lunedì 19 marzo 2012

MEMORIE PER LA STORIA DEL GIACOBINISMO SCRITTE DALL' ABATE BARRUEL TRADUZIONE DAL FRANCESE. TOMO I. 1802 (Parte 11°)CAPITOLO IX.SESTO MEZZO DEI CONGIURATI.L'INVASIONE DI LIBRI ANTICRISTIANI.

Da quarant'anni, e soprattutto durante gli ultimi vent'anni di Voltaire, l'Europa è stata invasa da una gran quantità di pubblicazioni anticristiane: opuscoli, trattazioni di sistemia, romanzi, cosiddette storie e ogni altra forma, e questo è un fatto troppo chiaro ed evidente perché io debba fornirne le prove.
Senza ancora dire tutto ciò che ho da rivelare a questo proposito, voglio mostrare almeno l'accordo dei capi della congiura sulle modalità di azione riguardo a queste produzioni anticristiane, e la loro
intesa nell'arte di moltiplicarle e di favorirne la circolazione per infettare l'Europa con la loro empietà.
In particolare erano Voltaire, d'Alembert e Federico II a concordare le modalità di azione nel diffondere tali scritti; la loro corrispondenza ce li mostra attenti a darsi conto delle opere che preparavano contro il cristianesimo, del frutto che ne volevano ottenere e dell'abilità che bisognava avere per ottenere un successo sicuro. Questo accordo era tale che nella loro intima corrispondenza i sofisti se la ridevano tra loro delle insidie che tendevano alla religione proprio per mezzo di
quelle opere e di quei sistemi che erano più desiderosi di far considerare come indifferenti nei confronti della religione o addirittura come tendenti a servirla piuttosto che a distruggerla. D'Alembert
soprattutto è abilissimo nell'assolvere questo compito; lo storico ed il lettore imparino a valutare l'ingegno dimostrato da questo astuto sofista nell'ordire le sue insidie dal seguente esempio.
Si sa abbastanza che i nostri filosofi si sono occupati in questo secolo dei loro pretesi sistemi fisici riguardanti la formazione dell'universo; si sa quale pena si son dati per offrirci delle teorie e delle genealogie del globo terrestre. Li si è visti occupati a razzolare nelle miniere, a sezionare le montagne o a scavarne la superficie per trovar conchiglie, disegnare i movimenti dell'Oceano ed imbastire
delle epoche; a sentir loro il fine di queste ricerche e di tanto lavoro era solo quello di fare delle scoperte interessanti per la storia naturale e per le scienze puramente profane, e soprattutto la religione doveva essere assolutamente rispettata da questi fabbricanti di epoche. Si può perfino credere che, tra i nostri fisici naturalisti, qualcuno in effetti non avesse altro fine, e d'altra parte, quando costoro si sono
comportati da veri sapienti, da uomini sinceri nelle loro ricerche e capaci di comparare senza pregiudizio le osservazioni, i loro corsi, i loro studi ed i loro lavori, le loro scoperte non hanno fatto altro che fornirci nuove armi contro questi vani sistemi. Ma non fu così per gli adepti e per d'Alembert, il quale si accorse che questi sistemi e tutte queste epoche attiravano l'attenzione dei teologi che dovevano salvaguardare la verità dei fatti e l'autenticità dei libri di Mosè, come pure la fondatezza delle prime pagine della rivelazione. Per ingannare la Sorbona e tutti i difensori dei libri santi, d'Alembert si mise a scrivere un'apologia di tutti questi sistemi che portava il titolo di
“Abuso della critica”; il principale scopo di questo scritto, che millantava un profondo rispetto per la religione, era di provare che la rivelazione e l'onore di Mosè non c'entravano nulla in queste teorie, e che i timori della teologia erano solo falsi allarmi. D'Alembert fece di più: impiegò molte pagine e molti argomenti per dimostrare che questi sistemi sono fatti per offrire un'idea grande e sublime; che, lungi dall'essere in contrasto con la potenza di Dio e con la Sua Sapienza divina, servono a svilupparla meglio. Pretese soprattutto che, considerato l'argomento di questi sistemi, non spettava per nulla ai
teologi, ma solo ai fisici di giudicarne. Trattò i primi da spiriti limitati, pusillanimi, nemici della ragione, che si spaventavano di una materia che non era di loro competenza. Scrisse assai chiaramente
contro questo preteso terror panico, dicendo tra l'altro: “Si sono voluti legare al cristianesimo i più arbitrari sistemi filosofici. Invano la religione, così semplice e così precisa nei suoi dogmi, ha rigettato
costantemente un apparato che la deformava; ed è seguendo questo apparato che si è creduto di vederla attaccata nelle opere in cui lo era meno.” Le opere di cui parla erano quelle in cui gli autori esigono per la formazione dell'universo un tempo più lungo di quanto la storia della creazione scritta da Mosè permetta di supporre. (Vedi Abuso della crit. n° 4, 15, 16, 17.)
