mercoledì 11 aprile 2012

Le verità sulle vicende "Risorgimentali" nel Regno delle Due Sicilie(1860-1861):(Parte 28°): Altre conseguenze del governo garibaldino Mazzini arriva a Napoli



Voglio ricordare che tale documento e stato scritto da un testimone dei fatti,quindi data la preziosa importanza del testo ne consiglio un attenta lettura.


Giosuè Ritucci generale in capo dell'esercito regio del Volturno si persuase di non profittare de' primi giorni in cui i garibaldini entrarono in Napoli, per tentare un colpo ardito. In quel tempo l'oste rivoluzionaria era parte dispersa, parte godeasi bella vita, parte non aveva niuna apparenza di coesione. Ritucci si difende con dire: una volta che il Re abbandonò la Capitale per non versar sangue non era a lui lecito attaccar subito i garibaldini, ma aspettare che costoro si fossero curvati sotto la propria obesità. I risultati però furono che invece di curvarsi sotto la propria obesità, que' garibaldini si organizzarono alla meglio, ed occuparono i paesi della riva sinistra del Volturno, fortificandovisi. Quel Generale in capo, non solo si trincerò nella più assoluta ed assurda difesa dietro il Volturno, ma permise, la distruzione della Scafa di Triflisco, e fece rompere il ponte tra Cancello ed Arnone: e tutto questo, secondo lui, per ragioni strategiche di grande importanza. Il certo si è che tutto questo giovò a Garibaldi, il quale ebbe il tempo ed il comodo di riorganizzarsi, occupare la sponda sinistra del Volturno e fortificarsi in modo da prendere subito egli l'offensiva contro i regï.
Il Re per soddisfare il desiderio de' soldati, il dì 11 settembre si recò a Capua, ed accortosi de' cattivi giuochi della politica dettò il seguente ordine del giorno:
Soldati, lascio Capua al vostro valore; lungi l'idea del tradimento, che i vostri duci sono leali e prodi; e lo mostreranno guidandovi alla pugna e combattendo con voi. L'ora della prova è vicina, siate saldi e l'onor della bandiera sarà salvo.»
Il 15 settembre si fecero vedere le prime masse nemiche dal lato sinistro di Capua, ed accennavano ad un attacco: Ritucci avvisò il generale Colonna, ed il colonnello Polizzy per respingere il nemico con le brigate che comandavano: ma quella giornata passò senza ostilità.
Il Re già sapea che i Piemontesi erano nelle Marche e nell'Umbria e combatteano contro i soldati del Papa; e prevedendo che sarebbero piombati sul Regno di Napoli, mandò il Colonnello Gargliardi, e il Capitano Quandel del genio per ispezionare la via di Fondi, e la valle di Roveto, d'onde sospettava un'invasione; ed ordinò che in que' luoghi si preparassero le difese per arrestare gl'invasori. Egli medesimo si recò in quei luoghi per meglio accertarsi dello stato delle cose; ordinò inoltre al Tenente generale Ferrara, e al Capitano Nora del genio che afforzassero nelle anguste gole di S. Andrea alcune vecchie fortificazioni fatte dai francesi nel 1806.
Lo stesso giorno 15 il Re da Gaeta desideroso di combattere subito il nemico, mandò il Capitano Luvarà dello Stato Maggiore per premurare Ritucci, il quale differiva ad assalire Garibaldi. Quel Capitano era munito anche di un ordine ministeriale che incitava il Generale in Capo all'offensiva contro il nemico. Ritucci oppose che si dovea tentare colpo sicuro, perché se fosse stato respinto sarebbe stata la rovina dell'esercito da lui comandato; al contrario stando sulla difensiva piglierebbe tempo, e l'Europa si commuoverebbe forse a favore del Re di Napoli. Io già l'ho detto, che gli uomini più eminenti di questo disgraziato Reame dopo le date franchigie costituzionali aveano perduto mente e cuore. Ritucci sperava nel commovi mento dell'Europa a favore del Re di Napoli, quando nessuna potenza si commo veva a favore del Papa! Trovo essere censurabile che un Generale che ha a fron te un esercito indisciplinato, mal vestito, e mal condotto, attendere il commovi mento dell'Europa per sbarazzarsi da questo nemico! Sperava forse conservar l'eser cito, per vederlo disciolto d'ordine Sovrano, come alcuno de' burbanzosi suoi duci sussurrava?
