giovedì 31 maggio 2012

Le verità sulle vicende "Risorgimentali" nel Regno delle Due Sicilie(1860-1861):(Parte 34°): La reazione a Isernia l'armata volontaria di La Grange capitolazione di Baia Ritucci continua a indugiare


senzah


Voglio ricordare che tale documento e stato scritto da un testimone dei fatti,quindi data la preziosa importanza del testo ne consiglio un attenta lettura.



Le lotte tra Cavour e Garibaldi erano assai inasprite prima della battaglia del 1° ottobre. Costui che avea preso gran gusto a fare il re, consigliato da Bertani, respingeva tutti le proposte di Cavour, il quale volea che si facesse subito l'annessione incondizionata del Regno di Napoli al Piemonte. Quel ministro piemontese era un uomo scaltro e politico, quindi conoscea che Garibaldi non l'avrebbe tirata a lungo; prevedeva che lo avrebbe scacciato la reazione, e che Francesco II,anche senza esercito, sarebbe stato condotto a Napoli sulle braccia de' popoli, già disgustati del contenersi de' garibaldini, maggiormente nelle province, ed oppressi dall'anarchia sempre crescente.
Tutti questi nuovi pagnottisti, temendo che il re legittimo vincesse, stavano in sospetto di perdere quello che malamente aveano acquistato, e quindi non vedeano altra àncora di salvezza che la pronta annessione al Piemonte, e il subito accorrere della truppa sarda nel Regno. Cavour avea un forte partito, che sebbene non si svelasse apertamente, purtuttavia lavorava per la pronta ed incondizionata annessione.
Garibaldi irritato che lo voleano ridurre un Cèsar déclassé, credendosi davvero sovrano, scrisse al Re di Piemonte che destituisse Cavour e Farini, annunziandogli che dovea andar prima a Roma e Venezia, e poi far l'annessione. Consigliato da Mazzini, il 29 settembre proclamò:«Non possiamo volere l'Italia con annessioni parziali e successive, in modo che si avviluppata a poco a poco nel municipalismo del Piemonte. Che il Piemonte diventi italiano, e non già che l'Italia diventi piemontese. Uguaglianza è che tutte le parti si uniscono in una, affinchè si concorra a creare il codice nazionale.»
Garibaldi, ad intervalli, dicea qualche verità, ma non era questa stessa farina del suo sacco. Bertani, prevedendo che il suo posto di segretario della Dittatura non sarebbe stato di lunga durata, volea dalle finanze due milioni per far la rivoluzione repubblicana in Genova! A questa pretensione si oppose il Ministro delle finanze Scialoia; ed egli dopo questa opposizione fece tanti chiassi con lo stesso Garibaldi, e costui non osò difenderlo. Bertani sentendo il vento cambiato, se ne partì da Napoli, e fu surrogato da Crispi nel segretariato della Dittatura.
Garibaldi sin dal 19 settembre, avea cominciato un poco a sospettare che sotto Capua erano finiti i suoi facili trionfi, che sebbene in quella Piazza avesse qualche relazione, non avea però, né ministri come D. Liborio e Pianelli, né generali simili a Lanza, Clary ec. ec. Tuttavia si lusingava ancora che avesse potuto far da sè, e
quindi resisteva a' consigli ed alle pretensioni del ministro sardo Cavour. Però, dopo il 1° ottobre si convinse che non era osso per i suoi denti masticare (frase cavourriana) il residuale esercito delle due Sicilie, anzi che questo avrebbe potuto sbaragliarlo da un momento all'altro, ad onta degli aiuti del Piemonte: quindi Garibaldi abbassò le ali e la cresta, divenne manieroso con i messi di Cavour, ed in seguito smise la boria ed ubbidì a costui!
Cavour mandò a Napoli Giorgio Pallavicini Trivulzio, antico repubblicano, già prigioniero dello Spielberg in Austria e compagno di Silvio Pellico in quel duro car cere. Pallavicini si presentò a Garibaldi in Caserta, e gli consegnò una lettera di Re V. Emmanuele. Il povero Dittatore, che avea già smessa la boria e le spacconate, fece virtù della necessità. Il 5 ottobre, col pretesto che il Prodittatore di Napoli, l'expre te generale Sirtori fosse necessario agli affari della guerra, lo tolse da quel posto, ed invece nominò Pallavicini: fu questa una mezza abdicazione alla sua sovranità! «Ahi dura terra perché non ti apristi?!
Il primo atto di protesta dell'antico repubblicano Pallavicini, appena fatto Prodittatore, fu quello di cacciare Mazzini da Napoli. Facea dispetto e vergogna veder poi tanti vecchi mazziniani rinnegare il loro duce e maestro; ma direbbe un Giurì: bisogna aver riguardo agli attenuanti; era questione di pagnotta! e con la pagnotta non si scherza! Il solo Crispi difese Mazzini, e costui protetto da quello non ubbidì agli ordini del Proditttatore Pallavicini. Garibaldi scrisse al suo vecchio amico Mazzini una lettera, che non gli mandò, ma che pubblicò nel giornale X Opinione: avete capito nell' Opinione di Torino venduta anima e corpo a Cavour? Mazzini, il 6 ottobre, con un'altra lettera pubblicata da' giornali rossi, protestò contro lo sfratto che gli si dava. Dicea in quella lettera: «Italiano in terra italiana, chiamata a libera vita, sostengo nella mia persona il diritto d'ogni cittadino a vivere in patria.» È da notarsi che Mazzini non rispettò questo diritto in tanti cittadini romani nel 1849, quando ghermì il potere in Roma.
Il Pallavicini, non facea conto degli amici del Dittatore, faceasi chiamare Prodittatore di Garibaldi, ma in realtà lo era di Cavour. Infatti con un decreto sciolse il comitato di azione, quello che avea sostenuta la Dittatura di Garibaldi, e lasciò quello dell'ordine che l'avea avversata, perché cavourriano.
Il partito garibaldino fu sopraffatto, perché Cavour era più scaltro, ed avea più forza nelle sue mani. Costui fece come il leone della favola; sebbene la preda fosse spolpata, finse dividerla; se ne prese tre parti, per l'altra dichiarò: «Si quis quartam tetigerit male affligetur!Il Prodittatore pubblicò parecchi decreti, alcuni in principio buoni, ma eseguiti male. Diede 450 mila lire alla Compagnia Rubattino a ristorarla del vapore che condusse nel 1858 gl'invasori del Regno a Sapri, condotti dal Pisacane; non tenendo conto che quel vapore era stato restituito da Re Ferdinando II. E così diede 750 mila lire pei due vapori che condussero i mille a Marsala, sotto colore di rifare i danni che aveano sofferto: e tutto pagò il popolo napoletano redento e sovrano.
Pallavicini volendo secondare i disegno di Cavour, si affrettò a far giungere deputazioni a Cialdini e Fanti,
che campeggiavano nello Stato Pontificio, per affrettare la invasione del Regno, e al Re del Piemonte perché annettesse alle province sarde queste napoletane.
Il Generale de Benedictis, già disertore dell'esercito borbonico, trovandosi a Sulmona, eccitò i capi rivoluzionarii a recarsi presso Fanti e Cialdini a sollecitarne l'entrata nel Regno. Quel Generale per atterrire i rivoltosi, e quindi tirarli all'intento suo, spacciava che Garibaldi si trovasse in cattive condizioni, battuto da' regï, e che costoro si spingessero contro gli Abruzzi per esterminare tutti i liberali. Questo spauracchio ebbe l'effetto desiderato. Si riunirono i caporioni rivoluzionarii degli Abruzzi, si costituirono in deputazione, e si recarono a Villafavorita, ov'erano Fanti e Cialdini. Questa deputazione, tra le altre cose, disse vituperii contro Garibaldi, ed invocò il potere regio piemontese per abbattere le forze di Francesco II, e l'anarchia de' garibaldini. I due Generali sardi invitarono la deputazione abruzzese a recarsi a Torino, ed esporre tutto a quel governo.
Il de Cesaris, governatore di Chieti, tutto garibadino, si oppose a mandare deputazioni a' piemontesi, poi avendo inteso i fatti del 1° ottobre, egli medesimo rimandò la deputazione a pregare il Re, V. Emmanuele che venisse subito nel Regno.
Si riunirono molte deputazioni abruzzesi, e si recarono ad Ancona. Il Farini ministro del Re V. Emmanuele, scrisse indirizzi d'invito al suo Sovrano, e li fece firmare da' deputati. In cotesti indirizzi si accusava Garibaldi che volesse la repubblica, d'onde la necessità del potere regio piemontese per tutelare i popoli ed il principio monarchico!
Fin dopo il 1° ottobre, in Napoli si cominciò a faticare allo scopo di mandare una deputazione al re di Piemonte, che s'impadronisse del Regno di Napoli. Questa deputazione napoletana si riunì, e partì da Napoli il 4 ottobre, arrivò a Livorno, e di là ad Ancona ov'era il Re.
I componenti la deputazione napoletana, la maggior parte erano individui beneficati dai Borboni, e venuti su in cariche e lucrosi stipendii sotto Garibaldi. È da notarsi che facea parte di quella deputazione il sempre distinto D. Liborio Romano già ministro liberale di Francesco II.
Un'altra deputazione partì da Palermo a nome di tutta l'Isola per invitare lo stesso Re di Piemonte ad abbattere immediatamente il residuale esercito del legittimo Sovrano, e togliere a Garibaldi redentore quel resto di male esercitata potestà che aveagli lasciata Pallavicini. Dopo gli Osanna i Crucifige...!
Tutta questa folla e fretta per invitare il Re di Piemonte ad entrare nel reame di Napoli, non andava a sangue a Garibaldi, il quale era sempre accerchiato da que' mazziniani rimasti fedeli al proprio duce e maestro: quindi il Dittatore, sentendo prossima la fine del suo regno, sbuffava fuoco, e minacciava di pubblicare documenti provanti la complicità del Piemonte della sua invasione del Regno di Napoli. Baie....! sarebbe stato troppo tardi. Ma egli tutto calcolato, si contentò masticare amaro negli ultimi giorni della sua regia potestà. Ingrati! gli avessero meno indorata la pillola... Intanto vedendosi debole di forze, ubbidiva palesemente, e ricalcitrava in segreto tra' più fidi amici.
