giovedì 12 aprile 2012

L’ "insurrezione" di Perugia? Un falso

Stampa si propaganda liberal-settaria che mostra il falso massacro



di Angela Pellicciari

Lo scontro armato con l’esercito pontificio fu voluto da Cavour e costò assai poche vittime.

[Da "La Padania", 7 ottobre 2001]

C’è un episodio che mette in luce la cinica determinazione del conte Cavour meglio di ogni altro. La facilità con cui le insurrezioni popolari organizzate dai comitati locali della Società nazionale, dai diplomatici sardi e dalle forze di polizia alla Curletti, mettono in fuga i legittimi governanti, induce alcune città dello Stato pontificio ad insorgere. L’insurrezione di Perugia in particolare è facilitata dal concorso di migliaia di uomini messi a disposizione dal rivoluzionario governo della Toscana guidato da Carlo Boncompagni. I membri del governo provvisorio (tutti iscritti alla locale loggia massonica) non avendo alcuna probabilità di respingere l’avanzata dell’esercito del papa, chiedono a Cavour come comportarsi: la consegna è di resistere per compromettere ulteriormente l’immagine del papa.

Così racconta L’Armonia, il quotidiano cattolico diretto da don Margotti: "Avendo pochi settari ribellata Perugia alla Santa Sede dimandarono poi al conte Camillo Benso di Cavour ministro del re di Piemonte, e capo dell’agitazione italiana, come doversi regolare nel caso che fossero attaccati dalle milizie del Pontefice, ebbero in risposta da quell’autorevole diplomatico, doversi difendere; giacché anche nel caso di avversa fortuna, meglio era far figurare il Papa come carnefice, che farlo comparire come vittima. E i settari s’attennero pienamente all’ordine ricevuto, e poi gridarono alle stragi di Perugia". L’essersi azzardata a raccontare i fatti di Perugia costa a L’Armonia un mese di sospensione, mille lire di multa e due mesi di carcere al direttore responsabile.

Veniamo ai fatti e alle cifre. Perugia insorge il 14 giugno: dopo aver tentato ogni possibile mediazione con i rivoluzionari interviene, come ovvio, l’esercito. Questo il bilancio della "strage": 10 morti e 35 feriti tra i papalini; 27 morti, un centinaio di feriti e 120 prigionieri tra gli insorti; i capi della rivolta e la maggioranza dei ribelli riparati in Toscana. I dati mostrano la moderazione dell’esercito pontificio, ma la stampa liberale nazionale ed estera è tutta un coro di accuse contro la supposta brutalità dell’esercito del papa. Come si sono comportati i soldati pontifici?

Per valutarne appieno la condotta bisogna confrontare l’operato con quelli di altri eserciti operanti in ambienti e tempi il più possibile vicini a quello considerato. È quanto fa L’Armonia che paragona la repressione avvenuta a Perugia a quella avvenuta a Genova nel 1849. In quel frangente l’esercito sabaudo è comandato dal generale Alfonso La Marmora, lo stesso che diventa presidente del Consiglio dopo le dimissioni di Cavour all’indomani di Villafranca.

Per valutare la correttezza militare del generale La Marmora a Genova non ci serviamo di una fonte cattolica come L’Armonia, preferiamo fare riferimento ad una testimonianza non sospetta perché di parte liberale. Citiamo il diario politico di un ex prete, il mazziniano Giorgio Asproni, che annota una confidenza fattagli dal ministro dell’interno Vincenzo Ricci. Ricci - scrive Asproni - si lamenta con La Marmora del "saccheggio dato ad un quartiere di Genova e degli atti di violenta libidine su figlie di onorate famiglie", e si sente rispondere dal generale che "i soldati erano bei giovani e in quelle violenze le donne avean pure provato un piacere". "Auguro, signor generale - è il commento di Ricci - fortuna e piacere uguale a sua moglie e alle sue figlie".

Bisogna rendere omaggio alla lungimiranza politica del conte di Cavour: le "stragi di Perugia" che stragi non sono e che sono da lui esplicitamente volute, meno di un anno dopo servono da pretesto per giustificare l’invasione delle Marche. In quell’occasione Cavour indirizza al segretario di Stato, cardinal Antonelli, la seguente missiva: "Eminenza. Il Governo di Sua Maestà il Re di Sardegna non poté vedere senza grave rammarico la formazione e l’esistenza dei corpi di truppe mercenarie straniere al servizio del Governo Pontificio. L’ordinamento di siffatti corpi non formati, ad esempio di tutti i Governi civili, di cittadini del paese, ma di gente di ogni lingua, nazione e religione, offende profondamente la coscienza pubblica dell’Italia e dell’Europa. L’indisciplina inerente a tale genere di truppe, l’improvvida condotta dei loro capi, le minacce provocatrici di cui fanno pompa nei loro proclami, suscitano e mantengono un fermento oltremodo pericoloso. Vive pur sempre negli abitanti delle Marche e dell’Umbria la memoria dolorosa delle stragi di Perugia".

Vittorio Emanuele non è da meno. La Gazzetta Ufficiale riferisce che il re, "profondamente commosso dallo stato di quelle popolazioni e dai pericoli loro, ne accettò la protezione, e ha dato ordine alle sue truppe d’entrare in quelle province a tutelarvi l’ordine, e impedire la rinnovazione dei fatti di Perugia".