Chi non avrebbe creduto che d'Alembert fosse persuaso che tutti questi cosiddetti sistemi fisici, queste teorie e questo tempo più lungo, invece di servire a rovesciare il cristianesimo, servivano solo ad
offrire un'idea più grande e più sublime del Dio dei cristiani e di Mosè? Eppure proprio d'Alembert, nella speranza di scoprire le prove di un tempo più lungo, già si compiaceva in anticipo del fatto che
Mosè e la rivelazione sarebbero stati smentiti dalle scoperte dei suoi adepti viaggianti, che appunto di ciò erano incaricati, e raccomandava a Voltaire quegli adepti che con questa intenzione andavano
percorrendo le Alpi e l'Appennino definendoli uomini preziosi alla filosofia. E proprio d'Alembert, che in pubblico manteneva questo linguaggio così rassicurante per l'onore di Mosè e della rivelazione,
scriveva in segreto a Voltaire: “Questa lettera, mio caro confratello, vi sarà rimessa da Desmarets, uomo di merito e buon filosofo, che desidera rendervi omaggio portandosi in Italia, dove si propone di far delle osservazioni di storia naturale che potranno ben dare la smentita a Mosè. Egli non dirà nulla al maestro del sacro palazzo, ma se per caso si accorgesse che il mondo è più antico di quanto lo pretendono i Settantaa, non ve ne farà un segreto.” (Lett. 137 anno 1764.)




La lettera 137 di d'Alembert a Voltaire (Oeuvres completes de Voltaire, tomo 68, Kehl 1785). Per chiarire il rapporto tra Fede cattolica e scienza moderna può essere utile il testo di Giancarlo Infante intitolato Le radici esoteriche della scienza moderna, Udine 2006.



Sarebbe cosa difficile nascondere meglio la propria mano nel momento stesso in cui si guida quella
dell'assassino. D'Alembert guidava anche di quando in quando la penna di Voltaire, quando era necessario far partire da Ferney delle frecce che da Parigi non si potevano ancora lanciare. In
tali occasioni, egli inviava il tema praticamente già fatto ed a Voltaire restava solo il compito di dargli il colore.