Cavour che avea protestato in faccia all'Europa contro la spedizione de' mille, che avea chiamato filibustiere Garibaldi, mentre lo proteggeva occultamente e gli mandava aiuti di armi e di danaro, vedendo il frutto maturo, si affrettò a raccoglierlo. Il 6 ottobre si tolse la maschera e parlò chiaro nel Parlamento sardo, presente Winspeare ministro di Francesco II, accreditato presso il Re di Piemonte. Cavour disse alla Camera: «Gli avvenimenti napoletani aveano già determinato il Governo a mandarvi vascelli con soldati di sbarco per tutela de' piemontesi. (Vascelli! quanti ne avea? neppure uno!) Poi le cose peggiorarono. Francesco II ha abbandonato la città capitale (dovea pure dire per opera de' miei tranelli), ed ha quasi di fatto abdicato al trono, (mentre quel Re combattea valorosamente sul Volturno). La guerra civile che v'infierisce (per opera mia), e l'assenza di un governo regolare (questa è pel redentore), mettonvi in pericolo l'ordine sociale; (quanta tenerezza!) perlocchè la città ed i corpi costituiti di Napoli (e vedete contradizione: mentre vi era l'assenza di un governo regolare!) han mandato petizioni per soccorso a Re Vittorio, cui la Provvidenza ha dato la missione di pacificare e ricostituire l'Italia. Pe' doveri di tal missione imposti, Ei manda a Napoli soldati, il che salverà l'Italia ed Europa, porrà fine all'anarchia, al disordine e al versamento di sangue italiano.» Per isbugiardare le impudenti menzogne che dicea quel primo ministro sardo in pubblico Parlamento, oh! quanto sarebbe stato a proposito mettergli sotto gli occhiali due brani di lettere da lui scritte all'ammiraglio sardo Persano, la prima del 3 agosto 1860, ove dice: «Prudenza ed audacia, ammiraglio: siamo alla crisi! faccia quanto può per far scoppiare un moto in Napoli prima dell'arrivo del generale Garibaldi non solamente per ispianargli la via, ma anche per salvarci dalla diplomazie. Diario di Persano parte II pag. 19, edizione di Torino 1870. E nella medesima parte II pag. 82: «Al punto in cui son giunte le cose, non occorre più rischiare una rivoluzione in Napoli per far partire il Re, se ne anderà coll'avvicinarsi di Garibaldi, col quale bisogna andare pienamente e francamente di accordo. S'impossessi però sempre dei forti e della flotta, potrà farlo senza aspettare il suo arrivo.» Sarebbe stata pure a proposito l'altra lettera che trascrissi altrove del 9 agosto ove dicea a Persano: «Appunto perché Napoli è un osso duro, sta a lei che ha buoni denti per masticarlo. Saprò tuttavia tener conto delle immense difficoltà ch'ella deve superare; e se non riesce dirò che il riuscire era impossibile. Il problema che dobbiamo sciogliere è questo: aiutare la rivoluzione, ma far sì che al cospetto d'Europa appaia come atto spontaneo.
La dimane del discorso di Cavour, Winspeare rispose a costui e disse: «L'occupazione sarda è contraria ad ogni diritto: i fatti precedenti, la parentela, e l'amicizia fra i due re la rendono straordinaria e nuova nella storia moderna. Le proteste di Re Francesco, gli sforzi guerreschi sotto Capua, rispondono allo strano argomento della supposta abdicazione.»Indi Winspeare lasciò Torino! Cavour, intanto avea domandato alla Camera sarda l'approvazione di annettere al Piemonte le Marche, l'Umbria, e il Regno di Napoli, sempre per le ragioni del mal governo, per evitare l'anarchia, chiudere l'êra delle
rivoluzioni, e riunire tutta l'Italia sotto lo scettro di Casa Savoia. Quella Camera era siffattamente ligia a Cavour che pochi deputati si opposero. Il deputato Cabella chiese di vedere i documenti su cui si fondavano i disegni ministeriali. Cavour si negò dicendo, che ciò avrebbe potuto nuocere. Il deputato Giuseppe Ferrari si oppose alle annessioni, e dimostrò leleggi sarde inferiori a quelle napoletane, queste essere paragonate alle migliori d'Europa. Gli annessionisti di Napoli essere gente da nulla. Difese il concetto garibaldesco, e disapprovò quello cavourriano, perché opposto alla guerra contro Venezia e Roma: e conchiuse: «Come mai, sig. Cavour, dite di chiudere l'êra delle rivoluzioni, voi che aspettate rivoluzioni a Roma ed a Venezia? "
Altri deputati dissero che i mali del Regno di Napoli erano conseguenza delle ree pratiche del governo sardo, ed enumerarono i mali del reame, e principalmente segnalarono il comunismo di Sicilia. Un deputato gridò:«Non isveliamo le nostre vergogne allo straniero! "
L' 11 ottobre la Camera sarda votò l'annessione delle Marche, delle Umbrie, e del Reame di Napoli con soli sei voti contrarii.
Il 16 si discusse in Senato la legge delle annessioni. Il senatore Brignole-Sale alzò la voce e disse: «Quel Reame (di Napoli) è di un Principe indipendente, che, cinto di un resto di soldati fedeli, resiste all'orde rivoluzionarie. Noi non eravamo con esso in pace? un nostro ministro non era presso di lui? il Governo del nostro Re non ha pubblicamente e sovente disapprovata la rivoluzione siciliana? Perché ora fargli guerra e soccorrere la rivoluzione che disapprovammo? che ragioni di sì rea condotta daremo? Protesto alto a prò de' grandi principii su cui l'ordine riposa.» Meno male! pure è dolce conforto sentir voci oneste in mezzo a quegli osceni tripudii di tanti onorevoli. Cavour e Cassinis risposero e dissero quasi la stessa cosa, cioè che BrignoleSale avea idee antiche sul diritto, e che la giustizia non è merce di tutti i tempi. Cavour conchiuse: «Forse i mezzi non furono tutti regolari, ma lo scopo santo giustifica in gran parte la irregolarità de' mezzi usati.» La legge passò con dodici voti favorevoli alle annessioni. Queste commedie parlamentari avvenivano quando già l'esercito sardo era entrato nel Regno di Napoli!
Mentre in Torino si decretavano le annessioni e l'entrata dell'esercito sardo nel Regno delle due Sicilie, in Palermo erano le solite baruffe tra annessionisti puri e condizionati, tra repubblicani ed annessionisti di qualunque gradazione. I repubblicani voleano una Costituente per proclamare la repubblica e far l'unione italica, lasciando a' diversi Stati la propria autonomia.
Il Prodittatore di Sicilia, Mordini, in conformità del decreto dittatoriale del 19 giugno, il dì 5 ottobre decretò la convocazione del Collegi elettorali, perché si eleggessero i deputati ad una assemblea in Palermo. I piemontisti di Palermo, all'udire quel decreto, strepitarono contro il Prodittatore, perché diceano, che volesse avversare le annessioni, e favorire le proclamazioni di una Costituente.
Il decreto del Prodittatore di Sicilia non dispiacque a' repubblicani di Napoli: Mazzini, Crispi e Ricciardi proposero a Garibaldi di convocare i Collegi elettorali e formare una Costituente anche in Napoli per esaminare le condizioni dell'annessione che si dovea fare al Piemonte.
Crispi e Ricciardi avrebbero voluta la condizione espressa della conquista di Roma e Venezia, e inoltre che Sicilia e Napoli avessero la propria autonomia amministrativa. Il 7 ottobre, Crispi propose al ministero napoletano un decreto simile a quello del Prodittatore di Sicilia: i pareri de' ministri si divisero, perché i componenti quel ministero erano di diversi colori politici, sebbene la maggior parte, chi per paura, chi per inclinazione, optassero per Cavour.
Però, il vecchio repubblicano Pallavicini montò sulle furie, e minacciò il suo sdegno, anche con la sua dimissione...!Il ministro del governo piemontese, l'8 ottobre corse a Caserta ed indusse Garibaldi a firmare il decreto della convocazione de' Comizi popolari con questa formola: «Il popolo (povero popolo!) vuole l'Italia una e indivisibile con V. Emmanuele Re costituzionale, e suoi legittimi discendenti?»
In conseguenza di questo decreto si modificò il Ministero. I direttori furono tutti cambiati, e Tupputi fu creato generale di tutta la guardia nazionale del Regno.
Il decreto dell'8 ottobre distrusse l'ultimo vestigio di potestà che ancora aveano i repubblicani e gli annessionisti condizionati, e fece trionfare su tutta la linea i piemontisti puri.
Il Prodittatore di Sicilia mandò a Garibaldi il ministro Parisi per insistere sull'attuazione del suo decreto del 5 ottobre, col quale convocava i collegi elettorali pel 21 dello stesso mese.
Garibaldi che dava ragione a chi parlasse l'ultimo, aderì alla domanda di Mordini, e volea che si facesse lo stesso in Napoli ad onta del decreto che aveagli fatto firmare il ministro Villamarina l'8 ottobre.
Tra Parisi e Pallavicini corsero parole risentite, Garibaldi infuriava contro tutti, e dava ragione a tutti. Villamarina fece uso del gran colpo di grazia per togliere al Dittatore qualunque titubanza: cioè gli minacciò i fulmini di Torino, e gli disse che l'esercito sardo stava per passare la frontiera del Regno, e che in Napoli erano giunti altri battaglioni sardi per mare. Garibaldi si ammorbidì a quelle minacce; ed i camorristi, già divenuti piemontisti ed annessionisti puri, si unirono col partito cavourriano, riunirono della plebaglia, e la fecere gridare per Toledo: viva l'annessione, morte a Crispi, morte a Mazzini. Allora si videro in Napoli molte persone col SI al cappello, o altro arnese che usavano in capo, senza sapere cosa importasse e significasse quel SI.