Che Ritucci era proprio ostinato a non ispingersi all'offensiva si rileva da un brano della Cronaca della Campagna d'Autunno scritta dal suo sottocapo dello stato Maggiore, maggiore Giovanni delli Franci. Questo distinto uffiziale superiore mostra molto rispetto pel Generale in Capo, e pure in forma giustificativa dice di Ritucci a pag. 8, che il Ministero della Guerra: «invitava con lettera il Comandante in Capo a marciar tosto con l'esercito contro il nemico. Ma questa lettera del Ministro non fece cangiare la mente del Ritucci, che stimava ancora inopportuna la guerra offensiva.
Garibaldi avea promesso a' suoi impadronirsi in breve tempo di Capua, e quindi tutti gli credevano, essendosi avverate le altre sue precedenti promesse e profezie; quindi per mantenere il suo prestigio dovea spingersi a dar qualche cosa. Ma in Capua non avea D. Liborio Romano factotum, e Pianelli Ministro della Guerra, avea solamente qualche pratica, e fidava molto sulle assicurazioni, forse del Maresciallo di campo Pinedo, Governatore di Capua, onde si avvisò accostarsi al campo sperando che la sua presenza e quella de' suoi avrebbe fatto cadere le mura di questa Città come quelle di Gerico. Il giorno 16 Settembre dunque si avanzò con numerosi fanti e cavalieri, ed investì i posti avanzati de' Napoletani dalla parte di porta di Napoli. Trovavasi in que' posti il 10° di linea, il quale fece una valorosa resistenza, e sebbene in numero assai inferiore agli aggressori, sbaragliò costoro e l'inseguì, recandogli grandi perdite. I garibaldini fuggirono in disordine e furono inseguiti sino in S. Maria. Quel Reggimento in sì splendido fatto d'armi, dimostrò al resto dell'esercito quanto valevano i soldati napoletani quand'erano diretti da superiori valorosi e fidi.
Nel medesimo tempo che si combattea in Capua, la brigata Winckler assalì la Scafa di Gradillo, ov'era il 14° cacciatori, ed una compagnia del 6°. La lotta fu accanita, ma gli aggressori furono rotti ed inseguiti.
Garibaldi, facendo uso del suo solito stratagemma di guerra, per mettersi sempre in contatto co' regï, mandò un parlamentario in Capua, e chiese una tregua di 24 ore per soccorrere i feriti e seppellire i morti. Ritucci gliel'accordò.
Il Dittatore, per girare la posizione de' regï, mandò da Maddaloni la brigata Csudafy nel distretto di Piedimonte. Costui avea pure la missione di ribellare quel distretto e dare nelle spalle a' napoletani. Mandò pure Cattabene con altra gente per coadiuvare Csudafy ed impedire a' regï di girare le sue posizioni di Caserta e Maddaloni. Il Cattabene comparve nelle vicinanze di Caiazzo. Il tenente colonnello La Rosa che guardava quella posizione, mandò il capitano Laus con una compagnia
coadiuvata da molti villani, e fece distruggere i mezzi di passaggio da una sponda all'altra del fiume. Alcuni garibaldini che aveano valicato il fiume ad Amoroso, furono inseguiti dal capitano Laus, non trovarono salvezza che gettandosi a nuoto nel fiume per ritornare sulla sponda opposta. La Rosa ritenendo di essere aggredito dalla parte di Piedimonte, chiese rinforzi al Ritucci: costui gli mandò una compagnia di zappatori per trincerarsi in Caiazzo, e gli ordinò che si tenesse fermo in quella interessante posizione.
Garibaldi non iscoraggiato dall'insuccesso del giorno 16, perché non era scrupoloso di sacrificar la vita di tanti giovani, e perché fidava nelle occulte trame che si ordivano in suo favore dentro Capua, ritornò il 19 a tentar la prova.
Ricorrendo il giorno festivo di S. Gennaro, il 18 finse recarsi a Napoli per adorare il sangue del S. Martire. Intanto sotto pretesto di difendersi avea raccolte diverse divisioni tra Caserta e S. Maria. La notte del 18 mandò un certo Spagaro con due battaglioni a S. Tammaro a precludere la via di Aversa. Sulle ore sei del mattino, Spagaro attaccò i posti avanzati fuori porta nuova di Capua, ma fu respinto ed inseguito sino al bosco di Cardillo, ove rimase ferito. Una colonna di fanti fu mandata dalla parte di S. Angelo, ed era condotta dal La Masa. Al centro si avanzò Rustow con circa quattromila uomini, i quali investirono tutti i posti avanzati fuori porta di Napoli. La lotta era disuguale; i regi combattevano uno contro cinque, nonpertanto opposero una valida resistenza, e diedero indubitati segni di bravura. Però nel combattimento si ritiravano sempre per far uscire i garibaldini allo scoperto, dapoichè costoro combatteano da dietro i pioppi. Nell'oste garibaldina si era ad arte sparsa la notizia, che i cannoni della piazza erano carichi a polvere solamente, che si sarebbe fatto un simulacro di resistenza, e quindi il Generale Governatore avrebbe schiuse le porte di Capua a Garibaldi.
