venerdì 30 marzo 2012

Lettera di Napoleone III a Francesco II, consegnata l'11 dicembre 1860 dall’ammiraglio francese Le Barbier de Tinan e la risposta di Francesco II del 13 dicembre Lettera del «raggio di gloria»



Mio Signor Fratello,

Non ho scritto da qualche tempo a V.M. perché volevo attendere che gli avvenimenti avessero assunto un carattere abbastanza deciso, a fine di potere con cognizione di causa esporre tutt'intero il mio pensiero alla M.V.

Allorché l'ingiusta aggressione del Piemonte venne ad aiutare la rivoluzione negli stati di V.M. ed a forzarla di ritirarsi a Gaeta, io risolsi d'impedire il blocco per mare, al fine di dare a V.M. una prova della mia simpatia, ed evitare all'Europa l'affliggente spettacolo d'una lotta ad oltranza fra due sovrani alleati, nella quale il diritto e la giustizia erano dalla parte di quello che doveva soccombere.

Ma nel lasciare a V.M., mercé la mia flotta, libero il mare, non poteva essere né del mio interesse né della mia politica d'intervenire attivamente nella lotta; perciò l'Ammiraglio de Tinan ha dovuto assumere la più stretta neutralità tra i due avversari. Ma gli incidenti della guerra complicano ogni giorno la posizione della mia flotta a Gaeta: ora essa è sul punto di trattare duramente i Piemontesi, i cui attacchi minacciano la sua sicurezza; ora per mantenere la sua neutralità è obbligata ad impedire ai bastimenti di V.M. di esercitare giuste rappresaglie contro le navi Piemontesi.

Questa posizione non potrebbe durare indefinitamente, tanto più che io credo sia negli interessi di V.M. di ritirarsi con gli onori della guerra, prima di esservi costretto da un'inevitabile catastrofe. La M.V. ha mostrato una lodevole fermezza: finché v'era una probabilità di risalire sul trono, il dovere di V.M. era di sostenere il suo diritto con le armi; ma oggi, lo dico con dispiacere, il sangue si sparge colà inutilmente, ed il dovere di V.M. come uomo e come Sovrano è di arrestarne l'effusione.

Io ignoro ciò che l'avvenire riserba a V.M., ma sono persuaso che l'Italia e l'Europa le terranno conto e dell'energia che ha mostrato e della decisione che avrebbe preso d'evitare ormai inutili sciagure al suo popolo.

Prego la M.V. di credere che il mio linguaggio è dettato dal più completo disinteresse da una parte, e dall'altra dal dispiacere che proverei, se gli avvenimenti, col prolungarsi divenendo più gravi, mi sforzassero a non poter più mantenere la mia flotta in una posizione, nella quale la stretta neutralità ne diverrebbe impossibile.

La risposta di Francesco II a Napoleone III
(lettera del «raggio di gloria»)