Crispi tentò ancora di lottare contro gli annessionisti puri, ma Garibaldi cha avea bisogno dell'esercito sardo, non potendo più far fronte a quello napoletano che lo minacciava seriamente da Capua, il 15 firmò un decreto dichiarante, Italia una e indivisibile con Vittorio Emmanuele; e ch'egli deporrebbe nelle mani di Lui la dittatura conferitagli dal popolo.In questo decreto suppone Garibaldi ciò che non avvenne mai, cioè che la Nazione o il Popolo, come suol dirsi gli avesse conferita la dittatura.
Egli si proclamò Dittatore il 14 giugno in Salemi, un giorno prima del fatto d'armi di Calatafimi; né assemblee di deputati, né comizi popolari confermarono mai quella dittatura. Come mai asserisce in quel decreto la dittatura conferitagli dal Popolo?
È questa una delle solite millanterie e menzogne con le quali i rivoluzionarii vogliono giustificare il potere che ghermiscono co' tranelli o con la violenza.
Crispi, vedendo vincitori i piemontisti puri su tutta la linea, il 16 ottobre si dimise dal ministero degli esteri.
Il Prodittatore di Sicilia, Mordini, rimase al suo posto, e fu costretto a far la volontà dei cavourriani; in effetto, il 17 di quel mese, con un decreto promulgò il Plebiscito pel 21 ottobre, come per lo stesso giorno si era promulgato in Napoli e per tutte le province del Regno.
Mordini, proclamando il Plebiscito per la Sicilia, disse: «Preparassero il grande atto, il cui merito è dovuto al nuovo Washington, Garibaldi.»Atteso quanto di sopra si è detto, questo elogio sembra un epigramma.
In tutte queste poco onorevoli lotte tra repubblicani, annessionisti condizionati ed incondizionati, si vedeva chiaro che il movente era l'ambizione, il potere ed i vantaggi personali. In quest'affare, simile a quello della favola di Esopo, vinse il leone, perché era più forte. Di tutti que' personaggi lottanti, io faccio una eccezione per Crispi, il quale si mostrò fermo nel suo principio, ed operò in conseguenza. Sebbene un abisso separa i principii miei da quelli di Mazzini, pure ammiro costui, anzi sono inclinato a supporre che agisse in buona fede, nel credere che la repubblica sarebbe stata la forma di governo pel popolo italiano. Senza partigianismo debbo ammirare Mazzini, che, ad onta che sagrificasse tante vittime alla sua idea, pure non cambiò bandiera e non fece di cappello ad alcun potente.
Dopo che uscì Crispi dal Ministero, rimasero Ministri e direttori tutticavourriani. Questo Ministero schiccherò decreti a sazietà. Già si era abolito il Ministero di Sicilia in Napoli, si erano tolte le rappresentanze all'estero, e si pregava il Re di Piemonte di incaricare i suoi agenti per la protezione del commercio di Napoli e Sicilia. E tutto questo avveniva prima del plebiscito. Io trovo meno impudenti e più logici i conquistatori del MedioEvo, almeno costoro dicevano quel che volevano e non corbellavano il povero popolo col chiamarlo sovrano.
Dal 16 ottobre in poi si promulgarono molti decreti e regolamenti: dirò i principali. Con un regolamento del 16 si dichiararono abrogate le frontiere col resto dell'Italia, e ciò è da lodarsi, sebbene le Dogane proseguissero a vessare i viaggiatori. Con un decreto si tolse la polizia a' Giudici di Circondario, che poi chiamarono Pretori, e si diede a' Sindaci de' paesi, ciò che fu e sarà causa d'infiniti inconvenienti. Il 19 si dichiararono abrogati i privilegi e le immunità ecclesiastiche nel penale e nel civile; era una conseguenza necessaria della rivoluzione, la quale altra mira non ha che abbattere la Chiesa, e renderla schiava del potere civile, il resto viene da sè. Si abolì l'antica prammatica de monialibus, e tutte le leggi riguardanti servitù a case private in prò de' luoghi pii: e si annullarono tutti i decreti e rescritti modificatori dei consigli degli ospizii.
Furono destituiti moltissimi antichi impiegati, e surrogati dagli adepti della setta.
Si diedero pensioni a tutti i compromessi del 1820, 1830 e 1848, mentre costoro dal Re Ferdinando II, erano stati rimessi negli impieghi e trattati a preferenza.
Chi facea più rumore e chiassi di que' compromessi, avea più pingue pensione; e non vivendo più i Martiri, la pensione si dava agli eredi. E qui è necessario ridire che i rivoluzionarii, in quanto a soccorrere i loro adepti sono più conseguenti e più giusti de' sovrani. Oggi gli uffiziali più onorati che non hanno potuto o voluto dare l'adesione al governo riparatore, gemono nella più desolante miseria e tristo abbandono!
Il 23 ottobre uscì un decreto che fece molto rumore; quel decreto ordinava che si togliessero da' beni di Casa reale sei milioni di ducati, da dividersi tra coloro che aveano sofferto persecuzioni da' Borboni. Figuratevi che festa fecero i liberali, i patrioti! tutti erano stati esiliati, carcerati, saccheggiati da' Borboni, e se volete, anche fucilati...! E volete sapere come si divise quella somma di sei milioni?
10vel dirò, ma come cronista senza assumere alcuna responsabilità, ad onta che Filippo de Boni nel giornale il Popolo d'Italia di quei tempi avesse rivelato nomi e somme divise tra' martiri.
A' militari destituiti nel 1849, si pagarono tutti gli averi in una volta, cioè per 11 anni, tenendo conto delle promozioni che avessero potuto anche avere in quello spazio di tempo. Fu stampato e pubblicato, che Conforti (quello che chiamava ladri i Borboni), essendo stato ministro liberale poche settimane nel 1848, avesse ricevuto settantamila ducati, per soldo di ministro, cioè dal 1848 al 1860! ed invero è ben difficile che un ministro costituzionale la duri per dodici anni al potere! Si stampò inoltre, e si pubblicò in que' tempi (saranno calunnie....) che Scialoia si pigliasse settantacinquemila ducati, e suo padre diciottomila. Il Romanziere Dumas francese (etiam tu?), il de Cesare e Ferrigni ebbero quattrocentomila ducati, il primo per istudiare la storia il secondo l'economia ed il terzo la scienza ed il culto. Che Massari, Ciccone ed altri avessero ricevuto cinquantamila ducati, per istudii economici, e così altri. Peccato che non si diedero altre somme per istudiare la scienza culinaria, oggi tanto necessaria per solennizzare le feste ministeriali. Di tutto questo che vi ho raccontato, voi lo sapete, trattandosi di danari, io al solito me ne lavo le mani, perché credo tutti onesti, e bisogna aver riguardo che nel mondo si trovano invidiosi e calunniatori ad ogni piè sospinto, maggiormente quando costoro restino a denti asciutti. Di fatti molti de' sopra nominati e calunniati dal giornalista Filippo de Boni, intentarono un processo di diffamazione a costui. Fu destinato il Magistrato La Francesca ad esaminare quella calunnia, ma questi fu traslocato, forse per isbaglio, mentre istruiva il processo! E il De Boni, da vero predicatore ostinato, ebbe il coraggio di ripetere le accuse contro i suddetti calunniati, nel giornale il Popolo d'Italia del 12 aprile 1864, e forse per generosità de' diffamati non fu molestato...
11Ministero, a fruire della fuggente potestà, pubblicò un decreto del 25 settem bre, col quale concedea le strade di ferro del Regno alla Società Adami e Lemmi di Livorno: negozio rovinosissimo per l'Italia. Fra gli altri patti vi era quello che il paese si vincolasse per lunghi anni, sottoponendosi al carico di seicentocinquanta milioni di lire, ch'era la spesa presuntiva, ed assicurava alla società l'utile del sette per cento, senza ch'essa sborsasse un centesimo. Quella malalingua di La Farina stampò nel  giornale il Cittadino di Palermo che un Ministro ed un Segretario avessero fatto un carrozzino moderno liberale, e stampò pure in quel giornale un documento stipulato presso Notar Zezza confermante quel carrozzino. Però il Governo del Piemonte annullò poi quel contratto, chi sa per qual ragione! Con decreto del 19 ottobre si chiuse il collegio del Salvatore per un anno.
Lo stesso giorno 29 ottobre si firmò un decreto degno di chi lo propose e degnissimo di chi lo firmò. I Borboni, tiranni e nemici dell'intelligenza, aveano istituito un fondo di soccorsi pe' letterati poveri! E bene, i riparatori dell'ordine morale, i redentori abolirono quel fondo di soccorsi, e fecero repulisti; ossia, diedero invece pensioni e soccorsi alle frine e alle megere. Diedero ducati dodici mensili alla Sangiovannara ostessa a Camorristessa; altrittanti ne diedero ad Antonia Pace, a Carmela Faucitano, a Costanza Leiprecher, Pascarella Proto, e ad altre. Il decreto dicea: «Perché esempii inimitabili di coraggio nel propugnare la libertà.
Il noto letterato Micheletti era soccorso dai Borboni, al 1860 votò per l'Italia una, e morì povero maledicendo la libertà settaria!
Lo stesso giorno 29 ottobre, il Dittatore, il quale esiliava Vescovi, Arcivescovi e Cardinali, fece grazia a tutti i condannati alla galera e all'ergastolo per delitti comuni. Garibaldi sbarazzava le carceri di que' malfattori per mettervi uffiziali, magistrati, aristocratici, preti, e Vescovi e così si facea l'Italia!