Attesi i fatti precedenti, tutti credevano che il Dittatore si sarebbe impossessato di Capua quel giorno istesso. Quindi appena i regï ripiegarono combattendo verso gli spalti della fortezza, i garibaldini s'inoltrarono dalla parte di S. Tammaro e di S. Maria, e con audacia si cacciarono nel Poligono detto degli armeggiamenti, o Campo di S. Lazzaro, ove non sono né alberi né altri ripari.
Quel giorno chi per curiosità, chi per dovere tutti eravamo sopra i bastioni di Capua a guardare quell'attacco. Io quando vidi avanzare alla corsa i primi garibaldini, e vidi puntare contro di essi i cannoni carichi a mitraglia, fui assalito da un palpito senza pari; ero convulso.
Avea veduto centinaia di morti e moribondi in Palermo, e più in Milazzo; vidi poi altre ecatombi umane il 1° ottobre, ed in Gaeta, e non provai strazio di cuore pari a quello che mi assalì il 19 settembre! La ragione si è che in quella giornata io non correa alcun pericolo: sul campo di battaglia, quando siamo esposti al pericolo, la morte de' nostri simili ci fa poca impressione perché viene attenuata del proprio cimento.
Io dal fondo dell'anima compiangea quei giovani illusi, che per soddisfare una idea ambiziosa, di qualche furbo che in quel momento poltriva deliziosamente, si lasciavano uccidere.
Pensava e compiangea anche i miseri genitori loro che avrebbero avuto massacrati i figli, per far nome ad un Garibaldi, il quale non era, secondo D. Liborio Romano, che semplice strumento della politica onnipossente delle due grandi Potenze, Francia ed Inghilterra: cioè di Napoleone III e di Lord Palmerston!
Quando i garibaldini giunsero in mezzo al Poligono, le batterie Sperone, Olivares, Conte Aragona, Castelluccio, e S. Amalia tirarono contro di essi a mitraglia..! Io rivolsi inorridito altrove i miei sguardi alla vista di tanto scempio..! Pochi si salvarono, la maggior parte feriti dietro la chiesetta di S. Lazzaro che trovasi quasi nel centro del Poligono: alcuni non trovando altro scampo si avvicinarono più alla piazza e si salvarono ne' fossati, chiedendo pietà a' soldati, e pietà ottennero: altri infine fuggirono verso S. Maria.
Immediatamente uscirono da Capua quattro compagnie del 9° Reggimento di linea, due squadroni di Cavalleria, e quattro cannoni, ed inseguirono i garibaldini sino al Convento de' Cappuccini di S. Maria. Questi valorosi ritornarono poi lieti della vittoria, e col solito grido di viva il Re.I garibaldini retrocessero sino a Caserta e gridavano: si salvi chi può. Spaventarono il resto dell'esercito garibaldesco, e non pochi che ne faceano parte fuggirono a Napoli. Rustow, da cui ho attinto queste notizie, dice, che se una brigata napoletana l'avesse inseguiti oltre S. Maria i suoi garibaldini scoraggiati, non avrebbe trovata che una debolissima resistenza. Ma i duci regi aveano elevato a dogma di guerra di non prendere in nessun caso l'offensiva per ripigliare quello che aveano lasciato!
Mentre i regi inseguivano i garibaldini, io ed alquanti chirurgi, ed il Cappellano dell'8° Cacciatori, D. Raffaele Vozza, uscimmo da Capua e ci recammo immediatamente nel Poligono per soccorrere i feriti garibaldini. Quale orrendo spettacolo...! Dopo il lungo volgere di circa 15 anni, sufficienti ad incanutire i miei capelli, la funesta rimembranza di ciò ch'io vidi quel giorno mi conturba ancora, e la mano mi trema nel vergare questa pagina di dolore. Io vidi.... uomini adulti, e giovani imberbi sfracellati orribilmente e sconciamente dalla mitraglia, con gambe, braccia, e testa divelti dal tronco, ed ancor palpitanti...! Altro non si sentiva, in mezzo a que' feriti, che «diverse lingue, orribili favelle, parole di dolore, accenti d'ira...» alcuni diceano: oh figli miei, ah Padre mio, ah Madre mia ove siete... non rivedrò mai più....!
