sabato 7 aprile 2012

La lunga onda della Rivoluzione

 


Nel 1801 la riapertura delle chiese, la libertà di culto e la scomparsa dello scisma significarono anche una perfetta restaurazione del cattolicesimo? Gli effetti della Rivoluzione durarono a lungo e si avvertono ancora oggi.
[Da «30Giorni», anno V, n. 1, gennaio 1987, pp. 16-17]

La Rivoluzione francese fu contraddittoria. Dopo aver proclamata la liberta religiosa essa perseguitò la religione Una persecuzione cosi violenta quale non si era più vista nella storia dall’epoca di Diocleziano. Più di ventimila preti, religiosi e religiose e migliaia di laici furono uccisi a causa della loro fede. Quarantamila sacerdoti furono espulsi dalla Francia.

Ma gli assassinii e le proscrizioni non rappresentano che un aspetto della violenza esercitata contro la religione. Con l’avvicinarsi del bicentenario della Rivoluzione vale la pena di riprendere questo aspetto della persecuzione rivoluzionaria. È necessario definirne la natura considerandola in tutte le sue dimensioni e, soprattutto, misurandone gli effetti.

Tale violenza non fu infatti solamente punitiva. Essa fu piuttosto coercitiva e preventiva. I suoi autori (i membri della Convenzione, i clubs, i comitati di sorveglianza) non vollero colpire solamente i sacerdoti o i laici fedeli a Roma e ribelli alla Chiesa costituzionale scismatica .Essi vollero anche impedire il culto e sopprimere la pratica stessa della religione. Quest’intenzione risulta evidente considerando il tipo di persecuzioni effettuate come la confisca dei beni della Chiesa, la chiusura definitiva o temporanea delle chiese, la pressione sui sacerdoti obbligati a rinnegare il loro stato ed a sposarsi, la sottrazione alle chiese delle campane e la soppressione della domenica sostituita dalle decadi.

Concepita per impedire il culto, la persecuzione vi riuscì effettivamente. Per molti mesi e, in alcune località, per molti anni, i francesi furono privati della messa e dei sacramenti e i bambini dell’educazione religiosa. La maggior parte delle chiese di Francia vennero chiuse per la prima volta dal novembre del 1793 al marzo del 1795 e, in grandissimo numero, una seconda volta dal 1798 al 1799, durante il periodo del terrore «fruttidoriano». Questi sono fatti che vale la pena di ricordare. La persecuzione è stata esercitata contro il culto pubblico. Essa ostacolò l’avvicinamento ai sacramenti. In quel periodo fu efficace.

Ma quali i suoi frutti nel tempo? È questa la principale domanda che ci si pone. Nel 1801, in occasione del Concordato, Bonaparte ristabilì la pace religiosa. Ma la riapertura delle chiese, la libertà di culto e la scomparsa dello scisma significo anche una perfetta restaurazione del cattolicesimo?

Sicuramente no. Innanzitutto il Concordato non riparò tutto. Anzi, tralascio molte cose. La dlstruzione anteriore era stata cosi grande che nessun governo — anche se ben disposto verso la religione — avrebbe potuto effettuare un recupero completo. La Chiesa di Francia era veramente irriconoscibile. «Dopo la distruzione del paganesimo — scrive Lammenais nel 1808 — la storia non offre un altro esempio di una degenerazione cosi generale e completa».
La Rivoluzione ha dunque lasciato profonde tracce.
Due dei suoi effetti furono temporanei e infatti permasero solo fino al XIX secolo. Mi riferisco alla scomparsa della vita monastica ed alla statalizzazione del clero.
Le assemblee rivoluzionarie avevano soppresso tutte le congregazioni religiose. Il concordato del 1801 non ritornerà su queste misure. Nonostante la rapida ricostituzione degli istituti secolari, questi non raggiunsero il grado di importanza dei vecchi ordini monastici. Benedettini, Cistercensi, Premonstratensi, Domenicani e Francescani cominciarono a riprendere vita solo verso il 1830. Il cattolicesimo francese del XIX secolo viene dunque privato per molti decenni della vita monastica, cioè di una parte essenziale di se stesso.