(Estratto dal libro di Giuseppe Buttà, Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta).

"il re Bomba ed il re Galanuomo", l'analisi di Ubaldo Sterlicchio

La Monarchia sacra Parte Seconda :IL ‘TOCCO’ GUARITORE DEI RE: Gli anelli medicinali inglesi

Edoardo II
Edoardo di Carnarvon, in inglese Edward II of Carnarvon (Caernarfon, 25 aprile 1284Berkeley, 21 settembre 1327), Re d'Inghilterra dal 1307 fino alla sua deposizione nel gennaio del 1327.


Lasciamo per un attimo la Francia e i suoi re guaritori, e torniamo Oltremanica, presso la corte sulle rive del Tamigi.
L’epoca medioevale vide nascere in Inghilterra una seconda prerogativa medicinale da parte dei principi regnanti: i cramps-rings, gli anelli miracolosi contro l’epilessia.
Il più antico documento attestante tale prassi rimonta al 1323, durante il regno di Edoardo I I (1307- 1327). Si tratta di un’ordinanza emessa dal sovrano con cui viene ufficialmente regolata la cerimonia dei cramps-rings che, al pari del tocco delle scrofole, era divenuta una delle funzioni ordinarie della dignità reale inglese.
Il rito dovette essere antecedente. Tuttavia la sua origine è avvolta nel mistero.
Da allora, per oltre due secoli, i monarchi britannici s’applicarono a benedire gli anelli miracolosi contro l’epilessia.
Addentriamoci nella descrizione della suggestiva cerimonia. Il Re, il Venerdì Santo, giorno commemorativo della Passione di Cristo, era solito svolgere, come ogni altro fedele, il rito dell’Adorazione della Croce. In particolare, il monarca inglese, secondo un cerimoniale fissatosi nel tempo, dopo aver collocato nella cappella del palazzo reale, la Croce di Gneyth, che, conquistata da Re Edoardo I (1272- 1307) ai Gallesi, conteneva una reliquia miracolosa del legno della Santa Croce, si prosternava a terra e procedeva strisciando in quella posizione fin a giungere a baciare la Croce.
A partire sicuramente dal regno di Edoardo I I (1307- 1327), ma certamente anche prima, il sovrano deponeva sull’altare, toccandole con le mani nude, una certa quantità di monete d’oro e d’argento, poi le riscattava sostituendole con un equivalente importo. Con le monete ‘riscattate’ e da lui ‘toccate’ erano in seguito fabbricati degli anelli medicinali: “da donare come medicina a varie persone”, come recita la sopra citata ordinanza.
Tali anelli erano indicati per la cura dell’epilessia e degli spasmi muscolari in genere, come indica il vocabolo inglese cramps-rings, anelli contro i crampi. Questa cerimonia il monarca la compiva una sola volta l’anno, il Venerdì Santo.
Il libro dei Conti di Palazzo danno un quadro abbastanza preciso del rito degli anelli. Edoardo I I I (1327- 1377) li consacrò il Venerdì Santo 14 aprile 1335, 29 marzo 1336, 18 aprile 1337, 10 aprile 1338, 26 marzo 1339, 14 aprile 1340, 30 marzo 1369, 12 aprile 1370. Così riporta, per esempio, la nota di spesa del 14 aprile 1335:
“Offerte del Signor Re alla Croce di Gneyth, il Venerdì Santo, nella Sua cappella nel castello di Clipstone, per un importo di due fiorini fiorentini, il 14 aprile per sei scellini e otto denari, riscattati, per fare gli anelli, con una medesima somma, pari a sei scellini; in tutto 12 scellini e 8 denari ”.
Riccardo I I (1377- 1399) li benedisse sicuramente il 4 aprile 1393 e il 31 marzo 1396. Enrico IV di Lancaster (1399- 1413) il 25 marzo 1407; suo figlio e successore Enrico V (1413- 1422) il Venerdì Santo 21 aprile 1413: “Offerte del Signor Re fatte adorando la Croce, il Venerdì Santo, nella chiesa dei frati di Langley, ossia tre nobili d’oro, e cinque soldi d’argento, pari a scellini 25; più l’offerta al decano della Cappella di pari importo per riscattare il denaro prima offerto e fare degli anelli medicinali.
Importo: 25 scellini”.
Una pia tradizione riferiva tale prodigiosa e soprannaturale virtù degli anelli medicinali, come già per il tocco dello scrofole, al santo Re Edoardo I il Confessore (1042- 1060). Si raccontava infatti di come il monarca avesse fatto dono ad un povero, in mancanza d’altro, del suo anello. Sotto i miseri cenci del mendicante la tradizione narrava celarsi San Giovanni Evangelista. In seguito due pellegrini inglesi in Terrasanta s’imbatterono nel medesimo vegliardo che restituì loro l’anello, pregandoli
di riportarlo ad Edoardo coll’annuncio che fra poco l’avrebbe scortato in Paradiso.
L’anello fu custodito nell’abbazia di Westminster, ove pure era sepolto il santo Re, e ben presto divenne celebre per il suo miracoloso potere di guarire l’epilessia.
Si comprende pure la connessione tra gli anelli medicinali, consacrati dal Sovrano nel giorno che commemorava la Passione e Morte di Cristo, in cui si svolgeva il rito dell’Adorazione della Croce, con la potenza esorcistica che emanava dalla Croce stessa, e l’epilessia, di cui i Vangeli menzionavano gli effetti con riferimento esplicito all’intervento del demonio.
Si rammenti, ad esempio, il celebre episodio narrato in San Matteo dell’epilettico che gli Apostoli non riescono a guarire. “Demoni siffatti non si scacciano se non con la preghiera e col digiuno”, dice loro il Divin Maestro, dopo aver scacciato il maligno dal fanciullo.
Sir John Fortescue, partigiano dei Lancaster e noto giurista, in un opera di diritto composta tra il 1461 e il 1463, nel pieno della guerra delle Due Rose, riportava l’opinione comune circa la miracolosa prerogativa dei monarchi inglesi di guarire l’epilessia:
“Anche l’oro e l’argento devotamente toccati, secondo la costumanza annuale, dalle mani consacrate, dalle mani unte dei re d’Inghilterra, il giorno del Venerdì Santo, e offerti da essi, guariscono gli spasmi e l’epilessia; il potere degli anelli fatti con quell’oro e quell’argento e messi alle dita degli ammalati è stato sperimentato da un uso frequente in gran parte del mondo”.
All’epoca di Fortescue il rito si era semplificato. Gli anelli guaritori era già preparati in precedenza. Poi la cerimonia procedeva come per il passato. Il principe, dopo aver ricevuto in un bacile d’oro dal dignitario presente di grado più levato, gli anelli, li toccava, li deponeva quindi sull’altare ove era la Croce; infine li ‘riscattava’ corrispondendo una somma fissata dalla tradizione in 25 scellini per la cappella reale.
Maria la Cattolica, figlia di Enrico VI I I , che regnò dal 1553 al 1558, fu l’ultimo sovrano inglese a compiere il rito degli anelli contro l’epilessia. Dopo di lei, infatti, i suoi successori protestanti si rifiutarono di compiere la cerimonia, evidentemente giudicata troppo ‘cattolica’.
Il Messale della Regina contemplava anche la liturgia del Venerdì Santo colla funzione degli anelli medicinali. Il sovrano, terminata l’adorazione della Croce, si poneva ai piedi dell’altare, con a fianco il bacile d’oro contenente gli anelli medicinali da benedire. Recitava, quindi, una prima preghiera:
“O Dio onnipotente ed eterno che […] hai voluto che coloro che tu elevasti al fastigio della dignità regale, ornati delle grazie più insigni, fossero organi e canali dei tuoi doni, di modo che come essi regnano e governano grazie a te, così per tuo volere giovano agli altri uomini e trasmettono al popolo i tuoi benefici […]”.
Quindi il principe doveva pronunciare un’altra preghiera e due formule di benedizioni sugli anelli, ove, accanto alla virtù medica dei monili, appare anche la loro qualità esorcistica contro gli influssi diabolici:
“Dio, degnati di benedire e santificare questi anelli […], affinché tutti coloro che li porteranno siano immuni dalle insidie di Satana […], siano preservati dalla contrazione dei nervi e dai pericoli dell’epilessia”.
Dopo la recita di un salmo e di un’altra orazione, la cerimonia giunge al suo momento centrale: il re prende gli anelli guaritori e li strofina ad uno ad uno nelle sue mani, pronunciando nel contempo questa prece:
“O Signore, santifica questi anelli, e irrorali benigno con la rugiada della tua benedizione, e consacrali con il fregamento delle nostre mani, che tu ti sei degnato santificare, secondo l’ordine del nostro ministero, con la sacra unzione esterna dell’olio, così che tutto ciò che la natura del metallo non potrebbe fare, sia compiuto con la grandezza della tua grazia…
A questo punto, dopo l’aspersione con l’acqua benedetta, il monarca terminava la cerimonia con il rito del riscatto, sopra più volte riferito.