Nel 1773 la Sorbona pubblicò una tesi in cui era predetto ai re quello che la rivoluzione francese ha appena insegnato loro, poiché trattava dei pericoli della filosofia moderna anche relativamente al
destino dei loro troni, e d'Alembert, preoccupato, si affrettò a comunicare a Voltaire quanto fosse importante cancellare l'impressione provocata da una simile insurrezione contro i congiurati; egli insegnò a Voltaire come bisognava comportarsi per ingannare perfino i re, far ricadere tutti i loro timori e sospetti sulla Chiesa e, dandogli come tema un capolavoro d'inganno, lo invitò soprattutto a
ravvivare le contestazioni estinte da lungo tempo tra il sacerdozio e l'Impero; inoltre gli mostrò tutta l'arte di rendere il clero sospetto e odioso. ( Lett. d'A1emb. 18 gen. e 9 feb. 1773. )





René Descartes (Cartesio, 1596-1650), padre della filosofia moderna. Considerando la realtà unicamente quale frutto del pensiero (cogito ergo sum), Cartesio apri le porte alla filosofia di Kant, al razionalismo, all'idealismo hegeliano ed all'esistenzialismo. D'altra parte l'autofondazione del pensiero in se stesso, il “cogito” come principio primo ed unico da cui scaturisce tutta la realtà, si fonda sull'idea gnostica e cabalistica panteistico-immanentista, filtrata dai pensatori dell'Umanesimo e del Rinascimento.


Si trovano nelle sue lettere anche altri piani simili che abbozzava al filosofo di Ferney secondo le circostanze; (v. soprattutto le lettere 26 feb. , 22 marzo 1774.) e questi piani erano, detto nel loro stile, i marroni che Bertrand d'Alembert additava sotto la cenere e che Raton Voltaire doveva aiutare a levare dal fuoco con le sue delicate zampette.
Dal canto suo Voltaire non mancava di informare d'Alembert e gli altri adepti che lo potevano aiutare delle opere dello stesso genere che componeva, oppure dei passi che faceva presso il ministero; così,
anticipando i successivi decreti rivoluzionari di spoliazione, si preoccupò di avvertire il conte d'Argental del memoriale inviato al duca di Praslin per impegnare il ministero a privare il clero della sua sussistenza togliendogli le decime. (Lett. al conte d'Argental 1764.)
Così tutto si faceva d'accordo tra i congiurati, persino questi memoriali segreti; e perfino gli aneddoti più banali contro gli scrittori religiosi, veri o calunniosi che fossero, erano concertati tra Voltaire e d'Alembert. (Lett. 18 e 20.) Non vi erano vivezze, basse spiritosaggini, piatti epigrammi dei seguaci che Voltaire non dirigesse facendone dei mezzi per la congiura. Conoscendo meglio di chiunque altro tutto il potere dei ridicolo, raccomandava ai congiurati l'uso frequente di quest'arma, sia nelle conversazioni come pure nei loro scritti.
“Procurate sempre di conservare la vostra ilarità, scriveva a d'Alembert, cercate sempre di distruggere l'infame. Non vi chiedo che cinque o sei motteggi al giorno e basta. Egli non si rialzerà più.
Ridete, Democrito, e fatemi ridere, e i saggi trionferanno.” (Lett. 128.) Tuttavia Voltaire non sempre riteneva che questo modo di attaccare la religione fosse sufficiente a dar gloria ai filosofi ed a distruggere il cristianesimo; continuando a dirigere l'attacco, manifestò il desiderio di vedere, oltre a questi diluvi di facezie e di sarcasmi, qualche opera seria che però si facesse leggere, in cui i filosofi fossero giustificati e l'infame confuso, (lett. 67 a d'Alemb.) ma quest'opera è la sola che, nonostante le esortazioni di Voltaire ed il suo accordo con gli altri adepti, non è mai stata prodotta. In cambio la setta partoriva ogni giorno degli scritti in cui il deismo, e sovente un grossolano ateismo, distillavano contro la religione il veleno della calunnia e dell'empietà.
Soprattutto in Olanda comparivano ogni mese, addirittura ogni settimana qualcuna di queste pubblicazioni scritte dagli empi più impudenti; fra le altre si distinguevano Il militare filosofo, I dubbi,
L'impostura sacerdotale, La furfanteria svelata, insomma alcune delle più mostruose produzioni della setta. Voltaire presiedeva da solo a tutto questo empio commercio, tanto zelo metteva nell'assecondarlo; era informato delle edizioni, ne informava i fratelli di Parigi, li esortava a procurarsele e farle circolare, li rimproverava per la loro lentezza nel diffonderle e le seminava attorno a sé. (V. le sue lett. al conte d'Argental, a mad. du Deffant, a d'Alemb. soprattutto la lett. 2 anno 1769.) Per incoraggiarli scriveva loro con veemenza che per mezzo di queste opere tutta la gioventù tedesca imparava a leggere, e che esse erano divenute il catechismo universale da Baden sino a Mosca. ( L. al conte d'Argental 26 sett. 1766.)