L Assemblea costituente aveva poi statalizzato il clero creando una chiesa di Stato con vescovi e sacerdoti regolarmente stipendiati. Se da una parte il Concordato ristabilisce il contatto con Roma, dall’altra esso accetta un clero «statale». Sino alla legge di separazione del 1905 i preti secolari francesi dipendevano economicamente dallo Stato. Ci sia concesso supporre che una tale sottomissione non fosse favorevole alla loro liberta di espressione.

Due altri effetti della Rivoluzione si avvertono invece ancor oggi.

Mi riferisco innanzitutto alla separazione tra religione e Stato. Sino al 1789 il cattolicesimo era in Francia la religione dominante, la sola religione ufficiale. Essa godeva come tale di uno statuto privilegiato. L’Assemblea costituente, in coerenza con la Dichiarazione dei diritti che aveva appena proclamato, si rifiutò di considerare il cattolicesimo come religione di Stato. Si creò dunque, per la prima volta nella storia, uno Stato senza religione. Ebbene questo Stato esiste ancora oggi.

Il secondo aspetto del quale si subiscono le conseguenze è la diminuzione della pratica religiosa. Nel 1789 quasi tutti i francesi — salvo nelle grandi città — erano praticanti, celebravano cioè la Pasqua e assistevano alla messa domenicale. Nel 1801 (lo sappiamo ora con sicurezza grazie a recenti studi di sociologia religiosa) la pratica pasquale e domenicale diminuì mediamente del 50%. Ebbene, questa riduzione non è stata più colmata né nel XIX secolo, né nel XX, che ne ha anzi aggravato la portata. La Rivoluzione non fu senza alcun dubbio l’unica responsabile di questa brutale diminuzione del numero dei praticanti. La filosofia dell’Illuminismo aveva già preparato un terreno propizio alla de cristianizzazione. La conseguenza fu evidente: in due anni di persecuzione continua, multiforme ed efficace, per la prima volta nella storia dell’Europa cristiana, la pratica religiosa diminuì notevolmente.

Ma della Rivoluzione è stata data anche un interpretazione positiva. Le prove hanno notevolmente contribuito a fortificare e a rinnovare il cattolicesimo, allontanando il clero dai suoi beni materiali, e gettandolo da un giorno all’altro nella più grande povertà. Molti preti prigionieri o deportati mostrarono allora un distacco eroico. Si conserva ancor oggi il testo delle risoluzioni prese nel 1714 dai preti «refrattari» detenuti in condizioni incredibili. Questi sacerdoti si erano impegnati a non lamentarsi mai e — qualora avessero ritrovato la libertà — a non parlare mai delle loro prove e a «non mostrare alcun rimpianto per i loro possedimenti perduti, non fare alcun tentativo di recuperarli, né dar prova di alcun risentimento verso coloro che li avevano spossessati».

Si sviluppò inoltre una accresciuta devozione per i Sacri Cuori di Gesù e di Maria. Devozione già praticata nel XVIII secolo, ma che diviene nel periodo della Rivoluzione la grande devozione della Chiesa clandestina. La diffusione di questa forma di pietà che rinnovava il desiderio della comunione frequente contribuì ad allentare l’influenza del giansenismo.

È infine da sottolineare la missione nel campo dell’educazione cristiana dei bambini. Lo spettacolo di una gioventù abbandonata, privata, a causa della chiusura delle scuole e della partenza dei sacerdoti, di qualsiasi educazione religiosa, rinnovò la vocazione all’insegnamento. A tal fine vennero costituiti nuovi istituti religiosi nei quali si realizzarono i progetti concepiti durante la persecuzione: padre De Cloriviere fondò i Figli del Cuore di Maria; Chaminade, la Società di Maria; Sophie Barad, le Dame del Sacro Cuore; madre Des Fontaines, le Dame di Santa Clotilde. Questo spirito missionario si riallaccia alla devozione del Sacro Cuore. Nel 1796 un prete «refrattario», l’abate Delaleu, per incitare delle religiose a diventare educatrici disse loro: «Conoscete forse altro modo di adorare il Cuore di Gesù se non quello di farlo conoscere e di contribuire ad estendere il Suo culto, la Sua adorazione e il Suo amore?».

Jean de Viguerie
Professore di Storia Moderna all’Università di Angers. Presidente della Società francese di Storia delle idee e Storia religiosa.

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di Jean de Viguerie