Oh! il cuore non regge a tanto strazio, e giova stendere un velo sopra quella scena di orrore e di sangue, ove si sagrificarono tante vittime da un condottiero che tutt'ora si atteggia ad umanissimo. Eppure quel giorno Garibaldi non vide tanto eccidio!
Giovani italiani, miei cari compattrioti, se voi aveste veduto quel ch'io vidi il dì 19 Settembre 1860 sul Poligono di Capua, si dileguerebbero tutti i vostri sogni di gloria. Voi da bravi mi risponderete: è bello morir per la patria. Sì, avete ragione, ed anch'io vi seguirei per la parte che mi riguarda. Ma per la Patria...! e non già per essere vittima della Politica onnipossente di un Cavour, di un Palmerston e di un Napoleone III.
Quel giorno i garibaldini perdettero 400 uomini. Morì il Colonnello Puppi, comandante la brigata Cacciatori delle Alpi, morirono un Montesi, ed il Palermitano Cozzo. Rustow comandante di quella divisione che si cacciò nel Poligono, perdè il cavallo, e si salvò a stento. Fu pure ferito un Maggiore Piccoli.
I regï raccolsero sul Poligono molte armi, ed arnesi di guerra: ebbero venti feriti. Morirono il tenente Certi ed il Capitano d'Arrigo. Fu ferito il vecchio generale Francesco Rossaroll. Questo intrepido soldato, era al ritiro, ma al tuonar del cannone intese invadersi dal fuoco marziale de' suoi primi anni, quando combattea in Russia, e volle difendere la patria pericolante e l'amato giovane sovrano. Il 19 settembre uscì da Capua assieme a' soldati che, combattendo i garibaldini, la sua voce e il suo esempio fu di nobile incitamento a quella truppa: da prode inoltratosi troppo nella mischia cadde ferito gravemente. I soldati lo raccolsero e lo portarono in trionfo. Il Re lo fece Tenente generale, e ritornò onorato e lieto al suo domestico focolare per aver data l'ultima prova del suo valore ed attaccamento al sovrano ed alla patria napoletana. Più tardi i redentori, lo arrestarono e il tennero confuso con altri volgari colpevoli. Fu accusato di reazione, e riconosciuto innocente riebbe la libertà. Così ebbe compenso quella gloriosa quanto canuta individualità.
Alle 4 pomeridiane dello stesso dì 19, si attaccò altra zuffa sulla strada di S. Maria. Quattro compagnie dell'8° cacciatori condotte dall'Aiutante Maggiore Fondacaro, tennero fermo contro un gran numero di nemici; indi ripiegarono strategicamente per attirarli sotto i cannoni di Capua, e così ritornare alla carica in migliori condizioni. Di fatti i garibaldini inseguirono i soldati, e giunti ov'è la stazione della ferrovia, furono un'altra volta mitragliati da' bastioni della fortezza. Le quattro compagnie dell'8° cacciatori riprendendo l'offensiva l'inseguirono sino a S. Maria, facendo 32 prigionieri, oltre di non pochi morti e feriti che quelli lasciarono sotto Capua. De' regï fu ferito il solo alfiere de Tommaso.
Mentre in Capua così si combattea, il garibaldino Sacchi con la sua brigata, tentò passare il fiume a Gradillo vicino Triflisco, però fu ricevuto a colpi di cannone dalle batteria n. 10 e 11 comandate dal capitano Tabbacchi, dall'alfiere Ainis e dell'alfiere Dusmet. In questo fatto d'armi si distinse il 14° battaglione cacciatori, che fece 20 prigionieri con un uffiziale garibaldino. Molti soldati di quel valoroso battaglione passarono a nuoto il fiume per soccorrere i garibaldini feriti sulla sponda sinistra, e nel ripassare all'altra sponda, due soldati perdettero la vita nella corrente. Son questi i soldati tanto disprezzati e calunniati! Ma vi è un Dio...
Tutti gl'individui del 14° cacciatori fecero il loro dovere, ma più di tutti si distinse l'aiutante di Battaglione 1° Tenente Giacomo Malinconico, e il valoroso capitano comandante la 3° compagnia, Sinibaldo Orlando. I regï ebbero 25 feriti, tra gli altri il capitano Federico Fiore, che, sebbene grondante sangue non volle cessare dal combattere.