Nel timore che l'Olanda fosse insufficiente ad infettare la Francia, sceglieva ed indicava a d'Alembert le produzioni più empie incaricandolo di farle ristampare a Parigi e di farle distribuire in migliaia di copie, come ad esempio un cosiddetto “Esame della religione” di Dumarsais.
“Mi è stata inviata,” scrive Voltaire “l'opera di Dumarsais attribuita a Saint-Evremont, che è eccellente; (era proprio una delle più empie) vi esorto, mio carissimo fratello, a convincere qualcuno dei nostri cari e fedeli amici a far ristampare quest'operetta perché può fare molto bene.” (Lett. 122.) Stesse esortazioni, anzi più pressanti ancora per riprodurre e diffondere il Testamento di Jean Meslier, il famigerato parroco di Etrépigni apostata e blasfemo che poteva fare ancor più impressione sul popolaccio dello spirito. Voltaire si lamentava che a Parigi non vi erano altrettanti esemplari di questo empio testamento quanti lui ne aveva diffuso e fatto circolare nelle capanne delle montagne svizzere. (L. di d'Alemb. 31 luglio e di Volt. 15 sett. I762.)
D'Alembert fu obbligato a rispondere ai rimproveri di esser stato tiepido e poco premuroso nell'assecondare questo zelo, e specialmente per non aver osato far ristampare a Parigi e distribuire le quattro o cinquemila copie del Testamento di Jean Meslier; il congiurato si scusò dicendo che bisogna attendere l'occasione e prendere le opportune precauzioni per ottenere a poco a poco quel successo che la precipitazione avrebbe potuto far sfuggire. (Lett. 102.) Ma egli si rendeva conto dell'effetto che può fare sullo spirito del popolo il moltiplicare e rendere popolari le opere più empie, e sapeva scegliere
il momento propizio, prova ne sia il consiglio che dà sopra una di queste produzioni, un capolavoro di empietà, intitolata: Il buon senso.
“Quest'opera, scrive a Voltaire, è un libro ben più terribile del Sistema della natura.” Lo è veramente, perché predica con più abilità e con maggior sangue freddo il più puro ateismo, ma proprio per questo
d'Alembert affermava che se ne sarebbe tratto un vantaggio maggiore se si fosse compendiato questo libro già tascabile riducendolo al punto che costasse non più di dieci soldi, così che potesse esser letto e comprato dalle cuoche. (Lett. 146.)
I mezzi per invadere l'Europa con questi scritti anticristiani non si riducevano solo agli intrighi occulti ed all'abilità di eludere la vigilanza della legge, in quanto i congiurati avevano perfino a corte
degli uomini potenti, degli adepti ministri che sapevano far tacere anche la legge, o le permettevano di parlare solo per favorire sottobanco con maggior efficacia quel commercio empio e corruttore
proibito dai magistrati. Anche il duca di Choiseul e Malesherbes furono promotori di questo efficace mezzo teso a strappare al popolo la sua religione e ad insinuargli tutti gli errori del filosofismo. Il
primo, con tutta la sicurezza che gli dava il suo dispotico ministero, minacciò la Sorbona che, con pubbliche censure, aveva tentato di proteggere i popoli da queste produzioni empie, e proprio per questo uso abnorme dell'autorità Voltaire esclamava giulivo: Viva il ministero di Francia, viva soprattutto il signor duca di Choiseul! (Lett. di Volt. a Marmontel 1767.)