Mio Signor Fratello.
La lettera che V.M. m'ha fatto l'onore di inviarmi, e che l'ammiraglio Tinan è venuto a trasmettermi, mi getta, debbo confessarlo, in un crudele imbarazzo. La mia intenzione ben decisa era di resistere sino all'ultimo estremo, a salvare a prezzo dei più gravi sacrifizi il mio onor militare, poiché gli avvenimenti mi impediscono di salvare da un'ingiusta oppressione i miei Stati.
Ma gli affettuosi consigli, che mi da V.M., le ragioni che con l'ordinaria Sua lucidezza Ella espone, ed il pensiero del ritiro della Sua squadra, colpiscono e fan vacillare l'animo mio.
In cosiffatta posizione V.M. non sarà né sorpresa né contrariata se io prenda un po' di tempo innanzi di adottare una risoluzione definitiva.
Sebbene io conoscessi che la squadra Francese non sarebbe rimasta indefinitamente in questo golfo, pure le mie ufficiali notizie, e le assicurazioni particolari che mi pervenivano, facevanmi sperare che il suo soggiorno qui sarebbe stato prolungato, o che almeno la bandiera Francese sarebbe stata presente a Gaeta sopra uno dei legni della Marina Imperiale. Apprezzando i motivi di V.M., e riconoscente della Sua efficace simpatia io non posso se non deplorare il richiamo della Sua flotta, il quale lasciando il mare libero ai miei nemici aggrava considerevolmente la mia posizione. Mi è d'uopo studiar più da presso le mie risorse per sapere, se mi sia possibile di far senza questo appoggio una lunga resistenza; e questo è ciò che io fo col desiderio sincero di evitare i due scogli, contro cui potrebbe infrangersi il mio avvenire ed oscurarsi il mio nome: la debolezza e la temerità.
Sire, V.M. lo sa, i Re che partono ritornano difficilmente sul trono, se un raggio di gloria non abbia indorato la loro sventura e la loro caduta. Io veggio che dopo l'ebbrezza d'un trionfo, dovuto piuttosto alla pusillanimità e al tradimento dei miei Generali, che non alla lor propria possanza, gl'invasori del mio Regno trovano ora difficoltà immense ad asservire i miei sudditi in nome d'idee, che ripugnano tanto ai loro interessi quanto alle loro tradizioni.
Le difficoltà che si addensano in Europa, ed eziandio l'alta intelligenza di V.M. e l'autorità di che gode, mi fanno sperare che non sia lontano il giorno, nel quale i principii di diritto, di dovere e di giustizia non saranno più calpestati dal Piemonte.
Se queste speranze sono sogni, v'ha almeno un punto che non ammette discussioni, ed è che combattendo pel mio diritto, soccombendo con coraggio, e cadendo con onore io sarò degno del nome che porto, e lascerò un esempio ai Principi futuri. E s'egli è vero che non v'abbia più speranza per la mia resistenza, mi resta ancora da provare al mondo che io son forse superiore alla mia fortuna.
Qui io sono Sovrano in principio, ma Generale in fatto: non ho più Stati, e non posseggo se non una Piazza e soldati fedeli. Degg'io abbandonare per la probabilità di pericoli personali e per tema dell'effusione del sangue, la quale io ho voluto evitare a qualunque costo, un Esercito che vuol conservare l'onore della sua bandiera, una Piazza in cui i miei antenati hanno spesi tanti sforzi per farne l'ultimo baluardo della Monarchia?
V.M. die è eccellente giudice in questa maniera di cose può decidere meglio di chicchessia, se partendo senza esser certo della inefficacia delle mie risorse, io avessi adempito fino all'estremo i miei doveri di soldato. Io posso morire, o divenir prigioniero: ciò è vero; ma i principi debbono saper morire a proposito, e Francesco I fu prigioniero. Egli non difendeva come me il suo Regno, ed i suoi contemporanei e la storia gli han tenuto conto di aver esposta la sua persona e di aver saputo soffrire la sua cattività. Non m'ispirano tale linguaggio accessi di passeggiera esaltazione, ma esso è il risultamento di lunghe riflessioni; e V.M., che è uomo di volontà, d'intelligenza e di coraggio, comprenderà meglio che qualsivoglia altr'uomo i sentimenti che mi animano.
Mi è mestieri dunque lottare contro questa corrente d'idee e di sentimenti per cangiar la mia risoluzione. Mi permetta la M.V. di prendere il tempo necessario a riflettere; e se nel frattempo, contro i miei desideri, i miei interessi, ed oso aggiungere contro le mie preghiere, gli interessi e la politica di V.M. La forzassero a richiamare la Sua squadra, io ne sarei dolentissimo, senza un dubbio; ma renderei giustizia ai Suoi motivi, e soprattutto conserverei profondamente impressi nel mio cuore e la prova di simpatia che la M.V. mi ha data, ed il servigio che m'ha renduto con assicurarmi durante sì lungo tempo la libertà del mare. V.M. ha operato nobilmente verso di me, quando niuna Potenza d'Europa non osava o non poteva venire a soccorrermi; e se per l'abbandono della Sua flotta io debba soccombere, pregherò solamente Iddio che la M.V. non abbia motivo di rimpiangerlo, e che invece d'un alleato riconoscente e fedele non trovi una rivoluzione ostile ed un Sovrano ingrato.
Quale che sia per essere la mia risoluzione in così gravi eventualità, sarà mio dovere farla conoscere senza ritardo a V.M.; come ora è mio dovere di giovarmi di questa occasione per manifestarLe nuovamente tutta la mia gratitudine pel Suo appoggio, pei Suoi consigli, e soprattutto per l'interesse che ha voluto prendere a mio pro.