Santa Giovanna d'Arco . Commissione di studio ispirata al pensiero di Plinio Corrêa de Oliveira.

Dopo gli splendori del XIII secolo, il medioevo comincia a decadere; per mancanza di vigilanza, il mondo cristiano non si accorge della nascita di uno spirito non più di amore alla Croce, ma di discreto godimento della vita.


Trent'anni dopo la morte di S. Luigi IX, suo nipote Filippo IV, detto "Il Bello", entra in lotta con Papa Bonifacio VIII, compiendo ad Anagni un oltraggio estremo contro di lui: il Vicario di Cristo é schiaffeggiato da uno dei due sicari del Re di Francia; questo episodio (verificatosi nel 1303) può essere assunto come data emblematica della nascita dell'evo moderno.

L'Europa si immerge in una crisi sempre maggiore, piena di avvenimenti deplorevoli: uno di essi è la lotta fra Inghilterra e Francia, nota come "la guerra dei cent'anni", provocata dall'ambizione dell'Inghilterra di impossessarsi, illecitamente, della corona di Francia.

Nel corso della guerra la Francia decadde completamente, soprattutto sotto Carlo VII, Re legittimo ma non ancora consacrato, debole, indolente, e del tutto incapace di salvare il suo regno e occupare il trono che gli spettava. Iddio, per mostrare ancora una volta la divinità della Chiesa e la sua perenne capacità di generare santi, che deriva dall'assistenza divina, compì in questi tempi pieni di infedeltà, decadenza e rovina, una grande meraviglia, suscitando, per collocare il legittimo Re di Francia sul trono, uno dei più ammirevoli esempi dello spirito soprannaturale, casto e guerriero del medioevo: Santa Giovanna d'Arco.


Un noto storico comincia la narrazione della vita di S. Giovanna d'Arco con queste parole: "Non c'é nella Storia una vita più straordinaria e più commovente di quella di Giovanna d'Arco, giovane pastorella che si trasforma in un comandante d'esercito, salva il proprio paese da un pericolo mortale e muore martire della sua fede religiosa e patriottica".

Giovanna nasce nel 1412 in un piccolo paese chiamato Domrémy. Suo padre esercita una certa autorità sulla popolazione locale, profondamente fedele a Carlo VII. Fin dall'infanzia la bimba divenne estremamente pia. Ella, che apparteneva a una famiglia di modesti contadini, era, secondo una sua espressione, una "belgerette" (pastorella di pecore).

A 13 anni sente per la prima volta una voce soprannaturale che le parla: ha paura. Poi comprende che quella voce viene dal Cielo e in seguito le apparizioni si fanno più frequenti e precise: le appare S. Michele con altre due sante, Margherita d'Antiochia e Caterina d'Alessandria. Le voci celesti esortano Giovanna a lottare per la Francia, e, quando Orleans é minacciata dal nemico, le viene rivelato che tocca a lei salvare la città. All'inizio Giovanna resiste, ma le voci continuano per 5 anni, con la stessa insistenza, a mostrarle la sua missione.

Alla fine Giovanna é convinta che non si può resistere alla volontà di Dio e decide di seguirla. Ella mostra alle sante che le appaiono un anello ricevuto dai suoi genitori con incisi i nomi di Gesù e Maria, queste toccano l'anello ed ella fa voto di castità. Da questo momento la Santa incontra molti ostacoli nell'attuare la chiamata divina, a cominciare da quando parla a suo padre della faccenda: egli dichiara che preferisce cadere in rovina piuttosto che vederla partire per la guerra.

Con l'aiuto di uno zio che conosce il capitano comandante della guarnigione di Vancouleurs, cerca il modo di arrivare fino al Re, ma il capitano consiglia lo zio di Giovanna di dissuaderla da questa idea. Giovanna torna a parlare col capitano, questi la indirizza al duca Carlo di Lorena che la sottopone a un interrogatorio. Tornata ancora una volta dal capitano, gli parla con tale convinzione, che egli decide di indirizzarla al Re.


L'ufficiale le dà una spada ed invia attraverso di lei una lettera al monarca. Ella ottiene dalla popolazione locale una armatura ed un cavallo. Una scorta di 4 soldati e 2 servitori l'accompagna fino a Chinon, dove in quel tempo risiedeva Carlo VII. Prima di giungere sul luogo, la Pulzella (la vergine), come era chiamata, manda al Re una lettera annunciando il suo arrivo, dicendo di portare buone notizie. Il monarca la fa sottoporre ad un interrogatorio prima di farla entrare nel castello, ma ella rifiuta di rivelare qualsiasi cosa senza averla precedentemente detta al Re. Questi decide allora di metterla alla prova e si traveste da uomo comune, mischiandosi ai nobili che occupavano la vasta sala del castello. Giovanna, che non lo aveva mai visto, si dirige direttamente a lui dicendogli: "Io vengo per missione divina a soccorrere il regno e voi; il Re del Cielo ordina, per mio tramite, che siate consacrato e incoronato a Reims, e che siate, come lo sono sempre stati i Re di Francia, il luogotenente del Re del Cielo".


Il sovrano, sbigottito, si convince. A Poitiers si riunisce una commissione ecclesiastica per studiare il caso, che, dopo aver fatto interrogare Giovanna da numerosi teologi per vedere se non fosse una strega, la riconosce per una buona cattolica e, presenta una relazione favorevole intorno alla veracità della missione di Giovanna.

Giovanna comincia ad agire subito in modo conseguente alla sua rivelazione: lancia contro il Re d'Inghilterra, che si fregiava del titolo di "Re di Francia e d'Inghilterra", un vero e proprio ultimatum, intimandogli di lasciare il territorio francese. La lettera dice a un certo punto: "... Re d'Inghilterra, se così non farete, io che dirigo la guerra, in qualunque luogo incontri in Francia i vostri soldati, li farò indietreggiare, lo vogliano o meno".

Orleans, l'unica città di una qualche importanza rimasta sotto il dominio di Carlo VII, sta quasi per cadere in mano agli inglesi. Giovanna, fatta "comandante in battaglia", come essa stessa diceva, parte alla testa di un piccolo contingente di aiuti e riesce a far entrare nella città assediata un convoglio di viveri. Ella dirige personalmente i combattimenti, animando i difensori della città assediata e riempiendo di coraggio le sue truppe d'assalto. Nonostante un triplice ferimento in combattimento, la vittoria é completa. Talbot, uno dei più celebri generali inglesi dell'epoca, ordina la ritirata e la città resta libera. Psicologicamente la vittoria ha un'importanza decisiva: il morale dei francesi era bassissimo e nessuno credeva più alla vittoria; la liberazione di Orleans fa rinascere le speranze dei patrioti, e riaccende la lotta per la liberazione della Patria; oltre a ciò, quella vittoria che era stata preannunciata dalla Pulzella, sembra a tutti il segno decisivo della veracità della sua missione divina.


Lo stesso Carlo VII, tanto scettico e indeciso, vede nel fatto un miracolo. Questa giovane di appena 17 anni, dimostra uno straordinario istinto militare. Ciò, però, non deve farci credere che fosse un tipo mascolino, cosa propria dello spirito rivoluzionario. "E' -secondo un noto storico francese- bella, alta e forte; ha una fisionomia graziosa e gioviale, una voce dolce ed un'apparenza modesta".

Carlo VII era stato chiamato fino ad allora "il gentile delfino", ma non era ancora stato consacrato Re. Farlo consacrare a Reims, equivaleva ad affermare in modo decisivo il suo diritto regale. Per Giovanna questo è il prossimo obiettivo della sua missione, ma Carlo esita; a corte un buon numero di consiglieri non vede la Pulzella di buon grado. La vita corrotta e frivola di corte è a disagio in sua presenza: la "mafia" agisce alacremente contro di lei. Il Re, di carattere debole e del tutto estraneo alla grandezza della propria vocazione, vacilla davanti allo slancio di Giovanna, ma lei, convinta della sua missione, riesce a superare le difficoltà. Il Duca di Alençon, uno dei più entusiasti, prepara un contingente disposto ad attraversare il fiume Loire: l'esercito reale coglie la celebre vittoria di Patay, dove 2.000 nemici muoiono e molti nobili inglesi, tra cui il famoso Talbot, cadono prigionieri; i francesi perdono solo tre soldati.

La marcia su Reims é trionfale; domenica 17 giugno 1429, nella cattedrale, viene celebrata la consacrazione più commovente della storia, con tutto il rituale tradizionale: Giovanna, per tutta la durata della cerimonia, resta col suo stendardo ai piedi dell'altare. Dopo questi brillanti successi per Giovanna comincia il periodo degli infortuni. I tentativi di riconquistare Parigi non danno risultati positivi: dapprima, i negoziati col Duca di Borgogna falliscono e ritardano l'azione, poi, il tentativo di assalto alla città fallisce e Giovanna viene ferita. Carlo VII ricomincia ad esitare: il ritmo accelerato della lotta stanca il suo spirito indolente e freddo. L'influenza nefasta di La Tremoille, un consigliere indispettito dall'ascendente che la santa aveva sul Re, finisce per indisporre il monarca verso la Pulzella.