Per Malesherbes, sovrintendente all'arte della libreria, era più facile eludere la legge in ogni momento e favorire l'introduzione e la circolazione di queste opere empie, e costui era su questo argomento
perfettamente d'accordo con d'Alembert; ambedue avrebbero voluto che i difensori della religione non potessero godere della stessa libertà di far pubblicare le loro risposte alla legione degli empi che era sorta in Francia, ma un tale momento non era ancora giunto. Con tutta la sua pretesa tolleranza, Voltaire si sdegnò che sotto il ministro filosofo gli apologisti del Vangelo godessero ancora del diritto di esser ascoltati, e d'Alembert fu obbligato a scrivere che, se il signor di Malesherbes lasciava stampare contro i filosofi, lo faceva a malincuore e per ordini superiori, eseguiti senza che questo stesso ministro avesse potuto impedirlo. (Lett. 28 genn. 1757.) Voltaire non era contento di queste scuse, la semplice connivenza non gli bastava, gli occorreva l'autorità dei re per assecondare il suo zelo, e così fece ancora ricorso a Federico II; questo diluvio di produzioni empie avrebbe dovuto essere lo scopo principale della sua colonia e così, non ancora consolatosi per il fallimento del suo progetto, scrisse al re sofista. “Se fossi meno vecchio e se avessi la salute, abbandonerei volentieri il castello che ho fabbricato e gli alberi che ho piantato per venire a terminare la mia vita nei paesi di Clèves insieme a due o tre filosofi, per dedicare i miei ultimi giorni, sotto la vostra protezione
alla stampa di alcuni libri utili. Ma voi non potreste, sire, senza compromettervi, fare in modo di incoraggiare qualche libraio di Berlino a stamparli e a farli vendere in Europa ad un prezzo basso che
ne renda facile la vendita?”(Lett. 5 aprile 1767.)
Questa proposta, che trasformava il re di Prussia nel direttore delle vendite di tutti i libercoli anticristiani, non dispiacque a sua maestà protettrice, che rispose “Potete servirvi dei nostri stampatori come vi aggrada; essi godono di completa libertà, e siccome sono in lega con quelli d'Olanda, di Francia e di Germania, non ho alcun dubbio che abbiano dei sistemi per far passare dei libri dove lo ritengano opportuno.” (Lett. 5 maggio 1767.)
Voltaire aveva degli uomini i quali assecondavano il suo zelo per invadere l'Europa fino a Pietroburgo con queste produzioni anticristiane; sotto la protezione e l'influenza del conte Schouvallow la
Russia chiedeva a Diderot il permesso di aver l'onore di stampare l'Enciclopedia, e Voltaire fu incaricato di annunziare a Diderot questo trionfo. (Lett. di Volt. a Diderot.) La più empia e sediziosa opera di Helvétius si ristampava all'Aia, ed il Principe Gallitzin osò dedicarla all'imperatrice di Russia; di fronte a questo colpo Voltaire non poteva credere ai suoi occhi, ed osservò quanto stupore avrebbe causato il vedere un tale libro dedicato alla potenza più dispotica che vi sia sulla terra; ma, ridendosela dell'imprudenza e della sciocchezza del principe adepto, osservava con entusiasmo che il gregge dei saggi cresceva in sordina, poiché perfino alcuni prìncipi non avevano alcun ritegno a far
circolare le produzioni più anticristiane. Al colmo della gioia, Voltaire nelle sue lettere a d'Alembert ritorna tre volte su questa notizia, tanto contava su questo mezzo per annientare nell'opinione pubblica ogni idea di cristianesimo.
In questo capitolo ho descritto solo la particolare preoccupazione dei capi di far circolare tra il pubblico queste produzioni piene di veleno; più avanti tratteremo dei mezzi usati dalla setta per far
giungere questo stesso veleno perfino nelle capanne dei poveri, e per impestare con la sua empietà anche quell'infimo popolaccio che Voltaire inizialmente non sembrava voler conquistare al suo
filosofismo.




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