sabato 7 aprile 2012

Il mal francese



di Massimo Introvigne

Pur divenuta europea, la Rivoluzione del 1789 ha mantenuto con la Francia uno speciale legame. Laicismo di Stato, influenza della massoneria, scristianizzazione: i Lumi continuano a portare danni alla “figlia primogenita” della Chiesa cattolica.

[Da «il Timone» n. 54, Giugno 2006]

La pratica religiosa almeno mensile (che è cosa diversa da quella settimanale, e che è qui riferita a tulle le religioni, non solo a quella cattolica) secondo idati più recenti è al 40,5% in Italia e al 7,6% in Francia. Come spiegare questa enorme differenza fra due paesi vicini, dove la religione cattolica rimane maggioritaria e dove la Chiesa ha una storia millenaria e luminosa?

Per alcuni, questi dati si spiegano con la perdurante vitalità di un anti-cattolicesimo militante in Francia, rilevata dallo storico René Remond in due opere recenti che hanno generato un ampio dibattito. Ma perché in Francia l’anti-cattolicesimo é più forte che altrove?

L’Illuminismo anti-religioso del Settecento ha fatto i suoi danni in tutta Europa, ma con la Rivoluzione francese si afferma in Francia un tipo di Illuminismo che non si ritrova in nessun altro Paese europeo, dove non solo l’istituzione religiosa è criticata ma nasce insieme un culto dello Stato che si modella più o meno consapevolmente sulla Chiesa e ne usurpa i caratteri. In Francia — e solo in Francia — si verifica con l’Illuminismo e la Rivoluzione, per usare le parole della sociologa Danièle Hervieu-Léger, «una sacralizzazione delIa politica e una vera e propria trasfigurazione religiosa della sovranità», dove lo Stato si pretende fondamento della morale e vero e proprio potere spirituale. Non è tanto che la Francia interpreti in modo restrittivo, nel senso laicista di una separazione assoluta fra religione e società, il dare a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio. Il laicismo e un fenomeno generale in Europa. È che in Francia Cesare è Dio: lo Stato è al centro di un’autentica nuova religione, che solo in Francia ha un certo successo, mentre in Italia e altrove tentativi di costituire religioni dello Stato (si pensi alla “mistica fascista”) sono sempre stati accolti con ironia e scetticismo dalla popolazione. In questo senso, la Rivoluzione francese è ancora all’opera in Francia, sia sul piano del costume — alla bassissima affluenza alle cerimonie religiose fanno da contrappunto i PACS e il primato europeo dei divorzi e delle convivenze — sia su quello delle leggi, come mostra la legge del 2004 che vieta agli alunni di presentarsi a scuola con simboli religiosi, se non di dimensioni quasi invisibili, che nei lavori preparatori richiama esplicitamente gli “immortali principi” del 1789 e che il presidente Chirac ha celebrato con una visita di Stato alla sede della laicissima massoneria francese.

Questo non significa che la situazione oggi sia del tutto analoga a quella del primo Ottocento. Il rapporto fra religione e conseguenze della Rivoluzione è passato attraverso una seconda a una terza fase. Nella seconda fase, che si costruisce lentamente nel corso dell’Ottocento e del Novecento, prima gli ebrei e i protestanti (che, inizialmente “emancipati” dalla Rivoluzione, avevano poi anch’essi sofferto — nella misura in cui vivevano la loro fede come tale e non come semplice eredità culturale — dell’ostilità ufficiale alla religione), quindi anche molti teologi ed esponenti della gerarchia cattolica dichiarano formalmente di accettare l’”eredità comune” della Rivoluzione che unirebbe tutti i francesi. Questa posizione, tipica degli anni 1970 e 1980 — ma ancora ben viva nel progressismo cattolico francese — ha avuto conseguenze rovinose, e non è l’ultima causa della riduzione al minimi termini del numero di cattolici praticanti in Francia. Inoltre, pur discutibile, poteva avere un senso finché la cultura francese del laicismo rivoluzionario rimaneva fedele alle sue caratteristiche ottocentesche, certo anti-cattoliche ma che almeno mantenevano alcuni valori morali.

Ma negli anni 1960, con il 1968 come data emblematica, inizia una terza fase dell’interpretazione dell’eredità della Rivoluzione in Francia. Forzando talora il dato storico, la Rivoluzione è considerata come insurrezione non solo contro la religione ma anche contro la morale. Si attacca così il modello di famiglia monogamica ed eterosessuale che la cultura rivoluzionaria ottocentesca aveva sostanzialmente mantenuto, pur introducendo il divorzio, mentre con le norme in tema di anticoncezionali liberi e gratuiti, coppie omosessuali, aborto, bioetica e fecondazione assistita, e le proposte che riguardano l’eutanasia, si negano i concetti di natura e di ordine naturale, che l’Illuminismo rivoluzionario non aveva eliminato, anche se — togliendo loro il fondamento metafisico e religioso — ne aveva implicitamente preparato il successivo abbandono. Questi sviluppi mettono in crisi la teologia cattolica progressista del “valori condivisi” e dell’”eredità comune”. Dal momento che certo non poteva essere “comune” il momento filosofico e istituzionale anti-religioso, questa teologia pensava di trovare in alcuni valori morali l’elemento “condiviso” tra Francia cattolica e Francia rivoluzionaria. Ma oggi con l’aborto, i PACS e Ia negazione sempre più evidente del valori della famiglia — il fatto che il sindaco di Parigi sia uno dei più noti militanti gay europei ha un enorme valore simbolico, e non solo — gli eredi della Rivoluzione hanno definitivamente voltato le spalle anche a quella modica quantità di morale su cui qualcuno aveva pensato di poter fondare una storica riconciliazione fra due idee da secoli contrapposte della Francia: la figlia primogenita della Chiesa e la dama col berretto frigio impegnata a esportare nel mondo la massoneria laicista del Grande Oriente e il laicismo rivoluzionario. Dopo i PACS — ma in realtà già dopo il 1968— questa strategia è impossibile, qualunque cosa ne pensi un progressismo cattolico più duro a morire in Francia che altrove. La via che porta alla rimonta rispetto alle fallimentari statistiche francesi in materia di pratica religiosa e di comportamenti morali non può che passare per una denuncia dura e senza illusioni della Rivoluzione e della conseguenze che ha prodotto nel corso del secoli.

I falsi miti

«La menzogna maggiore: la dissimulazione del vero progetto, cioè l’anticristianesimo. [la Rivoluzione] si spiega attraverso un “mese chiave”, sul quale bisogna attirare l’attenzione. Questo mese, che va dal 7 luglio 1792 monarchico al 10 agosto successivo, quando viene distrutta la monarchia, rivela una specificità della Rivoluzione più significativa di ogni altra, perché allora essa ribalta tutto. Questa specificità è l’anticristianesimo totalitario, la sola vera essenza della Rivoluzione francese e il suo unico vero progetto, iniziale e finale. Essa manifesta nei rivoluzionari ciò che Edmund Burke ha magistralmente riconosciuto nel 1790: la loro “fede imperturbabile nei prodigi del sacrilegio”» (Jean Dumont, I falsi miti della Rivoluzione francese, Effedieffe, 1989, p. 32).

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