Quella stessa mattina i garibaldini furono respinti da Triflisco, ove trovavasi il 15° cacciatori comandato dal maggiore Enrico Pianelli, il quale fu soccorso dal generale Barbalonga che conducea da Vitolaccio il 2° cacciatori, e poi dal generale
Colonna che conducea il 4° della stessa arma. I soldati passarono il fiume, inseguirono i garibaldini, fecero 38 prigionieri, tra i quali due uffiziali, e molti dichiararono essere soldati piemontesi, difatti aveano precario congedo in tasca. I napoletani che passarono sulla sponda sinistra del Volturno presero diversi cannoni a' nemici, alcuni l'inchiodarono, due li rovesciarono nel fiume. In questo fatto d'armi è da ammirarsi il valore de' soldati napoletani e l'umanità che dimostrarono verso i nemici. Rotto ed inseguito il nemico, ti sentivi l'animo commosso in vedere non pochi de' regï non curanti la propria vita gittarsi nel fiume per soccorrere i garibaldini o giacenti feriti sulla sponda opposta, o trascinati semimorti dalla corrente. Il generale in capo Ritucci si trovò presente a questo bel fatto d'armi.
Il Capo brigata Csudafy si era ben recato, come ho già detto, nel distretto di Piedimonte, ed ivi avea radunato molti faziosi, e li avea aggregati alla sua brigata. Assalì Roccaromana ov'era il Maggiore Angioletti con meno di 300 soldati, avanzi del 13° di linea, e de' carabinieri sbandati dopo i fatti d'Ariano. Csufady assalì quella truppa con forze dieci volte superiori. I regï erano aiutati dalla popolazione, la quale, non escluse molte donne, armate di fucili, scuri ed altro, davano addosso ai garibaldini al suono della campane a stormo. Ma l'Angioletti che ben conoscea non poterla tirare in lungo contro un nemico superiore in numero, il quale conducea con sè molti soldati piemontesi in camicia rossa, domandò soccorso al Colonnello Leopoldo Kenig, che trovavasi al vicino paese di Pietramelara. Questo Colonnello che alloggiava in casa di faziosi, e forse temendo per sè, non volle soccorrere lo Angioletti, e all'insistenza di costui mandò solamente un posto avanzato del 4° di linea: ma cresciuto il bisogno, Angioletti si recò a Pietramelara e pregò il Kenig di soccorrere i suoi dipendenti che già difettavano di munizioni, ed il Colonnello si negò recisamente dicendo che dovea tenere tutte le forze intorno a sè. Però i soldati di Pietramelara inteso che si trattasse abbandonarono Kenig e corsero a soccorrere i compagni d'armi. L'Angioletti fu pure seguito dal Maggiore de Francesco che conducea 180 uomini; e tutti giunsero nel punto che i soldati di Roccaromana ripiegavano oppressi dal numero de' nemici.
I regi divisi in tre piccole colonne assalirono i garibaldini, la popolazione già scoraggiata prese animo, e tutti diedero di nuovo addosso a nemici già vincitori, i quali furono inseguiti alla baionetta, ed a colpi di pietre. L'Alfiere Dioguardi del 13° di linea si slanciò in mezzo a' nemici e tolse loro la bandiera. I garibaldini cercarono scampo sotto il monte di S. Maria del Castello, ma sempre inseguiti si sbandarono: ottanta furono uccisi, altri sessanta fatti prigionieri, il resto passarono il fiume e si salvarono a Piedimonte.
Si disse che il Colonnello Kenig tentò di far fuggire i prigionieri, ma i soldati accortissimi a spiare l'equivoco procedere del Colonnello, impedirono la fuga de' prigionieri.
Il dì 19 settembre, Garibaldi volle dar battaglia su tutta la linea de' regi, cioè da Capua a Roccaromana, ma fu respinto dovunque, ed i suoi soffrirono danni incalcolabili.
Un Manifesto del Ministro della guerra del 20 Settembre firmato dal Direttore Antonio Ulloa, lodava il Maresciallo Rossaroli, i generali Colonna, de Corné, e Barbalonga. Del Tenente colonnello dello Stato Maggiore Matteo Negri dicea che avea «diretto gli attacchi degli avamposti sul fronte di Napoli, e che si era coperto di gloria.»

(Estratto dal libro di Giuseppe Buttà, Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta).