l'avanguardia della brigata Sacchia. Egli non tenne alcun conto dell'alto interesse che riponevasi nella sua marcia, né si curò di porsi in comunicazione con Meckel, e dargli conoscenza esatta ove e come impiegata avesse la sua brigata. Ruiz la sera del 1° ottobre ignorava persino i risultati della battaglia di quel giorno. Questo inqualificabile duce giunto a Caserta Vecchia, neppure pensò che i soldati erano stanchi e digiuni, ma ebbe gran cura di assicurarsi egli un comodo alloggio, e più non fecesi vedere dalla sua gente.
Meckel, la notte del 1° al 2 ottobre fece sapere a Ruiz, le vicende seguite nella giornata campale, e propriamente i risultati del suo attacco a' Ponti della Valle, e che si ritirava ad Amoroso. Ruiz chiamò a Consiglio i Capi della truppa che avea vicino a sè, e tutti deliberarono di ritirarsi a Caiazzo. Questo specialissimo duce, trattandosi di ritirata, fece subito suonare a raccolta. Sacchi però, che alla testa della sua Brigata, non ignorava i movimenti de' regï, appena intese il segno della ritirata attaccò zuffa col sesto ed ottavo Reggimento di linea, non che con la frazione del 4°, e con quella del Reggimento Carabinieri. Siccome queste truppe si trovavano sperperate in avamposti sopra Caserta, ed impegnate nel combattimento, non intesero il segno della ritirata; da principio si difesero, indi presero l'offensiva, e sbaragliarono gli assalitori. Intanto il sesto di linea non vedendosi soccorso da Ruiz retrocesse verso Limatola invece di andare verso Morrone; l'ottavo retrocesse pure. Il Maggiore Musso con una frazione del 4° di linea, e con pochi carabinieri condotti dal capitano Borrelli; ignorando che il resto della truppa si ritirava, combattendo si spinse sino alle prime case di Caserta. Fu allora che accorse Garibaldi da S. Maria con un Battaglione di calabresi e con cannoni; Bixio accorse da Maddaloni, e Sacchi
si avanzò da S. Leucio: i regï furono circondati. Il sesto di linea che si ritirava fu costretto rendersi quasi tutto intiero, cioè circa mille uomini: dell'ottavo se ne resero 638, il rimanente raggiunsero Ruiz. Musso ignorando la sorte di que' due Reggimenti, proseguiva a combattere contro i garibaldini; ma circondato da costoro, e conosciuto che i suoi compagni erano stati fatti prigionieri, capitolò con la gente di Bixio, tra lo stradone di Centorano e Caserta, restando prigioniero assieme a circa cinquecento soldati.
Ruiz pregati dagli uffiziali e soldati a soccorrere i compagni che aveano lasciati addietro si negò risolutamente, e continuò più celere la ritirata.
Giunto Ruiz vicino Limatola, comandò al Maggiore Coda comandante l'8° di linea di occupare col resto della sua gente una posizione; questo prode ed intelligente uffiziale superiore non volle ubbidire, e fu applaudito da' soldati che già guardavano in cagnesco il duce Ruiz, perché non ignoravano la sorte toccata al 6° ed 8° di linea. Ruiz che correva alla testa della sua brigata senza che avesse veduto il nemico, fu per ben tre volte sul punto di essere trucidato dalla sua gente. Per la qual cosa, temendo di far la fine del suo collega di Calabria, generale Briganti, passò il fiume a guazzo, e giunse il primo a Caiazzo, ove lo raggiunse parte della soldatesca da lui comandata. né tenendosi più sicuro, scrisse al Generale in capo, e gli chiese di essere messo al comando d'altri soldati. Ritucci gli tolse il comando e lo mandò a Gaeta: troppo poco, e troppo tardi...!
Il chiarissimo storico cav. Giacinto de Sivo, chiama Ruiz il Crouchy del 1° Ottobre. Ecco quello che dice di Ruiz il delli Franci nella nota 50 della sua Cronaca. «Il Colonnello Ruiz era proprio quegli, che come abbiamo detto nella prima parte della cronaca, contribuì grandemente ai disastri delle milizie di Melendez che stavano sul Piale nelle Calabrie.» Ed io soggiungo dopo sì chiare riprovevolissime prove date dal Ruiz, porlo a capo di una brigata di tremila uomini per eseguire una operazione importante, certo fu grande errore! Ma Ruiz si avea un fratello germano segretario del Re, ed era prudenza tollerarlo. Difatti il Ritucci neì suoi comenti dice a pag. 98: «Se v'erano antecedenti che davano motivo a sospettare di Ruiz, perché darmelo al comando di una Brigata di frazioni già demoralizzate, che prendere dovea tanta parte in una giornata decisiva?»
Sul contenersi di Ruiz ne' fatti guerreschi del 1° e 2 ottobre, ci fu comunicata una lettera da Caserta, nella quale si accennano alcuni fatti, designando luoghi e persone viventi. Noi benchè reputiamo onestissimo chi ci comunicò quella lettera, nonpertanto trattandosi che questa non è un documento incontrastabile, ad onta che lo scrivente ci guarentisca i fatti accennati, ci asteniamo di pubblicarne il contenuto. Eppure, bisogna dirlo, Ruiz si era distinto veramente in Catania stando sotto gli ordini di Clary: quale contradizione dippoi egli ci offre!
Di tutto quello che operò il generale Meckel a' Ponti della Valle non diede notizia al Generale in capo, e ad onta che costui avesse spedito due uffiziali di stato maggiore, cioè il capitano Salem in Caiazzo, e l'alfiere Belisario presso quel generale, non ebbe il rapporto che il 5 ottobre con la data del 13; così i nostri generali faceano la guerra!
Poteano vincere? Nella giornata del 1° ottobre i regï ebbero mille uomini tra morti e feriti, e molti prigionieri, la maggior parte fatti in Caserta dalla brigata Ruiz.
Rustow dice, che nella sola giornata del 1° ottobre, l'esercito garibaldino ebbe cinquecento sei morti, e millecentottantotto feriti. Sembra però che Rustow non fosse molto esatto in queste cifre, dapoichè il rapporto del comandante l'ospedale di S. Sebastiano in Napoli, novera, egli solo, mille e cinquecento feriti, giunti colà il 1° ottobre; e tutti i paesi sulla linea da S. Maria a Napoli furono pieni di feriti garibaldini, i quali riempivano le case comunali, le chiese, ed anche alloggi di privati. In quanto poi a' dispersi dovettero essere in grandissimo numero; i fuggiaschi garibaldini giungeano a Napoli a stormi, non contando quelli che si diressero verso i Principati ed altri luoghi.
Gli scrittori garibaldini, quelli che tenevano corrispondenza con tutti i giornali rivoluzionarii d'Europa, descrissero lotte, battaglie e vittorie omeriche, spacciando sconfitte e distruzioni di regï, che in verità non avvennero. Niente poi dico degli episodii che scrissero alla Ariosto, facendo risaltar sempre il valore garibaldesco, e la viltà de' napoletani; non riflettendo quegli scribacchini che si trovavano in contradizione; conciosiachè il valore militare risulta dalla lotta sostenuta con un nemico che si batte davvero: atterrare un vile avversario non è valore, ma piuttosto poca generosità, che spesso confina con la stessa viltà.
Io che ho dovuto leggere non pochi giornali italiani e francesi, che si pubblicava no in que' tempi, sono rimasto maravigliato delle strepitose sconfitte de' regï, strombazzate da que' fogli, organi della rivoluzione mondale. Se si volessero com putare tutti i morti, feriti e prigionieri dell'esercito napoletano da Boccadifalco a Gaeta, secondo le relazioni garibaldesche, ammonterebbero per lo meno a trecen tomila uomini, mentre quell'esercito non ne contava in tutti che centomila. Queste esagerazioni, nelle guerre civili, sono il pascolo prediletto degli sciocchi e l'arte di scaldare l'umana fantasia. Chi rivolgesse l'attenzione per un poco alle notizie che da tre anni ci giungono dalla Spagna; e volesse computare tutti i morti, feriti e prigio nieri carlisti, resterebbe maravigliato, e dovrebbe convenire, che la maggior parte della gioventù spagnuola più non dovesse esistere.
Il risultato del 1° ottobre fu questo, che i regï rimasero nelle proprie posizioni; l'oste garibaldina scemò d'uomini e di ardire, e Garibaldi perdè il suo prestigio, tanto che dovette sollecitare la marcia nel Regno dell'esercito sardo, capitanato da' generali Fanti e Cialdini, e venne poi il giorno che costui glielo rinfacciò pubblica mente.
Intanto prima che io chiuda questo capitolo non voglio defraudare i miei lettori dei nomi di coloro della 2a brigata della 2a divisione comandata dal generale Won Meckel ch'ebbero luogo a distinguersi nella azioni del 1° ottobre 1860. Dirò de' soli uffiziali, duolmi di non poter fare altrettanto per la la brigata Ruiz, composta del 6° ed 8° di linea, ed altre frazioni di Corpi che si erano lodevolmente condotti, ed ove servivano uffiziali superiori e subalterni d'incontrastato merito.
Ritucci paragona Meckel a Crouchy pel ritardo; intanto, come ho detto di sopra, de Sivo dice che il vero Crouchy fu Ruiz; io senza contradire né Ritucci, né de Sivo, dico, che Waterloo ebbe un Crouchy, Capua n'ebbe due!
È da notarsi che Ritucci dimostra molta antipatia verso Meckel, cui nientemeno vorrebbe addossare tutti gli errori che si commisero il 1° ottobre, ed esclama a pag. 96 dei suoi Comenti: «Questo generale (Meckel) non privo d'intelligenza militare, e col peculiare merito in questo Regno di essere forestiero, troppo abituato era ad ottenere tutto che desiderasse, per supporre d'esser egli l'eletto a divenire il nostro Valdstein; da ciò la sua arguzia ad evadere dalle superiori ingiunzioni che lo infastidivano. Non tampoco inteso giustificare il colonnello Ruiz, senza la clemenza del Sovrano, avrebbe meritato con Meckel di essere sottoposto al giudizio di un Consiglio di guerra.
Ma ecco i valorosi ch'è giustizia rammentare.
Dello Stato maggiore il capitano Luigi delli Franci che tra' doveri brillantemente eseguiti, volle assumersi anche il pericoloso incarico di ricercare la smarrita brigata Ruiz. Trovo che anche il 1° tenente Giuseppe Ferrara adempì lealmente il suo dovere, come gli aggregati primitenenti Alfonso Plyffer, Won Altishofen, ed Alfiere Urbano Won Charette.
Dell'artiglieria, batteria di montagna n° 10 si distinsero il capitano Francesco Tabacchi, e l'Alfiere Vincenzo Dusmet, e fà proprio piacere trovar sempre tutti gl'individui della famiglia Dusmet, al posto di onore, ed encomiati! Batteria da campo n.15: il capitano Errico Fevôt, e l'altro in secondo Roberto de Sury, ed i tenenti Brunner e Rodrigo Eugenio Bertholet. Del 1° Battaglione Carabinieri leggieri, i capitani Eduardo Rosacher, Arnaldo Zelger, Bernardo Jenner, Federico Meier, Carlo Maria Gloggner e Alfonso Arnold.
Del 2° Battaglione Carabinieri leggieri: il maggiore Francesco de Werra, i capitani Bartolomeo Candia, Pietro Grosselique, Giuseppe de Stokalper, e Tomaso Schnüringer. Dei primi tenenti Francesco Robert, Ernesto Lauderset, Guglielmo Dulholz, Francesco Folletete, e Amato de Cocatrix: degli Alfieri Vittore Migy, Maurizio de Stockalper, Giovanni Connay, Adolfo Waber, Ferdinando Charrette. Trovo pure tra' distinti i cognomi del 1° tenente Flugy, il 1° chirurgo Kaufmann e l'aiutante Beck.
Del 2° Battaglione Carabinieri leggieri, il maggiore Eugenio Gächter, l'aiutante maggiore capitano Errico de Wieland, i capitani Saverio Reding, Eduardo Marrenard; i primi tenenti Carlo Sauter, Andrea Lendy, Alberto de Meckel, Agostino Staiger, Augusto Bosshardt; gli alfieri Pietro Zaru, Antonio Ienninger, Carlo Rieger, e Errico Göseh; il 1° chirurgo Giuseppe Pirone e l'aiutante Rebstein.
