lunedì 23 aprile 2012

La guerra alle Dame del Sacro Cuore di Gesù





di Angela Pellicciari

Nella lotta alla potente Compagnia il Parlamento del ‘48 non risparmia neanche le suore.

[Da "La Padania", 15 agosto 2001]

Stato federale o stato centralizzato? Un dibattito che ha appassionato per più di un secolo la nostra storiografia nazionale, potrebbe avere un contributo decisivo dall’analisi delle discussioni del parlamento subalpino relative alla soppressione delle Dame del Sacro Cuore di Gesù.

Andiamo con ordine. La lotta contro gli ordini religiosi cominciata coi Gesuiti segue il suo corso naturale. Se i Gesuiti sono appestati e quindi contagiosi, è inevitabile che si ammalino di peste anche quanti vengono a contatto con loro. Nelle intenzioni degli illuminati liberali il piano è coerente: con la scusa del contagio tutti gli ordini religiosi della Chiesa cattolica (pur definita dallo Statuto albertino "unica religione di stato") possono venire aboliti uno dopo l’altro in un domino inarrestabile. In questo contesto un rilievo tutto particolare - anche per l’importanza della discussione che occupa il parlamento per tre mesi di fila - assume il caso delle Dame del Sacro Cuore di Gesù, definite "gesuitesse". Si tratta di una ventina di suore che a Chambéry reggono una scuola prestigiosa, accusate di "affiliazione gesuitica". Per farsi un’idea della serietà delle imputazioni addotte contro le suore basti citare un brano dell’intervento del loro principale accusatore, l’avvocato Cesare Dalmazzi. "È ben noto - afferma Dalmazzi - che queste Dame, giustamente chiamate gesuitesse, sono dirette dallo stesso principio [dei gesuiti], che ne sono totalmente dipendenti, e che per loro mezzo s’infondono nel cuore delle alunne sentimenti politici e pratiche religiose che non vanno d’accordo con quelli che debbono dominare in un generoso sistema di educazione. La tolleranza loro non è cosa che debba essere approvata dalla Camera. Se si lascia la male sequenza gesuitica in un luogo dello Stato, essa si spanderà presto come la gramigna nel rimanente del paese".

Nel 1848 un capo d’accusa come questo equivale alla sicura emissione di una condanna a morte. E infatti i parlamentari votano per la soppressione dell’ordine incriminato. Se non che le suore di Chambéry hanno dalla loro tutta la popolazione - liberali compresi - e i deputati savoiardi difendono in parlamento la presenza delle suore a casa loro con argomenti che paiono incontrovertibili.

Come si può sostenere di volere la libertà mentre la si nega ad "una ventina di suore"? Afferma Jacquemoud. Vogliamo forse la libertà solo per noi stessi e per le nostre idee senza rispettare quelle degli altri? Si domanda Costa de Beauregard. E soprattutto, continua, "Perché rifiutare alla Savoia la capacità di apprezzare quello che le conviene?"; "I savoiardi sono convinti di avere abbastanza discernimento per decidere cosa convenga loro" osserva Jacquemoud. Esasperati dalla sordità della maggioranza alle ragioni della regione che rappresentano, i deputati savoiardi invocano una consultazione popolare.

La proposta sembra ineccepibile ma non viene nemmeno presa in considerazione. Perché? Perché, come ricorda il ministro della pubblica istruzione, Carlo Boncompagni, "dalle informazioni che ci mandano le autorità preposte all’insegnamento in Savoia consta che veramente queste corporazioni hanno per sé l’opinione pubblica; abbiamo su questo informazioni di persone diverse di diverse opinioni".

Con quali motivazioni la maggioranza piemontese può ignorare le sacrosante proteste (suffragate fra l’altro da petizioni sottoscritte da moltissime persone, comprese tutte quelle che contano) di un’intera regione che difende un bene primario come l’istruzione? I deputati sostengono che si tratta di una questione di principio, tale quindi da non poter transigere al riguardo. La questione di principio - che la popolazione della Savoia non capisce ma che è perfettamente chiara all’uno per cento della popolazione di fede liberale - è che i gesuiti, e quindi le Dame, debbono essere soppressi perché altrimenti non è possibile che si sviluppino i "principi liberali".

Qualche anno dopo sarà sempre la stessa motivazione a imporre la costituzione di uno stato centralizzato. Lasciati a sé stessi, gli italiani non avrebbero capito la pericolosità degli ordini religiosi della Chiesa cattolica. Lasciati a sé stessi e alle proprie "superstizioni", gli italiani avrebbero continuato ad essere cattolici. Si trattava di convincere la popolazione a cambiare cultura, tradizioni e religione. L’immane compito che la classe liberale si attribuiva non poteva essere conseguito senza la ferrea imposizione di uno stato rigidamente centralizzato.