In un'occasione ella aveva detto: "Temo una cosa sola, il tradimento". Il Re smette di appoggiarla e, dopo le ferite ricevute nell'assedio di Parigi, le raccomanda un lungo riposo. Ciò contraddice le indicazioni di Giovanna, che mostrava la necessità di un'azione rapida.

Giovanna non si rassegna all'inerzia e ricomincia la lotta. Nell'assedio di Compiègne, cade prigioniera del Duca di Borgogna, alleato degli inglesi. Dopo una serie di negoziati, il cui principale agente fu il vescovo Pierre Cauchon, ella viene venduta agli inglesi per diecimila scudi d'oro. Carlo VII non fa nulla per evitare la tragedia.

La Pulzella viene sottomessa a un processo mostruoso, diretto dai suoi stessi carnefici. Negli interrogatori dimostra una sapienza soprannaturale che confonde la malafede e l'astuzia dei giudici.
Dopo un anno di prigionia, viene condannata dal tribunale, presieduto dal vescovo Pierre Cauchon, con l'accusa di essere eretica, recidiva, apostata e idolatra. Il giorno 30 maggio 1431 viene messa al rogo.
La sua richiesta di appello all'inquisizione romana viene disattesa dal tribunale criminale. Quel che Giovanna non riuscì ad ottenere in vita, lo realizzò con la sua morte.
Lo spirito patriottico si infiammò ed il suo martirio riaccese la chiamata alla lotta. Dopo la sua esecuzione nel campo francese i trionfi si susseguirono, finché la sua Patria rimase interamente libera dal nemico.

La lotta plurisecolare contro la Casa d'Austria. Commissione di studio ispirata al pensiero di Plinio Corrêa de Oliveira.

Francesco I affermò che, per schiacciare il potere degli Asburgo, era disposto a chiamare in suo aiuto tutti i turchi e tutti i demoni.
Bismarck "odiava la potente Austria più di quanto amasse la Prussia".


Clemenceau "non sapeva e non capiva nient'altro che una cosa: è necessario espellere la Casa degli Asburgo, monarchia papista".


Perchè tanto odio nel corso di tanto tempo?



Perchè tanto furore della Rivoluzione nei confronti della Casa d'Austria, fino a giungere alla distruzione del suo potere nel 1918?







La Casa d'Austria, simbolo dell'ordine cattolico medievale



Nella notte di Natale dell'anno 800, mentre Carlo Magno pregava a Roma, il Papa san Leone III, avvicinatosi garbatamente a lui, lo incoronò Imperatore. In questo modo si inaugurava il grande Impero Cristiano d'Occidente. La nuova funzione così conferita a Carlo Magno, gli dava una preminenza positiva su tutti i sovrani cristiani; non una sovranità propriamente detta, ma una specie di primato onorifico nell'ordine temporale, una supremazia in virtù della quale gli competeva una sorta di "presidenza" nelle riunioni dei prìncipi cristiani, così come l'alto dominio su tutti gli interessi della Cristianità.



Nell'ordine spirituale, il titolo imperiale obbliga chi lo porta alla missione di difendere la Santa Chiesa, e, di conseguenza, tutti gli interessi cristiani. Nella confederazione dei popoli cristiani, dei quali l'Imperatore è il capo politico, il Papa è come il legame e la vita. Il Papa diventa l'arbitro naturale delle nazioni, dei popoli cristiani e dei loro prìncipi.



In questo primo periodo di splendore, l'Impero realizzò in modo mirabile l'ideale della Cristianità. Il Papa era come l'arbitro di ogni autorità: egli consacrava l'Imperatore e lo associava al suo stesso lavoro; il Papa e i Concili stabilivano la dottrina a cui l'Imperatore conformava le leggi dell'Impero, e questo accordo fra il potere spirituale e temporale, dava alla legislazione un incalcolabile potere.

Con la morte di Carlo Magno si verificò lo smembramento dell'Impero Cristiano, ma l'ideale da esso rappresentato non scomparve e venne restaurato nel 962. In questa occasione, consigliato da san Mayeul (san Maiolo Abate di Cluny), Papa Giovanni XII incoronò Ottone I Imperatore d'Occidente. Sorse così il Sacro Romano Impero Germanico, che fu il continuatore delle glorie dell'Impero carolingio.



La storia del Sacro Impero fu segnata da momenti gloriosi e da grandi tempeste.



Con la scomparsa della dinastia degli Hohenstaufen, nel 1250, esso entrò in un periodo di anarchia, noto come il "grande interregno"; infine, nel 1273, venne eletto Imperatore Rodolfo d'Asburgo. Il Principe Ottocker non accettò il nuovo Re, ma questi sconfisse il ribelle, gli sottrasse vari territori, Austria compresa, e trasferì la capitale dell'Impero a Vienna. La famiglia degli Asburgo prese il nome di Casa d'Austria e si manterrà al potere, dopo un breve intervallo, fino al 1918.



Attraverso una abile politica basata principalmente sulle alleanze matrimoniali con le famiglie reali europee, la Casa d'Austria riuscì ad ottenere una supremazia incontestabile. Carlo V riunì sotto il suo scettro, nel secolo XVI, uno dei maggiori Imperi della Storia; come si diceva all'epoca, il sole non tramontava mai sui suoi domini. Oltre ad essere Imperatore del Sacro Impero, era Re di Spagna e signore di numerosi territori europei e, inoltre, del vasto Impero coloniale nell'America recentemente scoperta. Il potere della Casa d'Austria si esprimeva nella seguente sentenza: A.E.I.O.U., ossia "Austria est imperare orbem universum", ossia, "alla Casa d'Austria appartiene l'impero su tutto il mondo".



Nel secolo XVI, il protestantesimo divise l'Europa cristiana in due blocchi contrapposti. L'eresia pretendeva di occupare la posizione che appartiene legittimamente alla Chiesa Cattolica. Ciò diede origine a lotte prolungate, nel corso delle quali gli Asburgo, governando il Sacro Impero e la Spagna, rappresentavano sul piano temporale il sostegno dell'ortodossia. In un certo senso, la supremazia della Casa d'Austria, significava la supremazia del cattolicesimo. La Casa d'Austria era, quindi, un simbolo glorioso dell'ordine cattolico medievale; simbolo dell'epoca in cui, secondo l'espressione di Leone XIII, "il Sacerdozio e l'Impero erano legati fra loro da felice concordia e da amichevole reciprocanza di servizi. La società civile, organizzata così, diede frutti superiori a qualsiasi aspettativa".




IL PROCESSO DI DEMOLIZIONE DEL POTERE DELLA CASA D'AUSTRIA

Carlo V e l'apogeo degli Asburgo



Come abbiamo visto, con la formazione del favoloso Impero di Carlo V, nel XVI secolo, gli Asburgo raggiunsero l'apice della gloria. Proprio in questa epoca il demonio lanciò, attraverso l'Umanesimo, il Rinascimento e il Protestantesimo, il primo grande attacco con l'obiettivo di distruggere la Santa Chiesa e la Civiltà Cristiana.

Per i più svariati motivi, fu all'interno del Sacro Impero che i protestanti ottennero i loro primi successi. CarloV era un uomo che aveva molto del rinascimentale, ma, a fianco dei vizi caratteristici del Rinascimento, nella sua anima era ancora viva la fede cattolica. Perciò, nonostante i tentennamenti e i tentativi di conciliazione, prese le difese della Chiesa nella lotta contro il protestantesimo.



Sul piano esterno Carlo V dovette affrontare le potenze europee che aderivano all'eresia protestante, oltre alla minaccia dei turchi, che in questa epoca erano all'apice del loro potere. Il conflitto fra i prìncipi protestanti e coloro che rimasero fedeli alla vera ortodossia, a fianco dell'Imperatore, diede origine a una lunga guerra civile. Tra i risultati più importanti essa ebbe quello di indebolire l'autorità imperiale che divenne il bersaglio dichiarato dell'attacco, dato che essa rappresentava il puntello del cattolicesimo.



Purtroppo l'Imperatore vide tra i suoi nemici non solo i protestanti e i mussulmani, ma anche sovrani cattolici: la cattolica Francia invidiava la grandezza degli Asburgo. Si ebbe quindi lo scontro, provocato da rivalità politiche, fra gli stessi prìncipi cattolici, cosa di cui evidentemente avrebbero beneficiato soltanto i nemici della Chiesa.



Francesco I, Re di Francia, non nascondeva il suo risentimento contro il potere degli Asburgo. Sebbene all'interno perseguitasse il protestantesimo, appoggiò i prìncipi protestanti tedeschi nella lotta contro Carlo V. E, avendo l'ambizione di dominare i possedimenti imperiali in Italia, entrò in aperta lotta con l'Imperatore giungendo persino a mettersi in contatto coi turchi e incitandoli ad un attacco ai territori del Sacro Impero. Una volta dichiarò che per schiacciare il potere degli Asburgo era disposto a chiamare in suo aiuto tutti i turchi e tutti i diavoli.



Carlo V, e più tardi suo figlio Filippo II, Re di Spagna, nonostante tutte le difficoltà, riuscì a vincere i suoi avversari, e mantenere l'egemonia degli Asburgo. Ma tutte queste lotte ebbero come risultato l'indebolimento del potere imperiale e la perdita della maggior parte dei possedimenti della casa d'Austria in Italia.




Il "grande piano" di Sully



Il calvinismo fece tali progressi in Francia, che per poco l'intera nazione non divenne protestante. La reazione dei cattolici, l'azione decisa da Filippo II e dai Papi, obbligarono Enrico di Navarra a convertirsi al cattolicesimo prima di salire al trono col nome di Enrico IV; tutto indica però che la sua conversione fu meramente formale, motivata dal suo opportunismo politico. Nel convertirsi, pare abbia detto che "Parigi vale bene una Messa". Il suo principale ministro fu il calvinista Sully.



Il Duca di Sully riaccese l'antica invidia della Francia contro il Sacro Impero, e formò una grande alleanza contro la preponderanza degli Asburgo in Europa. Si gloriava di essere l'inventore stesso del cosiddetto "grande piano", secondo il quale si doveva mutare la mappa d'Europa e si doveva umiliare la Casa d'Austria ed elevare il prestigio di Francia. Egli mirava a stabilire l'uguaglianza di diritti tra le diverse confessioni religiose e spezzare il potere degli Asburgo che, secondo Sully, erano i maggiori nemici della tolleranza religiosa e della indipendenza nazionale. Per liquidare il potere della Casa d'Austria pretendeva di smembrare il Sacro Impero,e proibire che fossero eletti due Imperatori della stessa famiglia di seguito.



Per portare a termine tale piano, Sully usò grandi mezzi e provocò una guerra contro l'Impero: si alleò con l'Unione Evangelica, formata dai prìncipi protestanti tedeschi, ed unì alla lotta l'Olanda, il Prìncipe di Galles e vari signori italiani. L'assassinio di Enrico IV interruppe la sua opera.




De Richelieu: gli interessi dello Stato al di sopra di quelli della Chiesa



La caduta di Sully non modificò la politica francese. Armand Jean du Plessis, cardinale e Duca di Richelieu, portò avanti, in forma ancora più aperta e studiata, i piani di distruzione della Casa d'Austria.



Richelieu fu uno dei principali strumenti nella lotta contro gli Asburgo. Sul letto di morte, quando il confessore gli chiese se perdonava i suoi nemici, rispose: "Non ho altri nemici che quelli del Re!". Sembra che nel cuore del famoso cardinale, l'amore agli interessi dello Stato, personificati nella persona del Re, avesse sostituito l'amore di Dio.



Il cardinale Richelieu divenne, a partire dal 1624, il capo onnipotente del consiglio dei ministri di Luigi XIII, dedicandosi interamente all'ingrandimento della Francia e alla distruzione del potere degli Asburgo, anche a costo di causare enormi pericoli alla Chiesa e alla Civiltà Cristiana. Il conflitto fra cattolici e protestanti nel Sacro Impero diede origine, nel 1618, alla cosiddetta Guerra dei Trenta Anni. Agli inizi fu una guerra civile interna all'Impero ma a causa dell'intervento di diverse potenze finì col trasformarsi in guerra generale europea.



Fin dall'inizio della lotta, Richelieu si mostrò decisamente a favore dei protestanti. Oltre all'aiuto finanziario agli eretici, la sua politica macchiavellica ottenne che diverse potenze protestanti entrassero in lotta contro l'Imperatore; per questo parteciparono al conflitto anche la Danimarca e la Svezia. Davanti ai brillanti successi delle armi imperiali, la Francia intervenne direttamente nel conflitto.



L'entrata in guerra della Francia mutò le sorti della stessa, che fino ad allora era stata favorevole ai cattolici. I trionfi militari francesi contribuirono in modo decisivo alla vittoria dei protestanti. Richelieu morì nel 1642, odiato da tutti. Duro nei confronti dei nobili, il suo governo non fu meno duro verso il popolo. Le continue guerre da lui cominciate, alzarono le tasse ad un livello insopportabile. Le varie rivolte popolari contro le difficoltà della vita furono domate con la stessa violenza con la quale aveva abbattuto il potere dei nobili e i successi in politica estera ebbero come risultato l'impoverimento all'interno: fu questo il risultato della politica di colui che rimase noto come il "grande cardinale".



Con la morte di Luigi XIII, si formò una reggenza diretta dalla regina Anna d'Austria. Il successore di Richelieu alla presidenza del consiglio dei ministri fu Mazarino, anche egli cardinale. Egli proseguì nella politica estera di Richelieu di appoggio ai protestanti per umiliare gli Asburgo; questa fu coronata dal successo con la Pace di Westfalia, celebrata nel 1648, con la quale la Guerra dei Trent'anni finì.



La Pace di Westfalia fu un grande trionfo del protestantesimo. Le potenze cattoliche, eccettuata la Francia, rimasero straordinariamente indebolite e furono trattate con sufficienza. Venne proclamato definitivamente il principio dell'indifferentismo religioso, che portò all'illuminismo e al razionalismo del secolo XVII. Papa Innocenzo X elevò una solenne protesta contro le disposizioni di quel trattato di pace, che si opponeva gravemente ai diritti della Chiesa. Dal puntodi vista politico, la Casa d'Austria uscì dall'accordo profondamente umiliata ed il suo potere fu straordinariamente ridotto, mentre le potenze protestanti, in particolare la Svezia, furono favorite.



Nel 1659, Mazarino concluse il Trattato dei Pirenei, mettendo fine alle ostilità con la Spagna originatesi durante la Guerra dei Trent'anni. Questo trattato consentì l'annessione di svariati territori appartenenti alla corona spagnola, in potere degli Asburgo, nel territorio di Francia. Mazarino, non contento di questi risultati, formò la Lega Renana in opposizione alla Casa d'Austria e deviò la linea di successione ereditaria del trono di Spagna, sposando Luigi XIV all'infanta spagnola Maria Teresa. La sua politica pose le basi per l'accentramento di un grande potere nelle mani di Luigi XIV: la supremazia passò dagli Asburgo ai Borboni.





Sotto il Regno di Luigi XIV l'Austria cessa di essere la prima potenza europea

La politica estera di Luigi XIV non si allontanò dalla linea tracciata da Enrico IV, Richelieu e Mazarino, che avevano tentato di dare alla Francia lo spazio dell'antica Gallia, cioè, di prolungarla fino al Reno, considerato la sua frontiera naturale, e annettendo numerosi territori appartenenti agli Asburgo; questa fu la ragione delle guerre contro la Spagna ed il Sacro Impero. Luigi XIV aveva qualità eccezionali.



Purtroppo, poche persone ne erano tanto coscienti e convinte quanto lui stesso: il suo orgoglio smisurato lo portò a voler dominare tutti i sovrani d'Europa e a compiere azioni deplorevoli. Tra questi fatti vanno però riconosciuti i suoi grandi gesti a favore degli interessi della Chiesa. Come esempio si può menzionare il suo deciso appoggio ai gesuiti nella lotta contro il giansenismo, la revoca dell'Editto di Nantes, ecc.


Il sultano Maometto IV pretendeva di dominare la Germania, la Francia e, successivamente, Roma, dove avrebbe voluto trasformare la Basilica di san Pietro in una scuderia. Questa minaccia portò il beato Papa Innocenzo XI a pensare ad organizzare una crociata contro i turchi. Ma questo grandioso progetto naufragò, principalmente a causa dell'atteggiamento di Luigi XIV, che, volendo abbattere l'Impero degli Asburgo, giunse persino ad inviare degli emissari al sultano, assicurandolo che non sarebbe intervenuto nel caso di un attacco mussulmano ai domini imperiali: pertanto i turchi si prepararono ad invadere l'Ungheria e l'Austria, ma gli Asburgo, aiutati dai polacchi, colsero delle strepitose vittorie contro i nemici della Cristianità. Luigi XIV, invidioso di questi successi, invase i territori del Sacro Impero, favorendo così l'offensiva dei mussulmani.



La Francia, durante il regno di Luigi XIV, fu lo Stato più potente d'Europa ed il centro della politica europea. Il monarca si servì del suo potere per intraprendere delle grandi guerre di conquista; ma mentre all'inizio ottenne dei successi, finì sconfitto nella Guerra di Successione in Spagna. Le campagne di Luigi XIV causarono l'indebolimento della Francia e degli Asburgo; la grande beneficiaria dei conflitti fu l'Inghilterra protestante, che passò a svolgere il ruolo di arbitro politico dell'Europa, diventando anche la prima potenza navale.




Napoleone estingue il Sacro Impero
La Rivoluzione Francese riaccese, ancora una volta, i conflitti fra la Francia ed il Sacro Impero, conflitti che durarono fino all'Impero napoleonico. Toccò a Napoleone, fra altri meriti funesti, quello di liquidare il Sacro Impero.

Nel dicembre del 1805, Napoleone sconfisse l'esercito austro-russo ad Austerlitz, nella famosa battaglia dei tre imperatori. L'anno successivo, obbligò Francesco I a rinunciare al titolo di Sacro Romano Imperatore, conservando solo quello di Imperatore d'Austria. Così finì il Sacro Romano Impero Germanico, che aveva avuto gloriosa origine nelle grandi gesta di Carlo Magno, e che aveva segnato in modo profondo la vita della Cristianità.




Dopo la caduta di Napoleone, i rappresentanti degli Stati vincitori si riunirono nel Congresso di Vienna, per rimodellare la mappa europea, profondamente alterata durante il periodo napoleonico. Era la vittoria di Metternich e dell'Impero Austriaco. I 300 Stati che formavano il Sacro Impero, ridotti a 38, divennero la Confederazione Germanica, sotto la presidenza dell'Austria. Il vice-presidente della Confederazione era il Re di Prussia.



Nonostante la vittoria su Napoleone, il Sacro Impero non fu restaurato! I sostenitori dell'Austria pretendevano di unificare tutte le popolazioni germaniche nella cosiddetta Grande Germania. I sostenitori della Prussia, a loro volta, preferivano costituire la cosiddetta Piccola Germania, dalla quale l'Austria sarebbe stata esclusa.



A partire dal 1818, per iniziativa della Prussia, si cominciarono ad abolire tutte le tasse doganali fra gli Stati tedeschi, costituendo l'unione doganale detta di Zollverein. Questa unione portò ad essi grandi vantaggi economici, e servì da base per la futura unificazione politica. L'Austria, appoggiata dagli Stati tedeschi del sud, di formazione cattolica, tentò svariate volte di entrare nello Zollverein, ma fu sempre ostacolata dalla Prussia, che contava sull'appoggio degli Stati del nord, di formazione protestante. L'esclusione dell'Austria provocò la diminuzione della sua influenza fra gli Stati germanici a beneficio della Prussia.




Le rivoluzioni liberali abbattono il potere degli Asburgo

Secondo l'espressione di Deschamps, Napoleone fu "la Rivoluzione a cavallo", poichè diffuse per tutta l'Europa le deleterie idee del 1789; ciò diede origine alla comparsa di movimenti, il cui obbiettivo era di sconfiggere i regimi vigenti a quel tempo e di imporre con la forza un'organizzazione politica e sociale sul modello della Rivoluzione Francese.



Le guerre e le rivoluzioni che segnarono il periodo dal1814 al 1918, cioè, dalla caduta di Napoleone fino a quella degli Asburgo, dei Romanov e degli Hohenzollern, furono un insieme di convulsioni nel corso delle quali tutta l'Europa, si trasformò secondo lo spirito della Rivoluzione Francese.



Subito dopo la caduta di Napoleone, l'Europa entrò in una fase di calma apparente. Tutto sembrava finito. Ma, nelle profondità della vita religiosa, culturale, sociale ed economica, la fermentazione rivoluzionaria andava guadagnando sempre più terreno. Nel 1830, il processo rivoluzionario tornò ad esplodere in Francia, con la deposizione del Re Carlo X.



L'esempio della rivoluzione del 1830 in Francia, provocò negli Stati tedeschi una serie di agitazioni. Anche nei domini austriaci nella penisola italiana, i carbonari promosserodelle rivolte nei ducati di Parma e Toscana. Ma queste sommosse furono rapidamente soffocate. Dopo un nuovo periodo di apparente tranquillità, scoppia in Francia la rivoluzione del febbraio 1848, che fu caratterizzata da una prima esplosione socialista ed ebbe delle ripercussioni in tutta Europa.



A Vienna, nello stesso anno, Metternich fu obbligato a scappare a causa di una rivolta e l'Imperatore promise di fare una serie di concessioni ai rivoluzionari. Allo stesso tempo, scoppiarono dei movimenti separatisti contro l'Impero in Ungheria, Boemia, Lombardia e Venezia. Tuttavia, l'Imperatore Francesco Giuseppe riuscì a ristabilire l'ordine. Sebbene sconfitte sul piano immediato, queste rivoluzioni contribuirono ad abbattere in modo considerevole l'autorità imperiale, preparando la futura sconfitta degli Asburgo.





La decadenza dell'Austria e l'ascesa della Prussia



Purtroppo, l'Austria non era esente dal contagio corrosivo dei germi rivoluzionari che in questo periodo contaminavano tutta l'Europa: la decadenza interna, più dell'azione dei nemici esterni contribuì alla sua rovina. Degustatrice delle migliori paste e del miglior chantilly del mondo, di salsicce incomparabili, con un consumo favoloso di gelato al caffè e chantilly, coi valzer di Strauss, la frivolezza delle cose, tutto così gioviale e tanto grazioso, l'Austria stava diventando bonacciona.



Intanto, la Prussia, luterana, rigida, irta, aggressiva, si stava fortificando. Uno dei maggiori colpi sofferti dagli Asburgo fu l'opera di unificazione tedesca realizzata da Bismarck, sotto l'egemonia della Prussia, nella quale l'Austria non venne inclusa. Otto von Bismarck apparteneva per nascita alla classe degli junkers o nobili rurali. Dopo aver frequentato le Università di Gottingen e Berlino come studente mediocre, ma come buon duellatore e scapestrato, divenne un pubblico funzionario, ma non tardò ad essere licenziato a causa delle sue abitudini irregolari e dissipate.



Per qualche tempo appoggiò il liberalismo, ma più tardi si trasformò in un rigoroso difensore della religione luterana e della monarchia assoluta. Divenne famoso per l'eloquio violento contro quella che chiamava "ignominiosa democrazia". Nel 1862, il Re Guglielmo I lo nominò presidente del Consiglio dei Ministri di Prussia. Alto quasi due metri, con lo sguardo duro e penetrante, senza scrupoli, audace, dalla volontà ferrea, esperto nella politica e nella diplomazia, aveva una visione profonda della Rivoluzione. Era un nemico temibile, poichè rimaneva sempre padrone di sè, ingannando frequentemente i suoi avversari. Aveva il genio della doppiezza, e nessuno meglio di lui sapeva preparare pazientemente l'agguato dove avrebbe fatto cadere i suoi nemici. Secondo quanto egli diceva, "le grandi questioni non si risolvono nè coi discorsi, nè coi voti, ma col ferro e col sangue".



Nella trasformazione degli Stati tedeschi in nazione unificata, Bismarck architettò un piano che fu realizzato in varie tappe, con una abilità quasi diabolica. In primo luogo progettò di eliminare l'Austria dalla sua posizione di egemonia nella Confederazione Germanica; come mezzo preliminare per raggiungere il suo obiettivo, entrò in conflitto con la Danimarca sul possesso dello Schleswig-Holstein. Queste province, abitate in maggioranza da tedeschi, erano in una situazione speciale. Dal 1815 l'Holstein era stato incluso nella Confederazione Germanica, ma entrambi i territori erano soggetti al Re di Danimarca. Nel 1864, quando la Danimarca tentò di annetterseli, Bismarck invitò l'Austria a partecipare ad una guerra contro quel paese. Fece seguito una breve campagna, al termine della quale il monarca danese dovette rinunciare a tutte le sue pretese sullo Schleswig-Holstein a favore dell'Austria e della Prussia.



Avvenne allora il fatto nel quale Bismarck sperava ansiosamente: una divergenza fra i vincitori attorno alla divisione dei territori che provocò finalmente una guerra nel 1866. Sapendo che gli Asburgo contavano sull'appoggio degli Stati tedeschi del sud, che erano cattolici, Bismarck formò una alleanza con l'Italia, promettendo di ricompensarla, dopo la vittoria, con la cessione di Venezia.



Il conflitto, conosciuto come la Guerra delle Sette Settimane, terminò con la sconfitta dell'Austria a Sadowa. L'Austria fu obbligata ad abbandonare le sue rivendicazioni sullo Schleswig-Holstein, a cedere Venezia all'Italia ed a consentire allo scioglimento della Confederazione Germanica.





La I Guerra Mondiale, ultimo colpo contro la Casa d'Austria
Nel 1859, in occasione della campagna per l'unificazione italiana, l'Austria perse il dominio della Lombardia e anche, nel 1860, l'influenza sopra i ducati italiani di Parma e Modena, oltre al Granducato di Toscana, che fino a quell'epoca era governato da Prìncipi austriaci. Tutti questi territori furono incamerati dal Piemonte.





Dopo la sconfitta di Sadowa, perdette Venezia, fu espulsa dalla confederazione degli Stati tedeschi e rimase interamente isolata dal mondo germanico. Oltre a ciò, a causa delle grandi difficoltà interne, l'Imperatore Francesco Giuseppe si rassegnò a firmare il Compromesso del 1867, che creò la monarchia dualista dell'Impero Austro-Ungarico. Fermenti rivoluzionari derivati dalla Rivoluzione Francese crearono grandi difficoltà per il mantenimento dell'unità imperiale. Bismarck faceva il suo gioco, lanciando una contro l'altra l'Austria e la Russia. Poco più tardi, l'Austria si avvicinò alla Germania, e finì col diventarne virtualmente un satellite, quanto meno nella politica estera.



Nel luglio del 1914, su pressione della Germania, l'Austria dichiarò guerra alla Serbia, cosa che diede origine alla Prima Guerra Mondiale. Il conflitto provocò lo smantellamento dell'Impero Austro-Ungarico. In conseguenza della sconfitta sofferta dall'Austria il 7 ottobre del 1918, la Polonia dichiarò la sua indipendenza. Lo stesso accadde con la Cecoslovacchia il giorno 28, e con la Jugoslavia il giorno 29. Il giorno 31, l'Ungheria dichiarava estinto il dualismo e diventava una nazione indipendente: l'esercito Austro-Ungarico si sciolse. Nel novembre, il Servo di Dio Carlo I, l'ultimo Re degli Asburgo, abdicava e si avviava all'esilio. Furono proclamate la repubblica d'Austria e la repubblica d'Ungheria.



Scomparve così quell'Impero che, nonostante non fosse neppure l'ombra del suo glorioso passato, era stato in altri tempi il paladino dell'ortodossia, e aveva inflitto delle sconfitte memorabili ai nemici della Cristianità.





Come per il cristiano non esiste una filosofia a sé stante,
così non esiste per lui neppure una Storia puramente umana...
la Storia rappresenta il grande palcoscenico sul quale si dispiega nella sua interezza
l'importanza dell'elemento soprannaturale,
sia quando la docilità dei popoli alla fede consente a tale elemento di prevalere
sulle tendenze basse e perverse presenti nelle nazioni come negli individui,
sia quando esso si indebolisce e sembra sparire a causa del cattivo uso della libertà umana
che porterebbe al suicidio degli imperi...



(Dom Prosper Gueranger O.S.B., Abate di Solesmes)