Delle ambulanze, trovo segnati tra i distinti per l'abnegazione di salvare e curare i feriti, i primi chirurgi Nicola Velardi, Vincenzo Sarno; i terzi chirurgi Antonio Scibilia, Errico Velardi, Vincenzo Musco; i farmacisti Luigi Solimene, Nicola Fabricatore, e il commesso Costantino Ceri.
Leggo in fine nota speciale pel Maggiore Wittenbach, pel capitano Schnuringer,
e Cappellani Portmunn e Won Kalbeisen. Infine pe' due napoletani capitano Sprotti del 1° Usseri, e 2° tenente Calnori de' cacciatori a cavallo.
Il comandante del 1° Battaglione carabinieri leggieri Aloiso Migy non vi figura perché stante la poca benevola corrispondenza che tra esso lui passava e il generale Meckel. Più tardi in Gaeta riparleremo di Migy, e diremo qual fu la sua gloriosa morte.
Il tonare incessante del cannone nella giornata del 1° ottobre, lo sbandamento della maggior parte de' garibaldini, e la gran quantità de' feriti che giungevano a Napoli, e nei paesi circonvicini, fece nascere un panico generale. I trepidanti cittadini già vedeano i regï vittoriosi, e molti giudicavano l'arrivo della cavalleria borbonica dalla sgombra via di Aversa. Ed in appoggio di quanto io scrivo, basta sapere come già predominava in tutti la paura, che il Colonnello Santarosa, comandante un Reggimento sardo, lo imbarcò in fretta, ed aspettava l'entrata de' regï in Napoli per salpare dal porto.
I prigionieri fatti in Caserta, furono menati a Napoli, e vilmente insultati, quasi a covrire le sconfitte di S. Maria e di S. Angelo. I rivoluzionarii faceano di tutto per consolarsi ed ingannare la popolazione, con le solite notizie false ed esagerate; ma quando furono certi della inazione de' regï, si abbandonarono alle solite grida, ed a far baldoria; ordinando porre lumi ad ogni balcone e finestra, con la consueta minaccia di rompere i vetri, non eseguendosi gli ordini loro. Si spararono bombe di carta e fucilate innocue, sembrando la notte di Natale!
La sera del 1° ottobre, il re ordinò che la truppa restasse fuori Capua nel campo di S. Lazzaro per assalire i garibaldini la mattina seguente; udito però il parere in contrario del generale in capo Ritucci, lasciò Capua e partì per Gaeta. Quel giovine sovrano umile e pio, non volea imporre la sua volontà ad un vecchio generale che si era distinto altre volte, e che impavido avea, se non altro, cercato la morta.
La maggior parte de' Generali furono del parere di Ritucci, cioè che attendere era sapienza militare, senza ben riflettere che già l'esercito sardo rumoreggiava sulla frontiera del Regno; onde quella sapienza ci fece trovare poi in mezzo a due fuochi, e diede a Cavour lo specioso pretesto d'impossessarsi del Reame delle Due Sicilie.
Francesco II, giunto a Gaeta, e forse consigliato dal ministero, ordinò al Ritucci per telegrafo, che, con tutte le forze, ad eccezione della guardia reale! investisse S. Angelo e S. Maria; ma Ritucci rispose con le sue solite titubanze e ragioni, ed ottenne di rimanere ancora sulla difensiva.
Che Ritucci s'ingannasse, senza che io dicessi il mio parere, voglio qui trascrivere quello che han pubblicato per le stampe due distinti uffiziali. Il maggiore delli Franci sottocapo dello Stato maggiore del generale in capo. Ecco che cosa scrive nella sua pregevole cronaca d'autunno a pag. 78: «Se questo comando del Sovrano (cioè di appiccar la pugna la mattina del 2 ottobre) fosse stato a capello adempito, l'oste di Garibaldi sarebbe stata senza dubbio rotta e debellata; avvegnachè essa era sgominata, e tali perdite avea patito nella guerra combattuta il giorno innanzi, che di leggieri sarebbe stata sbaragliata.
Il capitano dello Stato Maggiore Tommaso Cava, scrive nella sua Difesa Nazionale napoletana a pag. 56: «Pria di passare oltre, rendo notorio un discorso che ebbi il 6 novembre 1860 col colonnello piemontese Santarosa, allora comandante la Piazza di Napoli. Il detto Colonnello (oggi Generale forse) mi domandò perché la sera del 1° ottobre la truppa napoletana non marciò sopra Napoli. Non avreste trovata alcuna opposizione, ei soggiungea, poichè l'Esercito di Garibaldi fu interamente sperperato, a causa delle grandi perdite che avea sofferto, le quali finirono collo scuotere il coraggio dei superstiti; ed io avea già principiato lo imbarco del mio Reggimento, arrivato a Napoli per la via di mare, per ultimarlo appena avrei saputo lo approssimarsi della truppa napoletana. Nessuno sperava il regalo che ci avete fatto col restare inoperosi al di là del Volturno, dopo l'azione del giorno.Il 5 Ottobre avvenne un tumulto sodelatesco dentro Capua, e finì con la fucilazione del sergente Bruno del 13° Cacciatori. Questo avvenimento è stato raccontato da qualche scrittore con circostanze aggravanti pel Bruno. Io che mi trovai proprio sul luogo assieme ad un mio amico, tutti e due abbiamo intese le prime parole di sedizione dette da Bruno al generale Salzano, ed oggi stesso, io ho voluto consultare quell'amico per accertarmi se mi fosse sfuggita qualche circostanza di quel fatto. Ecco come andò quella trista faccenda. Gli artiglieri che trovavansi sulle batterie che guardano il sud, appena vedeano comparire a tiro i garibaldini, tiravano cannonate contro costoro, e li faceano fuggire. Il Salzano rimproverò gli artiglieri perché sciupassero le munizioni: il Bruno, che per sua sventura si trovava presente, disse:«signor Generale, munizioni ne abbiamo assai, ed in tempo di guerra come questa non bisogna farne risparmio per lasciarle poi, chi sa, a Garibaldi! «A questo discorso del sergente Bruno, giovine ardito e svelto, gli artiglieri fecero plauso, e cominciarono a dir parole insubordinate contro il generale Salzano. Avuta la prima spinta dagli artiglieri, altri soldati, già sospettosi della fede de' Generali in genere, (Salzano era fido e fermo), si sfrenarono e fecero baccano con grida sediziose, ed il tumulto si stese sino dentro Capua. Salzano cercò imporre de' tumultanti, ma finì col ritirarsi, ed io vidi, che avea il viso come un cadavere! Gli uffiziali dispersero il sergente Bruno come capo di quella sedizione ed un gendarme che gli era dappresso. Costui venne prosciolto dal consiglio di guerra, ed il Bruno fucilato il 16 Ottobre. E così, mentre si erano assolti i Generali di Sicilia, ridato il comando ad un Ruiz delle Calabria, promossi alcuni generali o traditori o vili, e molti uffiziali superiori che aveano commesse delle viltà in pieno campo di battaglia, si lasciò fucilare un povero sergente, il quale quando si sciolse il 13° Cacciatori, corse a Capua a raggiungere l'esercito, e che si era distinto in tutti i fatti d'armi, essendo fedele al suo Sovrano! e ciò, per aver fatta una semplice osservazione, senza però avere avuta l'intenzione di suscitare quel tumulto. È vero che a tener salda la disciplina è necessario il rigor militare, maggiormente quando vi è un nemico di fronte a combattere; ma l'eterna parola che la legge esser deve uguale per tutti, mi fa credere che Bruno, l'infelice Bruno, non avrebbe incontrata una morte ignominiosa, se prima di quell'ora avess'egli veduto, o inteso, fucilato qualche comandante militare che avea sacrificato la gloria, l'onore de' suoi dipendenti, con errori, onte, e vergogne, che da Aprile ad Ottobre 1860 in quello sventurato esercito delle due Sicilie, non ne fecero difetto. Io fui uno de' due Cappellani militari che prepararono l'infelice Bruno al gran passo. E debbo dirlo? le parole di pace e di perdono non ispontanee scorreano dalle mie labbra: io avea il cuore affranto!

(Estratto dal libro di Giuseppe Buttà, Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta).