sabato 7 aprile 2012

Il libro nero della Rivoluzione. La Bastiglia aprì la via al Gulag

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Fa discutere il volume sulla Francia giacobina. Culla della moderna democrazia o feroce strage? Gli autori: la politica della ghigliottina è l’antenata del comunismo.
[Da «Libero», 09 Marzo 2008]

«Il governo rivoluzionario è debitore, nei confronti dei buoni cittadini, di tutto l’appoggio della nazione, mentre ai nemici del popolo deve nient’altro che la morte». Così Robespierre difese il Terrore il 25 dicembre 1793, davanti alla Convenzione nazionale. Cosa fu il Terrore: necessaria difesa della Repubblica o macchina di morte manovrata da una élite sanguinaria? Deviazione dai princìpi del 1789 che ispirarono la "Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino" o loro figlio legittimo? Un libro appena uscito in Francia riapre la discussione. "Le livre noir de la Révolution francaise" (Editions du Cerf, pp. 882, euro 44) richiama ovviamente quel "Libro nero del comunismo" che una decina d’anni fa fu accolto con fastidio dall’intellighenzia progressista europea. Non a caso uno dei 47 studiosi che ha dato vita a questa monumentale opera collettiva è Stéphan Courtois, curatore di quell’atto d’accusa al totalitarismo "rosso". Questa volta si tratta di rimettere in prospettiva il fenomeno storico, pressati da una domanda: perché una Rivoluzione che si pretendeva figlia dei Lumi e di Voltaire (quello che diceva «non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire») finì per celebrare le virtù della ghigliottina?

La «dissuasione dei Vandeani»
Per rispondere all’interrogativo, i contributi dei vari autori smontano pezzo per pezzo il puzzle costruito dalla mitologia "républicaine". I massacri della Vandea, anzitutto. I contadini di questa regione insorsero, nel marzo 1793, contro la decisione della Convenzione di arruolare a forza 300 mila uomini da gettare nella guerra contro Austria e Prussia. Un rapporto della Convenzione diceva a chiare lettere che «non c’è alcun mezzo di riportare la calma in quella regione che facendone uscire quelli che non sono colpevoli, sterminandone il resto, e rimpiazzandolo con dei repubblicani che difenderanno il loro Paese». Perfino Bertrand Barère, il membro "ondeggiante" del Comitato di Salute pubblica, perde il suo proverbiale sangue freddo e intima: «Distruggete la Vandea!». Il generale in capo dell’Armata dell’Est, Turreau, conferma gelido: «La Vandea deve diventare un cimitero nazionale». Il giacobino Jean-Baptiste Carrier esplode quasi esasperato: «Che non ci si venga più a parlare di umanità verso questi feroci vandeani: devono essere tutti sterminati!». E sterminio fu.

Si portano in giro le teste mozzate

Jean Tulard, docente alla Sorbona e all’Istituto di Studi politici di Parigi, fra gli autori del "Livre noir", ha spiegato in un’intervista alla rivista AF2000: «Il Terrore è irriducibile agli "eccessi". Dal 14 luglio, quando la folla porta a spasso la testa di Launay (governatore della Bastiglia, ndr), ha il solo scopo di azzerare le resistenze. Quando si conducono i condannati dentro una carretta per chilometri prima di arrivare al patibolo, noi abbiamo già a che fare con un sistema terrorista». Anche gli annegamenti degli oppositori a Nantes (circa 3 mila persone), pianificati dallo stesso Carrier che inneggiava al macello in Vandea, furono "dissuasivi": «Quando i pescatori seduti sulle rive della Loira hanno visto passare i cadaveri a pelo d’acqua hanno dovuto temperare i loro sentimenti contro-rivoluzionari». C’è naturalmente la persecuzione contro la Chiesa. Migliaia di teste cadute all’interno del clero "refrattario", quello cioè che non aveva prestato il giuramento di fedeltà al documento di "Costituzione civile del clero" approvato dall’Assemblea Costituente nel 1790.

Le ceneri di Montesquieu

In parallelo, la furia rivoluzionaria si accanì anche contro il patrimonio artistico francese, colpevole di rinviare troppo all’Ancien Régime. A Parigi ne fecero le spese la chiesa des Bernardins, la biblioteca di Saint-Germaindes-Prés, le statue dei re sulla facciata di Notre Dame. Le ceneri di molti grandi uomini furono gettate nella Senna o nelle fogne. Anche quelle di Montesquieu, non a caso teorico dello Stato liberale basato sull’"equilibrio" dei poteri. Altro tasto su cui battono gli autori del "Livre noir": le analogie con i totalitarismi del Novecento, il nazismo ma soprattutto il comunismo di stampo sovietico. Sistematizzazione della politica del Terrore, omicidi delle famiglie regnanti, attacchi contro i religiosi, utilizzo della guerra per militarizzare e purgare la società, sacralizzazione della violenza. Tutte arti in cui i bolscevichi andranno oltre, ma fu Lenin a richiamare il precedente come esempio da superare: «La ghigliottina non era che uno spauracchio che spezzava la resistenza attiva. Questo non basta. Noi non dobbiamo solo spaventare i capitalisti, cioè far loro dimenticare l’idea di una resistenza attiva contro di esso. Noi dobbiamo spezzare anche la loro resistenza passiva». Dalla ghigliottina al Gulag. Ovvio che tesi del genere abbiano scatenato un polverone Oltralpe. Dove la retorica repubblicana è bipartisan. Anche Le Figaro, giornale della destra francese, ha stroncato le "Livre noir", chiedendosi: «Lo spirito totalitario non è morto. Bisogna prendersi il rischio di risvegliarne il cadavere rianimando un dibattito che era stato vinto (una volta tanto) dal campo liberale e chiarito?».

La risposta alle polemiche

Il radical-chic Le Nouvel Observateur ha invece attaccato frontalmente il libro, con lo sferzante titolo "Non, Danton n’est pas Hitler!" (No, Danton non è Hitler), pur ammettendo che c’è un fondo di verità. Alle critiche ha risposto tra gli altri lo storico Jean Sévillia, autore di uno dei contributi al testo: «L’iconografia ufficiale, quella dei manuali scolastici, quella della televisione, mostra gli avvenimenti del 1789 e degli anni seguenti come il momento fondatore della nostra società, cancellandone tutto ciò che vogliono occultare: il Terrore, la persecuzione religiosa, la dittatura di una minoranza, il vandalismo artistico». Da cui l’idea-base del "Livre noir": «Mostrare l’altra faccia della realtà e ricordare che c’è sempre stata un’opposizione alla Rivoluzione francese, ma senza tradire la Storia». La Storia, per inciso, dice che dal caos rivoluzionario scaturì il primo dittatore moderno, Napoleone Bonaparte.

E Lenin prese a modello la dittatura di Robespierre e Saint-Just
di Francesco Perfetti

Un grande storico francese, Hyppolite Taine, lo aveva già detto in un’opera monumentale, ma di grande fascino anche letterario, scritta in più volumi nell’ultimo scorcio dell’Ottocento: «Le origini della Francia contemporanea». Aveva posto la «grande rivoluzione» sul banco degli accusati e fatto notare come l’anarchia rivoluzionaria avesse, nel sangue, eliminato le élites naturali del Paese sostituendole con la «feccia» e la «canaglia antisociale». Sottoposta, così, al «governo rivoluzionario», la Francia era diventata simile a una «creatura umana costretta a camminare sulla testa e a pensare con i piedi». Un altro storico, questa volta del Novecento, anch’egli dallo stile elegante e vigoroso, Pierre Gaxotte, Accademico di Francia, in una fortunatissima ricostruzione critica degli eventi della Rivoluzione francese non è stato più tenero. Ha fatto vedere come, dopo il crollo dell’austero e glorioso edificio dell’«Ancien Régime», la Francia rivoluzionaria, preda di furori ideologici e immersa nell’irreligiosità, fosse finita nelle mani di un gruppo di fanatici, nella migliore delle ipotesi (il caso di Danton) politicanti scaltri; nella peggiore (il caso di Marat) criminali puri. Ma soprattutto ha illustrato il fenomeno del progressivo scivolamento del moto rivoluzionario, frutto dell’ideologismo astratto covato nei circoli illuministici e nelle «società di pensiero», verso il «comunismo dittatoriale» e verso una società fondata sul «terrore comunista» imposto dai giacobini e destinato a lasciare dietro di sé soltanto rovine. Taine e Gaxotte sono soltanto due degli storici che hanno combattuto contro la mitizzazione della Rivoluzione francese, ad opera di una storiografia ufficiale e agiografica. Tuttavia, molti altri studiosi e intellettuali, di estrazione politica e di formazione storiografica diverse, potrebbero essere evocati, dall’Ottocento a oggi, e inseriti in una ideale linea di revisione critica del giudizio storico sul fenomeno rivoluzionario francese: una linea che, partendo dalle "Riflessioni sulla Rivoluzione francese" di Edmund Burke e passando attraverso gli studi Alfred Cobban e François Furet, giunge fino a comprendere i quarantasette autori di "Le livre noir de la Révolution française". L’approccio di questi ultimi è tuttavia particolare: essi non propongono una ricostruzione critica complessiva della Rivoluzione, ma ne approfondiscono alcuni aspetti, quelli più luciferini: il vero e proprio genocidio vandeano, il tentativo intriso di sangue di sistematica distruzione del cristianesimo e della sostituzione a esso di una religione laica, la creazione di una società comunista e totalitaria, l’istituzionalizzazione del terrore come pratica di governo. Che esista una continuità fra la Rivoluzione francese e la Rivoluzione russa non si può più porre in dubbio. Le analogie sono state evidenziate dalla storiografia. Ma, al di là delle ricerche, sarebbe stato sufficiente, per giungere alla conclusione, fare un parallelismo fra la stagione del Terrore rivoluzionario del 1793-1794 e il Terrore sovietico degli anni Venti e fare, ancora, un parallelismo fra le persecuzioni antireligiose. Del resto, non c’è da meravigliarsi. Lenin è stato sempre un dichiarato ammiratore della Rivoluzione francese al punto da evocare, con bramosia, la «violenza rivoluzionaria», il Terrore e «molte Vandee» e ha eletto come modello ideale la dittatura di Rebespierre e Saint-Just. Ma dire Lenin significa anche dire Stalin perché esiste una linea di continuità all’interno del comunismo, una linea che non può essere smentita dagli artifici dialettici di una storiografia progressista dalla cattiva coscienza. Anche il Terrore di Stalin, degli anni Trenta, si inserisce bene nella analogia e nella continuità. Dimostra che la Rivoluzione è pronta a divorare i suoi stessi figli. Come accadde anche in Francia. Un romanzo bellissimo di Anatole France lo afferma già nel titolo: «Gli dei hanno sete». E sono le divinità della Rivoluzione. «Le livre noir de la Révolution», insomma, ci fa capire o ci ricorda, che dietro il secolo dei totalitarismi e degli orrori c’è il secolo della Rivoluzione francese.

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